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Autore: IoNarrante    05/05/2012    11 recensioni
Ven, aspirante avvocato, ragazza determinata, ligia al dovere, trasferitasi a Londra con un unico obiettivo: diventare socia di uno dei più grandi studi legali della capitale.
Il sogno per cui ha lasciato la sua famiglia a Tivoli, salutato tutti i suoi amici, riducendosi a vivere in un piccolo monolocale vicino a Regent Park.
La fortuna però gira dalla parte di Ven, perché le verrà affidato un caso importante e allo stesso tempo spinoso, che la costringerà a collaborare con un avvocato brillante e terribilmente sexy ma che allo stesso tempo rispolvererà alcune sue vecchie conoscenze.
Non è necessario aver letto Come in un Sogno
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il Sogno chiama...'
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 CAPITOLO 1

betato da Nes_sie
 
Londra era un’enorme metropoli, colma di persone che si riversavano nelle strade come l’acqua di un fiume dopo una giornata di piena. Quando avevo lasciato l’Italia, più in particolare Tivoli, per intraprendere la carriera giuridica nella capitale inglese, non mi sarei mai aspettata di incappare in alcune mie vecchie – e soprattutto indesiderate – conoscenze.
Ma andiamo per ordine.
James Thomas Abbott era un ragazzo sulla venticinquina, alto, ben piazzato e con un paio di profondi occhi azzurri al cui interno era nascosto un lampo di furbizia che, a mio modesto parere, ogni avvocato in erba doveva possedere. Chiunque poteva iscriversi alla facoltà di legge, ma soltanto una cerchia eletta poteva definirsi ‘avvocato’.
E lui era tra questi.
Il giorno dopo aver fatto la sua conoscenza, nonostante inizialmente avessi pensato si trattasse di uno stalker maniaco, Jamie si era rivelato un valido membro dello studio, e non solo perché era il nipote di uno dei soci. In questa occasione, fui costretta a mettere da parte i pregiudizi sui cosiddetti “figli di papà” e a rimboccarmi le maniche perché il biondino ci sapeva fare.
Seppi da quell’arpia di Yuki che James aveva studiato a Cambridge e si era laureato prima del tempo con il massimo dei voti, specializzandosi poi in diritto di famiglia. Non ce lo vedevo come avvocato divorzista, sinceramente, ma chi ero io per giudicare?
Personalmente, mi immaginavo un giorno alla sbarra, urlando a squarciagola la mia arringa contro il Pubblico Ministero che voleva mandare in galera un povero innocente, quindi la carriera penalista era la mia prima scelta… purtroppo, quando Mr. Abbott ci chiamò nel suo studio, le mie aspettative si smontarono.
«Ti sei persa qualcosa stamattina nella Tube?» mi sorrise Jamie, ricordando il modo in cui ci eravamo conosciuti.
Feci un finto sorriso, di quelli strafottenti brevettati in cinque anni di liceo più altri cinque di università. «Per tua fortuna no, ma qualcuno si è dimenticato il cervello sul comodino e non sono io,» conclusi, soddisfatta della mia lingua tagliente.
Jamie fischiò e mi sorrise. Quei suoi occhi vispi e azzurri, con un po’ di quella barba incolta che gli dava qualche anno di più di quanto avesse riportato sulla carta d’identità gli conferivano un’aria talmente affascinante che rischiavo di rimanerne soggiogata.
Datti una svegliata, Ven! Obiettivo primario: diventare socio dello studio, anche a costo di passare con i tuoi stivali vintage sopra quel bel corpo muscoloso davanti a te.
E asciugati la bava, per l’amor di Dio!
Inconsciamente mi portai un dito all’angolo delle labbra ed effettivamente raccolsi un po’ di saliva che era rimasta sospesa dopo aver schiuso la bocca troppo a lungo, in contemplazione di quel corpo statuario davanti a me. Aveva ragione il mio fidato Cervello, era mio dovere pensare prima alla carriera, poi sarebbe venuto tutto il resto.
