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Autore: Evazick    05/05/2012    3 recensioni
Voleva urlare, spalancare la bocca per prendere aria, ma non ce la faceva. Li sentì raggiungere i suoi occhi e entrare nella sua testa, attraversare la sua pelle come se fosse aria per raggiungere le parti più nascoste di sé stessa, e lei rimase completamente immobile, paralizzata e senza poter far nulla per fermare quell’incubo. La parte peggiore, pensò quando divenne cieca e non riuscì più a sentire il crepitio dell’incendio, era sapere che nessuno l’avrebbe salvata.
Da qualche parte in lontananza, un corvo gracchiò.

*
Inghilterra, 1889. Pomeriggio del 13 aprile. In un bosco poco fuori Londra, una ragazza si risveglia. Non ricorda nulla di se stessa, e l’unica cosa che ha con sè è la collana che porta al collo. Vagando in cerca di un indizio sulla sua identità si rifugerà in una villa signorile, dove verrà accolta da uno spaventoso maggiordomo e da un ragazzo sfuggente e arrogante. La ragazza non sa di essere finita all’interno di una trappola tesa da un pericoloso e demoniaco ragno, e si ritroverà inconsapevolmente a far parte di un gioco che metterà in pericolo la sua stessa vita.  
Genere: Introspettivo, Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alois Trancy, Claude Faustas, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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X. Quel qualcuno che non vorresti rivedere mai più.
 

 
Mi chiamo Lena, e l’unico nome che sento mio è l’unico che non avrò mai.
Alzò la penna dal foglio su cui stava scrivendo e osservò a lungo quella frase. L’inchiostro era nero come il cielo fuori dalla stanza e non si era ancora asciutto, e quelle parole le risuonavano nella testa mentre lei sorrideva amaramente alla luce del candelabro davanti a lei. Intinse la penna nel calamaio e rifletté per un attimo prima di iniziare di nuovo a buttare giù i suoi pensieri.
È stata una fortuna aver trovato questo quaderno e tutto il resto in uno dei cassetti della stanza qui accanto. La mia testa non ce la fa più a contenere tutte le mie domande e quello che ho visto in questi giorni, e scoppierà da un momento all’altro se non trascrivo tutto qui sopra. Ci sono così tante cose che dovrei dire, così tante cose che dovrei appuntare per non dimenticarle – bella battuta, Lena, come no – ma devo procedere con calma se non voglio confondermi.
Devo partire dall’inizio, come ogni storia che si deve.
Qual è il mio vero nome? Non ne ho idea. Quanti anni ho? Quattordici o quindici, secondo una vecchia puttana di Londra. Mi sono risvegliata otto giorni fa in un bosco, senza più memoria e con una collana con una pietra blu su cui è incisa la lettera L come unico indizio sulla mia vera identità. Sono entrata a Londra come, bè, merce di Andrè, tale francese aiutante – no, servo di Lady Nancy, padrona di un bordello di periferia. Voleva farmi lavorare per lei, ma sono riuscita a scappare dalla città e ho trovato rifugio in questa villa. Forse mi cercano ancora, o forse no: so solo che gli incubi su quella notte di fuga mi continuano a perseguitare.
Se sono caduta dalla padella alla brace? Chi può dirlo. Il mio salvatore è il mio personale carceriere, gioca con me e i miei sentimenti come se non fossi altro che un pupazzo. Un momento è gentile con me e quello dopo mi ferisce e fa riaffiorare ricordi che voglio nascondere per sempre. Ma non posso andarmene da qui, no, sarebbe avventato e non avrei altro posto dove andare. E poi, per quanto strano e assurdo possa suonare, Alois è l’unica persona di cui mi possa fidare. È l’unico amico che ho. Ma probabilmente il suo maggiordomo preferirebbe farmi a pezzi e farmi sparire nel nulla piuttosto che continuare a vedermi qui.
