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Autore: FullmetalBlue13    07/05/2012    4 recensioni
[ATTENZIONE! AGGIORNAMENTI SENZA ALCUNA REGOLARITÀ]
Un pomeriggio come tanti altri, Angel Akuma (17 anni, chioma arancio acceso e un pessimo carattere) riceve una telefonata anonima.
Di chi è la misteriosa voce che la chiama "finto angelo", un soprannome assegnatole dal padre che non ha mai conosciuto?
Per lei comincerà una serie di eventi che le cambieranno la vita, facendo luce sulle sue origini, sul suo passato e sul suo destino.
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Ciao a tutti! Questa è la mia prima fanfiction... Devo confessarvi che sono un po' emozionata. Spero che vi piaccia. Mi sono divertita molto a scrivere tutto ciò e spero di continuare... Recensite numerosi!
Ah, già.
A TUTTI I LETTORI: Per favore, non limitatevi a leggere il primo capitolo! È solo un prologo...
Spero che possiate apprezzare il prosieguo della storia (sempre che abbiate qualche minutino da dedicare alla mia Angel, ecco...) e anche il mio miglioramento come scrittrice.
Grazie mille, FB13
=(^.^ =) (= ^.^)= \(^.^)/ (danza della gioia)
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mephisto Pheles, Nuovo personaggio, Rin Okumura, Yukio Okumura
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi qui! Pronta e scattante dopo così tanta attesa! (scusatemi, ma la scuola...*chiede perdono*).
Effettivamente in questo capitolo non succedono molte cose, ma se vi dico tutto ora, che gusto c'è? XD
Grazie a coloro che hanno lasciato recensioni positive (anche se non sono molti...GRAZIEEEEE!!!) e a quelli che leggono solamente.
Spero che vi piaccia, mi è costato abbastanza fatica. Ciao a tutti
FullmetalBlue13

OSPEDALE DELL’ORDINE DELLA VERA CROCE, ORE 10:19

Quando rinvenni, mi trovavo in una stanzetta d’ospedale. Avevo una ‘farfalla’ per i prelievi del sangue sul braccio sinistro e indossavo un pigiama che puzzava di petrolio. I miei vestiti erano appoggiati ordinatamente su una sedia lì vicino. “La bella addormentate è sveglia, finalmente!” L’uomo chiamato Mephisto era seduto in un angolo della stanza. Si alzò in piedi e cominciò a passeggiare per la stanza.

“Angel, Angel, Angel… Che paradosso assurdo chiamare così una che è un demone di nome e di fatto! Ah ah ah ah…” (NdA: Akuma, come voi forse già sapete, significa demone in giapponese. L’ho scelto apposta per creare questo contrasto di significato).

Che risatina irritante.

“Ahi, la mia testa… Buongiorno. Potrebbe gentilmente dirmi chi è lei? E gradirei anche sapere dove sono, grazie.” dissi con tono seccato e sarcastico a quell’uomo misterioso. La testa mi scoppiava.
“Oh, ma quale scortesia… Non mi sono nemmeno presentato: Mephisto Pheles, al vostro servizio, Madame.” mi rispose prontamente lui, facendo teatralmente e con grazia un ampio inchino. Lo sopportavo sempre meno.

“Comunque, in questo momento sei ricoverata nell’Ospedale Interno dell’Ordine dei Cavalieri della Vera Croce. Ovviamente in segreto, visto che sei un demone. Non sarebbe il massimo per gli esorcisti sapere che sei viva…”

“Aspetta un momento! Cosa vuoi dire? Mi parli di demoni ed esorcisti come se fosse pane e Nutella!”

“Ma è questo il mondo a cui appartieni, ormai. Dopo il caos che hai combinato ieri notte, non credo che tu abbia altra scelta. Uh, sta arrivando un’infermiera. Nascondi la coda, presto!”

