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Autore: SAranel    01/05/2012    4 recensioni
Se non hai visto la seconda stagione, non aprire, mi raccomando!
John ha bisogno di tante cose, molte delle quali semplici, di poca importanza. La cosa più importante però, non può più averla. Qualcosa però sembra dover succedere, e qualcuno potrebbe cambiare un destino già scritto. Cosa succederà?
"Perché in vita sua, non ha mai avuto una mancanza di coraggio tale da privarlo completamente della forza nella braccia, nelle gambe, in tutto sé stesso. Sente che deve, che ha bisogno di farlo, percepisce qualcosa che gli dice che deve oltrepassare quella porta.
A tutti i costi".[...]
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera fandom!
Probabilmente avrò una qualche connessione voglia di scrivere-stato d’animo che funziona in maniera stramba dato che scrivo storie drammatiche quando sono sinceramente di buon umore. Ho rinunciato a cercare di capirmi.
Spero davvero che la storia vi piaccia, ovviamente non manca la vena romantica (non ci posso fare niente, li adoro troppo) e sperando di non aver fatto troppo male, vi auguro buona lettura!

S.



 

Via le mani dagli occhi

 

 

“[…]Si dimentica mai ciò che si è amato una volta?”

-Jean-Jacques Rousseau

 

 

 

 

 

 

Quello di cui John ha bisogno, è un sorriso.

 

La Signora Hudson gliene regala uno meraviglioso quando gli porge la tazza di tè, nel suo soggiorno. E’ molto premurosa, da quando John è solo, molto più di quanto fosse necessario.

Il dottore però sa che è solo l’affetto, il profondo legame che la lega a lui a spingerla a quelle attenzioni. E John le è grato, con tutto il cuore.
Quel pomeriggio, appena aperta la porta, gli era saltata al collo, felicissima di rivederlo, e alla sola vista della simpatica e arzilla ex padrona di casa, John si era sentito allo stesso identico modo.

Da quando John non vive più a Baker Street lei lo telefona quasi ogni giorno, tenendolo a telefono per ore ed ore, distraendolo da qualunque pensiero spiacevole, doloroso.
Perché lei sa.
Sa che John non è sé stesso quando dice che è tutto passato, che tutto adesso va a meraviglia, che non pensa più a lui da tempo. Sa che è costretto a dirlo, a pensarlo, per evitare di sprofondare, di annegare in un mare buio pieno di angoscia e dolorosi ricordi.
Sa che John è lacerato da quella decisione, anche se non vuole ammetterlo, e sa anche che non può far nulla per cambiarla.
John vuole continuare a vivere, e per farlo, lui ha dovuto dimenticare.
Sherlock è un soffio di fiato ormai, portato via da una bufera di vento, più forte di lui.
Ma tutto va benone” John continuava a dire. “Tutto va come deve andare”.

 


Quello di cui John ha bisogno, è una pallina

 

 

