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Autore: Sefiriel    05/05/2012    3 recensioni
Una ragazza senza scrupoli, che non sente il grido della propria coscienza.
Un gatto misterioso, che cerca ostinatamente di evitare l'inevitabile.
Una storia sull'ostinazione di una giovane che non comprende il lato benevolo e caritatevole dell'umano, ma ne comprende bene quello oscuro, egoista ed avido.
Genere: Mistero, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Miku Hatsune
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-(Prima di leggere la storia consiglierei, a chiunque ancora non l'abbia fatto, l'ascolto della canzone cui essa è ispirata, che si intitola "Il discorso tra Samsara ed un Gatto" ;D )-

 

Una strada di prima mattina, illuminata dai primi lampioni che cominciavano a spegnersi, e smettevano di accompagnanare la calda luce del sole nascente.

Nulla di strano per i passanti che già su quella via si trovavano, poiché non notarono uno strano particolare. Si trattava di un gatto nero, che stava scrutando ogni singola persona passante, portando con sè un accessorio alquanto strambo per un animale: un ombrello, avvinghiato dalla coda morbida.
Era solo? Si, ma per poco ancora.

La quantità di persone continuava ad aumentare, pian piano affollando la strada.
«Beh, pensavo sarebbe stato più difficile».
Parole sussurrate appena, uscite dalle rosee labbra di una ragazza dai lunghi capelli raccolti in due code, che camminava leggendo la sezione di cronaca nera del giornale odierno: omicidi, stupri, incidenti. Però ella stava leggendo un articolo ben preciso: «"Fratello e sorella trovati morti. Si presuppone un movente passionale. Non vi sono sospetti. La terza sorella ha un alibi inattaccabile"... tutto è bene quel che finisce bene!». Un cinico ghigno si disegnò sulla bocca della ragazza, mentre richiudeva il giornale, andando ad osservare le vetrine della via.

D'un tratto però, come guidata da quacosa, si ritrovò sotto uno dei tanti alberi che contornavano il marciapiede ai lati della strada, e la sua attenzione venne attratta da quello che tutti gli altri umani sembravano non notare.
«Signorina, aspetti e si fermi un attimo. Che ne dice di fare una passeggiata con me?». Parole uscite dal musetto proprio dell'animale che aveva magnetizzato gli occhi della giovane.
Non sapeva perché, ma il fatto stesso che il gatto parlasse non le sembrò molto strano: «Certo, non vedo perché non dovrei, caro».

I due allora si avviarono, camminando pian piano sotto la fila di alberi: «Come mai porti un ombrello? Oggi non ci sono nuvole». Al che il gatto rispose, con una voce labile ma decisa: «Non interessarti di ciò. Che ne dici, invece, di parlare di vecchie storie d'amore?».
La giovane, che prima guardava dritta davanti a sè mentre camminava, abbassò un attimo lo sguardo per osservare il gatto, che, camminando con l'elegante portamento comune a tutti i felini, teneva ancora l'ombrello avvinghiato con la coda, mantenendolo sollevato. Non sapeva se ritenere più strano quello, il fatto che parlasse, od il fatto che nessun altro oltre a lei sembrava vederlo.

«Non penso nessuno ti crederebbe», disse gelida.
«Una volta c'erano un corvo ed un coniglio. Si amavano alla follia, ma il loro amore era ovviamente impossibile», proferì il gatto, impassibile, perseverando a camminare, come se nulla potesse disturbare la sua apatia.
Ella scoppiò in una gran risata: «Ahah, che pena! Gli amori impossibili dovrebbero rimanere tali! L'avrò ripetuto mille volte a due certe persone. Se mi fossero state a sentire sicuramente avrebbero vissuto meglio. E soprattutto avrebbero vissuto».
«Eppure i due animali non accettarono i vincoli tirannici imposti dalla natura: gettarono via i loro corpi, e lo fecero insieme. Parimenti, ora assieme saranno accolti nel mondo degli spiriti, dove godranno di pace eterna, condividendo il loro amore».
La ragazza non fece in tempo a replicare, perché il gatto scartò via dall'albero sotto il quale erano arrivati. Ella però non lo voleva lasciar scappare, e quindi lo rincorse. Dopo aver sorpassato altri quattro di quei dolci ciliegi, raggiunse il gatto, che si era finalmente accocolato quasi alla fine del viale.

