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Autore: Pwhore    03/05/2012    2 recensioni
Un giovane Tomo si presenta alle audizioni per far parte della sua band preferita, i Thirty Seconds To Mars.
Unici inconvenienti? Un corridoio troppo lungo e una curiosità irrefrenabile.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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"Buongiorno," dissi, sperando di sembrare il più tranquillo possibile, nonostante le scariche d'adrenalina mi stessero scuotendo da cima a fondo da qualche ora buona, e sfoggiando il migliore dei miei sorrisi circostanziali.
"Salve. Nome, prego," bofonchiò l'altro in tutta risposta, alzando lo sguardo solo per una decina di secondi.
"Mi chiamo Tomo, Tomo Milicevic," pronunciai con voce forte e chiara, scandendo bene le sillabe e annuendo con aria fiduciosa. Quello mi squadrò un attimo, poi scomparve dietro un telo nero e lo udii parlottare con qualcuno, evidentemente cercava una qualche conferma della mia presenza lì. Respirai a fondo, approfittando del momento per calmare i nervi e ripassare mentalmente il pezzo che avrei dovuto eseguire poche ore più tardi, di fronte alle persone più importanti della mia ancora brevissima esistenza, e sospirai. L'uomo ritornò dopo un paio di minuti, mi guardò dritto negli occhi con freddezza e annuì, facendomi cenno di proseguire con la mano, senza perdere troppo tempo in convenevoli. Avanzai velocemente, come se quell'energumeno avesse potuto ripensarci, spostai la tenda per farci passare la testa e entrai.
Quella che mi ritrovai davanti non era la stanza che mi ero immaginato di trovare, proprio per niente. Era enorme e un po' in penombra -quanto bastava per stare al fresco senza ricorrere a macchinari-, e c'erano operai da tutte le parti con tute di tutti i colori possibili e immaginabili. Ognuno di loro era immerso nel suo lavoro a tal punto che quando uno mi passò accanto non si rese nemmeno conto della mia presenza; continuò semplicemente a camminare portando da una parte all'altra una matassa di cavi e fili di ogni genere, che probabilmente servivano per le luci. L'aria era piena di brio ed eccitazione, anche se un evento così importante richiedeva un sacco di attenzioni e cure da parte dei tecnici, i quali stavano letteralmente impazzendo pur di sistemare al meglio ogni piccolo dettaglio. Sentivo gente urlare da tutte le parti in uno slang abbastanza volgare che però non perdeva la sua ricercatezza, e mi ritrovai a pensare che forse un giorno sarei stato anch'io tra loro a imprecare per un cavo lasciato scoperto o per una telecamera scollegata e piazzata male. Sorrisi e continuai a guardarmi attorno, spostandomi indietro per non intralciare il lavoro degli operai. Sulla destra e sulla sinistra c'erano dei divanetti scuri ricoperti da delle specie di coperte leopardate nere e grigie, accompagnati da un tavolino e un frigo-bar, rigorosamente ordinati e senza macchie. Ma del resto mi sarei dovuto aspettare una cosa del genere, il mio idolo è un maniaco dell'ordine e ama far impazzire gli altri a suo piacimento, anche se non è una cosa di cui andare particolarmente fieri. All'epoca, però, non conoscevo questo lato del suo carattere e tutto quel viavai continuo di gente mi aveva lasciato particolarmente impressionato, visto che pensavo che sarebbe stato qualcosa di molto spartano e modesto, in uno stile completamente diverso, a essere sincero. Mi aspettavo un palco, delle sedie in legno, qualche riflettore puntato su uno sfondo bianco e loro, in prima fila, con un block notes tra le mani, pronti ad appuntarsi ogni minimo errore o distrazione da parte dell'esecutore. A pensarci bene, in effetti, il palco c'era e le luci stavano venendo installate, quindi una parte delle mie aspettative si era rivelata corretta. E poi il soffitto brulicava di operai vestiti di bianco, che da dove mi trovavo io sembravano delle formiche sporche di borotalco più che esseri umani in carne e ossa, e che si muovevano trafficando con gesti veloci ed esperti, come se quelle mani avessero svolto quel lavoro centinaia e centinaia di volte in precendenza, fino al punto di saperlo fare ad occhi chiusi. Era un bello spettacolo comunque, lasciava senza fiato per l'organizzazione e l'ordine manifestati da ogni singolo individuo, e per la loro concentrazione eccezionale. Chissà, forse avevano un modo tutto loro per tranquillizzarsi e procedere con estrema calma in ogni situazione, senza mai perdere l'aria di professionalità che si portavano dietro da un'impalcatura all'altra. Mi sarebbe piaciuto saperlo, ma il pensiero di fermare uno di loro e chiederglielo m'imbarazzava troppo, quindi mi limitai ad osservarli e cercare di capire dove dovevo andare per raggiungere gli altri musicisti.
