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Autore: nightswimming    03/05/2012    3 recensioni
Sposati da tre anni, un disco e un tour.
Però. Chi l'avrebbe mai detto.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And people who are weaker than you and I
They take what they want from life.
 
 
 
 
 
 
 
 
“Di cosa hai detto che ti occupi, Jane?”
La ragazza sorrise a Kate che le sorrideva a sua volta, cordiale, prima di ravviarsi i lunghi capelli biondi con un gesto civettuolo e sporgersi in avanti per risponderle. Matt ne approfittò per considerare con una veloce ed esperta occhiata la sua scollatura.
E bravo Dom. Viene voglia di seppellirsi lì in mezzo e non uscire più fuori.
Risollevò lo sguardo con un sorriso. Dom lo fissava divertito, il petto leggermente in fuori. Doveva avergli letto nel pensiero – non che stesse poi riflettendo su chissà quali scenari imprevedibili e metafisici. Le loro smorfie complici parlavano da sé.
Si erano scambiati quell’occhiata di intesa varie volte, prima, dopo e persino durante  
certe piacevoli circostanze. Era soltanto uno dei tanti gesti che condividevano da così tanto tempo da essere diventate vere e proprie abitudini.
Il suo sorriso si allargò.
Dio, Dom, se mai ti dovessi reincarnare, ti prego, fai in modo di essere un pavone.  
Una manina piccola ma decisa gli strattonò il colletto della camicia.
“Papà”, gli sussurrò Bingham con aria quasi cospiratoria.
Matt ridacchiò e strinse affettuosamente la presa su suo figlio, chinando la testa per abbassarsi al suo livello.
“Sì, 007?”
 “Oh, di molte cose… Sono laureata in moda… Sai, si fa un po’ di tutto, principalmente giro i negozi, vedo un po’ cosa vogliono gli sponsor e faccio in modo che non rompano troppo, sai… Responsabilità ma non troppo, ecco, non ho nessuna voglia di-”
Matt poté giurare di aver appena visto suo figlio di cinque anni alzare gli occhi al cielo.
“Mi compri un fumetto?” piagnucolò Bingham. Matt ridacchiò acutamente e annuì.
“Certo”.
Tranquillo, cucciolo, ti capisco. Non sei il solo ad annoiarti.
Si girò verso Kate, che stava fingendo educata curiosità con tanta classe da far venire voglia a Matt di chiamare gli Academy e imporre loro di consegnarle un Oscar seduta stante.
“K”.
Kate si voltò. Gli sorrise con aria tranquilla, un po’ furba.
“Amore?”
Sentì distintamente un sospiro estasiato provenire da Jane; vide con la coda dell’occhio che una sua mano era sgusciata a stringere una coscia di Dom sotto al tavolo.
Mi spiace, bellezza, ma se vuoi uno che ti chiami amore faresti meglio a cercare da un’altra parte.
“Vado un attimo all’edicola qua di fronte. Bing vuole un fumetto,” disse, pizzicando fra pollice e indice il naso di suo figlio. Lo disse con tono orgoglioso, come se Bingham gli avesse appena chiesto il permesso di poter regalare tutti i suoi adorati giocattoli a Buster Wolstenholme.
“Lasciami il naso, papà! Lasciameloooo!”
“Matt, lascia il naso di tuo figlio, è uno dei punti forti della sua bellezza” ridacchiò Kate avvicinando il viso al suo bambino per strofinarselo contro una guancia. Dom fece una smorfia perfida.
“Non avresti detto la stessa cosa se il naso l’avesse preso da tuo marito, Kate” rise, lanciando un’occhiata vittoriosa al proprio cantante. Matt gli mostrò il medio.
“Segaiolo”.
“Matt! Non davanti al bambino!”
“Segaiolo!”
“BINGHAM HAWN BELLAMY! Non si dice quella parola!”
Il piccolo non fece un plissè, anzi, indicò Dom a suo padre con un dito e ripetè con invidibile flemma: “Segaiolo”.
Dom e Matt erano piegati in due dal ridere; Jane sembrava imbarazzata e un po’ sconvolta; Kate tentava con tutte le sue forze di non scoppiare a ridere a sua volta, cercando di ricoprire il ruolo di madre responsabile.
“Matt! Guarda che hai fatto!”
Matt si era preso la faccia tra le mani e continuava a sobbalzare sulla sedia per le risa. Suo figlio lo guardava incredibilmente fiero di sé stesso.
“Bing”, cominciò Dom, fingendo con pessimi risultati una smorfia addolorata, “lo pensi davvero?”
Tirò su col naso, togliendosi gli occhiali da sola per asciugarsi dal viso una lacrima immaginaria.
Il bimbo ci cascò con tutte le scarpe. Come faceva sempre suo padre, ogni volta che Dom sembrava uscire dal suo stato di perenne serenità interiore per covare un’incazzatura verso di lui.
“No!”
“Chiedi scusa, Bing”.
Dom fece segno a Kate di lasciar stare, ma Bing si affrettò subito a mormorare: “Scusa”.
Il biondo si sporse sul tavolino, rovesciando un bicchiere pieno d’acqua direttamente sui pantaloni di Matt.
“Ma di cosa, piccolo”. Gli diede un bacio sulla fronte, al quale Bing rispose tirandogli affettuosamente il lobo dell’orecchio.
“Oi! Dom! I miei pantaloni nuovi!
Dom gli rivolse uno sguardo condiscendente.
“E’ acqua, Matt. E comunque sono orrendi. Non ho rovinato nulla”.
“Orrendi saranno i tuoi pantaloni rosa da ricchione, segaiolo”.
Kate non poteva credere alle proprie orecchie. Jane sembrava cercare disperatamente un modo per scappare via dagli amici pazzi del suo quasi-fidanzato e dalla loro discutibile prole. Bing saltellava felice in grembo a suo padre, snocciolando con aria innocente una sequela ininterrotta di “segaiolo” e rigirandosi la parola in bocca come se fosse la più buona delle caramelle.
“Matt, ti sto per prendere a calci in culo”, sussurrò Kate ridendo esasperata. Matt spalancò gli occhi, fintamente indignato.
“Ah-ah! Non davanti al bambino”.