Non fece in tempo a fermarsi che ecco: dalla via centrale un camion sbandò, finendo proprio contro l'albero sotto il quale la ragazza si sarebbe trovata qualora non si fosse messa a correre dietro al gatto. Il mezzo sradicò la piante e finì dritto contro il muro.
La giovane si voltò immediatamente a guardare la scena, molto stupefatta.
Quando si girò, il gatto non v'era più. Nessuna traccia nemmeno del suo strano ombrello. «Eheh, ma che curiosa coincidenza», sussurrò tra sé.
 

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Una strada di primo pomeriggio, illuminata dal caldo sole alto in cielo, che sembrava all'apice della sua gloria, come mai lo era stato.

Nulla di strano per i passanti che su quella via si trovavano, poiché non notarono uno strano particolare. Si trattava di un gatto nero, che stava scrutando ogni singola persona passante, portando con sè un accessorio alquanto strambo per un animale: un ombrello, avvinghiato dalla coda morbida.
Era solo? Si, ma per poco ancora.

La ragazza oggi indossava un abito molto elegante, ed osservava ogni vetrina di abbigliamento davanti alla quale passava, distogliendo ogni volta gli occhi dalla rivista che aveva tra le mani, mentre camminava sul marciapiede ai lati di una strada non molto trafficata.
«Oh, se non sbaglio sono passati due anni dall'ultima volta che sono stata qui!». Si: guardandosi attorno aveva riconosciuto quella via. Si mise il giornale sotto il braccio, lasciandolo piegato in modo che fosse ancora visibile il titolo in prima pagina: "Plurimilionario trovato morto. Escluso il movento passionale di un eventuale omicidio. Si sospetta il suicidio, visto che la moglie è appena stata scagionata da tutte le accuse".
«Beh, direi che ora posso comprare molte più cose di quando venni l'ultima volta davanti a queste vetrine!». Una sonora risata uscì dalle corde vocali della giovane, che chiuse gli occhi come a godere di una libertà da qualche tempo dimenticata.

D'un tratto però, come guidata da quacosa, si ritrovò sotto uno dei tanti alberi che contornavano il marciapiede ai lati della strada, e la sua attenzione venne attratta da quello che tutti gli altri umani sembravano non notare.
«Oh, salve, signorina di tanto tempo fa. Che ne dice di fare un'altra passeggiata?».
Stavolta, però, la ragazza non si sorprese: «Beh, guarda chi si rivede! Ancora con quello stupido ombrello?».

I due si avviarono nuovamente, come tanto tempo fa. L'aria stavolta era più calda, ma al gatto non sembrò importare nulla, sicché incedeva elegante e misterioso come l'ultima volta. «Oggi quell'ombrello è decisamente fuori luogo: non ci sono nuvole ed il clima non fa presagire piogge». «Non interessarti di ciò. Che ne dici, invece, di parlare di una Brutta Farfalla che svolazzava nell'egoismo più sfrenato?».
Un sorriso si fece ben evidente sulle labbra della giovane. «Sembra tu non sia mai a corto di storie: sentiamo!»

«Questa orrenda farfalla, trascurata dal suo amante, finì per divorarlo. Ma non si rese conto che così aveva solo alimentato le fiamme future che l'avrebbero consumata. Non aveva capito infatti che l'amore non si quantifica in denaro, bensì in affetto, in dolci gesti, in momenti di intimità e gioia condivisa. Era una farfalla avida, invidiosa ed egoista». Il felino ancheggiava sinuoso, imperturbabile, solenne.
La ragazza sogghignò: «Che storia divertente! Fatto sta che l'umano non è fatto per amare: è fatto per soddisfare i propri desideri, per lasciasri andare al calore di un vestito costoso, per abbandonarsi ai piaceri più sfrenati. Che nessuno venga a farmi la predica!».
Il gatto non replicò. Erano arrivati ad un attraversamento pedonale, ma, quando la luce del semaforo segnalò il permesso di passare, la ragazza si fermò. Lo fece perché il gatto, sempre tenendo ben stretto l'ombrello con la coda, si era messo a lucidarsi il pelo. «Oh, lo vedi? Anche i gatti non sono immuni dalla vanità!».