…e non solo quello.
«Quale caso credi che ci assegnerà tuo zio?» gli domandai, rimanendo saldamente sull’argomento lavoro-lavoro-lavoro-e-ancora-lavoro.
Lui si mise le mani nelle tasche dei pantaloni dal taglio elegante e ci pensò su. Mi ritrovai a pensare che anche ogni suo gesto più semplice sembrava calcolato e fatto con quella tipica eleganza inglese che io avevo sempre ammirato.
Per non parlare dell’accento, poi.
«Mio zio è un tipo un po’ bizzarro,» spiegò, ma feci fatica ad associare la parola “bizzarro” a Mr. Abbott. Sì, era un uomo alla mano e piuttosto gentile, al contrario del fratello – l’altro zio di James – ma addirittura definirlo bizzarro… «non so davvero quale caso potrebbe assegnarci, ma di sicuro ha fiducia nelle tue capacità. Presumo non sia nulla di semplice,» e sorrise, di nuovo.
Maledetto.
Non feci in tempo a gonfiare il petto d’orgoglio, sapendo quanto fossi brava nel mio lavoro, che la segretaria di Mr. Abbott, la signorina Austen, ci fece accomodare nello studio del socio anziano che subito ci accolse con il sorriso brevettato alla ‘Abbott’.
«Ragazzi miei, benvenuti!» E ci fece segno di accomodarci su due poltrone dall’aspetto molto comodo. Presi posto alla destra della scrivania, lisciandomi i pantaloni del completo e slacciando il bottone della giacchetta che indossavo. «Oggi c’è bel tempo, cosa rara qui a Londra, ed ho anche delle ottime notizie per voi due.»
Tralasciando il fatto che sembrava parlasse di noi non come team di colleghi ma come futuri sposini, aveva una strana luce d’eccitazione negli occhi ed io potevo solamente tradurla come qualcosa di brillante per il caso che ci avrebbe assegnato.
Il mio primo incarico come avvocato in erba ed ero stata assegnata niente di meno che al nipote di Mr. Abbott. Non potevo chiedere nulla di meglio.
«Dunque, stavo dicendo,» continuò Mr. Abbott, senza smettere di lanciarci occhiate ammiccanti. «Ieri vi avevo preannunciato di avere un caso per le mani niente male, in cui potrete collaborare e tirar fuori il meglio di voi.» Fece una pausa calcolata giusto il tempo per farmi agitare scompostamente sulla sedia che, nell’attesa, sembrava esser stata foderata di irti chiodi. Guardò prima il nipote e poi la sottoscritta. «Jamie, anche se sei arrivato da poco in questo studio, ripongo le mie aspettative nelle tue mani e poi ti ho assegnato una delle migliori tirocinanti che abbiamo qui allo studio, quindi sei in buone mani.»
Cercai di nascondere il rossore sulle guance ma non vi riuscii molto bene. Essere definita una delle migliori da Mr. Abbott valeva più di qualsiasi altro complimento che avessi mai ricevuto. Persino più della Laurea cum laude.
«E tu, mia cara Venera,» disse nella mia direzione. «Ci sei stata raccomandata così calorosamente che mi sento in dovere di darti un’opportunità. Sei arrivata sin qui dall’Italia, hai studiato un diverso sistema giuridico soltanto per lavorare con noi, quindi te lo meriti.»
«Zio, ma di cosa si tratta? Ci stai mettendo ansia,» sorrise James.
Mr. Abbott arricciò le labbra e lasciò che una sana risata gli sorgesse dal fondo della gola, poi ci guardò con quei suoi limpidi occhi azzurri. Aprì uno dei cassetti della sua scrivania e ne estrasse due cartellette che ruotò nelle nostre direzioni.
«Giorni fa, mi ha chiamato una mia vecchia conoscenza, chiedendomi aiuto per un suo cliente ed io ho preso in esame questo caso. Non è nulla di impossibile, ma vorrei che foste in due ad occuparvene perché si tratta di un personaggio di spicco e necessita una certa privacy attorno a questa storia.»
