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Autore: Aireen    06/05/2012    3 recensioni
Questa storia farà parte di una serie che si occuperà di raccontare l'intera saga dal punto di vista di Hermione.
Dal primo capitolo:
A volte pensava a quanto avrebbe desiderato essere accettata dagli altri e dimenticare per un attimo i suoi libri e la sua intelligenza, ma faceva in modo di togliersi immediatamente dalla testa pensieri come quello.
Mai cambiare se stessi per piacere agli altri. Era questo che si ripeteva costantemente, e sapeva che le sarebbe tornato utile: le storie che aveva letto glielo avevano insegnato. Eppure non riusciva a smettere di soffrire per quel suo sentirsi continuamente fuori luogo, talvolta le accadeva anche con la sua famiglia.
Quello che Hermione non sapeva era che, in realtà, lei era speciale. Capitava spesso che attorno a lei si verificassero strani fenomeni, ma lei fingeva di non notarli, ripetendosi che non esisteva nulla all’infuori di quello che veniva considerato ordinario.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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So che non è granchè, tuttavia vi prego: avete letto questo primo capitolo? Vi è piaciuto? Vi ha fatto schifo? Ditelo! Non avete idea di quanto sia preziosa una semplice recensione per un autore, che sia positiva o negativa. Ci perderete solo due minuti e farete felice un'autrice :)

La luce della luna filtrava tra le tapparelle abbassate, contribuendo ad illuminare il viso pallido -  circondato da una massa intricata di capelli ricci – di una ragazzina dai profondi occhi scuri, in quel momento sottoposti ad uno sforzo inumano. 
Hermione Granger, figlia di dentisti, prima della classe e orgoglio della scuola elementare che aveva appena terminato di frequentare, teneva in mano un libro, posto appena sotto la punta del suo naso, nel tentativo disperato di usufruire della debole luce dei raggi lunari per garantirsi un’altra mezzora di appassionata lettura.
Come poteva permettersi di abbandonare Alice proprio mentre veniva costretta a giocare un’assurda partita a cricket con la Regina di Cuori?
Gli occhi della bambina, ormai undicenne, scorrevano senza sosta tra le righe di quel buffo racconto che l’aveva così tanto catturata, completamente dimentichi della stanchezza che ne offuscava la lucentezza.
Hermione, infatti, non era una ragazzina come le altre. 
Hermione aveva sempre preferito un buon libro alle Barbie.
Hermione era sempre stata la prima. In tutto.
Hermione era arrogante, saputella e molto irritante, ma aveva un gran cuore.
Per questo motivo, nonostante fingesse che non le importasse, aveva iniziato a sopportare in silenzio la tortura a cui veniva sottoposta ogni giorno, attendendo speranzosa il giorno in cui tutto quello sarebbe finito. Anche in quel momento, una parte della sua mente esaminava gli avvenimenti dell’ultimo giorno di scuola, ricordando con una stretta allo stomaco il tono derisorio con cui Miranda Gilmore le aveva chiesto se avesse bisogno di una forcina per capelli. Tuttavia, era fiera di aver ricambiato la cattiveria, facendola arrossire e allontanare in fretta e furia.
A volte pensava a quanto avrebbe desiderato essere accettata dagli altri e dimenticare per un attimo i suoi libri e la sua intelligenza, ma faceva in modo di togliersi immediatamente dalla testa pensieri come quello.
Mai cambiare se stessi per piacere agli altri. Era questo che si ripeteva costantemente, e sapeva che le sarebbe tornato utile: le storie che aveva letto glielo avevano insegnato. Eppure non riusciva a smettere di soffrire per quel suo sentirsi continuamente fuori luogo, talvolta le accadeva anche con la sua famiglia.
Quello che Hermione non sapeva era che, in realtà, lei era speciale. Capitava spesso che attorno a lei si verificassero strani fenomeni, ma lei fingeva di non notarli, ripetendosi che non esisteva nulla all’infuori di quello che veniva considerato ordinario.
Mentre proseguiva nella lettura, avvertii dei passi avvicinarsi e con uno scatto fulmineo ripose il libro sul comodino e si sistemò meglio sotto le lenzuola, chiudendo gli occhi e assumendo un’espressione rilassata.
La porta si spalancò lentamente, cigolando come per protesta, e Jean Granger fece capolino nella stanza della figlia. La donna sorrise teneramente alla vista della ragazzina che giaceva placidamente addormentata sul letto morbido e si avvicinò per posarle un bacio sulla fronte e lasciarle una carezza sul viso.