Il suo piccolo paziente piange disperato, mentre osserva la siringa sottile che John tiene fra le mani. John gli sorride e gli scompiglia i capelli, stringendolo dolcemente a sé per calmarlo e rassicurarlo.
“Ehi piccolino, calma. Non farà male, andrà tutto bene” gli dice, con voce tranquilla.
La madre del piccolo lo guarda con espressione piena di gratitudine mentre il bambino pian piano placa i suoi singhiozzi, senza però smettere di piangere.
John improvvisamente ha un’idea. Si allontana per un secondo, mentre la donna continua il suo tentativo di confortare suo figlio, e aprendo il primo cassetto del bancone, afferra una piccola palla rossa a strisce bianche.
Il bambino è improvvisamente attirato dai movimenti del dottore, e alza lo sguardo per guardarlo, con gli occhi arrossati dal pianto, e vede John avvicinarsi di nuovo, rannicchiandosi di fronte a lui.
“Se fai il bravo bambino e ti lasci fare la puntura, ti mostro un trucchetto” gli promette, e il bambino all’improvviso sembra incredibilmente affascinato da quella prospettiva. Tira su col naso e dopo un’iniziale titubanza, annuisce.
“Puoi farmene uno anche adesso, però?” gli domanda il piccolo con una vocina resa tremula dal pianto. “E uno dopo?”.
John non può che rimanere intenerito dalla dolcezza e vulnerabilità di quel bambino. Accarezzandogli di nuovo i capelli, muove la mano in un gesto d’assenso.
“Ci sto” dice e infila la pallina tra il dito medio e l’indice. “Guarda bene” si assicura, e il bambino gli pianta bene gli occhi addosso, senza alcuna intenzione di distogliere l’attenzione.
Con un elaborato movimento della mano e del polso, John fa sparire la pallina, senza che il bambino potesse accorgersi di nulla. La tiene fra il polso e la manica, ma questo il piccolo non può saperlo, e guarda John come se fosse una specie di essere soprannaturale. Ha completamente smesso di piangere, e adesso il suo sguardo è totalmente adorante e concentrato.
“Come hai fatto?” gli chiede. “Puoi farla riapparire?”.
John chiude gli occhi per fare un po’ di scena, come se gli occorresse una profonda concentrazione per poterlo fare. Alla fine, con un nuovo intreccio scenografico di mani e torsioni di polso, ecco che la pallina è nuovamente nel palmo della sua mano destra.

Il bambino applaude, senza parole. La madre guarda John con dolcezza, come se l’avesse salvata da una spiacevolissima situazione.
“Sei bravissimo!” grida il piccolo. “Adesso faccio la vaccinazione, ma dopo ne voglio un altro ancora! Anzi due!” grida, entusiasta. John ride.
“Affare fatto”.
“Puoi anche far riapparire le persone?” gli domanda poi improvvisamente, gli occhi che lo guardano ammirati. “Qualcuno che è andato in Cielo?”.
Quella domanda costringe John a sostenersi sulla sedia vicina, quando un improvviso brivido freddo lo scuote, con una sensazione di disagio, di dolore. Il cuore batte più forte mentre inevitabilmente, dopo aver cercato in tutti i modi di spostare i pensieri altrove, pensa a lui.
“Questo non posso farlo” gli risponde, cercando di riprendere il controllo. “Questo non posso farlo nemmeno io”.
Lui non vuole pensare. Lui non lo pensa più da mesi ormai e va tutto bene, tutto a meraviglia, tutto come deve essere. La sua vita è normale, adesso, in tutto è per tutto.
John è felice.
O almeno questo è quello che lui stesso continua a ripetersi, sperando di convincersene pienamente, un giorno.


Quello di cui John ha bisogno è un caffè.

 

 