Afferrai la cartella con mani tremanti, quando James già stava esaminando i primi fogli. Non potevo crederci, il mio primo caso per lo studio Abbott&Abbott. Un sogno!
«Si può fare,» commentò il giovane Abbott ad una prima occhiata dei documenti.
Suo zio annuì soddisfatto. «Vi suggerisco di fare un salto dal vostro nuovo cliente, in modo da presentarvi e discutere meglio una linea d’azione. Mi aspetto il massimo della riservatezza, nonché una certa professionalità da parte vostra. Non si tratta di una persona del mondo dello spettacolo, ma è comunque un volto popolare, soprattutto qui nella capitale, ma anche nel resto del mondo.»
Okay, ero sufficientemente curiosa da divorarmi l’intero plico pur di riuscire a leggere il cognome del nostro assistito. Aprii con foga la cartellina, non accorgendomi che i fogli erano liberi di schizzare via, così riuscii a rovesciarne tutto il contenuto per terra.
Sprofondai in un completo imbarazzo. «M-Mi dispiace!» e mi affrettai a raccogliere tutti i fogli sparsi sul parquet come un mare di neve bianca.
Anche James si chinò ad aiutarmi, così in fretta e furia riuscii a risistemare i fogli alla bell’è meglio dentro la cartellina. Mr. Abbott non si scompose e rimase con quella sua solita espressione bonaria in viso.
«Bene, potete iniziare quando volete,» ci comunicò tranquillamente. «Vi ricordo solo di fare quella visita di presentazione, soprattutto a nome dello studio. Non ho parlato direttamente con il nostro cliente, ma con un suo, diciamo, ‘tutore’, quindi è bene che vi presentiate ufficialmente prima di esaminare le minuzie del caso.»
«Perfetto zio, ci organizzeremo al più presto.»
«Certamente,» mi aggiunsi anch’io, riacquistando un po’ di professionalità dopo la figuraccia che avevo fatto prima.
Mr. Abbott ci congedò subito dopo e io mi ritrovai nel corridoio a respirare come se non avessi ossigenato il cervello per tutto il tempo che ero stata nel suo ufficio. Non potevo crederci. Il primo caso assegnatomi niente di meno che da uno dei soci anziani dello studio in persona.
Certo, dovevo ammettere che Mr. Abbott mi aveva nominata assistente del nipote, il vero avvocato di questo caso, ma comunque era un’opportunità a cui non avrei rinunciato per niente al mondo.
«Va tutto bene? Sei bianca come un lenzuolo,» asserì James, posando una mano sulla mia spalla senza alcun secondo fine.
Deglutii e poi strinsi entrambe le mani sulla cartella. «Certo, sono solo emozionata per il caso.»
Jamie mi sorrise sincero, poi apparve uno degli avvocati dello studio e lo chiamò per qualcosa cui stava lavorando.
Rimasi immobile con ancora la sensazione del calore della sua mano sulla mia spalla e quell’eco di felicità che mi era rimasta addosso per la notizia di un nuovo ed entusiasmante lavoro.
«Stai cercando i tuoi neuroni?» domandò Yuki arcigna.
Rinsavii quel tanto da focalizzare la mia rivale per il posto fisso nello studio, e strinsi con forza la cartelletta contenente i documenti relativi al caso.
«Scusa, non ho proprio tempo di insultarti,» sorrisi mefistofelica. «Devo tornare a casa al più presto per dare un’occhiata ai documenti del mio primo caso assegnatomi da Mr. Abbott.»
Come previsto, Yuki sbiancò di colpo. «C-Ca-Cas… Quale caso?» domandò esterrefatta.
Non ebbi il tempo sufficiente per rispondere, perché James fece capolino dalla porta del suo ufficio e mi chiamò.
Chiusi metaforicamente la porta in faccia a Yuki e vidi Jamie Percival Abbot – anche io avevo fatto i miei compiti a casa – in piedi di fronte alla finestra che dava su una meravigliosa panoramica della City. Mi portavo ancora addosso gli strascichi dell’euforia di poco prima, ma tentai di contenerli.
