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Autore: Meramadia94    01/05/2012    1 recensioni
Dopo l'esplosione che ha distrutto la piscina, Sherlock e John stanno bene e si rimettono, ma poi arriva una notizia che li sconvolge.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La sveglia segnava le nove spaccate del mattino quando Sherlock Holmes riaprì gli occhi.

Quando si svegliò potè notare che John teneva il braccio intorno al suo collo, eh, non era mai stato bravo a controllare i movimenti durante il sonno.

Appena si fu liberato dall'abbraccio si sedette sulla sedia. La schiena gli faceva un male incredibile. Non che si stupisse più di quel tanto visto che aveva dormito metà sul letto, metà su una sedia.

Portò i suoi occhi su John e per una volta lui e Moriarty si trovavano d'accordo su una cosa: aveva una aria davvero dolce e innocente quando domiva.

''Buongiorno.''- la voce di John lo fece sussultare dalla paura e arrossì furiosamente: chissà da quanto tempo era sveglio e vigile e aveva sentito la sua mano affusolata accarezzargli la fronte.

John aprì gli occhi... il suo sogno più bello non era quando sognava durante la notte.

Iniziava quando si svegliava.

''Come ti senti?''- chiese il CI mettendosi completamente a sedere.

John sorrise-:''Bene. A pezzi, ma sto bene.''

''E' da molto che sei sveglio?''- indagò l'altro stropicciandosi un occhio.

''Solo da qualche minuto.''

''Vuoi che ti porti qualcosa? Tè, caffè, latte, acqua... dimmi tu.''- si propose Sherlock. Eh si, ormai era ufficiale: se in un'altra vita Sherlock Holmes si fosse ritrovato completamente sprovvisto del suo QI probabilmente pari a 200, sarebbe stato un infermiere modello.

''Un tè, ti ringrazio.''- sorrise John, cercando di ignorare la fitta alle gambe: ci sarebbe voluto un bel po' perchè i suoi muscoli riuscissero a risensibillazzarsi, dopo quasi un mese che erano in coma, l'operazione e tutto il resto.

Aveva dormito quasi tutta la notte ma si sentiva ancora stanco morto e vedeva che anche il suo amico non era messo meglio di lui mentre usciva dalla sua camera: stanco morto, pronto a mettersi a dormire in qualunque posto bagno compreso, dimagrito e pallido... tutto per lui, per aiutarlo a guarire più in fretta.

Un giorno avrebbe dovuto ripagarlo di tutto, lo sapeva. Anche se sapeva che Sherlock non gliel'avrebbe mai permesso.

Quando Sherlock aveva iniziato ad occuparsi di lui, a prendersi cura di lui per tutte le volte che doveva spostarsi da una stanza all'altra, sapeva che c'erano poche speranze che John riprendesse l'uso delle gambe... eppure l'aveva aiutato comunque, senza mai aspettarsi niente in cambio.

Eppure l'aveva fatto...

''Mr Holmes, buongiorno.''- lo salutò il dottor Warren quando Sherlock rientrò nella camera con l'ordinazione. Sherlock porse il tè a John senza star a sentire il medico, e quest'ultimo lasciò che John avesse bevuto prima di fare la sua diagnosi.

''Ho i risultati della risonanza magnetica.''- disse dopo che John si mise la tazza in grembo accennando alla cartellina che teneva in mano.

John si girava nervosamente la tazza tra le mani, e alla fine si decise a domandare, tenendo la testa bassa terrorizzato-:'' Quante probabilità ho di poter riprendere a camminare come prima?''

Il medico si mise gli occhiali da lettura e iniziò a consultare la cartella clinica dove c'era scritto ''JOHN HAMISH WATSON''.

John aspettava la condanna.

''Ha superato in pieno l'operazione, in linea di percentuale si aggirano intorno... all' 80%.''- sul viso di John si dipinse un espressione di gioia e non potè trattenere un-:''Fantastico''

Anche Sherlock non stava in se dalla gioia ma riuscì a controllarsi, nonstante fosse leggermente contrariato: il tono con cui aveva esclamato la sua gioia era lo stesso che gli rivolgeva quando gli dimostrava di aver ragione su qualcosa, e voleva che quel tono. quell'euforia la riservasse solo a lui. A lui e a nessun'altro.