Cammina nel parco al pomeriggio, il sole che splende in tutta la sua meraviglia e le fronde degli alberi che si muovono lente accarezzate dal vento.
Ama passeggiare nel parco, perdersi nel rilassante scalpiccio dei passanti, nei click delle macchine fotografiche dei turisti, nel lento scorrere dell’acqua nelle fontane. John deve distrarsi, e quel posto, nella sua quiete, è quello che serve.
Cammina per quelle che gli sembrano ore, a passo svelto e poi più lento, senza alcuna fretta, godendosi la frescura e la luce, cercando di non pensare a nulla, cercando solo di estraniare completamente la sua mente da ogni preoccupazione.
Passeggiando, nemmeno si accorge di essere arrivato sul lungo viale alberato, circondato da passeggiatori solitari, coppie mano nella mano, turisti in bicicletta e all’improvviso, guardandosi bene intorno è costretto a fermarsi, quando scorge quella panchina.
Qualcosa quel giorno ha deciso di tormentarlo, di rendergli la giornata più difficile di quanto già non fosse tutti gli altri giorni; aveva impiegato tanto, troppo tempo per relegare il suo volto, la sua voce, la sua…esistenza in un angolo remoto della sua mente e adesso eccolo tornare a minare la sua stabilità, a sfiorare una ferita ormai rimarginata.
Su quella panchina del parco, dove Mike Stamford gli aveva parlato di lui, siedono ora due uomini intenti in una pacata conversazione, e al medico sembra quasi di rivedere sé stesso e il suo vecchio compagno d’università, quelli che sembrano millenni prima.
Uno dei due ha in mano un caffè e lo sorseggia distrattamente, attratto dalla parlantina dell’altro. John sorride, senza alcuna allegria.
Spera che quell’uomo abbia più fortuna, se per un caso straordinario si trovasse nella sua stessa situazione di tanto tempo prima. Si augura che scappi, che decida di cambiare città, lavoro e vita, evitando di fare un incontro speciale che avrebbe cambiato la sua vita in meglio, per poi vedere quel sogno infrangersi con un gesto crudele e inspiegabile.
John distoglie lo sguardo e decide di andar via, lontano. Un caffè ora è quello che serve anche a lui. Nero e forte.
Non devo pensarci più” riflette, sorseggiando la bevanda bollente. “Non ora che tutto va così bene”.


Quello di cui John ha bisogno è dimenticare come si usa un telefono cellulare.

 

John afferra il suo telefono, seduto alla stazione di Paddington, alla disperata ricerca di qualcosa da fare per spingere i suoi pensieri altrove, per direzionare la sua preoccupazione a qualcosa di più utile e produttivo. Scorre lento i messaggi ricevuti: Harry, Harry, Harry, Mike, Sarah, Sconosciuto, Vodafone UK, Tesco Info, ripensando a quanto fosse piena, in passato, quella cartella. Un solo nome, sopra tutti. Messaggi anche inutili, una sfilza di ‘Mi annoio!’ per di più, ma che riuscivano sempre a strappargli un sorriso divertito.
Scuote la testa, rimuovendo quel ricordo e corre con le dita sui tasti, sospirando, ritrovandosi nell’elenco delle chiamate rapide e scorrendo la lista di nomi abbinati alle varie cifre.
Alla numero uno, è costretto a volgere altrove lo sguardo.
Ancora lui. Il primo, in tutto. Anche in quel maledetto telefono cellulare.
L’ultima chiamata, e qui si sente mancare il respiro, è quella chiamata.
John raccoglie tutto il coraggio che riesce a trovare e preme il tasto opzioni, con il cuore pieno di colpa.

’Eliminare numero abbinato a tasto chiamata rapida 1?’
Un click.
’Confermare?’
Un altro click.

Dopotutto, tenerlo non sarebbe servito a nulla, pensa. Ora va tutto bene, tutto alla perfezione. Quel numero sarebbe stato presto sostituito da qualcun altro, sicuramente. Questo qualcun’altro però John non riesce realmente a vederlo, nemmeno nelle sue fantasie, nei suoi sogni più remoti.
Quel qualcuno non esiste e non esisterà mai, ma è una realtà a cui John non vuole pensare.
Dopotutto, sta andando tutto a meraviglia, adesso.

 

Quello di cui John ha bisogno è non fissare quel maledetto soffitto

 