«Ven, so che ci conosciamo da pochissimo tempo,» iniziò, senza distogliere lo sguardo dal panorama.
Oddio, mi vuole invitare ad uscire?
Ero troppo scombussolata da riuscire a pensare con lucidità, così sperai in un intervento in extremis del mio Cervello, ma anche lui sembrava essersi preso una momentanea vacanza.
Calma.
Poi Jamie si voltò ed io mi specchiai in quei suoi occhi profondi, adulti ed estremamente intelligenti. «Questo caso è molto importante per me, mio zio ha riposto in entrambi una fiducia che non possiamo permetterci di tradire, perciò mi sento in dovere di chiederti se sei pronta a metterci tutta l’anima in questa cartelletta.»
Strinse con forza il plico di fogli e mi guardò in attesa di una risposta. Era determinato quanto me a risolvere questo caso, ed io non potevo tirarmi indietro.
«Anche se dovessi passare tutte le notti in bianco da qui alla fine del caso, puoi contare su di me!» E gli sorrisi.
Jamie ricambiò il gesto e si avvicinò posandomi una mano sulla spalla. «Domani mattina andremo dal nostro cliente, tieniti pronta. Dobbiamo fare buona impressione.»
Annuii convinta e inspirai in cerca d’ossigeno. L’Hugo Boss di James mi riempiva le narici e non riuscivo ancora a pensare lucidamente.
Devo farcela.
 
Il ritorno a casa fu meno traumatico dell’andata. Alle 18.00 in punto, quando il Big Ben faceva sei rintocchi che riecheggiavano per tutta Parliament Square, la Tube si riempiva dei pendolari che, come la sottoscritta, facevano ritorno verso le proprie abitazioni.
Stavolta, però, all’interno della mia valigetta di pelle nera, c’era una cartella con i fogli più importanti che avessi mai stretto tra le mie mani. Non potevo ancora crederci. Non ero allo studio nemmeno da un mese, e Mr. Abbott mi aveva già affidato il mio primo caso.
Tecnicamente l’ha affidato a Mr. Occhiblu, tu sei solo la sua assistente.
Feci tacere mentalmente il mio Cervello e continuai a crogiolarmi nella beatitudine con un sorriso ebete stampato in faccia. Persino un vecchietto seduto di fronte a me cominciava a guardarmi male, ma poco m’importava.
Finalmente Venera Donati poteva dirsi realizzata nella vita.
Il monolocale in affitto di Oxford Street non era certo il plus ultra del lusso. Situato all’ultimo piano senza ascensore di una palazzina in puro stile vittoriano, per arrivarci il primo giorno mi ero dovuta caricare cinquanta chilogrammi di trolley su per sei rampe di scale, mentre il proprietario della palazzina rideva e mi osservava.
Purtroppo non avevo trovato di meglio e, almeno fin quando non fossi diventata socia, mi sarei dovuta accontentare. L’affitto era medio, ma almeno la fermata della Tube era vicina e raggiungibile a piedi in cinque minuti. In più, avevo Regent Park a pochi passi e innumerevoli negozietti di zona.
Entrai nell’androne e vi trovai Mr. Cabret che guardava la televisione a tutto volume dal suo gabbiotto. Era un uomo sulla cinquantina, tipicamente inglese. Indossava la stessa giacca di tweed per una settimana intera e Dio solo sapeva che odoraccio emanava quando si giungeva al Venerdì. Per il resto, sembrava apposto.
Aveva le gote sempre arrossate e in mano il classico bicchiere di whiskey con ghiaccio, invecchiato di chissà quanto. Avrei potuto quasi paragonarlo a mio padre, solo che al posto del tweed avrei messo la giacca di jeans consunta, con le toppe ai gomiti, e il Jack Daniel’s lo avrei sostituito con la grappa fatta in casa.
