So che non è granchè, tuttavia vi prego: avete letto questo primo capitolo? Vi è piaciuto? Vi ha fatto schifo? Ditelo! Non avete idea di quanto sia preziosa una semplice recensione per un autore, che sia positiva o negativa. Ci perderete solo due minuti e farete felice un'autrice :)
La
luce della luna filtrava tra le tapparelle abbassate, contribuendo ad
illuminare il viso pallido - circondato
da una massa intricata di capelli ricci – di una ragazzina
dai profondi occhi scuri, in quel momento sottoposti ad uno sforzo
inumano.
Hermione Granger, figlia di dentisti, prima della classe e orgoglio
della scuola elementare che aveva appena terminato di frequentare,
teneva in mano un libro, posto appena sotto la punta del suo naso, nel
tentativo disperato di usufruire della debole luce dei raggi lunari per
garantirsi un’altra mezzora di appassionata lettura.
Come poteva permettersi di abbandonare Alice proprio mentre veniva
costretta a giocare un’assurda partita a cricket con la
Regina di Cuori?
Gli occhi della bambina, ormai undicenne, scorrevano senza sosta tra le
righe di quel buffo racconto che l’aveva così
tanto catturata, completamente dimentichi della stanchezza che ne
offuscava la lucentezza.
Hermione, infatti, non era una ragazzina come le altre.
Hermione aveva sempre preferito un buon libro alle Barbie.
Hermione era sempre stata la prima. In tutto.
Hermione era arrogante, saputella e molto irritante, ma aveva un gran
cuore.
Per questo motivo, nonostante fingesse che non le importasse, aveva
iniziato a sopportare in silenzio la tortura a cui veniva sottoposta
ogni giorno, attendendo speranzosa il giorno in cui tutto quello
sarebbe finito. Anche in quel momento, una parte della sua mente
esaminava gli avvenimenti dell’ultimo giorno di scuola,
ricordando con una stretta allo stomaco il tono derisorio con cui
Miranda Gilmore le aveva chiesto se avesse bisogno di una forcina per
capelli. Tuttavia, era fiera di aver ricambiato la cattiveria,
facendola arrossire e allontanare in fretta e furia.
A volte pensava a quanto avrebbe desiderato essere accettata dagli
altri e dimenticare per un attimo i suoi libri e la sua intelligenza,
ma faceva in modo di togliersi immediatamente dalla testa pensieri come
quello.
Mai cambiare
se stessi per piacere agli altri. Era questo che si ripeteva
costantemente, e sapeva che le sarebbe tornato utile: le storie che
aveva letto glielo avevano insegnato. Eppure non riusciva a smettere di
soffrire per quel suo sentirsi continuamente fuori luogo, talvolta le
accadeva anche con la sua famiglia.
Quello che Hermione non sapeva era che, in realtà, lei era speciale. Capitava
spesso che attorno a lei si verificassero strani fenomeni, ma lei
fingeva di non notarli, ripetendosi che non esisteva nulla
all’infuori di quello che veniva considerato ordinario.
Mentre proseguiva nella lettura, avvertii dei passi avvicinarsi e con
uno scatto fulmineo ripose il libro sul comodino e si
sistemò meglio sotto le lenzuola, chiudendo gli occhi e
assumendo un’espressione rilassata.
La porta si spalancò lentamente, cigolando come per
protesta, e Jean Granger fece capolino nella stanza della figlia. La
donna sorrise teneramente alla vista della ragazzina che giaceva
placidamente addormentata sul letto morbido e si avvicinò
per posarle un bacio sulla fronte e lasciarle una carezza sul viso.
Anche se la sua bambina non ne era consapevole, anche se nessuno se ne
era ancora accorto, Hermione era bellissima e nessuno sarebbe riuscito
a farle cambiare idea.
Jean si sedette sul bordo del letto, continuando a contemplare la
figlia e osservando, con una nota di malinconia che Freud,
l’orsacchiotto da cui Hermione non si era mai separata,
giaceva abbandonato su una sedia. La sua piccola bambina stava
crescendo e lei non sapeva come accettarlo.
La
luce del sole investì in pieno la stanza ed Hermione le
diede le spalle, sperando di non essere raggiunta da quei raggi
fastidiosi, che disturbavano inevitabilmente il suo pacifico sonno.