Non è lo stesso di Baker Street, quello almeno, era un punto a suo favore. Niente fori di proiettile, niente solchi profondi da lancio di coltelli dovuto alla noia e altri accanimenti vari contro il povero intonaco. Ma quella vista, lo stare sdraiato a fissarlo, non può fare a meno di rimandarlo indietro a quel giorno di anni prima, il giorno in cui aveva ricevuto il regalo più grande che avesse mai potuto desiderare.
Un bacio.
Era stato semplice, senza nessun romanticissimo preambolo, senza dichiarazioni d’amore da film sentimentale di serie B. Più semplicemente Sherlock gli si era avvicinato, mentre John era straiato, e aveva premuto le sue labbra sulle sue, con esitazione, probabilmente temendo che il medico lo rifiutasse, ma John non ne aveva avuto la benché minima intenzione. Sconvolto ma emozionato come un bambino, aveva portato Sherlock giù con sé e allacciato le gambe ai suoi fianchi, approfondendo il bacio e lasciando che la maggior parte dei loro corpi si sfiorasse, agognando quel contatto, godendo di quel lento sfiorare di pelle e stoffa che per troppo tempo aveva silenziosamente desiderato. Non avevano fatto nient’altro, non quella notte, ma John e Sherlock non ne avevano sentito la necessità in quel momento. Era tutto perfetto così com’era.
Erano rimasti abbracciati e John era scivolato in un sonno profondo con una mano fra i suoi capelli, a godersi il calore dell’uomo addormentato sopra di lui, sentendosi bene come non succedeva da anni.
E adesso è solo, a crogiolarsi in un immagine lontana, eterea come un sogno. A ricordare un bacio ricevuto da qualcuno che non avrebbe mai più toccato, mai più.
Si domanda se è il caso di uscire, quella sera. Magari conoscere qualcuno. Ora che la sua vita va a gonfie vele, ora che la sua è una normale e comune esistenza John può essere come tutti gli altri. Di nuovo.

 

Quello di cui John ha bisogno è che fuori rimanga il sole

 

Purtroppo però fuori piove, e l’aria profuma di terra, di acqua, di natura.
John in passato amava quel profumo, lo faceva sentire bene, rilassato, calmo e soprattutto lo adorava ancora di più perché gli ricordava lui. Adesso però, per quello stesso identico motivo, John non può sopportarlo.
Tutto era iniziato quella volta in cui il suo coinquilino era ritornato a casa fradicio dalla testa ai piedi. Aveva percorso buona parte del salotto come se non fosse un completo bagno d’acqua sgocciolante, lasciando una scia bagnata e fangosa dietro di sé. Arrivato davanti a John aveva scrollato le spalle come un grosso cane dopo un bagno e aveva annunciato trionfante che il caso era risolto.
John non aveva fatto una piega ma gli aveva sorriso, ripiegando il giornale della sera e alzandosi verso di lui. Incurante degli abiti zuppi lo aveva abbracciato e baciato con trasporto, come se fosse tremendamente ammirato e volesse ricompensarlo per la sua bravura. Il coinquilino era rimasto sinceramente e piacevolmente sorpreso.
”Molte grazie, John” aveva detto.
”Figurati” aveva risposto il medico, gentile. “E oltretutto hai veramente un buon profumo, sai?” lo aveva annusato, dolcemente, con l’altro che lo guardava curioso. “Terra bagnata, erba secca, pioggia. Veramente buono”.
Sherlock aveva annuito, compiaciuto, e aveva posato un altro bacio leggero sulle labbra del dottore.
Petrichor” aveva detto poi, senza che John capisse. “Dal greco. E’ il profumo della pioggia che bagna la terra asciutta”. Il medico aveva ridacchiato sommessamente sulle labbra dell’altro.
”Grazie della delucidazione” aveva detto. “Ora continua quello che stavi facendo, se non ti dispiace”. E quello che era seguito è vivido nella mente di John come se fosse accaduto appena un giorno prima.
China lo sguardo, sottomettendosi al dolore di quei ricordi che lo lacerano, lo colpiscono come schiaffi a freddo sul viso.
Forse non sta tanto bene, comincia a pensare, forse non in quel momento, non quel giorno. Spera che passi. Lo spera con tutto il cuore.


