Scena Quinta: VI Atto.
Stavo
guardando attentamente le foto davanti al mio naso non riconoscendomi proprio.
<<
Ma sono davvero io? >>
E
lei annuiva, tutte le volte. Tutte le volte dopo quell’assenso la coda
dell’occhio cadeva sul borsone.
<<
E tu mi stai dicendo che il soggetto in tutte
le foto è Davide?! >>
<<
Non te lo sto solo dicendo, te lo sto anche mostrando! >>
E
li mi cadevano sulle foto in questione, dove ero ripresa in mille modi con
Davide: sulle altalene, mentre tentava di farmi i codini, con il grembiule e lo
zaino, in costume da bagno, mentre mi imboccava, una in cui tiene in mano uno
dei miei dentini da latte, una sui castelli di sabbia, una al parco, una con
dei gelati enormi in mano, una in cui lo macchio di panna sul volto e
viceversa, con il pigiama e addirittura una dentro lo stesso lettino dormienti.
<<
Quindi, ti ricordi qualcosa? >>
Sono
ombre sfocate che si muovono troppo velocemente per poterle afferrare che mi
stanno facendo male alla testa.
<<
Un po’ più del nulla, ma aspetta, chi te le ha date? >>
Esita
nel rispondermi e cerca di far cadere lo sguardo e le mie attenzioni su una
foto dove siamo sdraiati su dell’erba ricoperti di fango. Ok, lo ammetto, siamo
carinissimi insieme. Ignoro i pensieri e le farfalle nello stomaco guardandola
con sospetto.
<<
Davide, ok? >>
Sbotta
in una volta dandomi l’ennesima stoccata prima dell’entrata dei miei genitori
in salone.
<<
Buongiorno... >>
Mormora
Sam, io mi limito ad un ciao soffocato e strozzato partito dalla gola.
<<
Dai tesoro, ancora seccata con noi? >>
<<
No. >>
Bofonchio
rassegnata: non valeva a nulla comportarsi come bambina viziata. Non quando
partono, almeno.
<<
Oh, vieni qui! >>
Li
abbraccio tutti e due con vigore stringendomi
loro il più possibile.
<<
Starete bene? >>
Dico
loro anticipandoli.
<<
Non prenderci in giro! >>
Annuisco
baciando le guance di entrambi.
<<
Starò bene. Chiamatemi quando arrivate in Tanzania. >>
<<
Tesoro lo faremo, sta tranquilla. >>
Vedo
mia mamma armeggiare con il proprio cercapersone e sorrido stampandole
un’enorme bacio sulla guancia.
<<
Ti chiameremo ad ogni scalo, ok? >>
Annuisco
porgendo la borsa a mia madre come se fosse un oggetto così mistico da dover
maneggiare con cura.
Quando
attraversano la porta, con un mezzo sorriso sulle labbra sconsolato, sento
distintamente la mano sulla spalla che Sam poggia in segno di conforto.
<<
Andiamo? >>
Dopo
quasi venti minuti di strada sull’autobus e dieci a piedi, la casa di Davide ci
si para contro come un pugno nello stomaco.
<<
Wow. >>
L’unico
commento decente alla Villetta isolata in periferia vicino al quartiere
Messinese più agiato. Assurdo.
<<
Tesoro, sai che ti verrò a far visita più spesso? >>
Do
uno scappellotto a Sam che i rimando mi fa una timida linguaccia e, seppur con
malumore, suono al campanello con lettere vergate in uno stile elegante e
raffinato.
Nei
minuti in cui aspettiamo che qualcuno ci venga ad aprire, posso notare che lo
stile semplice ma imponente della casa, con statuette da giardino ( si perché,
diamine c’è anche un giardino! ) fiori e finestre, tante finestre. Con mio
sommo piacere, quando mi tiro un po’ indietro per vedere le condizioni delle
altre abitazioni, noto che la nostra, sia
molto raffinata. Ridiamo quando Sam risuona il campanello come una perfetta
cameriera.
<<
Scema! >>
<<
Se, se... >>
Mi
arresto all’istante quando la voce di Davide chiede chi fosse.
<<
Emh... E-Elisa! >>
Mormoro
imbarazzatissima. Dannazione non va bene partire così!
Il
cuore mi si ferma in petto quando lo vedo con la camicia sbottonata e un paio
di jeans a fasciargli perfettamente le gambe e il bacino. Lo sguardo risale
lentamente e posso contare perfettamente i fasci di addominali che partono dal
basso in una perfetta V.
