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Autore: Padmini    03/05/2012    1 recensioni
Dalla long-fic "Violet" ho voluto trarre alcuni missing moments. Spero vi piacciano.
La gonna di seta blu notte svolazzava leggiadra al vento. Sotto la gonna, due gambe seducenti avanzavano sicure lungo il marciapiede. Una piccola pochette argentata le brillava in mano, una mano piccola e sottile con lunghe dita affusolate su cui brillava la fede e un anello con un solitario. Il taglio del vestito, provocante ma non sfacciato, le evidenziava gentilmente i tratti sensuali del corpo e metteva in risalto il seno e le spalle scoperte, sulle quali ricadevano con dolcezza i boccoli neri dei capelli.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Violet'
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La gonna di seta blu notte svolazzava leggiadra al vento. Sotto la gonna, due gambe seducenti avanzavano sicure lungo il marciapiede. Una piccola pochette argentata le brillava in mano, una mano piccola e sottile con lunghe dita affusolate su cui brillava la fede e un anello con un solitario. Il taglio del vestito, provocante ma non sfacciato, le evidenziava gentilmente i tratti sensuali del corpo e metteva in risalto il seno e le spalle scoperte, sulle quali ricadevano con dolcezza i boccoli neri dei capelli.
Il viso era sottile e aggraziato. Due zigomi perfetti, labbra carnose e piene, un nasino piccolo ma ben formato, ma la cosa che attirava subito lo sguardo dell’osservatore erano gli occhi azzurro ghiaccio. Il trucco, appena accennato, evidenziava ogni curva, ogni lineamento, risaltandolo.
Violet Holmes stava raggiungendo la casa della sua migliore amica Susanne per la festa del suo compleanno. Con lei non c’era suo marito. Era sola. Sola e intenzionata a divertirsi. Sul serio.
Non ne poteva più della soffocante gelosia di Siger. Era troppo. Non poteva uscire, parlare o muoversi senza destare sospetti in quell’uomo così possessivo. Basta. Adesso era proprio stufa. Era inutile continuare a soffrire senza motivo. Siger voleva essere geloso? Bene! Glielo avrebbe dato lei il motivo di esserlo davvero.
Non aveva fatto previsioni per la serata. Si era semplicemente vestita al meglio ed era uscita, cercando di ignorare lo sguardo carico di giudizi dell’uomo. Non sapeva chi avrebbe incontrato, ma avanzava leggera lungo il vialetto che l’avrebbe portata alla casa dell’amica come una ragazzina in cerca del primo amore.
 