Anche se la sua bambina non ne era consapevole, anche se nessuno se ne era ancora accorto, Hermione era bellissima e nessuno sarebbe riuscito a farle cambiare idea.
Jean si sedette sul bordo del letto, continuando a contemplare la figlia e osservando, con una nota di malinconia che Freud, l’orsacchiotto da cui Hermione non si era mai separata, giaceva abbandonato su una sedia. La sua piccola bambina stava crescendo e lei non sapeva come accettarlo.

La luce del sole investì in pieno la stanza ed Hermione le diede le spalle, sperando di non essere raggiunta da quei raggi fastidiosi, che disturbavano inevitabilmente il suo pacifico sonno.
<< Hermione, tesoro? Ti devi alzare! Oggi andiamo dai nonni, è domenica. >> Quella non era di certo una notizia da dare di prima mattina. Un pranzo dai nonni equivaleva a vedere l’intera famiglia, sua cugina Marianne compresa.
Marianne… quell’odiosa bambina che una volta l’aveva fatta inciampare in una pozza di fango e, mentre Hermione le urlava contro con rabbia, si era misteriosamente ritrovata appesa al ramo più alto di una quercia.
Da allora, ogni volta che le due ragazzine si incontravano, Marianne approfittava della distrazione dei genitori per sussurrarle all’orecchio quell’orribile parola: mostro.
<< Mamma, non possiamo stare a casa oggi? >> Tentò Hermione, speranzosa.
<< No, tesoro. La nonna ha preparato i brownies, non sei contenta? Ci ha messo tante nocciole, proprio come piacciono a te. E poi c’è Marianne, non vi vedete da due mesi! >> Tuttavia, la cugina era decisamente molto brava a recitare e non perdeva occasione per decantare le lodi di Hermione durante ogni riunione di famiglia.
Marianne così gentile, Marianne che le voleva così tanto bene, Marianne che la abbracciava e baciava con gioia ogni volta che si incontravano… Marianne, la perfetta Marianne.
Così Hermione, arresasi al fatto che sua madre non avrebbe mai rinunciato a quel pranzo, scese dal letto e si avviò al piano inferiore per fare colazione.
L’ultimo pasto prima dell’esecuzione.
Scese le scale con lentezza e quando arrivò in cucina trovò sua madre e suo padre che stavano già sorseggiando i loro caffè.
<< Hermione! >> Richard Granger era un uomo bonario e totalmente innamorato della figlia. Sapeva trattare molto bene con i bambini e per questo motivo i suoi piccoli clienti chiedevano sempre di lui quando dovevano affrontare la tanto temuta visita dentistica.
Hermione gli andò incontro e l’uomo la strinse in un abbraccio affettuoso, quando la lasciò andare, si sedette al solito posto e afferrò un muffin al cioccolato, sperando che quello le desse la forza di affrontare quella terribile giornata.
Per Jean Granger non fu certo un’impresa facile convincere la figlia a vestirsi e opporsi con fermezza ai discorsi - degni di una donna al culmine della sua carriera politica - di Hermione sul perché quel giorno sarebbero dovuti rimanere a casa, ma alla fine riuscì a convincere la figlia ad infilarsi una gonna che detestava e a lasciarsi acconciare i capelli in una treccia ordinata. Un’operazione che solo undici anni di lotta quotidiana con i capelli della ragazzina l’avevano resa in grado di svolgere.
<< Papà, non pensi anche tu che la domenica debba essere un giorno dedicato al completo riposo? >> Hermione, però, non aveva alcuna intenzione di arrendersi, nemmeno mentre la famiglia era in procinto di salire in macchina.
<< Certo, cara. >> Le rispose distratto lui, impegnato a fare retromarcia nel vialetto di casa.
<< Hermione, falla finita. Si può sapere cosa ti prende questa mattina? Dalla nonna ci sarà anche Marianne, vi divertirete. Che bisogno c’è di queste lamentele? >> Replicò la Signora Granger.
Hermione sospirò rassegnata e decise di concentrarsi sul paesaggio che scorreva fuori dal finestrino. I suoi genitori non avrebbero mai capito…
Una ventina di minuti e parecchi battibecchi tra Richard e Jean Granger più tardi, la famiglia Granger al completo si avviava lungo il vialetto di una casa dal giardino curato. Jean suonò il campanello e pochi secondi più tardi la figura di una donna sui sessantacinque anni aprì loro la porta.
<< Oh, ecco qui una delle mie ragazze preferite! >> Esclamò la donna, abbracciando Hermione e baciando sulla guancia la figlia e il genero.
<< Ciao nonna. >> La nipote la salutò con un sorriso allegro. Lei adorava sua nonna.