Per non parlare del fatto che ci sono altre persone che vogliono uccidermi. Mi seguono fin dalla notte della mia fuga – sempre che si conoscano tra di loro, ma credo di sì – e finora hanno provato a farmi fuori con una specie di lancia e con un’altra cosa troppo complicata per poter essere spiegata senza l’aiuto di un disegno. Dicono di conoscermi, di volermi riportare a casa, ma posso fidarmi di loro? Perché tutti sanno chi sono io, tranne io stessa? E se mi conoscono così bene, perché cercano di ammazzarmi ogni volta che mi vedono?
A proposito di morire. L’unica cosa che riesco a ricordare del mio passato è la morte di mio fratello, sempre che quel bambino lo fosse. Non ho più avuto una visione del genere da ieri sera, ma questa mi è rimasta così impressa nella mente che ogni volta che chiudo gli occhi mi sembra di rivivere la scena e di sentire ancora le mie urla e quel tonfo che svanisce nell’oscurità. Mi sento responsabile di quello che è successo, ma non sono una persona cattiva, perché avrei dovuto far del male a un bambino, specialmente a mio fratello? Come posso essere diventata in così poco tempo un’altra persona rispetto a quella che ero? Cosa vuole Alois da me, cos’ho io che a lui manca? Perché non mi parla mai del suo passato e della sua famiglia? Cos’è successo a suo fratello, e perché quando me ne ha parlato ha cambiato improvvisamente umore? Perché se n’è andato quando ho voluto saperne di più? Cosa mi nasconde?
Da dove diavolo sono spuntata fuori insieme alle mie domande infinite? Dal cielo sopra di noi o dall’Inferno di fuoco dei demoni e degli spiriti?
Smise di scrivere con foga non appena ebbe terminato di disegnare l’ultimo punto interrogativo. Aveva impugnato la penna con così tanta forza che il polso le faceva male, ed aveva scritto così in fretta che la sua calligrafia si era storta sempre di più, arrivando quasi allo stesso piano delle righe del foglio nelle ultime frasi. Appoggiò la penna sul tavolo continuando ad osservare le sue parole e domandandosi per l’ennesima volta per quale strano motivo, nonostante la sua amnesia, sapesse ancora leggere e scrivere. Scrollò le spalle, accantonando la domanda in un angolo del suo cervello: era un mistero minore in confronto a tutti gli altri, come dimostravano le frasi scritte sul quaderno. Non si sentiva affatto più leggera e liberata da un peso, ma trovarsi faccia a faccia con le sue domande in concreto era tutta un’altra cosa rispetto a quando doveva affrontarle nei luoghi più oscuri della sua testa; era come trovarsi davanti a un nemico degno di sé stessa, qualcuno con cui poteva battersi senza temere di perdere o soccombere.
Bussarono alla porta della camera mentre Lena chiudeva il quaderno dopo aver controllato che l’inchiostro si fosse asciutto. Si alzò dalla sedia mentre Hannah entrava per aiutarla a prepararsi per la notte e non proferì parola per tutto il tempo in cui la donna fu dentro la stanza, mormorando un flebile ‘Buonanotte’ mentre se ne andava. Il pensiero di aver finalmente trovato qualcosa con cui poter sfogarsi liberamente le dava un’enorme sensazione di felicità, e ancora non immaginava che negli anni a venire la scrittura sarebbe stata la sua unica compagna di vita ed amica. La solitudine l’attendeva dietro l’angolo, aspettando con ansia il momento in cui la ragazza si sarebbe svegliata dal suo sogno per scoprire di essere finita in un atroce e tremendo incubo.
 

 

***

 
Non fu una voce che la chiamava a svegliarla la mattina dopo, e nemmeno un raggio di sole che filtrava tra le tende. Lena rimase ancora a lungo nel dormiveglia, con un piede nel mondo nei sogni e uno nella realtà, prima di accorgersi dei rumori attorno a lei, come se qualcuno stesse facendo qualcosa nella stanza e cercasse senza riuscirci di non svegliarla. Gemette, infastidita da quel brandello di sogno che le sembrava maledettamente reale, e si voltò sull’altro fianco sotto le coperte, tirandosi le lenzuola fino agli occhi per cercare di dormire ancora un po’.
