Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: TeamWolf    02/05/2012    2 recensioni
alve a tutti voi, coraggiose creature che vi accingete a leggere! Questa storia parla del viaggio di una ragazza, Angelica. All'inizio può sembrare solo la storia di un'apocalisse, ma non è così semplice. Sarà davvero una semplice umana? O il mondo in realtà è un gran casino di cui pochi, o nessuno, sanno qualcosa? Quale mondo, quale vita, quale strada sceglierà di percorrere? Diventerà una dittatrice temuta, oppure una regina amata dal suo popolo? Abbandonate ogni speranza, o voi che entrate…o forse no?
(ambientata nello stesso mondo della serie NIGHTERS di Nydrali)
Genere: Avventura, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Prologo

 
La vita non è mai come pensiamo che sia. Angelica lo aveva capito benissimo, quando c’era stata l’apocalisse che le aveva cambiato la vita. Anche adesso, guardando in lontananza quell’esercito nemico e con le penne arruffate come al suo primo vero scontro, non riusciva a non rabbrividire al ricordo di com’era cominciato tutto.
E pensare che all'epoca avesse solo sedici anni. “Eppure – pensava beffarda la ragazza, conscia che probabilmente sarebbe morta a breve – è proprio questo il bello della vita…per quanto pianifichi, non va mai come ti aspetti. Anche se, forse, la mia è andata fuori rotta anche troppo”.

 