Coda? Mi girai di scatto e immediatamente notai che una coda nera, lunga e sottile, che terminava con un ciuffetto di pelo fulvo, sbucava da sotto il lenzuolo. Credo che fu allora che realizzai per la prima volta ciò che ero diventata: un mostro. La cacciai malamente sotto le coperte proprio quel secondo prima che un’ anziana infermiera dal volto rugoso entrasse in camera.
Quando se ne fu andata, ripresi a parlare con Mephisto. Ero confusa: “Cos’è successo ieri? Non riesco a ricordare…” Nella mia testa vedevo solo immagini di morte e distruzione azzurra… e niente di più.

“Bah, sarà stato lo shock. L’incendio, Iblis, Gehenna, le tue fiamme… forse ora ricordi, vero?”

Sì, mi ricordavo, ora. Cinque anni fa mio nonno, l’uomo che mi aveva cresciuto, e adesso mia madre.
Perché a me? Mia mamma non c’era più, per davvero. E non era solo un brutto sogno. Il dolore e la rabbia cominciarono a riaffiorare nel mio cuore, era come se tanti spilli mi stessero bucando uno dopo l’altro, svuotandomi lentamente.

Qualcosa si attivò nel mio cervello, e fiumi di immagini mi scorrevano davanti agli occhi. Mio nonno mi aveva lasciato per colpa di un maledetto infarto, così, senza dire nulla. Era proprio da lui morire senza disturbare nessuno. Era una persona onesta, tranquilla e pacata e con i suoi modi dolci era riuscito a farsi amare perfino da me, che ero sempre stata scontrosa e solitaria, forse a causa della mia natura. Me lo ricordo come un omino piccolo dalle simpatiche orecchie un po’ a sventola, con gli occhiali grandi che nascondevano in parte gli occhi scuri e profondi che avevo ereditato anch’io. I capelli, simili a una nuvoletta di zucchero filato, gli coronavano la testa. Sapeva sempre di buono, quando lo abbracciavo riconoscevo il suo odore agrodolce, inconfondibile. Lui mi aveva insegnato a parlare, lui mi leggeva le favole prima di andare a dormire, lui mi aveva accompagnato a scuola il mio primo giorno, lui mi confortava quando ero triste, lui portava a casa quei pochi soldi con cui vivevamo. Dietro quel corpicino e quell’aspetto buffo si celava una grande anima e un uomo forte e determinato.

E che dire di mia madre? Nel suo silenzio riusciva a comunicarmi molte cose. Bastava il suo sorriso smagliante o un’occhiata color ambra per farmi capire se era serena o triste, arrabbiata o scontenta. Era un donna bellissima, i suoi capelli erano soffici e dello stesso strano arancio dei miei. La giovanile bellezza del suo viso era rimasta immutata nonostante l’incendio causato da mio padre il giorno della mia nascita, l’incendio che le aveva tolto per sempre la sua voce soave e l’aveva legata per sempre a una carrozzina. La dolcezza della sue maniere faceva di lei una madre amorevole e sempre pronta ad ascoltare i problemi di una ragazzina insolente e dal pessimo carattere come me.
Ecco cos’ero stata per lei: solo una terribile figlia che l’aveva abbandonata tra le fiamme. E ora era troppo tardi per essere perdonati… 

Mi limitai a trattenere le lacrime e a dire con sguardo assente: “Vorrei stare un po’ da sola, ora.”

Mephisto si alzò e uscì dalla stanza con stampato in faccia quel sorrisetto odioso di uno che sa tutto. Non volevo certo che un uomo così viscido mi vedesse piangere.

Nella solitudine di quel lettino d’ospedale piansi con tutto il fiato che avevo. Avevo ucciso mia madre non tornando quella sera. Il rimorso mi divorava dall’interno. Ero consapevole che non sarei potuta tornare indietro. Intorno a me solo fiamme e desolazione. Ecco quel che ero e sono.

Solo un demone che si è illuso, anche se per poco, di poter essere umano.
  
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