*
 
“…E siamo arrivati all’edicola e- che cazzo ridi, Dom, che non ti ho ancora detto un cazzo?”
Kate diceva sempre che non avevano ancora superato la sindrome dei compagni di banco: non riuscire umanamente a trattenersi dallo sghignazzare a catena.
“Che cazzo ridi tu che non sto facendo un cazzo!”
Matt ormai ululava nella maniera in cui lo avrebbe potuto fare un lupo cui qualcuno avesse strizzato le palle.
“Piantala coglione che non riesco a parlare-”
“Oh, una buona notizia! Ahia!”
Il pugno di Matt riuscì infine a zittire i suoi sghignazzi. Si asciugò gli occhi, lasciandosi sfuggire un sospiro contento, e prese un altro sorso dalla sua birra. Matt ripetè i suoi gesti nello stesso esatto ordine.
“Dicevo: siamo arrivati all’edicola, e proprio sopra ai fumetti c’erano le riviste porno con il cartello del vietato ai minori e tutto, e Bing indica una copertina con una tipa bionda con delle tette enormi a e mi chiede se per caso quella è Jane”.
Dom sobbalzò, picchiò i denti sul collo della bottiglia e lanciò un urlo di dolore che venne prontamente soppiantato da un attacco di risa così forte che si sentì dolere i muscoli della pancia.
Come non capire il bambino: Jane aveva una buona quinta di reggiseno. Impossibile non fare i dovuti confronti.
“Tuo figlio” cominciò, inspirando sonoramente dal naso mentre Matt lo fissava con la bocca contorta in una smorfia esilarata, “tuo figlio è un cazzo di genio”.
L’altro fece spallucce con immodestia.
“Tutto il suo papà”.
“Bing ha le carte in regola per diventare l’uomo che non deve chiedere mai, Bells. E’ tutto quello che tu non sei: adorabile, bello, con un fantastico senso dell’umorismo…”
Matt gli diede un altro pugno sulla spalla.
“Io non ho mai dovuto chiedere un cazzo di niente, Dom” rispose con una smorfia furba.
Dom rise piano, forzatamente, quasi con cautela. Era una risata del tutto diversa da quella rumorosa e genuina di poco prima.
“Ma per favore”.
Matt sentì un brivido di fastidio scorrergli lungo la schiena.
“Beh, per non essere biondo, abbronzato e schiavo del proprio aspetto fisico, me la sono cavata più che bene”.
 “Questo te lo concedo. Direi che hai cominciato ad avere davvero successo quando hai smesso di implorare qualunque cosa si muovesse per una scopata”.
Matt scosse la testa e si alzò con una smorfia dalla sedia. Dom lo guardò appoggiarsi al balcone del terrazzo, birra in mano, pancetta che spuntava dalla cintura dei pantaloni e capelli spettinati dalle innumerevoli volte in cui ci aveva passato le dita attraverso.
A volte si ritrovava a pensare a lui come a una sorta di ragazzo padre. Ora che Bing era cresciuto abbastanza da poterci interagire, era regredito a livelli di demenza tali da sfiorare quelli dei suoi primi anni di liceo. Dom aveva cercato di negarselo più volte – ma la verità era che vederlo fare lo scemo con suo figlio gli faceva stringere lo stomaco in preda a un tipo di adorazione selvaggia che non aveva mai provato in vita sua.
Non lo voleva baciare, in quei momenti. Non lo voleva toccare. Non voleva appropriarsene come fosse un oggetto suo, portarlo via da quella casa, da Kate. Non voleva turbare nulla di quelle scene, non voleva cambiare un solo particolare.
Bingham aveva fatto molto più che rendere immensamente felice Matt: aveva donato a lui i soli momenti di pace della sua esistenza da quando lo conosceva. Quando li guardava stare insieme era sereno. La tenerezza lo invadeva. Una tenerezza placida e appagante come nessun altro sentimento avesse mai provato.
Il solo pensiero di quel bambino aveva avuto il potere di calmare l’accesso di rabbia e desiderio che l’aveva colpito poco prima. È vero, Matt, si era detto infuriato, non hai mai dovuto chiedere un cazzo di niente. Non a me.
Scosse la testa. Finì lentamente la sua birra, godendosela fino all’ultimo sorso, poi si accese una sigaretta e guardò Matt sporgersi dal balcone al suono della macchina di Kate che entrava in cortile.
 