Dlin-dlon
Una donna bionda e leggermente in carne andò ad aprire. Era molto truccata e accolse Violet con energia.
“Violet! Finalmente sei arrivata! Hey! Fatti un po’ vedere …Che schianto! Sei favolosa!” le disse mentre lei volteggiava ruotando la gamba.
“Grazie Susanne” le disse entrando. Gli auguri glieli aveva già fatti la mattina, così si limitò a darle il regalo, una busta che estrasse dalla sua pochette argentata.
Susanne sorrise. Nonostante la piccola dimensione del regalo, aveva già capito di cosa si trattava. Una giornata intera già pagata alle terme con tanto di sauna, massaggio ayurvedico, pedicure, manicure e pulizia del viso.
“Vieni, vieni” le disse prendendola per mano “C’è una persona che voglio farti conoscere! Alex! Alex! Lei è Violet. Violet, lui è Alex. Alejandro, a dir la verità. È un mio vecchio amico spagnolo. L’ho incontrato per caso una settimana fa. Si è trasferito a Londra da poco e cerca qualcuno che gli faccia da guida. Lo farei io, ma il lavoro mi tiene molto occupata. Alex, sai che Violet è un’artista? Sa tutto di tutto di Londra e, visto che ha molto tempo libero, potrebbe farti da Cicerone, che ne dici?”
Susanne aveva parlato a raffica, senza dare ai due il tempo di salutarsi, poi se n’era andata ad accogliere altri ospiti, non prima di aver fatto un evidentissimo occhiolino a Violet che, nel frattempo era arrossita e aveva abbassato lo sguardo. Alejandro, nel frattempo, le aveva raccolto la mano e l’aveva sfiorata con un bacio.
Encantado de conocerla” le disse in un suadente spagnolo.
“Lo stesso vale per me” disse lei accennando ad un sorriso, anche se in realtà quel tipo le sembrò subito troppo intraprendente per i suoi gusti.
Era bello, non poteva negarlo. Moro, occhi neri, pelle abbronzata. Il fisico scolpito si poteva facilmente intuire anche con i vestiti, ma tutto questo non la eccitò. I modi di fare di lui, così ostentatamente provocanti, non le piacevano. Era un po’ troppo sicuro di se. Lo capiva dall’atteggiamento ma anche dall’aspetto. Le sopracciglia depilate, manicure, il tessuto della camicia troppo trasparente. Dagli occhi appena arrossati capì che era un festaiolo. La giacca che indossava era elegante ma leggermente consumata. Evidentemente era il suo “vestito da battaglia”, con il quale cercava di sedurre le donne. Un piccolo arrossamento al lato della bocca. Una minuscola, quasi impercettibile, macchia di rossetto. No, ce n’erano due. Due tinte diverse. Tante quante le donne che aveva abbordato quella sera. Un altro arrossamento, ancora più leggero, sulla guancia, le faceva dedurre che un terzo approccio era andato a vuoto, terminato con un bello schiaffo. Un vanitoso, un affamato di sesso. Un tipo, insomma, più interessato a se stesso che agli altri. Non era questo che cercava Violet quella sera. A onor del vero, anche Siger non era messo male. Anzi, si poteva dire che fosse anche più avvenente di quel tipo spagnolo. Quindi, perché perdersi dietro a insulsi vanitosi? Perché andare a infognarsi nella stessa melma dalla quale cercava disperatamente di uscire? Tutti questi pensieri le attraversarono la mente in pochi secondi, il tempo in cui le loro mani si erano strette nel saluto.
“Conosce Susanne da tanti anni?” le chiese lui guardandola intensamente.
“Si” rispose Violet distogliendo lo sguardo “Ci conosciamo da quando eravamo bambine”
“È una donna extraordinaria” disse lui, calcando l’accento spagnolo “e le donne extraordinarie si circondano solo di donne altrettanto velle”
Il riferimento a lei era evidente, ma lo ignorò.
“Mi scusi” cominciò lei, visibilmente a disagio.
L’hombre non badò minimamente alla cosa o forse calcò la mano proprio per provocarla ulteriormente.
“Chiamami Alex, te prego” le disse riprendendole la mano “E diamoci del tu, vale?”
“Va bene” rispose lei ritraendo la mano “Ho sete, vado a prendermi qualcosa da bere”
“Te l’ho preso io, amore” disse un uomo avvicinandosi con due bicchieri in mano.
Viso allungato, corti capelli lisci, occhi azzurri e sinceri. L’uomo che le si avvicinò era l’esatto contrario dello spagnolo. Gli occhi erano belli ma stanchi, venati di rosso e appesantiti da due borse che le fecero capire quanto poco dovesse dormire. Il sorriso altrettanto abbacchiato le fece dedurre che non si trattava di un festaiolo. Dormiva poco per un altro motivo. I vestiti, eleganti ma non costosi, denotavano che aveva una certa cura di se ma non aveva il tempo di dedicarsene, nonostante questo era accuratamente rasato. Guardò le sue scarpe. Una macchia di quello che doveva essere vomito secco era appena visibile sul lato interno. Avendo un bambino piccolo le riuscì facile riconoscerla. Quindi le ipotesi erano due, o aveva un figlio piccolo o lavorava con bambini malati. Doveva essere un dottore. Un pediatra.
“Grazie, tesoro” disse lei stando al gioco, notando la fede al dito dell’uomo “Alex, lui è mio marito”
“Arthur Watson” disse l’uomo allungando la mano verso lo spagnolo.
“Alejandro” rispose lui con una smorfia. Un’altra buca. Senza schiaffo, fortunatamente.
Si allontanò, mentre Violet tirava un sospiro di sollievo e cominciava a ridere.
“La ringrazio” disse prendendo il bicchiere “Mi ha salvata da quel dongiovanni”
“Si figuri” rispose lui sorseggiando il vino “Posso darle del tu?”
“Oh, certo! Mi scusi, sono Violet”
“Arthur” rispose lui porgendole la mano. Era calda, grande e piacevolmente morbida.
“Sei sola?”
Era un cliché, una frase di circostanza, un modo di rompere il ghiaccio. In realtà nascondeva ben altro. La fede gli ballava leggermente sul dito, segno che se l’era tolta e rimessa parecchie volte. Se non era un chirurgo ma un semplice pediatra, non aveva motivo di sfilarsela così spesso. L’unica altra spiegazione era la crisi coniugale. Quel ‘Sei sola?’ era un modo per dirle che anche lui lo era. Erano nella stessa barca. Decise di essere diretta.
“Si. Mio marito ed io, ultimamente, abbiamo qualche problema. Lui è così geloso!”
“Anch’io ho problemi con mia moglie. Diciamo che sono troppo assente … e infedele!”
Violet lo guardò con gli occhi e la bocca spalancati per lo stupore. Va bene essere diretti, ma lui le aveva appena fatto una confessione che mai si sarebbe aspettata. Chiuse la bocca e la increspò leggermente. Socchiuse gli occhi, concentrata ad osservarlo. Perché no? Perché non avrebbe dovuto provarci? Provare finalmente l’ebbrezza di qualcosa di proibito? Bastava allungare la mano …
“Mi puoi insegnare?” disse soffiandogli le parole nell’orecchio. Molto sensuale.
“Cosa?” disse lui arrossendo, ma Violet notò che si stava già eccitando.
“Vorrei imparare ad essere infedele e mi sembra che tu possa essere un buon maestro”
 