Fece appena in tempo a finire la frase che un grande scoppio attirò la sua attenzione: un tombino era esploso, lanciando in aria il cerchio di ferro che lo attappava. La ragazza anche stavolta si meravigliò molto, poiché il tombino era esploso proprio sotto al punto in cui probabilmente si sarebbe trovata lei qualora avesse attraversato senza aspettare il gatto.
Quando si girò, il gatto non v'era più. Nessuna traccia nemmeno del suo strano ombrello. «Eheh, ma che curiosa coincidenza», sussurrò tra sé.
 

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Una strada al crepuscolo, non illuminata dal sole morente, coperto da delle nuvole che forse preannunciavano pioggia.

«Questa è l'ultima volta che passo qui. Ritiro i soldi dalla banca e me ne vado, sicuramente troverò qualche idiota da far cadere nella mia prossima trappola».

La ragazza quel giorno era spensierata come al solito, ed ignorava come le altre volte tutti i pesi che gravavano sulla sua coscienza. L'episodio del tombino di un anno prima, accaduto proprio nella via nella quale anche quel giorno stava camminando, forse non le aveva insegnato molto.

Mentre camminava sotto uno dei tanti alberi, non notò il gatto: fu lui, stavolta, a richiamare la sua attenzione.
«Signorina, questa è l'ultima volta che ci vediamo».
Ormai la giovane c'era praticamene abituata, sicchè si fermò e non si voltò, limitandosi semplicemente ad inarcare le labbra in un sorriso un po' rassegnato, come a dire "Ma che vuole questo animale?".
Il felino non attese risposta: «Di notte o di giorno, ai vecchi o ai giovani, ai ricchi o ai poveri, fa visita. Tutti insieme, essi vanno nel mondo degli spiriti. Ma non a tutti è data la stessa sorte».
Ella indi disse, senza voltarsi: «Non vedo dove tu voglia arrivare. Le tue storie sono sempre troppo strane».

Pochi attimi dopo decise di voltarsi, però quando lo fece non riuscì a vedere in nessuna direzione il gatto, che, infatti, non stava più lì. Solamente l'ombrello si trovava nel punto da cui la ragazza aveva sentito provenire la voce.
Indi si voltò nuovamente, sollevando poi gli occhi al cielo: «Che misteriosa storia.... mi domando se oggi pioverà». E se ne andò, senza raccogliere l'ombrello.

 

«La tegola dovrebbe cadere proprio quando starà per entrare, mentre correrà a causa della pioggia».
Lo sguardo del gatto perso nel vuoto era uno spettacolo toccante persino per "lei". Se avessero potuto, forse entrambi avrebbero pianto.
«Non ha accettato il mio ultimo ombrello, e per ben tre volte non mi ha compreso... ». L'animale proferì tali parole con un tono che nascondeva un dolore caritatevole che forse pochi umani avrebbero compreso, mentre se ne stava elegantemente seduto sul tetto di un palazzo ai piedi del quale vi era una banca. Accanto a lui, una signora vestita di bianco, con il volto coperto da un velo rosso cucito ad un cappello nero, che accarezzava il felino sotto la pioggia incessante. «Hai fatto il possibile, non biasimarti. Alcuni umani sono irrecuperabili. Non è la prima volta, d'altronde. No?».

Una folata di vento, ed il gatto si ritrovò da solo.
Un miagolìo echeggiò.
Fu un suono lugubre ed acuto, che probabilmente non giunse fino all'orecchio della figura che, proprio lì sotto, stava per entrare di fretta nell'edificio.
«Ora, il resto sta a te. Salda il suo conto..

«...Samsara».

   
 
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