“Mi chiamo Lena, e l’unico nome che sento mio è l’unico che non avrò mai.”
Furono le stesse parole che aveva scritto la sera prima a svegliarla del tutto, e uscì dal sudario delle coperte per inginocchiarsi sul letto con una velocità impensabile per una persona appena sveglia. Guardò ad occhi sgranati un Alois in camicia da notte intento a leggere dal quaderno che aveva trovato da poco, e il sangue nelle sue vene si gelò non appena si ricordò cos’aveva scritto nelle prime righe del suo sfogo notturno. Il ragazzo alzò il suo sguardo verso di lei, che stringeva le coperte nei suoi pugni, e le sorrise per un istante prima di tornare a leggere a voce più bassa, come se non volesse farsi sentire. “‘È stata una fortuna aver trovato questo quaderno e tutto il resto in uno dei cassetti della stanza qui accanto. La mia testa non ce la fa più a contenere tutte le mie domande e quello che ho visto in questi giorni, e scoppierà da un momento all’altro se non trascrivo tutto qui sopra. Ci sono così tante cose che dovrei dire, così tante cose che dovrei appuntare per non dimenticarle…’” Mentre leggeva, il suo sorriso era ancora sulle sue labbra, come se tutta la faccenda fosse molto divertente per lui.
I pugni di Lena ebbero uno spasmo di rabbia e afferrarono con ancora più forza le lenzuola stropicciate. Quel quaderno era il luogo in cui aveva e avrebbe riversato i suoi pensieri più confusi, ed era stato scoperto prima ancora che potesse iniziare a considerarlo suo, un segreto di cui lei sarebbe stata l’unica custode. Le avevano tolto tutto, il passato, la dignità, la famiglia, non si sarebbe lasciata portare via l’altra unica cosa oltre alla sua collana che era preziosa per lei. Allungò una mano verso Alois proprio come aveva fatto il giorno del suo arrivo, ma adesso non c’era disperazione in quel gesto, solo semplice e pura rabbia da animale in gabbia. “Dammelo, Alois,” gli sibilò con gli occhi che mandavano lampi e scintillavano come fuochi verdi.
Il ragazzo interruppe la sua lettura e la guardò di nuovo, stavolta sorridendo più ampiamente. “Ma dai, proprio adesso che le cose si stavano facendo interessanti.”
In seguito Lena avrebbe avuto solo un vago ricordo del modo in cui lei e il biondo erano finiti distesi sul pavimento: si sarebbe ricordata di essergli saltata addosso in preda alla rabbia e dei suoi occhi azzurri che la guardavano preoccupati e forse impauriti. Fatto sta che, pochi secondi dopo, lui lasciò andare il quaderno, facendolo cascare poco più in là sul pavimento, e si ritrovò a fronteggiare quella strana ragazzina che lo sovrastava e lo colpiva alla cieca, senza sapere bene cosa fare se non sfogare la sua rabbia. Era facile per lui tenerla a bada – non era così forte da sopraffarlo – ma la sua ira era incontrollabile, spinta dalla sensazione di essere stata derubata ancora una volta e dalla vergogna per essere stata così stupida da scrivere la sua storia su un pezzo di carta, dove chiunque avrebbe potuto leggerla; colpendo Alois voleva in realtà punire sé stessa e la sua stupidità in un modo così duro e drastico che non aveva mai usato prima d’ora. Tuttavia, quando ferì con un’unghia il dito su cui il ragazzo portava l’anello qualcosa scattò dentro di lei e le fiamme nei suoi occhi si spensero, lasciando spazio alla sorpresa e all’imbarazzo. Scese dal corpo del biondo ad occhi sgranati, e lo osservò mettersi di nuovo a sedere ed osservare il suo graffio con curiosità. Si preparò a uno dei suoi scoppi d’ira, ma rimase sorpresa quando lui le rivolse solo un sorriso cattivo. “Era ora. Mi chiedevo quando saresti arrivata a questo punto.”