''Si, ma devo avvisarla che la terapia di recupero non sarà ne breve ne indolore''- nessun problema, questo lo sapeva gia, era preparato, e poi il pensiero di poter ricominciare a vivere e di avere Sherlock al suo fianco lo aiutava a pensare che avrebbe potuto sopportare qualsiasi cosa senza la minima lamentela.

''Se la sente di iniziare adesso? Possiamo farlo qui, dovrei portarla nella palestra dell'ospedale ma siete amici di Sarah, quindi...''- chiese il medico.

Sia lui che John si accorsero che non appena aveva nominato la donna, Sherlock si era rabbuiato.

''Per me va bene.''- disse John pensando-:'' Prima iniziamo, prima finiamo e prima abbandono quella sedia con le ruote che cigola in una maniera da far perdere la ragione perfino ai santi''

Warren lo fece distendere completamente e gli scoprì le gambe: John indossava un pigiama blu a righe e dei calzini bianchi.

''Farà un po' male, si rilassi''- lo avvertì Warren studiando dove poteva iniziare a lavorare provocandogli il minor dolore possibile.

''Lo so, non si preoccupi''- lo tranquillizzò John-:'' proceda pure, io sono pronto.''

Sherlock prese la tazza dalle mani di John e con la scusa di riportarla al bar dell'ospedale disse-:''Beh, io vado prima che qualcuno mi sbatta fuori.''- memore di tutte le volte che un medico l'aveva costretto a lasciare solo John da quando era iniziata quella storia. John gli afferrò il polso-:''Se vuoi puoi restare.''- quando invece avrebbe voluto implorare-:''Ti prego non andartene''

Non voleva che Sherlock lo lasciasse solo, visto che sapeva che presto avrebbe sofferto fisicamente. Il volto di Sherlock, per lui, era un antidolorifico più potente della morfina.

''D'accordo... se vuoi che rimanga lo farò.''- disse mettendosi in piedi di fianco al suo letto e mettendo una mano sul materasso bianco come la neve e duro come il marmo.

Fu in quel momento che Warren lo obbligò a flettere la gamba destra, facendo esplodere in un colpo solo una massiccia dose di dolore.

Strinse le palpebre fino allo spasimo e cercò su quel materasso duro e scomodo qualcosa su cui sfogare quel dolore senza mettersi a gridare.

Trovò la mano di Sherlock e la strinse più che potè, chiedendogli mentalmente scusa.

''Fa male?''- domandò Warren notando gli sforzi del collega di non far trasparire la sofferenza.

John respirò a fondo e riaprì gli occhi, facendo appello a tutta la sua forza di volontà e resistenza al dolore disse-:''Abbastanza, ma posso sopportarlo.''

Il medico americano lo prese in parola e gli piegò leggermente la gamba spingendo il ginocchio verso il femore. John si mordeva il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.

E' solo nella tua testa..., si ripeteva John nel tentativo di riuscire a sopportare il dolore, il dolore è forte solo se pensi che lo sia. Ignoralo e rilassati, ignoralo e rilassati...

''Ha ragione, è doloroso...''- ammise Warren-:'' abbia ancora un po' di pazienza e cerchi di respirare normalmente.''- e nel dir questo gli fece ridistendere la gamba, strappandogli un gemito di dolore.

Svolse i medesimi movimenti anche con l'altra gamba, e per ogni volta la presa attorno alle dita di Sherlock aumentò, ma quest'ultimo non parve accorgersene.

''Ok, adesso basta per oggi.''- fece Warren resosi conto degli sforzi che John stava sopportando per sopportare il dolore.

''Non si preoccupi, lo so che...''- disse John con un grande sforzo di volontà perchè stava soffrendo veramente tanto e tentare di nasconderlo era inutile.

''John, lo sappiamo che muori dalla voglia di ricominciare a camminare''- lo rimbeccò Sarah-:'' ma se esageri rischi di farti male sul serio.''

A quel punto John cedette e non tentò di dire ne Ah ne Ma.

''Mi raccomando... lo tenga a riposo per un bel po'. Non si dimentichi che ha appena subito un operazione molto delicata''- fece il chirurgo rivolto all'indirizzo di Sherlock. Quest'ultimo annuì.

