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Autore: Sibil    25/11/2006    8 recensioni
Sono passati alcuni giorni dall'assassinio dei potter. Quattro momenti nella vita di chi gli era accanto ed è rimasto a far i conti con rimorsi e colpe.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Peter Minus, Petunia Dursley, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono le quattro del pomeriggio.

Un orario caldo e che trasmette un senso tangibile di stanchezza. E infatti l’uomo seduto solo in quella cucina oscura mentre piano beve un caffè amaro, è stanco.

La sua è una stanchezza che lo accompagna da giorni, non sa come farla passare e continua ad andare avanti con terribile inerzia.

Remus è stanco.

Vorrebbe poggiarsi su quel letto così freddo e vuoto e rimanerci per mesi, anni, per sempre. Beve così tanto caffè per cercare di eccitare il suo sistema nervoso ora così apatico e vuoto. Vorrebbe fare qualcosa, uscire e incontrare gente e riprendere a sentirsi vivo.

Vorrebbe piangere e urlare e maledire ogni divinità mai stata immaginata e distruggere la merda che lo circonda.

Ma è stanco e se ne sta quieto ad assaporare un caffè troppo forte.

E’ l’otto novembre 1981.

Nove giorni prima il piccolo mondo di Lupin pieno di quelle sue stupide sicurezze gli era crollato in testa, insieme a tutta la terra.

Aveva scoperto violentemente che l’amicizia e tutti quei bei sentimenti che pensava esistessero fra lui e i malandrini erano solo sporche menzogne e inganni.

Nove giorni prima Il carissimo Black aveva tradito e lasciato uccidere il suo migliore amico e la sua deliziosa moglie.

Nove giorni prima aveva ucciso il piccolo Peter e una moltitudine di babbani.

E da un anno ormai aveva fatto cadere i sospetti su di lui, Remus.

Il Lupo Cattivo.

“Accettato” così si era sentito nei lunghi anni passati a scuola, ma i pregiudizi non ti abbandonano mai completamente, avrebbe dovuto saperlo.

Era stato un buon capro espiatorio, non lo negava, aveva attirato l’attenzione di tutti su di lui mentre il rinnegato Black aveva continuato a fare il suo lavoro di doppiogiochista

Il sangue non mente.

Sirius era nato Black e come ogni buon Black aveva servito l’oscuro in nome di assurdi linee di discendenza, probabilmente ad Azkaban sarebbe anche morto da buon Black.

Remus si sente male e gli viene da rigettare quella orrida bevanda.

Padfoot.

Come poteva essere diventato uno di loro, lui il ragazzo ribelle che era scappato giovanissimo da casa e che aveva sempre fatto di tutto per rinnegare ed opporsi a quegli sciocchi ideali della sua famiglia.

Famiglia.

Non aveva mai considerato i Black in modo tale.

Remus ricordava che da ragazzo diceva sempre che non aveva bisogno di una famiglia, la sua amicizia gli bastava e che non gli fregava niente di tutte le altre cose.

- perchè mi hai fatto questo?-

Si ritrova a sussurrare a fior di labbra, semplicemente non ci può credere.

Remus è stanco.

Si alza con l’intenzione di passare il resto del pomeriggio sul letto e perdersi nell’agonato Nulla.

Ma poi ci ripensa.

In verità non si è mai sentito a suo agio ad avere una stanza sua, abituatosi da ragazzo a stare in dormitorio in compagnia delle persone che amava.

Ora quella stanza scura lo spaventa e lo inquieta.

Sa che acquattate in un angolino silenziose e pazienti le sue paure e i suoi rimpianti sono pronte a saltargli a dosso.

Si avvicina al lavello e inizia a pulire il bicchiere che ha usato per il caffè, apre l’acqua calda, continua spasmodicamente a passare il bicchiere sotto l’acqua bollente che gli ustiona le mani fino a che non chiude triste il rubinetto.

Che dovrebbe fare?