«Buonasera, Mr. Cabret,» sospirai, entrando esausta nell’androne della palazzina.
Il proprietario distolse appena lo sguardo dal televisore e mi fece un cenno con la mano. Dopodiché tornò a guardare la BBC.
Strinsi la valigetta e mi preparai ad affrontare le solite sei rampe di scale che, a lungo andare, mi avrebbero obbligata a mettermi un polmone d’acciaio. Mi tolsi le decolleté per evitare almeno eventuali vesciche, dopodiché posai i piedi fasciati da calze nere sulla moquette e cominciai a salire le scale.
Arrivata sino in cima, col fiato corto e delle goccioline di sudore che mi imperlavano la fronte, cominciai a frugare alla disperata ricerca delle chiavi. Una volta afferrate, le girai nella toppa e finalmente entrai nel mio monolocale.
L’appartamento era costituito da due stanze, se così si potevano chiamare. Una immensa, in cui c’era il letto e un piccolo angolo cottura, e uno spazio angusto che Mr. Cabret aveva avuto il coraggio di chiamare bagno.
Fortunatamente, grazie agli innumerevoli anni passati a giocare a Tetris, ero riuscita a far entrare tutti i miei effetti personali dentro quel misero appartamento che non raggiungeva nemmeno i metri quadri della mia vecchia stanza a Tivoli.
Lì vivevi in campagna, avevi un’intera magione.
Ringraziai mentalmente il mio Cervello, che non perdeva occasione di ricordarmi quanti sacrifici avessi fatto per raggiungere il mio vero obiettivo, e alla fine crollai esausta sul letto, senza togliermi nemmeno il trench.
Riuscii a sporgermi quel tanto da afferrare la valigetta ed estrarre i documenti per cominciare a leggermeli per bene, in vista di domani. Il mio pensieri non poté che vertere sul bel sorriso di James che mi avrebbe accolto una volta uscita dalla fermata della Tube, vicino all’indirizzo del nostro cliente.
Afferrai il plico e lo aprii, cominciando a scorrere la prima pagina alla ricerca del nome e dell’eventuale indirizzo dell’abitazione, ma con mio estremo sgomento mi accorsi che i documenti iniziavano subito a parlare del caso in questione.
C’erano alcune deposizioni, i fatti esposti sia da una parte che dall’altra, ma non v’era traccia né del nome del nostro cliente, né del suo indirizzo.
Calmati Ven, non sclerare. Sarà nella valigetta.
Mi alzai a sedere sul letto con uno scatto degno di un lottatore di Wrestling, dopodiché mi gettai a pesce verso la ventiquattr’ore e la saccheggiai senza ritegno, finendo col spargere tutto il suo contenuto sulla trapunta.
Sgranai gli occhi ed ebbi un tuffo al cuore.
Niente. Non c’era traccia di nessun foglio, di nessun appunto, nemmeno un misero post-it ed io ebbi davvero la speranza che Mr. Abbott si fosse dimenticato di allegare le generalità del cliente, ma poi mi diedi subito della sciocca.
James mi aveva chiaramente detto di presentarmi l’indomani mattina a quell’indirizzo, segno che lui l’aveva letto e che nella cartella era presente, almeno quando Mr. Abbott ce l’aveva consegnata.
Non ti sta sfuggendo qualcosa?
Forse avevo ignorato deliberatamente l’amara verità che sussisteva attorno al mistero del foglio sparito, anche perché equivaleva ad un’ammissione di estrema stupidità. Altro che i neuroni perduti di Yuki, avrei volentieri aperto la finestra e mi sarei lanciata di sotto.
Nell’ufficio di Mr. Abbott mi era caduto il plico con tutti i documenti, ed evidentemente, nella fretta di raccoglierli, ne avevo dimenticato uno. Quello più importante, poi.
«Maledizione!» imprecai, mettendomi le mani nei capelli.
Cercai il cellulare e sbloccai la tastiera, pensando di telefonare a James e farmi inviare quantomeno l’indirizzo, poi rimasi a fissare lo schermo come una scema. Ovviamente non avevo il suo numero, visto che l’avevo conosciuto il giorno prima.