Quello di cui John ha bisogno è aprire gli occhi

 

Perché John li ha lasciati chiusi da quel giorno, al Barts.
Da quel giorno John non ha più vissuto la stessa vita, per quanto avesse cercato di convincersi che era riuscito a superare quel momento, per quanto ripetesse in continuazione che ce l’aveva fatta, che era andato oltre, che era stato abbastanza forte per superare un’altra guerra, se possibile anche più violenta e dolorosa della prima.
La verità però, è un’altra. John ha cominciato a vivere ad occhi chiusi per non essere costretto a vedere l’ineluttabile e crudele verità.
John non vuole aprirli, vuole rimanere in quel limbo irreale e falso, in quel luogo effimero dove lui è un uomo forte, coraggioso, con un cuore talmente freddo da aver dimenticato il suo migliore amico, il suo compagno, il suo amante, dopo aver condiviso con lui i momenti più belli della sua intera esistenza. Vuole rimanere in quel mondo irreale ma perfetto perché sa che morirebbe se li aprisse. Perché tornare il vecchio John, senza Sherlock accanto, sarebbe come scavare a poco a poco la sua fossa.
Non va tutto bene. Non è mai andato tutto bene.

 

Quello di cui John ha bisogno è piangere

 

Dopo quel giorno al cimitero, John non ha più pianto per Sherlock.
Era stato arrabbiato con lui, i primi tempi. Gli aveva sempre creduto, non aveva dubitato mai neppure un secondo di lui, ma quel giorno stesso lui aveva preso la sua decisione. Se Sherlock aveva deciso di morire, se aveva scelto di lasciarlo solo ad affrontare quell’ostacolo insormontabile, terribile, non meritava che lui annullasse la sua vita a causa sua. Sherlock sarebbe stato solo un capitolo chiuso nel libro della sua vita. Un capitolo ingiallito e dalle pagine rovinate e illeggibili. Fogli consunti e maceri, che non avrebbe mai più sfogliato. Sherlock era scomparso quel giorno.
Sul letto del suo nuovo appartamento però, adesso John piange.
E non sono poche e silenziose lacrime quelle che bagnano il suo cuscino, e non è un gesto involontario quello stringere forte le lenzuola, cercando un appiglio, un riparo. E’ un pianto copioso, disperato, pieno di colpa, risentimento, rabbia; sentimenti che tiene intrappolati da tanto, troppo tempo da stimare, da troppi giorni passati a cercare di reprimerli aspettando il giorno in cui avrebbe completamente smesso di provarne.
Adesso il vero John è di nuovo lì, in un monolocale di periferia nella sua Londra, la loro Londra, e soffre, piange, sente di nuovo.
Ha ritrovato la realtà, John. E fa male, più di quanto avesse mai potuto immaginare.



Quello di cui John ha bisogno è Sherlock

 