<< Tesoro, vai in sala da pranzo, c’è Marianne. Non vede l’ora di vederti! E’ da quando è arrivata che chiede di te! >> Che fortuna… 
Con la stessa andatura di un condannato a morte, Hermione raggiunse il luogo in cui avrebbe avuto luogo l’esecuzione. Non fece in tempo ad attraversare la soglia della stanza che una ragazzina poco più alta di lei le si scagliò addosso, stringendola in un abbraccio da mozzare il fiato e tempestandole la guancia di baci.
<< Hermione! Quanto mi sei mancata… non puoi capire. >> A quanto sembrava le capacità recitative di Marianne miglioravano di volta in volta.
<< Mi sei mancata anche tu, Marianne. >> Voleva la guerra? Benissimo. Hermione sfoderò un sorriso degno della copertina di una rivista e ricambiò l’abbraccio, sentendo la cugina irrigidirsi. Prima di allora, non si era mai sforzata di fingere più del necessario e aveva sempre lasciato che la parentela elogiasse l’affettuosa Marianne per l’accoglienza che le riservava ad ogni incontro.
Quella volta sarebbe andata diversamente.
Marianne la prese per mano e la trascinò a sedersi accanto a lei, senza smettere per un attimo di regalare sorrisi e abbracci a nonni, zii e genitori. Hermione fece lo stesso, salutando sua zia Judith come se non la vedesse da anni e chiedendo allo zio Henry se un giorno l’avrebbe portata a giocare a golf.
<< Come sei bella, Hermione. Mamma, non trovi che la treccia le stia benissimo? E poi, sei così intelligente! Sai, ho provato anche io a leggere Le Cronache di Narnia, ma credo sia troppo difficile per me e io, nella mia scuola, sono la prima della classe. >> Hermione le sorrise  con dolcezza, fingendosi lusingata da tutti quei complimenti.
Gli occhi neri di Marianne la scrutavano con attenzione, probabilmente cercando di indovinare quale sarebbe stata la sua prossima mossa.
<< Oh, Marianne… io penso che tu sia così bella da abbagliarci tutti! >> Replicò allora, con un’innocenza tale che sua nonna si avvicinò per stringerla in un abbraccio supplementare. Marianne si irrigidì, sistemandosi nervosamente una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio. Di solito gli abbracci supplementari erano sempre suoi.
<< Che c’è, mostro? Hai deciso di sembrare meno inutile? >> Hermione sorrise nuovamente a quelle parole sussurrate, quelli stupidi nomignoli non riuscivano più ad infastidirla.
Marianne aveva un anno più di lei e aveva sempre visto la cugina come una nemica, un qualcuno da eliminare… Il motivo? In un certo senso ne era gelosa. Ed Hermione lo aveva finalmente capito: aveva paura di lei, aveva paura di essere surclassata, aveva paura di essere messa da parte nel suo ruolo di figlia e nipote perfetta. 
Perciò, continuando a sorridere, evitò di rispondere alla provocazione e si concentrò sull’arrosto che sua nonna le aveva messo davanti.
<< Hermione, è vero che sei risultata la migliore della tua scuola? >> Zia Judith era l’esatto opposto della figlia e si era sempre complimentata con sincerità per i successi scolastici e non della nipote.
<< Sì, è vero. >> Le rispose lei con una punta di orgoglio.
<< Hermione, non essere arrogante! >> La riprese sua madre.
<< E’ la verità, mamma. >> Replicò Hermione, accettando la seconda porzione di patatine che suo nonno le porgeva.
Suo nonno era la persona più strana e affascinante che Hermione avesse mai conosciuto: parlava raramente, ma quando lo faceva otteneva sempre l’attenzione di tutti i presenti. Non diceva mai cose a sproposito ed era in grado di consigliare le persone meglio di chiunque altro.
<< E’ una bambina intelligente, la mia Hermione. >> Intervenne lui, facendole l’occhiolino. Accanto a lei, Marianne per poco non si strozzò con l’arrosto.
<< Cos’è, ti hanno nominato il più indecente mostro della scuola? >> Hermione prese qualche respiro profondo, imponendosi di mantenere la calma. Non avrebbe ceduto alle provocazioni della cugina, non quella volta.
<< Oh, senz’altro! >> Replicò la Signora White, sorridendo anch’essa alla nipote.
<< Mostro. >> Hermione non aveva mai notato quanti fossero i nei che zia Judith aveva sul collo. Chissà se era una cosa genetica, si domandò, esaminando il collo di sua madre. No, il suo ne era quasi privo!
