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Era
passata circa una settimana da quando
la dottoressa Brennan aveva dormito nel comodissimo letto di
Booth… o meglio,
non propriamente nello stesso letto.
Nel
frattempo, un nuovo collega del FBI
era giunto per affiancare Tempe nelle indagini. Inutile dire che a lei
non
piaceva per niente. Era abbastanza basso, i capelli riccioluti e
biondi, gli
occhi strani – a detta di Angela: come
un
pesce palla – e la dentatura giallissima. Sembrava
una brutta copia di
Hodgins.
In
poche parole, era davvero
imparagonabile a ciò che Temperance aveva –
temporaneamente – perso. Desiderava
ogni giorno che Booth si presentasse allo Jeffersonian, e riprendesse
il suo
posto, magari sfoderando il suo solito raggiante sorriso.
I
cadaveri arrivavano e le indagini
andavano avanti, come sempre. Proprio in quel momento, gli Squints
stavano
indagando sul corpo di una donna straziato dalle fiamme. Era strano
lavorare
senza Seeley, ormai condivideva quasi tutto con lui. Sì,
perché l’agente
speciale del FBI aveva deciso di prendersi qualche settimana sabatica.
Dopo
tutto quello che era successo con il
suo passato… doveva essere in forma prima di ritornare sul
campo. Non sembrava
una scelta da lui, ma a detta dei suoi amici e familiari era la cosa
migliore:
separarsi dal lavoro e vedere uno psicologo.
Perché
per quanto le persone care possano
esserti vicine, non possono certo cancellare il passato.
Proprio
quel giorno, l’uomo si rivolgeva
per una nuova seduta. Anche se non l’avrebbe mai ammesso
così presto, doveva
riconoscere che dopo soli quattro incontri si sentiva già
molto meglio.
“Crede
di poter andare avanti, adesso?”.
“Non
è lei lo psicologo? Non dovrebbe
essere lei a dirmi se sono pronto o no?”. Quella giornata
Booth era
particolarmente nervoso. E la psicologia lo rendeva ancora
più nervoso, sempre.
“Dopo
tutte le volte che ci siamo visti…
lei è ancora scettico verso la psicologia?”. Lo
sguardo scrupoloso del Dottore
lo studiava con precisione.
“Sì…no…
credo di sì, non è qualcosa che
posso cambiare, anche se mi sta aiutando, ok?”.
“Abilmente
è riuscito a cambiare discorso
ed io ho retto il suo gioco, ma la domanda è sempre la
stessa, signor Booth: è
pronto a guardare negli occhi il cadavere di un suo compagno di guerra?
E’
pronto ad affrontare e dimenticare questa storia?”.
Qualche
minuto di silenzio rese l’attesa
ancora più trepidante. L’uomo interpellato si
sentiva molto confuso. Non sapeva
assolutamente cosa rispondere. Se avesse dichiarato di aver superato la
faccenda, avrebbe rischiato di affrettare la questione, e non
dimenticare
realmente l’accaduto. Ma se avesse negato, cosa sarebbe
successo? Brennan
sarebbe stata ancora sola, e lui avrebbe dovuto subire quelle stupide
sedute
ancora per molto, sdraiato su quello scomodissimo lettino in pelle
marrone.
Non
riusciva ancora a capire quale fosse
la scelta giusta, ma una cosa era certa: se fosse stato completamente
convinto,
avrebbe dato una certezza senza ripensamenti. Ed invece non era questo
che
faceva.
“Forse
è meglio se ci vediamo la prossima
volta” concluse amareggiato, alzandosi ed uscendo
dall’ufficio, affranto nel
cuore.
C’era
anche qualcosa che non aveva
calcolato, però: ammettere di aver ancora bisogno di aiuto,
nonostante il tempo
trascorso, voleva dire che non si stava prendendo in giro con quegli
incontri,
e che poteva sopportare anche la psicologia, che le cose potevano
davvero
aggiustarsi.
Uscì
dallo studio, e si diresse verso il
parcheggio. Inaspettatamente, riuscì a sorridere ancora una
volta: una
bellissima donna lo aspettava poggiata alla sua macchina.
“Ciao
Booth, penso ancora che la
psicologia sia inutile, perché per sorridere hai solo
bisogno di vedermi, a
quanto pare”.
Tempe
lo raggiunse dove si era fermato,
per lo stupore. Lo abbracciò così forte da
riuscire a sentire il profumo del
giaccone che indossava. Lo strinse con tanto affetto… come
non aveva mai fatto
prima, con nessuno.
Se
questa era la vera lei o meno… quasi
non le importava più: aveva deciso di provare a seguire solo
l’istinto per le
sue relazioni sociali… e sentimentali.