Non sapeva se fingesse o facesse sul serio, ma decise che in fondo non le importava saperlo. Quello che le interessava davvero era ben altra cosa. “Cos’hai letto sul mio quaderno?” gli chiese con voce flebile e ansimante, temendo la risposta.
“Poco. Sono arrivato solo al punto in cui scopro che mi hai mentito su quello che ti è successo prima di arrivare qui.” Sorrise soddisfatto nel vedere l’espressione scioccata e impaurita di lei. “Non ti caccerò via dalla villa per questo, stai tranquilla. Chi sono io per dirtelo, dopo tutte le bugie che ho detto?” La sua voce era calma, ma la luce nei suoi occhi sembrava indemoniata e diceva a Lena che questo non doveva farla sentire al sicuro, che ci sarebbero state sorprese poco piacevoli in futuro per il suo comportamento. Nonostante quello sguardo tutt’altro che rassicurante la ragazza tirò un sospiro di sollievo: Alois non aveva letto la parte successiva alla sua storia, e non poteva essere che un bene. Non osava nemmeno immaginare la reazione che avrebbe potuto innescare quello che aveva scritto su di lui.
Il biondo si stirò le braccia, chiudendo per un attimo gli occhi, poi si alzò in piedi e si diresse verso la porta, probabilmente per tornare in camera sua. Non degnò la sua ospite di uno sguardo ma, non appena arrivò alla porta, qualcosa gli attraversò la mente e lo fece voltare verso di lei con la stessa luce e lo stesso sorriso che l’avevano sempre spaventata. Evidentemente aveva trovato il modo in cui punirla. “Mi sono quasi scordato di dirti che mi hanno invitato a una festa che si terrà stasera a Londra. Sarebbe poco carino da parte mia lasciarti da sola alla villa, no?”
Le bastò sentire il nome della città per riportare alla mente i ricordi di quell’infinita notte di fuga. Sentì ancora una volta il suo respiro affannato, vide i suoi piedi nudi che correvano sulla strada sporca e le ombre che circondavano ogni cosa. Fece per alzarsi in piedi, ma qualcosa le diceva che le sue gambe non l’avrebbero sostenuta e decise di rimanere seduta sul pavimento mentre continuava a fissare il ragazzo ad occhi sbarrati. Deglutì. “Londra?”
Fece un cenno col capo. “Londra.”
“Io…” Fece una pausa. “Io non posso venire, Alois, e se adesso conosci la mia storia dovresti saperlo.”
Rise cattivo. “Credo che tu possa gestire una situazione del genere. Dov’è finita la grinta che avevi fino a poco fa?” le chiese ironico. Prima che Lena potesse replicare se n’era già andato, lasciandola da sola. Lei rimase per qualche minuto immobile, provando ad assimilare la notizia che aveva appena ricevuto, poi, non appena fu in grado di muoversi di nuovo, gattonò sul pavimento e riprese tra le sue mani il quaderno stropicciato. Lo sfogliò velocemente per controllare i danni, poi si avvicinò al letto e lo nascose sotto il materasso; forse avrebbero scoperto quel nascondiglio quasi subito, ma non poteva permettersi di lasciare in giro i suoi segreti come aveva fatto quella notte. Riuscì a mettersi a sedere sul bordo del letto e si mise le mani tra i capelli, disperata. Una parte di sé stessa provò a convincerla che quella sera non avrebbe incontrato Andrè o Lady Nancy alla festa, cosa avevano loro da spartire con un gruppo di nobili?, ma un’altra le gridava che invece li avrebbe visti entrambi e che l’avrebbero riconosciuta perfino tra altre mille persone. Avrebbe voluto appallottolarsi su sé stessa come una bambina e scoppiare a piangere, ma sapeva che non sarebbero servito a nulla: il mondo non si sarebbe certo commosso per le lacrime di una piccola smemorata.