 
Il giardino di Susanne era grande e aveva il pregio di possedere molti luoghi appartati. Il vestito blu notte di lei e il consunto abito da cerimonia di lui erano disordinatamente abbandonati in un angolo, sotto il grande salice piangente.
Violet e Arthur erano distesi, nudi, abbandonati in un dolce abbraccio, finale perfetto per tutto il piacere che avevano provato. Era così tanto tempo che non godeva così tanto che se l’era perfino dimenticato. Troppo presa dal lavoro, dal figlio e dal marito geloso.
Arthur allungò la mano verso la giacca e ne estrasse una busta nera. La svolse e ne tirò fuori una cartina e un pizzico di tabacco che prese tra due dita, per poi cominciare a prepararsi la sigaretta. Era un buon tabacco. Il suo profumo riempì le narici di Violet e la fece sospirare.
“Ti piace?” le chiese Arthur accendendo la sigaretta.
“Si” rispose lei con un altro sospiro “Ha un profumo dolce, ma forte”
Prese la busta nera. In bianco, con una grafia elegante, c’era scritto ‘Sherlock’.*
“Sherlock?” chiese lei rigirandosi la busta tra le mani e annusandola.
“L’ho comprato in olanda” rispose semplicemente lui buttando fuori il fumo.
“Fammi fare un tiro” disse lei e, senza aspettare la risposta, gli rubò la sigaretta dalle dita e aspirò profondamente.
Un sapore unico. Forte, ma con un retrogusto dolce e delicato. Lo stesso odore di cui era impregnato lui, la sua pelle, i suoi vestiti.
Gli ripassò la sigaretta e, mentre espirava gli ultimi residui di fumo, pensò al futuro. Non sapeva se poteva considerarsi la sua amante. Non sapeva se avrebbe lasciato Siger per lui. Non sapeva se lui avrebbe lasciato la moglie per lei. Non sapeva nulla. Nulla.
Tutto questo le piaceva. Aveva sempre odiato non avere il controllo della situazione, ma quel dolce oblio, dolce come il tabacco Sherlock, le piaceva. Sherlock. Una parola che aveva un bel suono. Un profumo che le aveva regalato un bel ricordo ma anche un nuovo modo di vedere il mondo.
Se mai avesse avuto un altro figlio lo avrebbe chiamato così. Indipendentemente con chi l’avrebbe avuto. Siger o Arthur? Cosa importava? Al momento non era neanche un pensiero importante. L’unica cosa che le interessava era quel dolce limbo in cui si trovava.
Il piacere del sesso appena fatto; l’eccitazione per l’aspettativa di poterne fare ancora, magari tra pochi minuti; il profumo del tabacco nella saccoccia e quello che si stava disperdendo nell’aria sopra di loro.
In quel momento quello che importava non era lei e Arthur. Non era nemmeno lei e Siger. Era lei. Lei che voleva prendersi una rivincita sul mondo, sulle sofferenze. Lei che voleva dare finalmente al marito un motivo per essere geloso. Lei che voleva godere senza rimpianti.
Solo lei. Violet.
 
 
 
 
 
 
*Su Wikipedia ho letto che Sherlock è un tipo di tabacco e anche uno strumento per fumare la marijuana. Non so se è vero e non conosco l’origine del tabacco. Per motivi narrativi facciamo finta che sia così.

   
 
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