Capitolo Uno

 
Erano tutti allibiti. Fissavano il televisore, sconvolti, troppo attoniti per proferire parola. Valeria teneva ancora tra le mani il vassoio con il tacchino di sei chili, ma non ne sentiva il peso, tutta la sua attenzione, come quella di tutti i presenti, era concentrata su quel servizio dell’edizione straordinaria del tg5. Era stata Angelica a notarlo. Seduta alla grande tavola imbandita, che occupava quasi tutto il salotto, aveva la visuale libera sulla tv.
All’inizio aveva pensato che fosse il notiziario dell’ora di pranzo e che le immagini trasmesse fossero le stesso di sette anni prima, riguardanti lo tsunami che aveva colpito l’Indonesia, probabilmente mandate in onda in vista dell’anniversario della tragedia. Ma poi se n’era accorta.
Aveva visto le immagini dello tsunami moltissime volte e si ricordava perfettamente che quella palma veniva sommersa dalle acque, non spazzata via così. Solo una volta notata quella piccola differenza, aveva zittito il brusio di voci e aumentato il volume. Da allora l’unica fonte di rumore nella stanza era stata il televisore. Restarono tutti così, immobilizzati dalla paura fino a che non ci fu il blackout. La prima a muoversi fu Valeria, che appoggiò il tacchino, ormai tiepido, sul tavolo, avvertendo solo allora la stanchezza alle braccia. Poi, lentamente, si guardarono tutti fra loro. Poi un tuono, improvviso, forte, sconvolgente. A quel rombare cupo sobbalzarono e ringraziano di essere lì con i propri cari, al sicuro. Tutti tranne una.
Amare lacrime di puro terrore iniziarono a scorrerle sul viso e prima che chiunque potesse chiederle il motivo di quel pianto, Angelica era già scattata verso le scale, salendo i gradini due alla volta. Appena raggiunto il pianerottolo, corse in camera sua, afferrò il cappotto dalla sedia della scrivania e corse di nuovo giù. Ai piedi delle scale Mario, suo padre, la fermò afferrandola per le spalle. Non le avrebbe mai permesso di uscire con quella tempesta di ghiaccio, tuoni e lampi che s’infrangevano contro la terra spezzandola, distruggendola.
Aveva capito subito cosa la terrorizzava, per chi era pronta a sfidare il freddo, il vento, la grandine e la neve ghiacciata che le avrebbero ostacolato il cammino. Ma ciò nonostante non glielo avrebbe permesso. Se sua figlia fosse uscita dopo quello che avevano visto al tg sarebbe impazzito. No. La sua bambina sarebbe rimasta lì con lui, in salvo. Non gli importava altro. Non sarebbe sopravvissuto a saperla là fuori al freddo, in pericolo.
Non servì parlare. Si limitò a guardarla negli occhi severo, con un “no” muto nello sguardo, più potente di quanto avrebbe potuto dirlo a voce.
Angelica ricambiava lo sguardo, incredula, rifiutando quel no imperioso, che le proibiva di correre fuori ed imboccare la strada più breve per raggiungere l’altro lato della città.
In condizioni ottimali ci avrebbe impiegato almeno mezz’ora, ma con quella burrasca temeva che la camminata avrebbe potuto durare almeno il doppio del tempo.
Non intendeva arrendersi. Sarebbe arrivata da lui. Con o senza il loro appoggio. A qualunque costo.
Fissò con astio suo padre per qualche secondo, per poi risalire le scale con passo pesante mentre nella sua mente iniziava a prendere forma un’idea. Pazza, sicuramente assurda, però fattibile. Non che fosse mai stata un’atleta, però non era nemmeno il tipo da inciampare nei propri piedi.
Si sbottonò rapidamente il cappotto, che le arrivava quasi al ginocchio, e diede un’occhiata fuori dalla finestra della camera degli ospiti, dove poco sotto si trovava la tettoia della rampa del garage; era un salto di circa un metro e mezzo e la neve avrebbe comunque attutito l’atterraggio. Si, poteva farcela.
Corse il più silenziosamente che poté in camera sua, lanciò il cappotto sul letto, prese il cellulare dalla scrivania, spalancò l’armadio, prese la giacca a vento e richiuse le ante. Poi andò rapidamente verso le scale per controllare che nessuno stesse salendo. Nessuno.
Allora, infilandosi i guanti, presi anche quelli dall’armadio, chiuse a chiave la porta della sua stanza, nella speranza che gli altri, quando sarebbero saliti a cercarla, la credessero lì dentro. Si infilò la chiave in tasca ed entrò nella stanza degli ospiti, chiudendo la porta dietro di se.
Tremava. Doveva calmarsi, non poteva scappare in quelle condizioni. Respirò profondamente u paio di volte, seduta sul pavimento con la schiena contro la porta, cercando di calmare i battiti del suo cuore. Sentiva il sangue pulsarle nelle orecchie, rapido, fin troppo. Trascorsero quasi cinque minuti prima che riuscisse ad alzarsi. Aveva già perso troppo tempo. Aprì velocemente la finestra e scavalcò il davanzale, atterrando con i piedi sul tetto del garage. Corse in direzione del lato più basso della tettoia, che restava a circa un metro di altezza dal giardino, pregando che qualcuno non decidesse di guardare fuori dalla finestra proprio in quel momento. Arrivata al bordo della tettoia saltò giù di nuovo e, senza perdere di vista le finestre del piano terra, corse fino al cancello. Solo allora si accorse di non avere preso le chiavi. Ormai era tardi, non poteva tornare indietro.
Fissò casa sua per pochi istanti, poi scavalcò e poi corse. Corse, per quanto glielo permettessero la neve e il ghiaccio, per non parlare del vento che soffiava contro di lei, rallentandola ulteriormente.
La grandine le picchiava il viso, la neve le arrivava alle ginocchia e le aveva inzuppato gli stivali e i jeans, ma lei correva, doveva correre, anche se dopo pochi passi sentiva già i piedi intorpidirsi dal freddo. Continuava a correre.
Si concesse di fermarsi a riprendere fiato solo una volta arrivata alla stazione ferroviaria, in pieno centro. Entrò nell’edificio, trovandolo completamente deserto. Estrasse il telefono dalla tasca dei jeans e si rese conto che non c’era campo. Ricacciò in tasca il cellulare e si sedette a terra, contro il muro.
Aveva il respiro affannato, i capelli umidi d’acqua di grandine, scioltasi al contatto con essi, le ciocche più corte si erano appiccicate alle tempie, era infreddolita e spaventata. E si spaventò ancora di più quando se ne accorse. Non c’era nessuno. Non solo in stazione, anche fuori, la città era completamente deserta. Non aveva visto neanche una macchina, nemmeno di passaggio. Strano, troppo strano, ma non intendeva pensarci in quel momento. Allora si chiese se la sua famiglia si fosse resa conto della sua fuga.
Quanto tempo era passato? Venti minuti? Un’ora? Di più? Angelica non lo sapeva, quello che sapeva era che la milza la stava uccidendo. Ma non c’era tempo, che gli altri se ne fossero accorti, o no non cambiava nulla, avrebbero comunque iniziato a cercarla presto, quindi non aveva tempo da perdere a riposarsi.
Si rialzò, ignorando il bruciore freddo ai piedi e uscì dalla stazione, stavolta camminando, ma era tutto ciò che poteva chiedere ai propri polpacci, in quel momento. Continuò a camminare, infreddolita, con la grandine che continuava a cadere, colpendole il volto come proiettili di ghiaccio, con tanta forza da arrossarle il viso. Ma a lei non importava. Quando finalmente arrivò al viale alberato capì che era quasi fatta.
Rinvigorita da questa nuova consapevolezza, riprese a correre, ignara di ciò che avrebbe trovato una volta raggiunta la sua meta.
Non sapeva ancora che quello era solo l’inizio.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: TeamWolf