 

 

***

 
Alois sospirò e tolse un filo di stoffa dalla manica del cappotto per poi lasciarlo cadere sul pavimento della carrozza. “Non vengo molto spesso a Londra, è troppo caotica e piena di persone per i miei gusti. Ma ogni tanto fa bene distrarsi per una sera, no?” Diede un buffetto sulla guancia non ferita di Lena, che si limitò ad annuire mentre guardava fuori dal finestrino. Ogni casa della periferia le era familiare, ogni strada che percorrevano per arrivare nel centro della città le sembrava una di quelle che aveva percorso giorni prima, in un tempo così lontano e allo stesso tempo così vicino. Quando gli edifici iniziarono a farsi più lussuosi e le strade più illuminate si sentì sollevata, ma la sua paura più grande l’attendeva alla loro meta, in attesa di essere confermata o meno.
Arrivarono a una town house non molto lontana da Piccadilly Circus e si fermarono davanti al cancello spalancato insieme ad altre due carrozze. Lena osservò le persone che scendevano da esse e si sentì improvvisamente a disagio e inadeguata in quella situazione, con il suo carattere non meno instabile di quello del ragazzo insieme a lei e quella benda che le copriva buona parte della guancia destra. Sarebbe rimasta volentieri dentro la vettura per il resto della serata, ma non appena Alois scese il pensiero che sarebbe stata costretta a rimanere da sola con Claude la spinse di corsa a raggiungere il biondo. Lui l’aspettava proprio in fondo agli scalini della carrozza e aveva una mano tesa verso di lei. Sorrise, e non c’era alcuna trappola in quel sorriso. “Vogliamo andare?”
Esitò un istante, poi abbozzò un sorriso e afferrò la sua mano, lasciandosi aiutare a scendere dalla vettura. Lo sportello alle sue spalle si chiuse dopo poco e la carrozza se ne andò, portando via con sé il maggiordomo e dandole una sensazione ineguagliabile di sollievo. Il ragazzo le offrì un braccio ed entrambi si diressero a braccetto verso l’edificio; Lena si sentiva in imbarazzo a stare così vicina ad Alois, ma era bello sapere di avere un’ancora in mezzo a quel mare di facce sconosciute e voci stridule. Si sentiva così al sicuro da tutti quegli sguardi indiscreti che la scrutavano e quelle voci che sussurravano cose sul suo conto che, una volta arrivati dentro l’atrio, le dispiacque staccarsi dal biondo per consegnare i loro cappotti al maggiordomo accanto a loro. Aveva due normalissimi occhi castani e un sorriso amichevole che – Per fortuna, pensò la ragazza – non assomigliavano per niente agli occhi dorati e all’espressione impassibile e inquietante di Claude. Lei gli rivolse un sorriso timido e fece per rivolgergli la parola, ma Alois la afferrò gentilmente per la mano e la condusse lontano dall’atrio per dirigersi verso il salone in cui si svolgeva la vera festa. Non passavano certo inosservati, vestiti entrambi di un rosso brillante che il ragazzo aveva scelto di persona, e sembrava che buona parte delle persone osservasse in modo ostentatamente il giovane conte e la nuova arrivata. Lui non se ne curò e aiutò Lena ad arrivare sana e salva nel salone, grande la metà della sala da pranzo alla villa. La ragazza si diede una veloce occhiata intorno, preoccupata, ma a prima vista non vide nessuno di familiare. Il suo cuore si mise per un attimo in pace, ma poi il suo sguardo incontrò quello di quattro ragazze che avevano più o meno la sua età e che la stavano osservando in modo per niente discreto. Riconobbe con sorpresa due di loro: erano le stesse che aveva incontrato quando era giunta a Londra la prima volta, quelle che avevano degnato a malapena di uno sguardo quella ragazzina dagli occhi verdi e con una camicia troppo grande per lei prima di andarsene. Non l’avrebbero riconosciuta – era così cambiata da quel giorno! – ma notò che una delle altre ragazze stava tracciando col proprio dito una linea sulla sua guancia mentre parlava, facendo ridere tutte le altre. Si irrigidì per un attimo, cercando di trattenere la sua rabbia.