Avevo scrutato gli addetti lavorare per quella che mi era parsa un'ora, ma in realtà erano passati poco più di dieci minuti, quindi se avessi aspettato un altro po' sarebbe arrivato un altro ragazzo e avremmo cercato la strada insieme.. no? No. Scossi la testa e avanzai verso il centro della stanza, deciso a fare da me. Adocchiai una porta verso il lato sinistro del palco e mi diressi verso di lei, inciampando su un cavo lasciato scoperto. Recuperai l'equilibrio e il controllo dei miei movimenti dopo pochi istanti, attaccandomi al pomello dorato della porticina. Tesi le orecchie in avanti, nel vano tentativo di sentire qualcosa, ma il silenzio più profondo mi spinse a accerchiare la maniglia e a spingere più forte, giusto per capire che cosa c'era lì dentro. La porta si aprì con un cigolìo inquietante e la prima cosa che vidi entrando fu un corridoio lungo e brillante, che mi accinsi a percorrere senza farmi troppe domande. I miei passi risuonavano e rimbombavano in quel vuoto ombroso, ma continuai comunque a camminare, sperando che nessuno si accorgesse della mia presenza lì, o sarebbero stati guai grossi. Mi guardai intorno e notai che più avanti cominciavano a comparire dei quadri sulle pareti lisce, anche se sarebbero potuti essere benissimo degli specchi di piccole dimensioni. Decisi di affrettare il passo e cominciai a sentirmi notevolmente a disagio, man mano che mi spingevo sempre più oltre, notando che le luci si accendevano e si spegnevano con un meccanismo segreto e silenzioso. Cominciai a correre, il sudore che mi scendeva lungo il collo e che m'imperlava la fronte, e sentii il mio cuore accellerare il suo battito fino a stabilizzarsi, lentamente. Percepii dei movimenti più avanti e, deglutendo, ripresi a camminare. Riuscivo a sentire l'umidità aumentare e il terreno si faceva pian piano sempre più pendente, come se stesse scendendo verso il centro del pianeta. Ormai la paura era sparita ed ero animato da uno strano sentimento di curiosità e stupore; volevo solo arrivare in fondo a quella storia e scoprire che c'era dietro, poi basta, sarei tornato indietro e avrei chiesto a qualcuno la strada corretta. A un certo punto realizzai che, voltandomi indietro, non riuscivo più a vedere l'inizio del corridoio, quindi mi sentii doppiamente motivato a proseguire e trovare un'altra uscita. Dopo una decina di minuti, notai che il terreno aveva ricominciato a salire e che il fruscio di prima era diventato un rimbombo lordo e forte, che veniva amplificato dalle pareti nuovamente spoglie fino a raggiungere un livello sconfortante. Decisi di farmi quegli ultimi metri di cammino di corsa, in modo da diminuire le distanze tra me e il rumore, e di dare una sbirciata prima di aprire completamente la porta - sempre che ce ne fosse stata una. Con mio notevole disappunto, però, il suono cessò tutto d'un tratto, quando ormai ero abbastanza vicino da poter capire qual'era la cosa che lo creava. Avevo fatto in tempo a capire che proveniva da una parete di roccia all'apparenza indistruttibile e che era da lì che sarei dovuto passare, in un modo o nell'altro; quindi cominciai a tastarla con le mani nella speranza di trovare un passaggio segreto o qualcosa che avrebbe potuto darmi un qualche indizio per proseguire.
"Andiamo, Tomo, andiamo," mi spronai. "Possibile che non ci sia proprio niente?"
Non feci in tempo a dirlo che un rumore metallico fece scattare un meccanismo nascosto e il rombo di prima ricominciò, più forte e rimbombante che mai. Strinsi gli occhi e mi tappai le orecchie con i palmi, nella speranza di scacciare il dolore, e dopo qualche secondo trovai il coraggio di alzare lo sguardo e dare un'occhiata a quello che stava succedendo. La parete si stava spostando, lentamente, per dare spazio a una stanza arredata piena di graffiti, con delle finestre enormi e un divano basso e largo. Entrai cautamente, guardandomi attorno, e notai che c'era un'altra porta. Provai ad aprirla, ma quest'ultima era chiusa a chiave dall'esterno e una semplice girata di maniglia non poteva fare molto.
"Che c'è, vuoi sapere che c'è di là?" mi domandò una voce.
Sobbalzai, colto di sorpresa, e mi voltai velocemente. Un uomo uscì tranquillamente dalla penombra, seguito da un'altra figura, più grande e muscolosa, poi si spostò i capelli dal viso con naturalezza e mi tese una mano.
"Non c'è assolutamente nulla," sorrise.
"Mi spiace averti deluso, ma è solo il magazzino attrezzi. Io sono Jared, comunque," si presentò, muovendo leggermente la mano per farsela stringere; dettaglio che notai solo dopo una bella manciata di secondi. Mi affrettai a chiuderci le dita sopra e a scuoterla senza sembrare troppo teso, cosa che in realtà ero tantissimo.
"Io.. io sono Tomo," mormorai.
"Bene, Tomo," cominciò. "Che ne dici di spiegarmi come sei arrivato qui?"