*
 
“Te l’ho detto quello che penso davvero, Dom!”.
“No, non è vero. Ti sei trattenuta per non dare corda a questo coglione e per non offendere me”.
“È molto carina. È… frizzante”.
“Che sarebbe la maniera mondana di mia moglie per dire che la tira in giro con la fionda”.
“MATT! Non è vero!”
“Pfff…”
“Nessun danno, K, penso che Dom lo sapesse già”.
“Non ho mai insinuato niente di simile!”
“Ha due tette che fanno capoluogo di provincia, è figa, ed ha il cervello di un cagnolino pechinese. Questa è la mia opinione, Dom”.
“Che non è stata richiesta da nessuno, Bells”.
“Andiamo, è… Oh, insomma, Dom, te la vuoi sposare?”
“No!”
“E allora l’opinione di Matt può bastarti, direi!”
“Dov’è il mio bambino? Dov’è quel fantastico gnomo? Voglio che mimi a Dom la scena di prima all’edicola”.
“Matt, ti avverto, io ci rido e scherzo quanto vuoi, ma non intendo far crescere mio figlio come uno scaricatore di porto”.
“Dov’è, K? Perché l’hai lasciato da quello schianto di mia suocera? Gli avevo promesso che guardavamo insieme Spiderman stasera!”
“C’è la riunione dei nipoti a casa dei miei. C’è anche Ryder, suo padre l’ha lasciato lì dopo aver passato il week-end con lui. Li spupazzano in gruppo, come i cuccioli di gatto”.
“Mi manca già”.
“Awww”.
“Kate, l’hai fatto tu quel verso?”
“Io e Dom. Insieme”.
“Gesù”.
 