Rimasti soli Sherlock prese dalla propria tasca un oggetto trinagolare avvolto nella carta stagnola e lo porse a John.

Era una fetta di torta allo yougurth preparata secondo la ricetta della signora Hudson. John la divise a metà e ne porse un pezzo all'amico, ed entrambi iniziarono a mangiarla di gusto.

Passò una settimana, durante la quale John continuò a sottoporsi alla terapia di recupero, giorno per giorno.

E fu più lunga e dolorosa di quanto avesse immaginato.

Ma con il passare del tempo e con la costante vicinanza di Sherlock che non lo lasciava solo nemmeno un momento, imparò ad abituarsi al dolore che piano piano gli pareva diminuire sempre di più.

Quel giorno c'era un solo splendente fuori dalla finestra. John come al solito era disteso sul suo letto, mentre Sherlock era seduto su una sedia di fianco al suo letto e mondava ( con scarsi risultati) una mela per l'amico.

''Ora capisco cosa provi quando ti annoi.''- sbuffò John afferrando il telecomando spegnendo il televisore. Era davvero scocciato, un po' come quando era piccolo ed era bloccato a letto una volta per l'influenza, una volta per una frattura o per una distorsione e fuori c'era un sole splendente, evento più unico che raro considerando che era in Inghilterra.

''Benvenuto nel mio mondo, allora. Popolazione... noi.''

John si lasciò scappare un sorriso-:''Non ce la faccio più a restare chiuso qua dentro... mi piacerebbe uscire, lavorare, svagarmi... e fare una bella corsa.''

''Beh, allora andiamo, no?''- fece Sherlock alzandosi.

''Andiamo... dove?''- chiese John con l'espressione di chi non aveva capito il filo del discorso.

''Ti porto a prendere almeno una boccata d'aria in giardino, vuoi?''

Il viso del medico si illuminò di gioia: finalmente un po' d'aria, gli sembrava che quella stanza gli spingesse contro le pareti fino a volerlo imprigionare e poi soffocare.

''Ce la fai ad alzarti?''- chiese Sherlock scoprendo l'amico. John fece leva sulle braccia mettendosi a sedere.

''Provo...''- Sherlock gli fu subito accanto per aiutarlo e con tutta la delicatezza di cui era dotato gli portò le gambe fuori dal letto. Stavolta il medico non riuscì a trattenere un grido di dolore.

''Ahio... fa un po' male.''- ma in realtà il dolore fisico che gli veniva inferto da Sherlock non faceva mai davvero male... anzi desiderava che gliene facesse di più, era talmente piacevole...

''Sei sicuro di farcela? Se non te la senti possiamo anche fermarci.''- ma John si oppose. Con un piccolo sforzo e trattenendo parecchi gemiti di dolore riuscirono ad arrivare fino alla sedia a rotelle, e tra ascensori e scale riuscirno ad arrivare in giardino, dove l'aria era rinfrescata dal getto della fontana che c'era nel giardino, gli uccelli che cantavano allegramente e il profumo dei fiori.

Ma nessuna di quelle bellezze naturali reggeva il confronto con Sherlock... lui dava completezza a quel paesaggio gia meraviglioso di per se.

''Tra un paio di giorni ti dimettono.''- disse Sherlock fermando la carrozzella e sedendosi su una panchina-:'' Ma haanno detto che devi tornare qui almeno una volta a settimana per la terapia. Dicono che ora stai bene... ma dimmi, tu come ti senti, realmente?''

''Sherlock, stai tranquillo, sto bene. Mi fanno un po male le gambe, ma a parte questo mi sento come rinato.''- lo tranquillizzò John. E non mentiva, le ferite facevano davvero male ma ora che sapeva per certo che era questione di tempo perchè camminasse di nuovo quel dolore gli pareva un piccolo ed insignificante prezzo da pagare.

Restarono in giardino per tutto il pomeriggio e alla fine calò la sera... l'aria calda rinfrescò d'improvviso e John tremò per un brivido di freddo.

Sherlock si tolse la giacca nera del completo che indossava e la poggiò sul compagno proponendo-:''Meglio rientrare, se ti prendi una broncopolmonite quelli sono capaci di trascinarmi in tribunale.''

