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Autore: Marimo    01/05/2012    3 recensioni
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Probabilmente ne avrete già viste a migliaia di queste ff, e infatti non obbligo nessuno a leggere.
Ho un solo obbiettivo con questa storia.
Intendo raccontarvi un po'di me.
Perché è ingiusto che questa me, così sola e spesso triste, non possa condividere le sue esperienze.
Direi di iniziare da una mattina, una mattina normalissima dei miei dodici anni e tre quarti, con l'intento di presentarvi, una ad una, le persone che danno colore alla mia esistenza in bianco e nero.
Mi soffermerò su una persona in particolare.
Su una persona particolare.
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Genere: Demenziale, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ok, chattare con Miam fino alle 01:04 non è stata decisamente la migliore idea che potessi avere.”


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Intendo raccontarvi un po'di me.
Perché è ingiusto che questa me, così sola e spesso triste, non possa condividere le sue esperienze.
Direi di iniziare da una mattina, una mattina normalissima dei miei dodici anni e tre quarti, con l'intento di presentarvi, una ad una, le persone che danno colore alla mia esistenza in bianco e nero.
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Passai ancora una volta davanti allo specchio: quei dannati capelli non si decideranno mai.
Era come se avessero un loro calendario, giovedì all’insù, venerdì alla EMO, lunedì lisci, mercoledì mossi, e via dicendo.
E questa cosa, io, non la tolleravo.

-Oh, insomma, li ho tagliati perché non mi dessero fastidio, non perché assumessero una vita propria!- urlai in preda alla disperazione, capacitandomi di nuovo di quanto potessero essere difficili i capelli con un taglio corto.
Diedi un’ultima pietosa occhiata alla spazzola, combattuta tra il tentare un’altra volta ed il lasciar perdere, ed avviarmi semplicemente in cortile.
Scuotendo la testa, indossai la felpa grigia che ormai era la mia seconda pelle ed allacciai lo smanicato nero che mamma mi costringeva, puntualmente, ad indossare, con la scusa di un freddo che francamente non avevo mai sentito.
Entrando in macchina, mi addossai completamente al sedile grigio come l’asfalto, sperando di poter recuperare quei due minuti di sonno che vengono sempre a mancare la mattina presto.
Abbandonai immediatamente l’idea di dormire, quando al mio cervello venne la brillante idea di mettersi a riflettere sulla mia vita e le altre domande esistenziali che ne seguivano.
Per quanto mi riguarda, però, avevo già le risposte che mi servivano.

Chi sono io?

“Sono Angelica, una bimbetta di dodici anni (e tre quarti, precisiamo), che ne dimostra di più grazie alla sua altezza.
Una ragazzina totalmente piatta, che per questo e per varie altre ragioni non si sente propriamente bella.
La bellezza per me non è tutto, davo la precedenza a cosa come l’amicizia, la salute e lo studio, e della mia scarsa popolarità tra ragazzi ed amiche non mi ha mai influenzato.”

A cosa servo?

“Beh, principalmente a rompere i coglioni alle persone innocenti, ma a volte posso anche essere utile.
Non so bene in cosa, ma a qualcosa servirò, no?
Dopotutto, il mondo è come una grande macchina, e le macchine non hanno mai pezzi in più.
Se anche io mi trovo qui, deve esserci per forza una ragione più che valida, anche io devo avere uno scopo.”

Perché esistiamo?

“… Oh dio, ti prego, qualcuno mi dia una botta in testa, prima che quell’arnese gelatinoso che ho in testa ricominci a scassare le palle…
Ho chiesto solo di dormire, non mi sembra un reato, no?"

Ma ormai era troppo tardi, l’automobile blu notte di papà che da quando sono piccola chiamo ‘Tip’ era alle porte di quell’infernale cancello blu, la mia scuola, la Cecco Angiolieri.”

Beh, gente, direi che se fossi foco, arderei QUEL FOTTUTO EDIFICIO piuttosto che il mondo, lui non mi ha fatto nulla di male.

Come al solito, Fiamma era sul muretto di scuola a parlare con Ludovico, un suo amico delle elementari che frequentava un’altra sezione.
I suoi capelli biondi scintillavano alla luce del sole, ed i suoi occhi svegli non si posarono su di me, che barcollando miseramente mi avvicinai alla scuola.
All’ingresso c’erano sempre le stesse persone, le stesse che mi toccava precedere per arrivare in classe per prima.
Le possibilità di vedere quella persona, entrando in classe per prima, erano davvero pochissime, quindi facevo sempre di tutto per superare quei pochi che la pensavano come me ed accedere più in fretta alle scale.
Il fatto che la nostra aula fosse situata al secondo piano (che per me sarà sempre il terzo) era un’altra cosa che detestavo, perché farmi due rampe di scale ogni sacrosanta mattina, con la voglia di vivere della mia tartaruga d’acqua ed una vacca travestita da zaino sulle spalle, non migliorava certo l’umore mattutino che si guastava di secondo in secondo.