“Va tutto bene?” le chiese Alois, vedendola così vicina ad esplodere.
Deglutì. “Alla perfezione.” Eppure non riusciva a distogliere il suo sguardo dalle quattro ragazze, che adesso ricambiavano l’occhiata con aria di sfida per vedere di che pasta fosse fatta la nuova arrivata con quella collana che luccicava con forza e quella benda bianca che le copriva parte della guancia.
Il ragazzo guardò in quella stessa direzione senza farsi vedere da Lena e annuì tra sé e sé, sorridendo soddisfatto quando le ragazzine lo guardarono in un modo malizioso che lo incitava ad approfittarsi di loro. Mentre l’orchestra iniziava a suonare e le persone prendevano posto per iniziare a ballare, Alois condusse la ragazza verso la parete più vicina e la fece sedere su una sedia. “Mettiti qui prima che qualcuno ti investi mentre balla. Torno a riprenderti tra poco, va bene?” Le sorrise e, prima che lei potesse replicare, si immerse nella folla di persone, lasciandosene inghiottire come un naufrago tra le onde del mare.
Ma dove va? pensò con curiosità e un pizzico di tristezza per essere stata abbandonata in quel modo. Allungò il collo in tutte le direzioni per cercare di ritrovarlo, ma lui sembrava essere scomparso nel nulla. A un certo punto ci rinunciò e si mise a guardare ammirata le coppie che ballavano nella sala: sembravano così leggere mentre si muovevano seguendo il ritmo della musica, come se non avessero problemi a cui pensare, come se la loro vita fosse sempre così, una notte infinita di chiacchiere e balli. Sorrise malinconica, ma il sorriso le sparì dal volto non appena una breccia nella folla le mostrò uno spettacolo che non avrebbe mai voluto vedere: vicino alla parete alla sua sinistra c’erano Alois e le quattro ragazze che avevano riso della sua benda, e lui stava chiacchierando amabilmente con loro come se le conoscesse da sempre. Una di loro, una rossa con due sfavillanti occhi azzurri, scoppiò a ridere di gusto, spezzando qualcosa dentro Lena. Lei non ebbe nemmeno la forza di arrabbiarsi quando il ragazzo prese per mano la rossa e la trascinò in mezzo al salone con la stessa allegria che aveva quando trascinava lei: qualcosa le diceva che era giusto così, che si divertisse con persone più normali e nobili di lei che probabilmente un giorno avrebbe sposato, mentre lei sarebbe scomparsa dalla sua memoria, un fiocco di neve in mezzo alla tormenta dei ricordi. Non era gelosa, non era invidiosa, non provava niente: solo, il pensiero che un giorno sarebbe stata dimenticata l’aveva colpita con forza. Sapeva che lei non sarebbe mai riuscita a scordare Alois, che l’aveva salvata e trattata bene nonostante il suo carattere lunatico, e faceva male sapere che in futuro non sarebbe stata più niente per lui. Guardava la coppia ballare e il ragazzo avvicinare la bocca all’orecchio della sua compagna per sussurrarle qualcosa, e dentro di lei il suo cuore si incrinava sempre di più come se fosse fatto di cristallo.
“Vi sentite bene?”
La voce alla sua destra la riscosse dai suoi pensieri e le fece distogliere lo sguardo dalla coppia felice, perdendosi la vista dell’espressione adesso inorridita della rossa. Accanto a lei c’era un ragazzo poco più grande di lei che la guardava preoccupato con due grandi occhi color del miele. Era vestito elegantemente, e i capelli corvini gli ricadevano in ciocche morbide simili a piume sulla fronte. Lo squadrò sbigottita. “State parlando con me?”