*
 
“Settant’anni si hanno una volta sola. Grazie a Dio”.
Diverse risate si levarono dai numerosi tavoli sparsi in giardino, alcune sincere, altre meno – ma essendo gli invitati per la maggior parte attori Dom non riusciva a capire bene. In ogni caso, Goldie si lisciò con aria soddisfatta il satin del proprio vestito e andò avanti con il discorso di rito.
“Basta con queste scemenze. Vi voglio tutti ubriachi e felici come me in meno di mezz’ora, altrimenti mi offenderò molto. Vietato distruggere le mie preziose azalee, traumatizzare i miei nipoti e tentare di rimorchiare la mia splendida figlia, che ha festeggiato settimana scorsa i tre anni di matrimonio. Fatele un applauso, su! Matthew, tesoro, va tutto bene, bevi un bicchier d’acqua e l’iperventilazione sparirà. È imbarazzante, se ad applaudirlo non è il festival di Glastonbury gli viene una crisi di nervi. Com’è inglese! Inspira, espira, ecco, così… Ah sì, Kurt, la smetto, scusa, è che sono ubriaca, l’ho detto prima. Scatenatevi!”.
I numerosi invitati scoppiarono in un boato di approvazione e si gettarono come cavallette sul luculliano buffet che era stato allestito per loro. Tom, Chris e Dom continuarono a dare sin troppo poderose pacche sulla schiena a Matt anche quando lui sembrò essersi ripreso dallo champagne che aveva tentato di ucciderlo andandogli di traverso. Matt lanciò loro uno sguardo infuriato.
“Figli di puttana, se non la piantate vi ammazzo”.
“Guarda come sei carino tutto rosso!”
Dom schivò un pezzo di tartina al salmone che era stato lanciato da chissà chi in direzione di Matt e ridacchiò fra sé e sé.
Sposati da tre anni, un disco e un tour. Però. Chi l’avrebbe mai detto.
Scorse Kate e Kelly avvicinarsi a braccetto, le teste vicine, allegre. Matt stava ancora facendo i capricci per l’intensità delle botte commemorative che aveva preso. Chris e Tom fumavano, ridevano. Goldie, sbronza, baciava suo marito con la stessa foga di una sedicenne. I bambini giocavano tra loro.
Incrociò lo sguardo di Bingham seduto a terra accanto a Ernie, una macchina radiocomandata delle dimensioni di un forno microonde fra di loro. Lo salutò con la mano.
Il bambino si limitò a fissarlo aggrottando le sopracciglia, gli occhi azzurri incredibilmente seri e brillanti fissi nei suoi, come faceva Matt ogni volta che Dom era turbato e non sapeva come farlo stare meglio.
 