Vicino a me, di striscio, passò una ragazza più bassa di me, con un taglio di capelli piuttosto corto che tuttavia non nascondeva la voluminosità di questi ultimi ed uno zainetto che in confronto al mio (che nemmeno Dora l’esploratrice o Diego, che il cugino di Dora, avrebbero indossato) sembrava una borsetta microscopica.
Lei, quella ragazza, era la ragione di una buona metà dei miei sorrisi.
Volgarmente definita ‘migliore amica’, lei era per me quella persona che è capace di dirti le peggio cose senza rimpianti, che se trova qualcosa di sbagliato te lo dice in faccia, che sa essere stronza e brutale almeno quanto dolce e simpatica.
Lei, gente, è Gloria.

La mia figura, un po’goffa e traballante, camminava al suo fianco, tentando di tenere il passo e ritrovando magicamente un po’di felicità.
Sapevo benissimo di sembrare un elefante appena risvegliato dopo essere stato pesantemente sedato, a quell’ora, e l’idea di essere vicino a gloria mi faceva ridere.
Lei era una ragazza fantastica: dolce, sadica, altruista, paracula, discreta, impicciona, adorabile, stronza (se non lo aveste notato, sono un aggettivo ed un dispregiativo rapportati l’uno all’altro).
Aveva lunghe gambe snelle, ed aveva forme piuttosto pronunciate, a detta dei ragazzi della mia classe.
Dalla mia prospettiva, chiunque aveva forme pronunciate (come ho già detto, l’essere piatti ha i suoi svantaggi), ma non era solo figa, era anche carina. 
Aveva lineamenti delicati e preziosi, che sapevano trasformarsi in volti rabbiosi ed incazzati in meno di un attimo, e fregarti con un solo sguardo complice e malizioso. I suoi ricci castani, adesso spuntati per benino, erano ancora morbidi come la seta, ed era ancora la ragazza più bella del mondo, a mio parere.

Se mai avessi dovuto amare sul serio qualcuno, avrei scelto lei, mille volte.

Comunque, tornando il fatto che in quel momento sembravamo un elefante ed una gazzella che camminavano allegramente per i corridoi, lei era sempre stata come la mia mamma e come la mia figlia nello stesso momento.

Era più grande di me di oltre dieci mesi, ed aveva più esperienza in molti campi.
Io però ero sempre stata una ragazza più matura dei miei coetanei, dal punto di vista psicologico.
Ci sostenevamo a vicenda, eravamo più o meno esperte in qualcosa insieme, sempre insieme.
Insieme al punto che venivamo scambiate per sorelle, per gemelle, e se qualcuno non ci vedeva abbastanza vicine, iniziava a preoccuparsi per la nostra incolumità.

“Tanto oggi sverrò in classe, ho troppo sonno. Dannata Miam, vai a letto più presto la prossima volta” sbottai nella mia mente, borbottando qualcosa che Gloria parve ignorare, anche lei abbastanza stanca.

-Fatto le ore piccole, Cì?- Mi chiese all’improvviso, ormai in prossimità della 3° L.
-Colpa di Miriam, quella merdina mi ha trattenuto a scambiare tmbrl fino all’una di notte.-
A quelle parole, lei si mise a ridacchiare sotto i baffi, con un’aria da stronza che pochi sapevano imitare.
Tentai di metterle il broncio, dando vita ad un’espressione sicuramente ridicola a giudicare dalla sua reazione.
-E piantala di ridere, troia. Rischio di cascare in piedi, una ballerina ubriaca camminerebbe meglio di me.-
Chiuse gli occhi, ed assunse un’espressione scontata, come per dire ‘mi pare ovvio, no?’, dandomi torto e ragione insieme, ma poi tornò a sorridere normalmente, abbandonando la conversazione e preparandosi a sei ore (anzi, cinque ore e tre quarti) di rottura di cogIioni lezione.

Prima di oltrepassare la soglia dell’aula, mi sembrò di vedere il nostro riflesso.
Non mostrava ciò che desideravamo essere, ma solo quello che eravamo.
Eravamo due teenager, due ragazze che dalla vita si aspettavano tanto, pronte a tutto.
Due tipe un po’volgari, capaci di fingersi addirittura educate e candide, due sorelle.
Anche io sorrisi alla vista dei suoi occhi così dannatamente grandi, così neri, dove le pupille torreggiavano sullo spazio dell’iride, rendendo il riflesso di chi la osservava colpevole di qualcosa.
Mi sarei addossata tutte le colpe del mondo, pur di guardare nei suoi occhi, e di vederla sorridere.

-Buon giorno prof- il solito monotono coretto appena entrate, e poi l’inizio dell’agonia.
-‘Giorno Accorinti, ‘giorno Ferranti.-




“Giuro che se oggi non svengo in classe mi faccio suora.”



   
 
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