«Cazzo.» Adesso ero davvero nei guai fino al collo. «Cazzo, cazzo, cazzo!»
Il mio primo caso in uno degli studi più importanti di Londra, associata niente poco di meno che al nipote del socio anziano, ed io ero riuscita a perdermi l’unico foglio che conteneva tutte le generalità del cliente.
Nemmeno se ti ci fossi impegnata, saresti riuscita a cacciarti in un guaio peggiore.
Ignorai quel pensiero e afferrai il telefono, pigiando con foga sui tasti e componendo il numero di telefono dello studio. C’era la speranza che qualcuno fosse rimasto, che magari Jamie si era trattenuto in ufficio per esaminare meglio il caso.
Pregai in tutti i modi che qualcuno rispondesse agli squilli, ma dopo un po’ persi la speranza.
«Salve!» era la voce di Mr. Abbott.
«Signore, mi dispiace chiamarla a quest’ora, ma è urgent-»
«Avete chiamato lo studio Abbott&Abbott, ma nessuno può rispondere. Lasciate un messaggio dopo il bip.»
Era la segreteria.
Con un tuffo al cuore, chiusi la chiamata e mi lasciai cadere sul letto. Non conoscevo l’indirizzo e non sapevo nemmeno in che zona di Londra abitasse. Non avevo il numero di telefono di James, né il nome o il cognome del cliente.
Come avrei fatto a trovarlo?
Quella notte la passai insonne. Mi rigirai più volte tra le lenzuola, non riuscendo ad impedire al mio cervello di pensare ad un modo per trovare quel dannato indirizzo. Rimasi a fissare il soffitto scuro e muffo per quasi tutta la notte, fin quando il sole non filtrò attraverso le pesanti tende dai motivi damascati.
Posso anche suicidarmi, adesso.
Mi alzai dal letto come uno zombie e mi trascinai fino alla cucina per preparare la macchinetta del caffè. Andai in bagno e l’immagine che mi restituì lo specchio era quella di una ragazza in piena crisi, che in meno di due ore era passata dalla più completa beatitudine ad una vena suicida.
Pensai allo sguardo di Yuki una volta che Mr. Abbott mi avrebbe sollevata dal caso per incompetenza, e m’immaginai gli occhi di James delusi. Gli avevo fatto un giuramento, e senza nemmeno accorgermene l’avevo infranto sin da subito.
«Sono proprio un’incompetente,» bofonchiai tra me e me.
Andai sino al comodino, sorseggiando il caffè bollente dall’unica tazza che mi ero portata da casa, afferrai il cellulare e lo accesi. Ero ancora intenta a maledirmi, quando il bip del messaggio mi sorprese. Pensai immediatamente che si trattasse di Mr. Abbott che mi diceva di fare le valigie e tornarmene a Roma con un volo diretto, invece notai che era di un numero sconosciuto:
 
‘Giorno collega!
Anche se posso sembrare pressante, ti ricordo che ci vediamo alle 9.30 a Piccadilly Circus. L’appartamento del nostro cliente si trova a pochi isolati da lì.
 
James.
 
La colonna sonora della mia vita, con We are the champions in sottofondo, cominciò a risuonare nella mia mente e se avessi avuto James davanti a me in quel momento di euforia, sicuramente lo avrei baciato. Guardai l’orologio con timore, ma erano ancora le 8.00 del mattino e avevo il tempo sufficiente per prepararmi in modo adeguato senza rischiare di sembrare una povera pazza.
Finalmente ero rientrata in carreggiata e potevo sognare ad occhi aperti di far parte dello studio, un giorno. Certo, avrei dovuto fotocopiarmi il foglio con le generalità, ma mi sarei fatta trovare a Piccadilly Circus alle 9.15 per non rischiare alcun ritardo.