Lo guardai con aria persa, non mi aspettavo proprio una domanda del genere, tantomeno da lui. Voglio dire, ero arrivato dal suo stesso corridoio, ero passato dalla sua stessa porta, avevo fatto la sua stessa identica strada, non aveva senso chiedermi come ero arrivato lì. Lui notò il mio stupore e rise, come se si fosse aspettato una reazione simile da parte mia.
"Già, hai ragione, sono un idiota," commentò, scuotendo la testa.
"La strada è una sola, e la conosco bene - tacque per qualche secondo. - Però credevo che io e mio fratello fossimo gli unici a impicciarci così spudoratamente in cose che non ci riguardano affatto," osservò.
"Beh, sì, in effetti avrei dovuto farmi gli affari miei," ammisi, massaggiandomi il collo per alleviare la tensione.
"E' che ero curioso, e questo corridoio proprio non finiva, quindi ho pensato bene di vedere fin dove arrivava."
Jared annuì e un sorriso si dipinse sulle sue labbra fine, arrivava a sembrare quasi un angelo.
"Capisco. Beh, è stata la stessa cosa per noi, vero, Shan?"
"In effetti," ridacchiò l'omone, scuotendo leggermente la testa.
"Però sta tranquillo perché ora sei con noi, e finché rimarrai al nostro fianco non s'incazzerà nessuno," mi strizzò l'occhio.
"Sarebbe il colmo se si mettessero a farci la morale," scherzò Jared, come se stesse parlando di qualcosa di assurdo.
"Woah, ragazzi, siete veramente gentili, davvero, ma io non posso restare," mi affrettai a chiarire.
"Come, perché no?" chiese Shannon, visibilmente dispiaciuto.
"Vedete, oggi ci sono le audizioni della mia band preferita e io mi sono allenato come un pazzo per poterci partecipare e, non so, vorrei almeno provarci visto che so che non vincerò. Sono stato davvero tanto tempo a prepararmi e non vorrei buttare tutto all'aria all'ultimo secondo.. Spero possiate capirmi," mormorai con occhi imploranti. Jared annuì e Shan mise su un sorriso.
"Ah, capisco.. E come sono fatti, quelli della band?" domandò con tono curioso.
"In tutta sincerità, non lo so. In tutti questi anni non ho mai sentito il bisogno di guardarli in faccia per riuscire ad apprezzare la loro musica, tutto quello che conosco di loro si limita alla loro musica; però ho come l'impressione che siano delle persone magnifiche in tutti i sensi, non solo nell'anima. Il cantante, per esempio, non si ferma semplicemente a scrivere dei testi da paura, ma ha una voce che ti accarezza dentro, sembra riscaldarti e cullarti in una realtà alternativa, dove tutto è migliore, dove tutto è Marte," cercai di spiegare, gesticolando leggermente con le mani.
"E il batterista, il batterista sembra davvero sentire dentro il battito cardiaco dei pianeti, è qualcosa di fenomenale, davvero! E poi sono due geni e non so come possano essere rimasti a corto di musicisti; non so cosa darei anche solo per trasmettere una singola emozione a uno di loro come loro hanno fatto con me durante tutti questi anni," continuai.
"E la cosa più bella di tutte è che non sto nemmeno esagerando, perché la bellezza del loro animo eclissa tutto il resto in modo sconcertante, ed è per questo che non ho mai avuto bisogno di guardarli in faccia. Per me tutto quello che conta è questo strano rapporto che si è creato tra me e la loro musica, non m'interessa sapere che siano belli o brutti, perché dentro di me so perfettamente che sono due persone magnifiche, fighi o non fighi," conclusi, sentendomi le mani tremare. Non avevo mai confidato i miei sentimenti riguardo loro a qualcuno, pensavo che quelli attorno a me mi avrebbero preso per pazzo e che mi avrebbero preso in giro a vita, se solo avessi parlato. Eppure quei due ragazzi sprizzavano fiducia da tutti i pori e non avevo potuto fare a meno di mettermi a parlare di quanto quei musicisti fossero meravigliosi per me, e una volta fatto non mi sentivo neanche così stupido. Alzai lo sguardo dalle mie mani e trovai Jared a fissarmi, sorridente.
"Secondo me ti meriti di vincere," commentò. L'altro annuì, convinto, e si fece da parte.
"Se corri dovresti arrivare in venti minuti," m'informò Shannon, incando il corridoio col capo.
"Sono sicuro che ce la farai," annuì Jared.
Li ringraziai con gli occhi e cominciai a correre il più velocemente possibile, col cuore che mi saltava nel petto a ogni singolo passo che posavo. Avevo parlato a quei due solo per poco più di cinque minuti, ma mi sentivo carico come non ero mai stato nella mia intera vita, e la cosa mi aveva lasciato parecchio stupito e contento. Le mie preoccupazioni erano sparite e l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era la gara, quindi focalizzai la mia mente sul palco e mi diedi un ulteriore sprint.

   
 
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