Ha pensato al suicidio.

Ci ha pensato spesso da ragazzo ma prima era sempre stato solo per motivi poco tangibili sulla sua esistenza.

Ora ci pensa perché non vuole essere l’ultimo.

Non vuole sopravvivere al suo passato.

Si siede.

Avrebbe davvero senso?

Non lo sa.

Sa solo che ha paura, troppa paura.

Si sente così solo, è poco più di un ragazzo.

Ma si rende conto che non è solo.

C’è ancora una persona con cui parlare.

 

Peter Minus si nasconde.

Peter Minus si è sempre nascosto.

Che sia dalle mani dei bulli dietro le spalle dei più forti di lui.

O come ora che si sta nascondendo dalla Verità.

Perché se la verità venisse a galla sarebbe finito,perchè è stato un bastardo codardo della peggiore specie.

Ora che è solo in quella strada isolata si può concedere il lusso di piangere.

Piangere la vita di merda che si è costruito con le sue sole mani.

Piange per quel terrore allo stato puro che prova troppo spesso e che conosce meglio di qualsiasi altra emozione.

E piange per l’unica persona che gli ha mai voluto bene, e che anche lui amava.

James Potter.

E’ morto.

Continua a ripetersi nella testa.

Lo hai ucciso.

No,no,no,no,no!

Si.

NO!

Non può averlo fatto.

Ma l’ha fatto.

L’ha fatto per colpa di quello strano sentimento che lo ghermisce ancora.

Il terrore.

Non aveva saputo dire di no quando Sirius era venuto da lui con quella strana idea sul custode segreto.

Quel doppio gioco.

A Peter non erano mai piaciuti i doppi giochi.

Aveva cercato di persuadere Sirius ma il giovane era irremovibile –Per il bene di James, per la sua sicurezza- Allora il petto di Peter si era gonfiato.

James.

Lui si che era un amico.

Remus era sempre così “sulle sue” non mostrava mai le sue emozioni, ed ostentava una gentilezza agghiacciante.

Non era un vero amico per Peter.

Per non parlare del pomposo Black, così pieno e sicuro di sé credeva di aver sempre ragione ed argomentava le sue tesi con così tanto entusiasmo che era impossibile ribattere.

Neanche Sirius era suo amico, lo guardava dall’alto in basso ed era insopportabile.

Ma James, così giusto, così perfetto.

Lui e James erano davvero amici per la pelle.

Era la persona migliore che Peter avesse mai conosciuto, l’unica a cui si era mai legato.

Era sempre stato un bambino strano e lascivo, troppo intelligente per la sua età in modo da risultare insopportabile alle persone che lo avevano sempre emarginato, i suoi genitori erano spaventati dalla strana personalità del loro piccolo bambino che si perdeva nei suoi pensieri e sembrava non avere un contatto con la realtà.

Un evento che si potrebbe definire “significativo” per l’infanzia di Peter successe nel freddo inverno del suo settimo anno di vita.

Passava tutto il tempo nella sua cameretta non preoccupandosi di quello che succedeva fuori, immerso nei suoi pensieri e nelle sue riflessioni.

I suoi genitori, due maghi molto impegnati, resosi conto della maturità del bambino lo lasciavano spesso solo.

Quel particolare giorno di quel freddo inverno del settimo anno di vita di Peter Minus il bambino decise di esplorare la casa vuota.

Uscì nella sua stanza e si aggirò per la casa senza meta, osservava tutto con aria malinconica.

Salì le scale fino ad una piccola soffitta piena di ciarpame.

L’ambiente era freddo e scuro e l’aria gelida ghiacciava i polmoni.

Si andò a sedere quasi d’istinto nell’angolino più buio ed affondò il volto nella ginocchia.

Calma.

Pace.

Armonia.

Lì nel silenzio e nella solitudine il bambino si sentì pervadere da una strana sicurezza e tutto gli sembrò acquisire un senso.

Fu allora che vide il topo.