Rise calorosamente. “Bè, non ci sono molte altre ragazze come voi nei paraggi, no? Io sono Michael Keel, figlio del padrone di casa,” si presentò con un breve inchino. I suoi occhi sfavillavano come due soli. “Cosa ci fa una ragazza come voi tutta sola in un angolo mentre gli altri stanno ballando?”
“Ecco…” Esitò un attimo. “Diciamo che il mio accompagnatore mi ha momentaneamente abbandonata.”
“E chi sarebbe questa persona così poco gentile?”
“Alois Trancy.”
Lo sguardo del giovane Keel cambiò, trasformandosi in quello di una persona che la sa lunga. Diede una veloce occhiata alla pista da ballo, individuando il ragazzo che cercava, poi riportò il suo sguardo sulla nuova ragazza dagli occhi verdi. “Aah, il conte Trancy.” Sorrise imbarazzato. “Dicono che sia un tremendo dongiovanni, ma non vedo perché dovrebbe lasciare una persona come voi in un angolo mentre si diverte.”
Ci sta provando con me? Represse l’imbarazzo e le risa e mise le mani avanti. “Non preoccupatevi, sono sicura che tornerà tra poco. Di solito è molto gentile con me.”
“Sembra che lo conosciate da molto tempo.”
Circa dieci giorni. “Abbastanza per sapere in anticipo quello che farà.”
Rise di nuovo. “Risposta arguta, signorina…?”
“Lena. Solo Lena.”
Sorrise. “Signorina Lena, non dubito che conosciate il conte Trancy come le vostre tasche, ma non ha senso sprecare il vostro tempo ad aspettarlo qui e a guardarlo mentre si diverte quando potreste divertirvi voi stessa.” Tese una mano verso di lei continuando a sorridere. “Mi concedete l’onore di questo ballo?”
In che diavolo di situazione mi sono cacciata?! Deglutì prima di replicare: “È molto gentile da parte vostra, Lord Keel, ma non penso che sia la cosa più giusta da…”
“Insisto.” Le afferrò la mano con forza e la costrinse ad alzarsi in piedi. “Siete una persona così sfuggente, Lena, così diversa dalle altre ragazze a questo noiosissimo ballo. Potremmo conoscerci meglio mentre balliamo, non credete?” le sussurrò a voce bassissima.
Non credo sia un’ottima idea era quello che voleva dirgli, ma in quel momento qualcuno picchiettò sulla spalla del giovane Keel. Il ragazzo si voltò, pronto a fare una sfuriata a chiunque avesse interrotto la sua conversazione, ma si gelò non appena vide due occhi azzurri fissarlo calmi da sotto una ciocca di capelli biondi. Lasciò andare il polso della ragazza e sorrise imbarazzato. “Ah, conte Trancy. Io e la signorina Lena stavamo giusto parlando di voi.”
“Ma guarda. E io che pensavo che voi la steste corteggiando,” replicò l’altro con un sorriso cattivo.
Le guance del giovane Lord si infiammarono e lui cercò di riprendere il controllo di sé stesso. “La stavo solo invitando a ballare, visto che voi preferite intrattenervi con altre ragazze.”
Alois rimase un attimo in silenzio, poi disse: “Sbaglio o voi avete una fidanzata, Lord Keel? Non credo che sarebbe contenta di sapere che avete chiesto a un’altra ragazza di ballare, così come vostro padre non sarebbe fiero di voi se sapesse dei vostri piccoli, come dire… ‘vizietti’.” Il suo sorriso si allargò. “A voi piacciono le donne mature, non è vero?”