*
 
“Cazzo, Matt, ma dov’era Goldie quando si trattava di organizzare gli after-party sul tourbus? Questa sì che è una festa, porca puttana. ‘Fanculo gli americani. ‘Fanculo il loro orribile accento. Ma bisogna ammettere che si sanno divertire, cazzo”.
Matt rise e sbuffò sotto il peso dell’enorme oggetto che lui e Dom stavano tentando di portare su per le scale. In giardino, sotto i vari gazebo, l’alcool stava cominciando a scarseggiare – ciò significava che la piccola fontana al centro del terrazzo, che per l’occasione era stata riempita di ghiaccio, non ospitava più che nove o dieci solitarie bottiglie di spumante. Goldie aveva perciò chiesto all’”adorabile genero inglese, un vero gentleman” di portare su un po’ delle casse di champagne che teneva al piano di sotto, nella stanza accanto alla piscina coperta.
“Si hanno settant’anni una volta sola, no, Dom?” gli rispose col fiato corto, rosso in faccia e con le maniche rimboccate della camicia completamente zuppe di sudore.
“Puoi dirlo forte”, rispose il biondo, le dita che minacciavano di volersi staccare dai polsi stesi all’inverosimile. “Cazzo, Matt, mi gira la testa. Metti giù, metti giù, cazzo, mi rifiuto di vomitare sopra a una cassa di Veuve Clicquot” gli gridò d’un tratto preoccupato, il viso pallido e la bocca impastata.
Matt obbedì fulmineamente ed entrambi si appoggiarono ai muri, esausti. Dom scivolò a terra e reclinò la testa in avanti.
“Così sì che vomiti. Proprio sulla tua camicia preferita, poi”.
“Zitto, cazzo” boccheggiò Dom, ricoperto di sudore freddo. La stanza gli girava intorno a una velocità intollerabile. Aveva bevuto troppo persino per i suoi standard.
“Lo dicevo per te”.
Si schiacciò le tempie con entrambe le mani e prese un lungo respiro. La nausea si attenuò per un momento.
“Mica sei tu che fai settant’anni, comunque. Che bisogno c’era di ridursi così?” lo raggiunse la fastidiosa voce di Matt, acuta e stranamente velenosa.
“Vaffanculo. Non sono io quello che è cascato nel ghiaccio della fontana”.
“Mi ci ha spinto mio suocero. Ha detto che avevo bisogno di una doccia fredda dopo avermi raccontato quanto è stato figo girare la scena della lap-dance di Death Proof”.
Dom ingoiò rumorosamente e tentò di ricacciare una risata in gola.
“Cazzo, quell’uomo è un narratore nato. Ma avere un’erezione davanti a mia suocera non è stato il massimo”.
“Non è stato il massimo neanche quando lei ha richiesto il microfono che aveva usato per il discorso per urlare a tutto il giardino che eri in calore come una troietta”.
Matt scivolò lungo il muro di fronte a lui e sghignazzò in maniera incontrollata.
“Grazie a Dio Kate è più ubriaca di te e ha riso”, sospirò, slacciandosi due bottoni della camicia che effettivamente era ancora fradicia dal suo tuffo nella fontana. Dom fece schioccare la lingua.
“L’avrebbe fatto comunque. Non è fottutamente permalosa come te”.
“Vaffanculo”.
Rimasero in silenzio per mezzo minuto, tentando entrambi di riprendersi dalla sbronza e dalla fatica di aver già portato quattro case di champagne su per le scale. La cantina putativa di casa Hawn era umida e soffocante come una palude
“Dom”, disse Matt di scatto, “fottiamoci una bottiglia. Ce la meritiamo”.
Si alzò per andare ad aprire la cassa, le mani un po’ tremanti. Dom gemette al solo pensiero di ingurgitare altro alcool ma decise che non gliene fregava nulla. Aveva vomitato decine di volte ed era sopravvissuto. Stava male, detestava tutti quanti, voleva soltanto cancellare dalla propria mente quelle stupide ricorrenze ed eliminare dalla propria memoria tre anni, un disco e un tour in cui non si era neanche permesso di toccarsi pensando a Matt per quanto si sentiva in colpa verso sua moglie e suo figlio.
Sentì Matt alzarsi e poi inginocchiarsi davanti a lui, i capelli fradici e spettinati e il viso congestionato. La camicia gli si era attaccata alla pelle e i bottoni erano quasi tutti slacciati. E Dio solo sapeva se era ancora per la storiella della lap-dance di Deathproof, ma da quella posizione, chinato in avanti sui talloni e a gambe aperte, Dom riusciva chiaramente a vedere quanto fosse eccitato.
Lo guardò, pallido, esausto, disgustato da tutto e in primo luogo da sé stesso. Matt lo fissò a sua volta, inspirando profondamente.
Gli premette il collo della bottiglia sulle labbra.
“Bevi”, sussurrò.
Dominic bevve e chiuse gli occhi. Matt ebbe un fortissimo senso di dejà-vù.
 
*
 
“Bevi”, sussurrò.
Dominic bevve e chiuse gli occhi. Deglutì con gusto, ridacchiando, e socchiuse le palpebre per rivolgere a Matt uno sguardo offuscato.
“Oh, finalmente, cazzo”, disse quando lo vide bere a propria volta dalla stessa bottiglia e staccare le labbra dall’orlo con un sonoro risucchio. “È la tua cazzo di festa e hai a malapena bevuto una birra. Porca puttana, non andava bene per niente”.
Matt prese un altro lungo sorso, posò la bottiglia a terra e chiuse la porta del bagno del locale. La serratura scattò con un click che sembrò rimbombare nel silenzio che calò come un’ascia fra quelle quattro pareti.
“Voglio ricordare ogni cosa”, scandì lento, con chiarezza.
“Matt”.
Ogni traccia di divertimento era sparita dagli occhi di Dom. Lo guardava fisso, immobile.
Quando lo vide avvicinarsi arretrò fino a ritrovarsi con le spalle al muro.
“È questo il senso di questa stupida festa, no, Dom? Avere tutto quello che poi non si potrà mai più avere. Averlo in quantità disumane, fino alla nausea. Senza sensi di colpa, perché questo fottuto addio al celibato è fatto apposta per quei futuri mariti vigliacchi che si scoperanno la moglie pensando a un’altra persona e lo faranno senza alcun rimorso”.
Si schiacciò contro di lui, infilandogli le mani sotto la camicia, strattonandogli i fianchi e baciandolo nello stesso tempo con una delicatezza e un’adorazione cieca che fecero tremare Dom da capo a piedi.
“Matt”, sospirò, ingoiando un singhiozzo.
Non voleva fermarlo. Non voleva respingerlo. Non voleva acconsentire esplicitamente a nulla di quel che sarebbe successo. Voleva soltanto farsi trascinare dagli eventi, rinunciare a una qualsiasi volontà, essere debole e ignavo e patetico.
Così si limitò a ripetere il suo nome, una volta, un’altra volta, un’altra volta ancora.
 