Vicino ad un vecchio scatolone contenente Dio sa cosa giaceva la piccola creaturina.

Non la vide all’inizio, ma sentii il suo piccolo e disperato squittire.

Probabilmente alla visione di un ratto mezzo morto ma dall’aspetto comunque minaccioso un bambino sarebbe scappato, ma Peter rimase a fissare la creatura affascinato.

Non tentò di salvarla o di toccarla, stava lì e la guardava morire.

Non reagì quando Baffo, il gatto di casa si avvicino all’animale ed iniziò a squartarlo e ad addentarlo.

Non si mosse nel vedere il gatto cibarsi del topo mentre quest’ultimo lo fissava con due occhietti rossi.

Peter in quello sguardo morente vi lesse il Terrore.

Quando il gatto finì il suo pasto si avvicinò al bambino con la coda dritta per essere accarezzato.

Peter lo colpì.

Colpì il gatto numerose volte fino a quando il micio non riuscì a scappare.

Il bambino rimase ancora ad osservare i miseri resti dell’animale, e per la prima volta in vita sua si chiese se nella sua vita avrebbe potuto provare emozione più forte del puro terrore di chi sente l’arrivo della fine.

Ora in quel vicolo oscuro, mentre ricordava il suo passato sente una fitta al dito.

O meglio al moncherino che lui stesso si era tagliato per farsi credere morto.

é sporco e pieno di croste nerastre.

Non ha la sua bacchetta e non sa come curarsi.

Avrebbe fatto presto infezione.

Spaventato ed inquieto decide che forse è meglio trasformarsi.

Piano piano i suoi connotati iniziano a farsi animaleschi e dove prima c’era un giovane uomo in lacrime prende posto un ratto dagli occhietti spiritati.

Aveva sempre fatto credere ai suoi amici di essere diventato animagus insieme a loro, per aiutare Remus-lupo.

Ma lo era da molto più tempo, da quando era un ragazzino che cercava un modo per nascondersi e l’aveva trovato grazie a quell’evento di quando aveva sette anni.

Si sente a suo agio nella forma di topo, ma il dolore alla zampa era peggiorato. Si inizia ad aggirare per la strada in cerca di cibo o acqua.

O semplicemente un posto in cui dormire.

Ma all’improvviso una fitta tremenda alla zampa lo colpisce e presto il dolore si estende su tutto il suo corpo impedendogli di muoversi.

é stanco, ferito e stravolto.

Le cose non dovevano andare così, il suo Padrone non doveva perire ma regnare su tutto e tutti.

Doveva dare a Peter  sicurezza.

Ma tutto aveva seguito una strada sbagliata ed ora lui si ritrova stremato in un vicolo col desiderio disperato che James lo venga ad aiutare.

Ma James è morto e Peter è solo.

La situazione già sconveniente, degenera con l’avvento del Gatto.

Non uno di quei mici panzuti e dell’aria pigra che le vecchiette fanno riposare al pomeriggio sulle scarne ginocchia.

No questo era un vero felino.

Magro agile ed affamato.

Si avvicina al Topo pronto ad addentarlo ma prima giocherella con la preda che non riusce a muoversi terrorizzandolo.

Minus non è in grado neanche di ritrasformarsi e si chiede se quella era davvero la sua fine, il fato avrebbe davvero ucciso Peter che per tutti era già morto?

Ha troppa paura della morte ed inizia a squittire.

Proprio allora che un bambinetto dai capelli rossi si avvicina ai due.

Osserva la scena, affascinato ed incuriosito.

Fissa lo sguardo in quello della bestia che sta per morire.

Come sarebbe stata la morte?

Il ratto avrebbe tirato il suo ultimo respiro davanti a lui.

Non può permetterlo.

Allontana il famelico Gatto con un calcio e, non senza timore, prende in mano l’ orrida bestiola.

Puzza ed è insanguinata, un morso di quell’animale avrebbe infettato il bambino, ma non può lasciar morire lì la creatura.

