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Autore: Dorothy257    07/05/2012    1 recensioni
La mia barca non ha tanti anni. Appena uscita in mare era bellissima, tutta tirata a lucido. Ma a causa di molte tempeste e di onde troppo alte ha cominciato a rovinarsi, a mostrare segni irreparabili di usura e decadenza.
La mia barca sta affondando, ma io non voglio abbandonarla per mettermi in salvo. Cerco comunque di rattoppare i suoi buchi, a volte grandi come voragini, con fogli di carta legati assieme da parole.
Non si sa mai che questo le permetta di navigare tranquilla ancora per molto tempo.
[I primi quattro capitoli partecipano al contest "Pensieri affollati - Quando la tristezza ti assale" di Ale HP]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Come già detto precedentemente i primi quattro capitoli hanno partecipato al contest "Pensieri affollati - Quando la tristezza ti assale" di Ale HP (la trovate con questo nome anche qui su EFP.)
Come da regolamento i primi quattro testi sono basati su una citazione che ovviamente riporterò in ogni capitolo.
Nonostante il limite fosse di cinque capitoli massimo (e io ne ho scritto quattro) è mia intenzione arricchire la raccolta con altri testi giusto per "rattoppare la mia barca".
Spero siano di vostro gradimento. NOTA: l'intonazione da dare al racconto è di rassegnazione e delusione e non assolutamente di rabbia o cose simili. Lo dico perché molti potrebbero fraintendere.
Un bacio,
Dorothy.

 



Capitolo uno.
 
Citazione: “Ma ci sono desideri che travalicano le nostre possibilità, sogni troppo grandi perché i nostri corpi riescano a contenerli e assecondarli.” (Licia Troisi.)

  
Titolo: ”Due parole. Venticinque lettere."
 
 
Insoddisfazione.
Una parola. Quindici lettere.
Basta solo questo, un’unica parola di quindici misere lettere per distruggere un’intera esistenza. Per scatenare un sentimento di repulsione e di odio verso me stessa.
Questa sensazione di insoddisfazione perenne verso tutto ciò che faccio, verso tutto ciò che vorrei fare e che non porto mai a termine. Questa sensazione di non aver fatto abbastanza quando avrei potuto fare di più, di non aver dato abbastanza quando avrei potuto dare di più. 
Insoddisfazione di qualcosa che non potrò mai avere, di qualcosa di irraggiungibile. Di qualcosa che non avrò mai nonostante tutto l’impegno che io possa metterci. Desidero e soffro.

 
Fallimento.
Una parola. Dieci lettere.
Un’altra parola che mina alle fondamenta del mio essere. Proprio questa insoddisfazione di volere di più, di desiderare l’inottenibile mette in evidenza a me stessa le mie mancanze e la mia incapacità a fare molte cose. Mi illudo di poter raggiungere tutto, prima degli altri, meglio degli altri. Ed invece mi porta solo al fallimento. Perché nonostante tutto lo sforzo che io possa fare ci sarà sempre, e dico sempre, qualcuno più bravo di me, qualcuno di più veloce, che mi batterà e, umiliandomi, mi strapperà di mano il trofeo della vittoria ogni volta. Quel desiderio tanto agognato si rivela allora come qualcosa di irraggiungibile, di irraggiungibile solo per me.
Spesso mi hanno detto che ho dei traguardi troppo pretenziosi e che molte volte non è colpa mia se non riesco a conseguirli . Fingo di crederci ma nel frattempo mi mortifico e mi maledico interiormente.
Spesso mi hanno detto: “Non sei te a non avere potenziale , ma ci sono desideri che travalicano le nostre possibilità, sogni troppo grandi perché i nostri corpi riescano a contenerli e assecondarli.”
E allora perché solo il mio corpo è in ogni caso, anche per quelli più insignificanti, sempre troppo piccolo per i miei desideri? Per me è questa l’insoddisfazione e contemporaneamente il fallimento più grande della mia vita.
 

Insoddisfazione, fallimento. Due parole, venticinque lettere ed un’intera esistenza distrutta, per sempre.

 
 
  
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