*
 
“Kate mi tradisce”, sussurrò Matt riaprendo gli occhi per scuotersi i ricordi di dosso. Dominic sollevò lentamente le palpebre, le sbattè più volte e gli rivolse uno sguardo confuso.
“Cosa?...” domandò, la voce soffocata.
“Kate mi tradisce”, ripetè Matt, in tono meccanico.
Dom sentì la testa ricominciargli a girare.
“Ma… Perché?”
Matthew lo guardò con aria quasi compassionevole e prese a tracciargli con le dita il contorno della mascella. Dom spalancò gli occhi e tentò di muoversi, di tirarsi su, ma non ci riuscì. Abbassò lo sguardo sulla sua mano: la fede d’oro brillava in maniera innaturale.
“Perché non la amo”, sussurrò Matt, pianissimo, con delicatezza estrema, come se la sua lingua stesse tenendo in equilibrio sulla punta un oggetto di cristallo. “Perché la rendo infelice”.
Dom sobbalzò.
“Non è vero”.
Matt sorrise con aria candida, pacifica.
“Sì, è vero”.
“Tu la adori. Adori Bing. Adori persino i tuoi suoceri, Cristo”.
Le labbra presero a tremargli. Matt continuava a sorridergli calmo.
Come chi è perfettamente in pace col mondo.
“La adoro. Non la amo”.
“Matt-”
“Non come lei vorrebbe”.
“Chiedi il divorzio”.
Matt rovesciò la testa all’indietro e rise. Una fitta di desiderio percorse Dominic dalla nuca sino alla punta dei piedi, indesiderata, fastidiosa, dolorosa.
“No, mai. Finchè non sarà lei a voler divorziare io non farò nulla”.
Dom gli lanciò uno sguardo disgustato.
“Hai la coda di paglia? Eh? La tradisci anche tu, come facevi con Gaia, come hai fatto con tutte?”
Matt gli carezzò il collo con un pollice.
Ogni giorno, Dom.
“Mi fai schifo”.
Dom tentò di sottrarsi alle sue mani, ma qualcosa di molto simile a un chiodo arroventato decise di piantarsi in mezzo alle sue tempie e fargli ritornare la nausea a tutta forza. Chinò la testa, distrutto, intrappolando le dita di Matt fra il mento e lo sterno.
“Così schifo da farti vomitare?”
Dom ridacchiò aspro.
“Non sei il centro del mondo, Matt. Non fai accadere tutto tu. Sono ubriaco. Stanco”.
“Ti faccio schifo perché pensi che io sia un ipocrita, vero?”
“Sì”.
“E sentiamo, che cazzo ne sai tu di quando una famiglia si rompe, si distrugge, va a puttane?”
Dom digrignò i denti.
“Bastardo. Fottuto bastardo. Mio padre è morto, Matt, cazzo!” urlò, gli occhi pieni di quelle lacrime che non aspettavano nient’altro che risvegliare il lutto per tornarsene fuori. Matt gli prese il viso fra le mani.
“C’è stato fino all’ultimo. È morto a un tuo concerto, adorandoti, sprizzando gioia da tutti i pori. Voglio poterlo fare anch’io, Dom. Voglio un figlio che non senta mai la mancanza di suo padre se non quando suo padre muore”.
Dom si divincolò con rabbia.
“Lasciami”.
“Lo capisci? Dimmi che lo capisci”. Gli ricoprì le gote, gli zigomi e le labbra di baci, la voce ridotta a un sussurro frenetico. “Dimmi che lo capisci, ti prego”.
Dom gli afferrò i capelli e gli affondò le unghie nello scalpo, tirandolo a sè.
“Voi siete felici. Vi vedo. Tutti vi vedono. Mi stai mentendo. Mi stai riempiendo di bugie, mi provochi, e non capisco perché”. Deglutì, le labbra che sfioravano di continuo il lobo del suo orecchio. “La verità è che questo è il tuo massimo. La ami quanto puoi amarla tu. Nel modo stronzo ed egoista in cui ami tu”.
Lo vide mordersi un labbro, un sorriso quasi folle agli angoli della bocca.
“E tu ne sai qualcosa di come amo io, vero, Dominic?” gli sibilò cattivo. “Ne sai qualcosa del massimo, vero?”
Sì. Dio, sì.
“Ne sai qualcosa di quando sono felice, vero?”
Sì. Sì. Sì.
“Chi sta riempiendo chi di bugie, allora?”
“Papà”.
Si voltarono di scatto. Bing era in piedi sulle scale, la testolina bionda chinata leggermente da un lato, gli occhi curiosi.