Il giovane si ritrovò completamente spiazzato e con un’espressione sbigottita in faccia che Lena trovò incredibilmente divertente. Il biondo la afferrò gentilmente per la mano e prima di trascinarla verso il centro del salone mormorò ancora all’altro: “C’è un motivo per cui mi chiamano il Ragno della Regina, Lord Keel. Potrei raccontarvi i più infidi segreti di ogni singola persona presente in questa stanza, persino dei vostri genitori e dei vostri amici più fidati. Prendetevela con qualcuno della vostra taglia la prossima volta che vi sentite in vena di litigare.” Detto questo se ne andò insieme alla sua ospite, lasciando da solo un Michael Keel alquanto sbigottito. Non appena furono abbastanza lontani si voltò verso la ragazza e le sorrise calmo. “Non devo mai perderti di vista, a quanto pare. Ti lascio da sola per poco e ti ritrovo appiccicato addosso il primo Lord che passa da quelle parti.”
Fece una smorfia, evitando di ricordargli che era tutta colpa sua, poi mormorò un flebile: “Grazie.”
“Grazie?” Si fermò bruscamente nel centro del salone in mezzo alle coppie che ballavano e le afferrò il viso con entrambe le mani, costringendola a guardarlo negli occhi. “Non devi ringraziarmi per questo, Lena. Tu sei solo mia, sono io che ti ho salvato la vita, nessun’altro può pretendere di volere il tuo affetto. E nessuno può permettersi di parlare male di una mia ospite senza fare i conti con me. Le è andata bene che non fossimo da soli.”
All’inizio non capì di chi stesse parlando, ma con la coda dell’occhio notò che la ragazza coi capelli rossi con cui Alois aveva ballato fino a poco prima adesso stava piangendo a calde lacrime, mentre le sue amiche la circondavano come una barriera e cercavano di consolarla. L’ha fatto per me?
“Tu mi devi la vita e mi appartieni, Lena,” concluse in tono grave.
Aprì bocca per parlare, ma un lampo nero catturò la sua attenzione e si voltò nella sua direzione non appena il ragazzo le tolse le mani dal volto. Spalancò gli occhi, sorpresa, e provò a convincersi che quello era solo un altro dei suoi maledetti incubi, ma la musica e tutte quelle voci erano reali, realissime come il suo cuore che batteva come un tamburo impazzito. Il mondo iniziò a girarle intorno, e sarebbe caduta sul pavimento se Alois non l’avesse sostenuta. “Che c’è adesso?”
Riuscì a malapena ad alzare un dito per indicare le due persone in piedi accanto alla finestra. La benda sul volto di lui era sparita, il suo naso sembrava essere tornato normale e le faceva uno strano effetto vederlo vestito elegantemente. La scollatura del vestito di lei era ampia come al solito e i suoi occhi azzurri, che vagavano per la stanza fino a poco prima, incontrarono quelli verdi della ragazza. Li sbarrò e diede una gomitata al giovane accanto a lei, che si voltò verso di Lena e la fissò a lungo. Il suo sguardo era sorpreso e incredulo, ma il suo sorriso era quello di un predatore.
Sono loro.
Andrè e Lady Nancy.
Alla fine erano riusciti a trovarla.















Non penso che questo capitolo sia uno dei miei migliori. Scarsa autostima o semplicemente stanchezza? E chi lo sa. Però scrivere la parte di Keel mi ha dato una notevole soddisfazione XD
MadLucy: l'identità di Lena... brutto affare. C'è da aspettare ancora tanto. Ma veramente TANTO. Ti farò soffire fino alla fine *risata malvagia da genio del male*. "Piantala di farti filmini strani in testa! Non ti pago per immaginare, Claude!" "Danna-sama, voi non mi pagate proprio..." [Quella scrittrice, cazzate da undici di sera .__.] Non per fare il pallone gonfiato (propriono), ma me lo chiedono in molti come faccio a scrivere capitoli così lunghi in poco tempo, e la mia risposta è sempre la stessa: non lo so. Voglio che i miei capitoli siano lunghi almeno quattro/cinque pagine e di solito scrivo per un'ora tutte le sere, ma questo è tutto. Nessuna ricetta miracolosa.

xoxo
Eva

  
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