Perché è qualcosa che non può più negare, su cui non può più passare oltre.
John ha bisogno di lui come non ne ha mai avuto di nessuno. Aveva lasciato i suoi affetti anni prima, rivendicando la sua indipendenza senza alcun ripensamento, senza rimorso, con coraggio.
Era andato a vivere per conto proprio in giovane età, aveva scelto la vita militare, aveva scelto di andare in guerra e l’aveva affrontata con coraggio e sangue freddo. Aveva perso amici, compagni fidati, fratelli e aveva pensato che dopo tutto quell’orrore, nulla avrebbe mai più potuto turbarlo o spaventarlo.
Ma nulla di tutto ciò che aveva passato, nessuna esperienza avrebbe mai potuto prepararlo a quello.
John ha bisogno di lui.
John si sente squarciato, incompleto, mancante. E realizza, finalmente, dopo tanto tempo passato a cercare di respingere quella verità, che Sherlock è la sua metà perfetta, la sua parte irrazionale ma necessaria, quella perfetta frazione mancante della sua vita che aveva cercato per anni. Sherlock è il tocco di colore mancante alla sua tela. Sherlock è tutto, Sherlock è vita, e John si sente colpevole, ingrato, una persona meschina e orribile ad aver voluto cancellarlo dalla sua esistenza, facendo finta che non fosse mai esistito.
John non riesce nemmeno a pensare a come avesse fatto a vivere in quel modo per tanto tempo, quando adesso non riusciva nemmeno a tollerare quelle poche ore senza di lui.
Sente il respiro farsi più pesante, la bocca asciugarsi e la vista annebbiarsi mentre pensa al fatto che non lo rivedrà mai più. Sherlock è andato, Sherlock è sparito, morto, passato. Sherlock si è gettato da quel maledetto tetto d’ospedale anni prima e John è costretto a stringersi lo stomaco quando rivive quel momento, senza poterlo evitare.
John non è più niente, senza Sherlock. E’ orribile da pensare per un uomo come lui, che ha visto tanto, sopportato troppo, ma è la verità, la triste e inesorabile verità e John è costretto ad accettarla, e a patire le conseguenze di quell’improvvisa realizzazione.
Chiude gli occhi, le gambe che tremano e le lacrime che scendono ancora, più copiose di prima. Gli occhi bruciano, ma John non può fare nulla, non vuole fare nulla per impedire ad esse di scorrere, liberatorie.
Non vuole più mentire, né a sé stesso né agli altri.
John geme, stringendosi i capelli fra le mani, le ciocche che sporgono tra le dita lunghe, tremanti.
Ha bisogno d’aiuto, ha bisogno di qualcuno che lo sostenga, che lo aiuti a non venire sopraffatto da quelle emozioni, da quel dolore. Il problema però, è che nessuno può soccorrerlo, ormai.
John ha bisogno solo di Sherlock, e Sherlock ormai, non può più aiutarlo.

 

§

 

Quello di cui Sherlock ha bisogno è John

 

Qualcuno, dall’altro lato della strada, osserva una finestra spoglia di un vecchio palazzo di periferia.
Lo ha seguito tutto il giorno, attento a non farsi scorgere, impaziente di poterlo ritrovare, senza riuscire a rimanere ancora un giorno senza poter rivedere il suo viso.
E lo aveva visto sereno, felice, senza alcuna preoccupazione. Gli aveva fatto male, più di quanto fosse disposto ad ammettere, e allo stesso tempo si sentiva stupido, egoista a pensare una cosa del genere. John non meritava di passare una vita di sofferenza. Lo aveva abbandonato, o almeno così gli aveva fatto credere e non può biasimarlo perché ha deciso di affrontare quella perdita. E’ solo colpa sua, John non ne ha alcuna.
Il vero problema però, non è l’improvvisa realizzazione di quanto John fosse stato forte, di quanto coraggio avesse avuto per affrontare il lutto così facilmente: il problema vero, doloroso, lancinante è che non vuole rassegnarsi al fatto che lui abbia potuto dimenticare.
Ha sempre vissuto nella convinzione che il dottore lo avrebbe aspettato, tutti i giorni, tutta la vita, ma la realtà è un’altra e lui non può fare nulla per cambiarla. Non ne ha alcun diritto.
Sospira, il cuore che batte forte, e guarda la luce proveniente dalla finestra spegnersi di colpo. Probabilmente John sta andando a dormire, nel suo letto normale, del suo normale appartamento, in una notte normale della sua vita ormai ordinaria. Sherlock geme, distogliendo lo sguardo e rimanendo lì, in silenzio.

 

Quello di cui John sente il bisogno è trovare la sua pistola

 

E’ tanto tempo che non la rispolvera dal vecchio cassetto, tanto che è quasi sicuro che la troverà difettosa, rotta, inutilizzabile. E’ tantissimo tempo che nemmeno la tocca ma all’improvviso immagina il sollievo che stringere nuovamente il freddo metallo tra le mani potrà donargli. John lo vuole. John ci pensa, più di una volta. E’ una tentazione quasi troppo forte da controllare.

 

Quello di cui Sherlock ha bisogno è fare un passo

 

Perché non ha mai trovato tanta difficoltà, un dolore fisico, a muovere le gambe e camminare. Spilli invisibili hanno sostituito l’asfalto sotto le sue suole. Ogni movimento fa male, malissimo.