“Tesoro”, sorrise d’istinto Matt, alzandosi e avvicinandosi per prenderlo in braccio. Bing lo lasciò fare, rilassando gli arti, molle come una bambola di pezza.
“La mamma ti cerca”.
“Lo so, tesoro. Dominic è stato male, ho tardato un po’ perché gli ho fatto compagnia mentre si riposava”.
Bing non aveva mai staccato gli occhi da Dom, un dito in bocca, e alle parole di Matt intensificò se possibile lo sguardo. Lui gli fece un gran sorriso e si appoggiò al muro per alzarsi goffamente.
“Davvero stai male?” chiese il bambino, la voce lamentosa, come se la cosa in qualche modo gli provocasse dolore. “Perché?”
Matt gli rivolse uno sguardo disperato, gli occhi lucidi. Dom sorrise anche a lui.
“Perché dovrei proprio andarmene a nanna e non l’ho ancora fatto”, disse, con una risatina rauca. Si avvicinò e carezzò la testa del bimbo, che in risposta allungò una mano per afferrargli il lobo dell’orecchio, come faceva sempre.
Dominic alzò lo sguardo su entrambi. Gli occhi erano assolutamente identici, ed erano i più belli che avesse mai visto in vita sua. Lo guardavano fisso, senza muoversi, e lui sentì nuovamente quella tenerezza incredibile riempirgli il corpo e appesantirlo come se qualcosa di fisico, pesante e meraviglioso gli fosse davvero penetrato sottopelle. Era strano: quella felicità, quel senso di completezza non gli appartenevano. Non erano suoi. Erano rubati, come tutto ciò che ormai gli restava di Matt. Eppure…
Bingham sbadigliò e suo padre lo strinse più forte, tirandoselo in alto per fargli appoggiare la testa sulla propria spalla. Dominic sorrise con dolcezza.
“Adesso ti porto a letto, piccolo”, sussurrò Matt. Il bimbo annuì senza aprire gli occhi.
“Portaci Dom, a letto” disse biascicando.
La testa di Matt scattò in alto e, non appena i suoi occhi incontrarono quelli dell’altro, entrambi scoppiarono a ridere così forte che il bambino scoppiò a piangere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Oh, but don’t mention love
I’d hate the strain of the pain again.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: e inauguriamo il filone dell’angst matrimoniale! CONGA!
*pepepepepepeeeee*
Boh, che vi devo dire, è una storia strana. Non capisco da dove sia sbucata XD Volevo solo scrivere un’allegra vicenda in cui Dominic finiva per graffiarsi le gote come un’eroina tragica e Matt faceva lo sporco doppiogiochista, e questo è quello che è venuto fuori.
In realtà tutto si regge su Bing. È lui la star, ed è assolutamente il personaggio che mi sono divertita di più a descrivere. Goldie la adoro da sempre quindi lei non fa testo. :D
Alcune noticine rompiballe, perché voi valete. *sventola capelli*
1. L’episodio dell’edicola è successo davvero. Mia cugina ha una quinta di reggiseno, e il di lei pargolo ha ben pensato di far notare a mia nonna la somiglianza di sua madre con una pornostar in esibizione. Dovevate vedere la faccia dell’edicolante (e quella di mia nonna, ovviamente).
2. Durante “Deathproof – A prova di morte”, il film di Quentin Tarantino, Vanessa Ferlito fa una lap-dance per Kurt Russell (il marito di Goldie) che potrebbe incendiare le mutande di un cieco. Se il film non l’avete visto, vi consiglio di guardarlo, che vale non solo per la lap-dance XD
3. La canzone omonima che dà il titolo alla fic è la stessa delle frasi in apertura e in chiusura ed è degli Smiths. Ed è meravigliosa :3
4. Sono le quattro di mattina. Vorrei strozzarmi con le mie stesse mani.
Spero vi sia piaciuta :D
Vi ammou, vi ammou (cit.)
:***
   
 
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