In meno di cinque minuti riuscii a finire di prepararmi. Mi pettinai i corti capelli castani, mi passai su viso un velo di trucco, giusto per non sembrare un adolescente in piena tempesta ormonale, visto il mega brufolo sulla fronte che mi era spuntato quella mattina, e indossai il mio miglior tailleur.
Dovevo fare bella figura, sia con il cliente, ma soprattutto con James.
Ti sei presa una bella cotta, eh?
Zitto tu!
Detto ciò, dando una veloce occhiata all’appartamento che sembrava uscito fuori da un catalogo della ‘perfetta mogliettina’, uscii di casa e mi fiondai giù per le scale, attenta a non capitombolare per terra. Infilai una mano in tasca per controllare la Oyster, riposi le chiavi nella valigetta, controllai se c’era il plico con i restanti fogli del caso e salutai Mr. Cabret che ancora dormiva sulla sedia del suo gabbiotto.
Una volta uscita dalla palazzina, inspirai l’aria pungente di prima mattina e puntai lo sguardo verso il cielo plumbeo. Anche se il tempo era titubante e c’era in giro l’odore della pioggia, quella giornata si prospettava come una delle migliori di tutta la mia vita. Mi avviai verso la Tube e come ogni giorno, ripetei la classica routine che mi accompagnava fino in ufficio.
Anche la fermata era sempre la stessa, con l’unica differenza che all’uscita avrei trovato James ad aspettarmi.
Mi domandai se, nel caso ci sarebbero state altre visite al cliente, avrei potuto chiedergli di fare la strada insieme, dal momento che la prima volta che ci eravamo visti, lo avevo incontrato in metro. Attesi la Red Line con questo pensiero fisso nella mente, che mi accompagnò per tutto il viaggio d’andata. Ero euforica, elettrizzata, eccitata all’idea che finalmente avrei potuto mettere in atto tutto ciò per cui avevo studiato così tanto.
Una signora anziana mi si affiancò, così mi alzai per cederle il posto. «Prego.»
«Grazie, bella ragazza,» mi rispose lei sorridendo ed accomodandosi sul divanetto. «Com’è sei tutta raggiante? Stai andando dal fidanzato?» mi domandò curiosa.
A quella domanda normalmente sarei arrossita, oppure avrei cominciato col dirle che una donna in carriera come me non aveva bisogno di un uomo che la mantenesse, invece lì per lì mi uscì fuori un mezzo sorriso ebete.
«Una specie,» commentai, poi la voce metallica della Tube mi avvertì che la mia fermata sarebbe stata la prossima.
Salutai la vecchina e mi avvicinai alle porte scorrevoli, dopodiché, tra spintoni e calca, riuscii a raggiungere la scala mobile e a vedere l’angelo di Piccadilly Circus che svettava verso il cielo plumbeo di quella mattina.
Mi sentii leggera come una piuma e guardando l’orologio, mi accorsi di essere in perfetto orario. Alla fine tutto si era aggiustato, in un modo o nell’altro, e la fortuna era girata dalla mia parte ancora una volta. Mi guardai intorno alla ricerca di un paio di occhi azzurri, anche se ero ben consapevole di essere in netto anticipo, ma dopo un po’ mi sentii chiamare.
«Ehi, collega!»
Mi voltai e incontrai il sorriso a trentadue denti di James che mi accoglieva calorosamente, nonostante la giornata fosse un po’ fredda.
«Ehi!» gli risposi, con lo stesso entusiasmo.
L’occhio mi cadde subito sul suo montgomery nero, a doppio petto, che nascondeva un completo gessato grigio ed una cravatta azzurra, dello stesso colore dei suoi occhi.
Possiamo tornare sulla terra?
Scossi violentemente la testa e mi concentrai. Non c’era tempo per James, ma soltanto per il caso che avremmo dovuto affrontare.
«Pronta?» mi domandò.
Sfoderai un sorriso sghembo e mi portai una ciocca di corti capelli dietro l’orecchio. «Io sono nata pronta.»
