Questa è la storia di una ragazza che amava un’altra ragazza. La amava come una figlia ama sua madre, come una sorella ama suo fratello, come una donna ama il suo amante.
Il suo nome non è importante (non più almeno) perciò la chiameremo semplicemente B.


B. era disposta a tutto per la sua Ragazza; aveva cambiato ogni fibra del suo essere. Era stata dapprima una semplice conoscente, una da salutare con due baci sulla guancia quando la incontri per strada senza nemmeno ricordare il nome; poi era stata un’amica, la più simpatica, divertente e scatenata che potessi trovare con cui uscire a divertirsi, per bere qualcosa in compagnia; infine era diventata la migliore amica, la confidente, il punto di riferimento, la metà perduta.
E B. si sentiva così, e sentiva così sua la sua Ragazza.
Sentiva di poterle parlare sinceramente, di poterle confidare tutto ciò che albergava nel suo cuore da sempre ma che non aveva mai avuto il coraggio di dire ad alcuno; sentiva di poter ridere con Lei, di poter essere quella sé stessa che aveva sempre negato.
Sentiva di poterla amare, di poterle consegnare il suo cuore nelle mani senza paura.
 
Ma si sbagliava.
B. non era perfetta, lo sapeva, ma combatteva contro sé stessa per migliorarsi. Ma è così difficile lottare contro sé stessi: il bisogno di mandare tutto a quel paese quando capisci che tutti i tuoi sforzi sono vani, la disperazione che ti assale quando ti rendi conto che non puoi essere come gli altri ti vogliono o come tu ti vorresti, semplicemente perché non puoi cambiare la tua natura.
E B. lo confessò: confessò di essere debole e superba e spezzata e frantumata. Confessò perché aveva bisogno di aiuto.

Ma questo la Ragazza non lo capiva. Non riusciva a credere che il suo ‘idolo’ potesse essere così: come poteva la sua B. essere un tale disastro? Non gli diede peso.
Che errore.

B. era disperata, non sapeva cosa fare. La Ragazza continuava a ferirla con la sua indifferenza e la sua cecità, ma ancora non riusciva a vedere.
Glielo disse; aprì di nuovo il suo cuore alla Ragazza. Stavolta Lei capì e promise di aiutarla; ma il giorno dopo lo aveva già dimenticato.
B. tentò ancora di parlarle, più volte e più disperatamente, ma niente. Stava per essere schiacciata, disintegrata sotto il suo stesso peso. Era troppo pesante da reggere, troppo forte da contrastare, troppo doloroso da sopportare.
E poi fu la fine.
 
 
B. amava la Ragazza con tutto il suo cuore, ma amava anche sé stessa; ed era troppo lacerata, frantumata, spezzata per stare bene. La felicità di stare con Lei non era abbastanza.
Perciò disse basta, semplicemente basta.
E la Ragazza accettò.
B. ne fu ferita; si aspettava un minimo di lotta. Si aspettava una prova che la Ragazza la amava almeno quanto la amava lei!
Ma nulla.
Lei accettò, e non oppose resistenza. E non pianse.
 
B. in realtà non c’è più. Da quando Lei è andata via, il suo cuore è sparito con lei.
“Resteremo amiche” aveva detto. Ora Lei quando incontra B., non osa nemmeno guardarla negli occhi.
E B. è ancora spezzata, lacerata, devastata. E adesso anche sola, e ingannata. Persuasa a credere di essere importante, quando in realtà era meno del niente.
 
 
 

 

Capirai a stento chi sono e cosa voglio dire,
Ma comunque ti porterò salute,
E filtrandolo darà sostanza al tuo sangue.
Se non riesci ad afferrarmi subito, non ti scoraggiare,
Se non mi trovi in un posto, cercami in un altro,
Io da qualche parte mi fermo ad aspettare te.
(Poesia di Walt Whitman, un americano. – Foglie d’erba, 1856)