 

Quello di cui John ha bisogno è il coraggio

 

Perché quel pensiero si è materializzato in un’azione concreta, lenta e metodica. Adesso quel metallo è fra le sue mani ed è freddo, come ha immaginato. Quando stringe la presa intorno all’impugnatura, togliendo la sicura con l’altra mano però non sente alcun sollievo, neanche una piccola traccia. L’unica cosa a cui riesce a pensare è a quanto vorrebbe che Sherlock fosse lì con lui.

 

Quello di cui Sherlock ha bisogno è la forza di entrare da quella porta

 

Perché in vita sua, non ha mai avuto una mancanza di coraggio tale da privarlo completamente della forza nella braccia, nelle gambe, in tutto sé stesso. Sente che deve, che ha bisogno di farlo, percepisce qualcosa che gli dice che deve oltrepassare quella porta.
A tutti i costi.

 

Quello di cui John ha bisogno è un miracolo, il suo personale miracolo

Perché solo lui riuscirebbe a farlo desistere ormai. Il dolore è troppo, la vita troppo lunga per poter aspettare ancora. Il metallo è sempre più freddo, tra le dita. Sempre più pesante.


Quello di cui Sherlock ha bisogno è che John capisca

 

E’ quasi da lui ormai, può sentirlo muoversi, può quasi sentire il rumore del suo respiro da dietro la porta. Gli è mancato, gli è mancato quel suono cadenzato e rilassante, così come gli è mancato il rumore delle suole delle sue scarpe sul pavimento, il suono della sua voce al mattino, quando lo svegliava dolcemente, scuotendolo.
Sherlock vuole che tutto ritorni, adesso. Sherlock prega perché lui capisca, perché lui cerchi di comprendere. Non sopporterebbe che John lo odiasse. Non potrebbe davvero sostenere qualcosa del genere.
Sherlock sente un rumore, fermo dietro la porta con una mano sospesa nell’aria ma non riesce a capire, in un primo momento. Un lieve clic metallico, acuto, che ha sentito mille volte ma che in quel momento gli sembra completamente fuori contesto, orribilmente… inadeguato alla situazione. Poi Sherlock capisce, anche se non può vederlo, ne sentirlo. E’ qualcosa che trascende ogni legge fisica e razionale. Sherlock sente che deve entrare, che è necessario, vitale. Spera di non sbagliare, spera di potersi fidare ancora della sua mente e del suo istinto. Sospira mentre la mano sfiora la maniglia.


Quello di cui John ha bisogno è qualche secondo ancora

 

Perché un secondo può essere importante, fondamentale, e John da buon soldato lo sa. Un secondo può fare la differenza tra qualcosa di bello e qualcosa di orribile, un secondo può segnare la breve distanza tra la vita e la morte. John chiude gli occhi mentre trema, sempre più forte, incapace di fermarsi.


Quello di cui Sherlock ha bisogno è fidarsi del suo cuore, per una volta

 

Perché la mente gioca scherzi meschini, il più delle volte.
Non è qualcosa di razionale che Sherlock cerca, in quel momento. Finalmente apre la porta, un brivido freddo che lo attraversa completamente raggelandogli il sangue nelle vene e costringendolo a trattenere il respiro. Quello che vede è qualcosa di spaventoso, di terribile, un’immagine che aveva popolato i suoi incubi per giorni, mesi, anni. Ma c’è ancora speranza, Sherlock lo sa, ce n’è sempre una. Lui è John, il suo John e lui lo conosce meglio di chiunque altro. La pistola è a mezz’aria ormai e nessun suono esce dalla gola di Sherlock che però lo fissa intensamente, come se quello sguardo John potesse percepirlo su di sé, sentirlo come fosse un pugno. E Sherlock è sicuro che John lo ha sentito.


Quello di cui John ha bisogno è alzare lo sguardo.

John apre gli occhi.

 

 

 

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