-Non aver paura- disse piano – andrà tutto bene ti guarirò…-

- Charlie! Dove sei?-

Urla una voce femminile dalla strada principale.

-Adesso arrivo mamma!

Infila il topo nella tasca e si incammina con passo veloce verso sua madre.

Wormatil nella soffice tasca della giacca del bambino, si sente calmo, al sicuro.

Aveva finalmente trovato una casa.

 

Sto seduto da un eternità nello stesso stupido e fetido angolo.

Ce ne sono altri tre da esplorare…

La mia vita è finita non so quanto tempo fa.

E’ finita quando mi hanno portato a forza in questa cella e mi hanno costretto in prigionia senza neanche processarmi.

Il mio piano ha funzionato, nessuno ha mai dubitato del fatto che io non fossi il custode segreto dei potter.

Io e James siamo fratelli.

Eravamo.

Un dolore fortissimo mi prende e iniziò a piangere e a gemere, non c’è’ speranza, non c’è futuro.

Solo morte e solitudine.

E troppi rimpianti.

Non c’è una via d’uscita, di fuga dalla mia mente, ed ovunque io sarò anche fuori da queste sudice mura, non sarò mai, mai più felice e in pace, il passato mi uccide ogni giorno.

Ed ora, in un istante uguale ad ogni altro che lui entra.

E’ orribile, puzza quanto questa cella ed è tutto in disordine.

Il viso è segnato da rughe e da occhiaie così profonde che mi portano a credere che le abbia ritoccate con una matita nera.

Ma una parte di me lo vede bellissimo, da mozzare il fiato.

Lui è l’unico di noi senza colpa, l’unico a cui ho voltato le spalle.

Mi alzo e lo fisso.

E’ sempre stata una persona scostante, un po’ fredda anche con me, ma adesso mi si butta letteralmente adosso facendomi barcollare, mi abbraccia e mi stringe forte eliminando ogni distanza fra i nostri corpi, come se così facendo potesse avvicinare anche le nostre anime e far tornare tutto come prima, mi stringe per rendersi conto che sono reale.

Ma non lo sono, sono il fantasma di Sirius Black e nessun abbraccio di Moony mi porterà indietro.

La sua testa affonda sulla mia spalla e lo sento piangere disperato.

E mi accorgo di quanto deve stare male, e di quanto è meraviglioso ad essere corso da chi pensa sia un assassino per capire la verità.

Per un istante mi sembra che l’orrore e lo squallore della mia vita possano sparire, che non sono solo ma che Remus è con me e che insieme potremmo farcela.

Ma è un secondo e lui spezza tutto separandosi da me.

-Sirius…-

Sussurra e poi mi si ributta adosso.

Povero Remus.

Cosa gli ho fatto?

Cosa ho fatto a tutti noi?

Ora si allontana e smette lentamente di piangere.

E’così debole in questo momento, come un bambino senza mamma.

Come ho potuto dubitare di lui?

-Sirius- ripete.

-Ti prego dimmi che non è vero-

Scoppia in lacrime ancora.

Da quanto tempo non piangi? E’ tutto vero Moony, ho ucciso James e Lily li ho traditi e ho tradito te fidandomi di quel codardo di Minus.
Ma è anche colpa sua, perché eravamo Amici… Ti ricordi Hogwarts Moony? Io no, non ci riesco da quando sto qui dentro, portami fuori, portami via non mi importa dove.
Era lui il custode segreto capisci? Peter! Non l’ho ucciso anche se avrei voluto farlo.

Sto zitto.

Non gli rispondo.

Ma lo guardò struggersi e morire dentro per il mio silenzio che è come una conferma alle sue paure.

Perché non parlo?

Perché non lo rassicuro e non dico la verità?

Una parte di me vorrebbe, ma un’altra mi costringe a star zitto perché so che mi merito di marcire qui dentro e che Remus merita di dimenticarci e di andare avanti, anche se sarà dura, anche se dovrà soffrire.