Infatti, mentre lo riaccompagnava nella sua stanza ci fu più di una persona che ebbe da ridire sulla loro ''gita''.

Alla fine sia Sherlock che John persero la pazienza e urlarono-:''State zitti!!!''- lasciando tutti di stucco.

Due giorni dopo la loro gita all'aria aperta, era arrivato il momento di tornare a casa. John indossava una camicia bianca con un gilet blu, pantaloni di jeans blu scuro e scarpe marroni. Era ancora sulla sedia a rotelle: le sue condizioni erano sensibilmente migliorate, ma era ancora troppo debole per stare in piedi da solo.

Sherlock, abbigliato con il suo solito vestiario, stava mettendo i vestiti dell'amico in un borsone da viaggio.

''Sherlock volevo dirti...''- disse John mentre l'amico chiudeva la borsa-:'' grazie per esserti occupato di me per tutto questo tempo. E scusami tanto se ti ho causato molti problemi.''

''Sempre meglio che avere intorno Anderson e futura signora''- ridacchiò Sherlock.

''Non so davvero come ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me.''- sorrise John in risposta.

''Offrimi una cena, consentimi l'uso della vasca per qualche esperimento e siamo pari.''- fu la risposta del CI.

''Andata...''- poi lo guardò minaccioso-:'' ma se trovo un cadavere o qualsiasi resto umano nella vasca e mi prende un infarto, ti assicuro che dopo che mi riprendo anche da quello sulla sedia a rotelle ci finisci tu.''- peccato che tutta la convinzione della minaccia venne smentita da una risata.

''Forse allora posso salvare da un attacco di cuore e me dall'invalidità...''- fece Sherlock avvicinandosi alla sedia di John e appoggiandosi sui braccioli della poltrona.

Come se l'uno avesse intuito le intenzioni dell'altro, John gli cinse il collo con le braccia mentre Sherlock gli aveva preso il volto bruno e abbronzato tra le mani mentre scattava un bacio che durò almeno cinque minuti.

Finchè la porta non si aprì: era Sarah con dei fogli.

Fecero appena in tempo a ricomporsi.

''Ho interrotto qualcosa d'importante?''- chiese la ragazza.

Sherlock-:''Si''

John-:''No!!!''- si affrettò a rettificare.

''Signor Holmes, mi dovrebbe firmare questi fogli... sono assunzioni di responsabilità.''- fece la donna porgendo fogli e penna al CI. In quattro e quattrotto anche quei cavilli burocratici vennero sistemati, e di sotto c'era Lestrade con una volante della polizia per accompagnarli a casa. Di solito non forniva il servizio taxi, ma per un amico si fa questo ed altro.

''Prima però dovresti passare in centrale, c'è stato un omicidio... inzialmente pensavamo di potercela fare da soli, ma...''

''Non sapete che pesci pigliare. Grazie al cielo non fate i pescatori.''- una battuta pesante e abbastanza cattiva, ma aveva strappato un sorriso a John quindi era soddisfatto.

''John, tu cosa vuoi fare, vuoi venire con me o preferisci che ti riaccompagni a casa prima?''- chiese Sherlock.

Ok, fare l'infermiere gli fa male- pensò John- se ora mi chiede cosa penso prima di coinvolgermi in qualche guaio...

''Me la sento benissimo di venire.''

In centrale non c'era nessuno che non fosse felice del ritorno di John e del fatto che finalmente sorridesse di nuovo, persino Anderson e Donovan gli fecero le loro congratulazioni.

Il sergente fu tentata per un fugace attimo di dirgli di cercarsi una casa più lontana da Baker Street e da Freak, e di trovarsi un hobby, ma lo sguardo assassino di Lestrade le fece capire che doveva starsene zitta se stavolta non voleva rimetterci una sospensione indeterminata.

''Oh, andiamo è talmente semplice.''- fece Sherlock alzando gli occhi al cielo-:'' non è stata l'amante del marito ad uccidere la consorte, ma il marito stesso. La moglie sapeva che il marito la tradiva, ma ha fatto finta di nulla per chiedere al momento giusto un risarcimento milionario. E lui l'ha fatta fuori convincendo l'amante a prendersi la colpa. L'avrà convinta dicendole che era incensurata e che se la sarebbe cavata con poco, promettendole in cambio di sposarla.''