<< Hermione, tesoro? Ti devi alzare! Oggi andiamo dai
nonni, è domenica. >> Quella non era di certo
una notizia da dare di prima mattina. Un pranzo dai nonni equivaleva a
vedere l’intera famiglia, sua cugina Marianne compresa.
Marianne… quell’odiosa
bambina che una volta l’aveva fatta inciampare in una pozza
di fango e, mentre Hermione le urlava contro con rabbia, si era
misteriosamente ritrovata appesa al ramo più alto di una
quercia.
Da allora, ogni volta che le due ragazzine si incontravano, Marianne
approfittava della distrazione dei genitori per sussurrarle
all’orecchio quell’orribile parola: mostro.
<< Mamma, non possiamo stare a casa oggi?
>> Tentò Hermione, speranzosa.
<< No, tesoro. La nonna ha preparato i brownies, non sei
contenta? Ci ha messo tante nocciole, proprio come piacciono a te. E
poi c’è Marianne, non vi vedete da due mesi!
>> Tuttavia, la cugina era decisamente molto brava a
recitare e non perdeva occasione per decantare le lodi di Hermione
durante ogni riunione di famiglia.
Marianne così gentile, Marianne che le voleva
così tanto bene, Marianne che la abbracciava e baciava con
gioia ogni volta che si incontravano… Marianne, la perfetta
Marianne.
Così Hermione, arresasi al fatto che sua madre non avrebbe
mai rinunciato a quel pranzo, scese dal letto e si avviò al
piano inferiore per fare colazione.
L’ultimo pasto prima dell’esecuzione.
Scese le scale con lentezza e quando arrivò in cucina
trovò sua madre e suo padre che stavano già
sorseggiando i loro caffè.
<< Hermione! >> Richard Granger era un uomo
bonario e totalmente innamorato della figlia. Sapeva trattare molto
bene con i bambini e per questo motivo i suoi piccoli clienti
chiedevano sempre di lui quando dovevano affrontare la tanto temuta
visita dentistica.
Hermione gli andò incontro e l’uomo la strinse in
un abbraccio affettuoso, quando la lasciò andare, si sedette
al solito posto e afferrò un muffin al cioccolato, sperando
che quello le desse la forza di affrontare quella terribile giornata.
Per Jean Granger non fu certo un’impresa facile convincere la
figlia a vestirsi e opporsi con fermezza ai discorsi - degni di una
donna al culmine della sua carriera politica - di Hermione sul
perché quel giorno sarebbero dovuti rimanere a casa, ma alla
fine riuscì a convincere la figlia ad infilarsi una gonna
che detestava e a lasciarsi acconciare i capelli in una treccia
ordinata. Un’operazione che solo undici anni di lotta
quotidiana con i capelli della ragazzina l’avevano resa in
grado di svolgere.
<< Papà, non pensi anche tu che la domenica
debba essere un giorno dedicato al completo riposo? >>
Hermione, però, non aveva alcuna intenzione di arrendersi,
nemmeno mentre la famiglia era in procinto di salire in macchina.
<< Certo, cara. >> Le rispose distratto
lui, impegnato a fare retromarcia nel vialetto di casa.
<< Hermione, falla finita. Si può sapere cosa
ti prende questa mattina? Dalla nonna ci sarà anche
Marianne, vi divertirete. Che bisogno c’è di
queste lamentele? >> Replicò la Signora
Granger.
Hermione sospirò rassegnata e decise di concentrarsi sul
paesaggio che scorreva fuori dal finestrino. I suoi genitori non
avrebbero mai capito…
Una ventina di minuti e parecchi battibecchi tra Richard e Jean Granger
più tardi, la famiglia Granger al completo si avviava lungo
il vialetto di una casa dal giardino curato. Jean suonò il
campanello e pochi secondi più tardi la figura di una donna
sui sessantacinque anni aprì loro la porta.
<< Oh, ecco qui una delle mie ragazze preferite!
>> Esclamò la donna, abbracciando Hermione e
baciando sulla guancia la figlia e il genero.
<< Ciao nonna. >> La nipote la
salutò con un sorriso allegro. Lei adorava sua
nonna.