Quello che entrambi vogliamo non è la cosa giusta da fare.

Lui continua a piangere ma in silenzio.

Poi parla.

-Tu non puoi averlo ucciso? Non puoi averlo tradito.
Noi amavamo James, era tuo fratello.
Non posso, capisci? Non posso pensare che la mia vita è stata solo una miserabile menzogna, non posso credere a quello che è successo.
Ma è successo, ed adesso siamo qui io e te, voglio la verità.-

E’ perso, triste e disperato ma piano piano mi sta guardando non più come il suo scanzonato amico dai buoni sentimenti, ma come il terribile traditore dei Potter.

Sto zitto.

Prova ancora una volta a farmi parlare.

-Dimmi perché! Non credi che abbia sofferto fin troppo!-

Certo che lo credo, è lo stesso per me.

Abbasso lo sguardo che fin ora era rimasto inchiodato nei suoi occhi scuri e qualcosa si spezza in entrambi.

Si avvicina sconfitto alla porta e bussa.

Le guardie inumane della mia prigione lo stanno per portare via.

Non lo rivedrò mai più, l’unica persona a cui sono ancora attaccato.

Non posso, non c’è la faccio più.

-Moony- dico e sento la mia voce per la prima volta da giorni.

Corre in un attimo da me, e mi avvicina il volto all’orecchio.

-Addio Padfoot, mi dispiace di tutto.-

Mi prende il viso tra le mani e mi bacia la fronte con delicatezza.

Un attimo dopo è fuori dalla cella, senza rivolgermi uno sguardo.

Mi risiedo nello stesso angolino.

E ricomincio a pensare al passato che adesso vedo solo nero e triste.

Ma ripenso a Remus e alle sue ultime parole.

Anche se adesso mi sfuggono ci devono essere stati dei momenti di semplice felicità per averlo portato a venire da me oggi.

Mi aggrappo ossessivamente a questo pensiero.

Sento le urla di disperazione dalle celle accanto alla mia e il rumore soffice dei dissennatori, ma so che non riusciranno a portarmi via anche questo.

 

Petunia sta seduta nel salotto sorseggiando una tazza di tè.

Suo marito e il suo piccolo dudley sono andati al parco e lei è sola con il nuovo bambino.

Harry James Potter.

Suo nipote,che ora nella culla placidamente gioca con un vecchio pupazzo di Dudley  e produce dei gemiti simili a parole.

La donna lo osserva e sente il cuore stringersi.
Il rapporto con sua sorella non è mai stato facile ed affettuoso, per una serie di lunghi motivi che le hanno portate ad essere troppo diverse, troppo distanti.

Ma l’amore và oltre tutto questo.

Nove giorni prima sua sorella era stata uccisa per colpa di quello stupido bambino che a quanto pareva era la vittima designata da un maledetto mago.

Lily si era sacrificata per lui.

Petunia, non si era mostrata dispiaciuta, era una persona pratica e lei e sua sorella non erano mai andate d’accordo.

Aveva accolto il bimbo che le era stato affidato perché era la cosa giusta da fare, niente di più.

Ora lo osserva.

Harry, il bambino che mai amerà e che mai tratterà come un figlio.

Guarda il suo piccolo corpo muoversi agitando i piedini e le mani così piccole

Guarda il suo volto disteso in un’espressione placida e gioconda.

Guarda la cicatrice che lo sfigura e che lo segna.

Guarda i suoi vispi ed uguali a quelli bellissimi di sua madre occhi.

Lo guarda e finalmente si concede il pianto per la sorella morta.

 

 

Grazie a chiunque sia arrivato a leggere fino a qui, sarei grata se qualcuno mi lasciasse anche un commento, nel bene e nel male.
Comunque so che ci sono alcune incongruenze con i libri della Rowling (mi pareva che fosse stato percy  a trovare crosta) ma erano necessari ai fini della trama.

 
A presto
Sibil

  
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