''Quindi dobbiamo ri- interrogarla e se conferma la tesi è libera.''- fece Lestrade.

''Si, e appena fuori ucciderà davvero qualcuno: il suo caro amante.''- commentò Sherlock. In quel momento cadde una penna dalla scrivania dell'ispettore capo e rotolò fino alla porta.

Inutile che Greg si aspettasse che Sherlock gliela raccogliesse. Faceva prima ad aspettare che Febbraio avesse 31 giorni.

A qualcun'altro invece parve come un segno del destino...

Fallo adesso, fallo adesso...

John fece leva con le braccia con tutte le sue forze e con molti sforzi riuscì a mettersi in piedi.

''Sto in piedi... sono in piedi senza tenermi e nessuno mi aiuta...''- che bello sentire il proprio peso dopo tanto tempo, non gli pareva più scontato come una volta, era una sensazione meravigliosa.

Sherlock fece per andare verso di lui, quasi per evitare che cadesse ma Lestrade gli afferrò la giacca per fermarlo, mentre John gli faceva segno di star lontano con un braccio.

''Sherlock, fermo...''- disse Lestrade-:'' ora deve e soprattutto vuole farcela da solo.''

Gia...

ora doveva lasciare che l'uccellino volasse dal nido da solo..

Piano piano John riuscì a muovere le gambe da solo, a fare dei passi da solo e ad arrivare alla biro verde, ad inginocchiarsi e a raccoglierla.

Trattenendo poco per volta i gemiti di dolore che scalpitavano per uscire, riuscì a rialzarsi e ad arrivare alla scrivania, lasciando cadere la penna a peso morto.

''Ecco a te''- borbottò John ansimando mentre due gocce di sudore scendevano dalle tempie.

''Grazie...''- Lestrade sorrise giovialmente-:'' è bello riaverti con noi.''

Ma forse John non sentì alla perfezione quella manciata di parole, perchè iniziò a barcollare e poi cadde all'indietro con Sherlock e Lestrade, che era accorso, che lo sostenevano.

''E ora che gli prende?''- chiese Sherlock.

Lestrade gli controllò il battito mettendogli due dita sul collo e sorrise rassicurante-:''E' solo svenuto, si riprenderà a momenti.''- poi aiutò il consulente ad appoggiare il medico sul divano che c'era nell'ufficio-:'' vado a prendergli una bustina di zucchero.''

Detto questo uscì.

Forse per aiutarlo a svegliarsi, Sherlock iniziò ad alitargli sul viso.

''Mi sbaglio o qualcuno ha dimenticato di usare lo spazzolino, stamattina?''- fece John svegliandosi.

Sherlock sorrise sollevato: ogni tanto anche il cervello sottosviluppato di Lestrade e company formulava una diagnosi corretta.

''Come ti senti?''- chiese inginocchiandosi di fianco a lui.

''A parte le gambe che mi fanno un male cane... è il momento più bello della mia vita...''- sorrise John-:'' ce l'ho fatta, vero? Cammino di nuovo, dimmi che non è stato solo un bel sogno...''

''Si...''- sorrise Sherlock passandogli una mano tra i capelli biondi-:'' ce l'hai fatta...''

''No, Sherlock, no... ce l'hai fatta. Se tu non mi avessi incoraggiato a lottare, a combattere, a sperare... io a quest'ora sarei ancora su una sedia a rotelle, depresso, senza più voglia di vivere, forse acido e scorbutico con tutti quelli che volevano aiutarmi... credimi a me spetta solo la metà del merito.''

In quel momento decisero di infischiarsi che erano in una centrale di polizia e che qualcuno poteva entrare da un momento all'altro e si lasciarono andare a un bacio appassionato.

Fuori pioveva.

Ma dentro il sole splendeva.

Da quel giorno a Londra splendeva sempre il sole.

 

 

E anche questa schifezza è finita, devo dire che però ci sto prendendo gusto a scrivere su questi due. Appena finita anche ''I will burn your heart'' inizierò una nuova fic post-reichenbach.

Sempre che voi siate d'accordo 

  
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