<< Tesoro, vai in sala da pranzo,
c’è Marianne. Non vede l’ora di vederti!
E’ da quando è arrivata che chiede di te!
>> Che
fortuna…
Con la stessa andatura di un condannato a morte, Hermione raggiunse il
luogo in cui avrebbe avuto luogo l’esecuzione. Non fece in
tempo ad attraversare la soglia della stanza che una ragazzina poco
più alta di lei le si scagliò addosso,
stringendola in un abbraccio da mozzare il fiato e tempestandole la
guancia di baci.
<< Hermione! Quanto mi sei mancata… non puoi
capire. >> A quanto sembrava le capacità
recitative di Marianne miglioravano di volta in volta.
<< Mi sei mancata anche tu, Marianne. >>
Voleva la guerra? Benissimo. Hermione sfoderò un sorriso
degno della copertina di una rivista e ricambiò
l’abbraccio, sentendo la cugina irrigidirsi. Prima di allora,
non si era mai sforzata di fingere più del necessario e
aveva sempre lasciato che la parentela elogiasse l’affettuosa
Marianne per l’accoglienza che le riservava ad ogni incontro.
Quella volta sarebbe andata diversamente.
Marianne la prese per mano e la trascinò a sedersi accanto a
lei, senza smettere per un attimo di regalare sorrisi e abbracci a
nonni, zii e genitori. Hermione fece lo stesso, salutando sua zia
Judith come se non la vedesse da anni e chiedendo allo zio Henry se un
giorno l’avrebbe portata a giocare a golf.
<< Come sei bella, Hermione. Mamma, non trovi che la
treccia le stia benissimo? E poi, sei così intelligente!
Sai, ho provato anche io a leggere Le
Cronache di Narnia, ma credo sia troppo difficile per me e
io, nella mia scuola, sono la prima della classe. >>
Hermione le sorrise con
dolcezza, fingendosi lusingata da tutti quei complimenti.
Gli occhi neri di Marianne la scrutavano con attenzione, probabilmente
cercando di indovinare quale sarebbe stata la sua prossima mossa.
<< Oh, Marianne… io penso che tu sia
così bella da abbagliarci tutti! >>
Replicò allora, con un’innocenza tale che sua
nonna si avvicinò per stringerla in un abbraccio
supplementare. Marianne si irrigidì, sistemandosi
nervosamente una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.
Di solito gli abbracci supplementari erano sempre suoi.
<< Che c’è, mostro?
Hai deciso di sembrare meno inutile? >> Hermione sorrise
nuovamente a quelle parole sussurrate, quelli stupidi nomignoli non
riuscivano più ad infastidirla.
Marianne aveva un anno più di lei e aveva sempre visto la
cugina come una nemica, un qualcuno da eliminare… Il motivo?
In un certo senso ne era gelosa.
Ed Hermione lo aveva finalmente capito: aveva paura di lei, aveva paura
di essere surclassata, aveva paura di essere messa da parte nel suo
ruolo di figlia e nipote perfetta.
Perciò, continuando a sorridere, evitò di
rispondere alla provocazione e si concentrò
sull’arrosto che sua nonna le aveva messo davanti.
<< Hermione, è vero che sei risultata la
migliore della tua scuola? >> Zia Judith era
l’esatto opposto della figlia e si era sempre complimentata
con sincerità per i successi scolastici e non della nipote.
<< Sì, è vero. >> Le
rispose lei con una punta di orgoglio.
<< Hermione, non essere arrogante! >> La
riprese sua madre.
<< E’ la verità, mamma.
>> Replicò Hermione, accettando la seconda
porzione di patatine che suo nonno le porgeva.
Suo nonno era la persona più strana e affascinante che
Hermione avesse mai conosciuto: parlava raramente, ma quando lo faceva
otteneva sempre l’attenzione di tutti i presenti. Non diceva
mai cose a sproposito ed era in grado di consigliare le persone meglio
di chiunque altro.
<< E’ una bambina intelligente, la mia
Hermione. >> Intervenne lui, facendole
l’occhiolino. Accanto a lei, Marianne per poco non si
strozzò con l’arrosto.
<< Cos’è, ti hanno nominato il
più indecente mostro della scuola? >> Hermione
prese qualche respiro profondo, imponendosi di mantenere la calma. Non
avrebbe ceduto alle provocazioni della cugina, non quella volta.