<< Mostro. >> Certo che erano proprio tanti! Sarebbe riuscita a contarli tutti?
<< Mostro. >> Uno, due, tre. Quello era un neo o una macchia? Era molto difficile riuscire a distinguerli dalle macchie cutanee a quella distanza.
<< I tuoi genitori lo sanno di aver messo al mondo un mostro? >> Fu un attimo. Hermione si sentì invadere dalla rabbia, una rabbia così potente che rischiò di farle perdere il controllo per saltare addosso alla cugina e riempirle il viso di schiaffi. Si trattenne, ma a quel punto sentì qualcos’altro spingere ai margini della sua coscienza e fu come se tutto quel rancore ne venisse assorbito, e poi… la bottiglia di ketchup che Marianne teneva in mano esplose, macchiandole il vestitino immacolato, i capelli lisci e perfettamente biondi e il viso antipatico.
La ragazzina tirò un urlo acuto, mentre la madre le correva accanto con un tovagliolo bagnato nel tentativo di ripulirle almeno il viso.
<< Mamma, mi è finito negli occhi! Toglilo, brucia! >> Piagnucolava Marianne, mentre Judith la portava con sé in bagno, seguita dalla sorella e dalla madre, entrambe armate di detersivo e tovagliolo.
<< Credo che in quella bottiglia ci fosse troppa aria. >> Ridacchiò il Signor White.
Dal canto suo, Hermione era sconvolta. Possibile che… possibile che fosse stata lei? Possibile che fosse stata lei anche ad appendere la cugina a quel ramo? No, era impossibile. D’altronde, come avrebbe potuto?
Dieci minuti più tardi, le donne riaccompagnarono Marianne al piano inferiore. Quest’ultima aveva gli occhi arrossati e l’espressione di chi era sopravvissuto ad un incidente aereo e indossava un vestito a fiori, leggermente grande per lei, probabilmente appartenuto alla madre molti anni prima.
<< Temo che questo abito sia irrecuperabile. >> Borbottò zia Judith, riponendo il vestito macchiato nel sacchetto che sua madre le porgeva.
<< Oh, beh. Almeno Marianne avrà un’occasione in più per andare a fare shopping! >> Replicò Jean, tentando di strappare un sorriso alla nipote.

Passarono tre ore prima che quella tortura finisse ed Hermione dovette sopportare il silenzio ostinato della cugina, che la evitava come la peste e le continue proteste di sua madre, che voleva che raggiungesse a tutti i costi Marianne per fare qualcosa insieme a lei. Finalmente, però, le fu concesso di tornare a casa, ma prima che varcasse la soglia della casa dei suoi nonni per raggiungere la macchina, la voce della cugina la raggiunse in un sussurro malevolo: mostro. Ed Hermione corse via, ignorando i saluti dei suoi nonni e i suoi genitori che tentavano di richiamarla indietro. Le loro voci, però, non servirono a farla voltare, anzi accelerarono ulteriormente la sua fuga. Hermione trovò pace solo quando riuscì ad arrampicarsi all’interno della macchina, al sicuro dallo sguardo accusatorio di Marianne.
<< Si può sapere che hai in quella testa? >> Esordì sua madre con tono infastidito mentre lei e il marito si accingevano a salire nell’auto.
<< Sono solo stanca. >>
<< E per questo motivo hai bisogno di correre via come una maleducata? >> Hermione scrollò le spalle, ignorando la domanda e accoccolandosi maggiormente contro il sedile.
Quando i Granger raggiunsero finalmente casa, non sfuggì loro la figura longilinea che attendeva impettita fuori da casa loro. Una donna dallo sguardo severo e l’aria imperiosa, vestita in un modo così bizzarro da lasciarli straniti, si avviò verso di loro.
<< Buonasera, Signori Granger. Mi chiamo Minerva McGranitt e sono qui per parlarvi di vostra figlia. Sono la vicepreside di una scuola, ecco… molto speciale. Posso rubarvi un po’ di tempo? >>

Note dell'autore:
Lo so sono cattiva! Vi ho lasciato proprio sul più bello, ma vi confesserò: mi piace essere cattiva. Muhahahah. No, dai, vi prometto che posterò presto, anche perchè questo è giusto un capitolo di introduzione alla storia.
Vi dirò, non è che mi piaccia molto, tuttavia non posso fare a meno di sperare che piaccia a voi, anche perchè, visto che sto passando un periodo molto fiacco, in termini di creatività, ho bisogno di molti stimoli.
Ergo, RECENSITE!
Vi ringrazio in anticipo.
Aireen.

  
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