James sorrise e mi fece strada, anche se ben presto realizzai di non aver letto nulla del caso. La sera prima ero stata troppo impegnata a cercare quel maledetto foglio per mettermi al corrente del resto, ma per fortuna si trattava più di una visita di cortesia che altro.
Non dovevo preoccuparmi.
L’appartamento effettivamente si trovava a pochi isolati da Piccadilly, nel quartiere di Soho. Camminammo per circa un quarto d’ora, ma alla fine riuscimmo a trovare l’indirizzo.
Anzi, James ci riuscì visto che io non sapevo nemmeno che cognome stessimo cercando.
Ci fermammo di fronte ad una palazzina bianca, con delle colonne ai lati della piccola scalinata. James salì e citofonò, io rimasi più in basso perché non c’era molto spazio per passare.
Il portone scattò senza che nessuno rispondesse, poi entrammo nell’ingresso e attendemmo l’arrivo dell’ascensore.
«È nell’attico,» mi disse James quando fummo dentro, poi spinse l’ultimo pulsante e la macchina si mosse chiudendo le porte in automatico.
Doveva trattarsi di un cliente con un sacco di soldi, finii col pensare. Abbott&Abbott era uno studio rinomato ed era più che logico che i suoi clienti fossero tra i personaggi di spicco della società inglese. Non mi stupii che alla porta ci potesse venire ad aprire un Magistrato, un Ministro o un membro della Curia di Westminster.
La verità era che ero rosa dalla curiosità.
James si fermò di fronte al portone e suonò il campanello, poi mi rivolse uno sguardo ed un sorriso smagliante. «Dai che lo conquisteremo, tigre!»
«Ovvio!» trillai entusiasta.
Fissai lo sguardo sul mogano della porta e mi domandai quanto tempo ci volesse per aprire, dal momento che gli avevamo già citofonato.
Calma, Ven. Non è il momento, né il luogo di andare in escandescenze.
Aspettai qualche altro secondo, cominciando a picchiettare il piede sul pavimento del pianerottolo quando il rumore di una serratura che scattava mi destò dalle maledizioni che stavo per lanciargli.
Chissà chi sarebbe apparso oltre l’anta.
Magari qualche attore di spicco di Hollywood.
«Buongiorno, Mr. Sogno. Siamo i suoi avvocati,» si presentò James ed io sbiancai.
In quell’esatto momento diventai dello stesso colore delle pareti: bianco latte. Appoggiato allo stipite della porta, con i capelli sparati in tutte le direzioni e vestito – se così si poteva dire – solo di un paio di pantaloni del pigiama a livello inguinale c’era niente poco di meno che uno dei miei acerrimi nemici.
«Che cazzo ci fai qui?» mi domandò Simone con la voce ancora impastata dal sonno.
Aveva ragione Celeste quando mi parlava di Karma e roba del genere. Forse c’era una ragione per la quale avevo smarrito il foglio con le generalità del cliente, forse non mi sarei mai dovuta presentare e non avrei mai dovuto accettare il caso.
Certo, ma ormai era troppo tardi.


***

Bene, benino!
Eccoci finalmente nel "vivo" della storia. Abbiamo finalmente dato una sbirciatina al caso che  la nostra Ven dovrà seguire sotto la stretta (:3 molto stretta) supervisione di Jamie però si sa ancora poco o niente. Ma l'evento fondamentale di questo primo capitolo è che finalmente abbiamo capito chi è il famigerato cliente di cui si debbono occupare.
TADAN!
Chi di voi se lo sarebbe mai aspettato? Eh? Eh? Eh?
Insomma non è facile liberarsi di un Sogno, non trovate? xD
Io personalmente adoro Simone, è un tipetto niente male e ho il vago sospetto che darà filo da torcere a quella poveraccia di Ven . (tanta pena per lei).
A questo punto mi metto (letteralmente) nelle vostre mani. Ditemi tutto!
Bacioni e alla prossima!

Ah, se volete ''sclerare'' con me aggiungetevi al gruppo Crudelie si nasce.
   
 
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