<< Oh, senz’altro! >>
Replicò la Signora White, sorridendo anch’essa
alla nipote.
<< Mostro. >>
Hermione non aveva mai notato quanti fossero i nei che zia Judith aveva
sul collo. Chissà se era una cosa genetica, si
domandò, esaminando il collo di sua madre. No, il suo ne era
quasi privo!
<< Mostro. >>
Certo che erano proprio tanti! Sarebbe riuscita a contarli tutti?
<< Mostro. >>
Uno, due, tre. Quello era un neo o una macchia? Era molto difficile
riuscire a distinguerli dalle macchie cutanee a quella distanza.
<< I tuoi genitori lo sanno di aver messo al mondo un mostro?
>> Fu un attimo. Hermione si sentì invadere
dalla rabbia, una rabbia così potente che rischiò
di farle perdere il controllo per saltare addosso alla cugina e
riempirle il viso di schiaffi. Si trattenne, ma a quel punto
sentì qualcos’altro spingere ai margini della sua
coscienza e fu come se tutto quel rancore ne venisse assorbito, e
poi… la bottiglia di ketchup che Marianne teneva in mano
esplose, macchiandole il vestitino immacolato, i capelli lisci e
perfettamente biondi e il viso antipatico.
La ragazzina tirò un urlo acuto, mentre la madre le correva
accanto con un tovagliolo bagnato nel tentativo di ripulirle almeno il
viso.
<< Mamma, mi è finito negli occhi! Toglilo,
brucia! >> Piagnucolava Marianne, mentre Judith la
portava con sé in bagno, seguita dalla sorella e dalla
madre, entrambe armate di detersivo e tovagliolo.
<< Credo che in quella bottiglia ci fosse troppa aria.
>> Ridacchiò il Signor White.
Dal canto suo, Hermione era sconvolta. Possibile che…
possibile che fosse stata lei? Possibile che fosse stata lei anche ad
appendere la cugina a quel ramo? No, era impossibile.
D’altronde, come avrebbe potuto?
Dieci minuti più tardi, le donne riaccompagnarono Marianne
al piano inferiore. Quest’ultima aveva gli occhi arrossati e
l’espressione di chi era sopravvissuto ad un incidente aereo
e indossava un vestito a fiori, leggermente grande per lei,
probabilmente appartenuto alla madre molti anni prima.
<< Temo che questo abito sia irrecuperabile.
>> Borbottò zia Judith, riponendo il vestito
macchiato nel sacchetto che sua madre le porgeva.
<< Oh, beh. Almeno Marianne avrà
un’occasione in più per andare a fare shopping!
>> Replicò Jean, tentando di strappare un
sorriso alla nipote.
<< Si può sapere che hai in quella testa? >> Esordì sua madre con tono infastidito mentre lei e il marito si accingevano a salire nell’auto.
<< Sono solo stanca. >>
<< E per questo motivo hai bisogno di correre via come una maleducata? >> Hermione scrollò le spalle, ignorando la domanda e accoccolandosi maggiormente contro il sedile.
Quando i Granger raggiunsero finalmente casa, non sfuggì loro la figura longilinea che attendeva impettita fuori da casa loro. Una donna dallo sguardo severo e l’aria imperiosa, vestita in un modo così bizzarro da lasciarli straniti, si avviò verso di loro.
<< Buonasera, Signori Granger. Mi chiamo Minerva McGranitt e sono qui per parlarvi di vostra figlia. Sono la vicepreside di una scuola, ecco… molto speciale. Posso rubarvi un po’ di tempo? >>
Note dell'autore:
Lo so sono cattiva! Vi ho lasciato proprio sul più bello, ma vi confesserò: mi piace essere cattiva. Muhahahah. No, dai, vi prometto che posterò presto, anche perchè questo è giusto un capitolo di introduzione alla storia.
Vi dirò, non è che mi piaccia molto, tuttavia non posso fare a meno di sperare che piaccia a voi, anche perchè, visto che sto passando un periodo molto fiacco, in termini di creatività, ho bisogno di molti stimoli.
Ergo, RECENSITE!
Vi ringrazio in anticipo.
Aireen.