<<
Oh... >>
Biascico
chiudendo di scatto la bocca dando una gomitata a Sam.
Non va, completamente!
<<
Prego, che ci fate ancora lì sulla porta? >>
Contro
ogni mia prerogativa però, quando afferra il mio borsone così delicatamente,
non posso fare a meno di arrossire come una perfetta bambina alla prima cotta.
<<
Sam, vuoi rimanere per cena? >>
Il
suo tono di voce è così caldo e dolce che mi ricorda qualcosa di... lontano. Quasi
lo stesso tono di una ninnananna.
<<
Ma Davide, hai cambiato casa? Non abitavi in un appartamento in centro? >>
Faccio
cadere la testa di lato stupendomi del fatto che sapesse dove abita. Mha!
<<
Mh, si. Ma ho voluto lasciare l’appartamento
a Lucrezia. Sai, da quel giorno ci siamo lasciati. >>
<<
Aaaah! Come sta la stronzetta? Ricorda ancora quel pugno in pieno viso? >>
Aggrotto
le sopracciglia senza riuscire a collegare la miriade di eventi.
Chi è Lucrezia? Come fa
a conoscerla Sam?
Mi
duole ammetterlo, ma quel bisogno soffocato di ricordare cosa fosse accaduto
prima dei miei dieci anni e in quell’anno, si fa prepotentemente avanti. Si fa
avanti e prepotente proprio come la distanza che si riduce visibilmente tra Sam
e Davide e la distanza che si crea da me a tutti e due.
<<
Ehi... >>
Dopo
molti minuti in cui ridono e scherzano e parlano
di questa – com’è raccapricciante il nome! – Lucrezia, ritornano entrambi
sulla mia stessa linea d’onda.
<<
Mh? >>
<<
Vieni, ti faccio vedere la tua camera. >>
Era
grande, come ambiente, e ben illuminato se devo essere sincera. La cosa più
dolce in assoluto è il fatto che avesse pensato ad ogni comfort possibile ed
immaginabile.
Entro
estasiata e poggio il borsone vicino al lettino notando il fatto che si sia
fermato proprio allo stipite della porta, e che si sia appoggiato ad esso,
assumendo un’aria... sensuale.
<<
Ti piace? >>
Il
suo sorriso mi ruba un battito.
<<
Si! >>
Sorriso
che adesso si allarga e li occhi illuminano. Noto un particolare solo adesso:
gli mancano gli occhiali.
<<
Cosa c’è? >>
Mormora.
<<
N-no, nulla... grazie. >>
Rimango
a fissare la sua mascella e i lineamenti del viso così belli, sorridendo alla
sua esitazione.
<<
Prego... vieni giù, avanti: vi preparo qualcosa da mangiare. >>
Annuisco
con vigore stanziandolo di pochi passi alle sue spalle.
<<
Senti... >>
<<
Si? >>
Dico
incantata dai suoi movimenti cadenzati e dalle sue spalle così larghe... oddio!
Sorrido
scuotendo la testa alla mia stupidaggine. La mia attenzione viene catturata
dalle scale e dalla sua figura avvicinarsi ad esse.
<<
DAVIDE ! >>
Urlo
terrorizzata. Non so da cosa, ma il panico si insinua velocemente mentre gli
afferro il polso con vigore tirandolo a me. Tremo dalla paura stringendomi a
lui come meglio posso.
<<
Elisa, Calmati! Calmati! >>
Immagini
veloci e dolorose mi passano davanti senza che io ne possa capire il senso e
poi li vedo... due occhi verdi alla mia altezza, che mi guardano con
preoccupazione.
<<
Elisa... cosa ti è preso? >>
Scoppio
a piangere singhiozzando.
<<
Ho provato paura... >>
<<
Ho provato paura per te, quando ti sei avvicinato alle scale... scusami io... io
non... >>
Lentamente
mi faccio scivolare al suolo, mentre lui mi abbraccia comprensivo.
<<
Su, su, guarda, ti tengo per mano e scendiamo insieme lentamente...ok? >>
Annuisco
alzandomi dal suolo grazie al suo aiuto, e prendo la sua mano, tremante. Mi tranquillizzo
tantissimo quando tocco l’ultimo scalino notando quanto sia grande la sua in
confronto la mia.
Il
nostro ingresso in salotto, sotto lo sguardo curioso e stralunato di Sam, mano
nella mano, sarebbe stato l’ultimo contatto fisico di
quel mese.