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Autore: Gaea    07/05/2012    2 recensioni
Il 28 Maggio Brescia era una città in fermento: sulla storica Piazza della Loggia, insegnanti, operai, pensionati, gente comune e politici si erano dati appuntamento per protestare contro i recenti attentati che rischiavano di far scivolare la città nel panico. È la voce di Vittorio a raccontarti tutto, facendoti scivolare in una realtà così vicina, ma passata per sempre.
Genere: Drammatico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Autore: Gaea
Titolo: Quel giorno di maggio
Genere: Slice of Life, Drammatico
Beta Reader: No
Avvertimenti: Non per stomaci delicati:
in realtà non è crudo, ma sempre meglio mettere le mani  avanti
Introduzione:
Il 28 Maggio Brescia era una città in fermento: sulla storica Piazza della Loggia, insegnanti, operai, pensionati, gente comune e politici si erano dati appuntamento per protestare contro i recenti attentati che rischiavano di far scivolare la città nel panico. È la voce di Vittorio a raccontarti tutto, facendoti scivolare in una realtà così vicina, ma passata per sempre.


Note dell'Autore:
a fine storia!

 

 

Quel giorno di maggio

 

Allora, sentite questa: gli elefanti possono volare. Troppo grossa? Oh, andiamo, guardate Dumbo, no? Va bene, d’accordo, non andate via. Ho una storia davvero interessante per voi. Qualcosa che vi farà accapponare la pelle per il terrore, ridere fino alle lacrime e disidraterà i vostri dotti lacrimali per la commozione. Si tratta di una storia vera eh, è successa a un tizio amico del volontario che mi serve alla Caritas in centro. Siete pronti? Oh, insomma, quante storie, sì, è inverno, fa un po’ freddino – un po’ tanto in effetti – ma, davvero, credete a me se vi dico che quello che sto per raccontarvi vi scalderà fino al midollo! No, signore, davvero, non se ne vada, non… ah, va bene VADA PURE, se vuole perdersi lo spettacolo lo faccia. No bello mio, non sono un barbone un po’ psicopatico, anche se ammetto che forse non tutte le rotelle sono al posto che spetta loro. Oh, grazie signora, troppo gentile, con questi cinquanta centesimi oggi come oggi posso davvero andare in un bar e chiedere un bicchiere d’acqua senz’acqua, forse me lo danno… e tu? Tu sei ancora qui? Avvicinati, non mordo. E non voglio nemmeno spillarti quattrini, se è questo che temi. Lo vedo che sei una studentella, sai, se non fosse per mamma e papà te ne staresti qui a ghiacciarti il culo sul marciapiede come il buon vecchio Vittorio, eh? Quel cenno che cos’è, un tic? Ah, ma allora a te la mia storia interessa davvero! Va bene, bimba, facciamo un patto: io ti racconto la storia più bella che sentirai mai, avvincente ed appassionante, ma tu devi offrirmi un caffè perché parlare con questo ventaccio che mi soffia contro non è certo il massimo. Quel bar là, sull’angolo andrà benissimo. Su, non fare quella faccia: ti sto chiedendo un solo euro, piacerà anche  a te stare al calduccio, no? Croce sul cuore, non ho intenzione di toccarti: Dio mio, potrei essere tuo nonno, ma per chi mi hai preso?Mi credi? Che io sia dannato, pensavo che quelli della tua generazione fossero stupidi galletti troppo  impegnati a fottersi il cervello con la tv e i videogiochi per guardarsi davvero in giro. Mi sbagliavo, te lo concedo. Come dici? Ah, ti sono sempre piaciute le storie, leggi molto? Magari sei anche una a cui piace scrivere. Perfetto, credo ci intenderemo ragazza. Ecco qua: tavolino davanti al bancone, così se succede qualcosa puoi sempre farti aiutare dal cameriere e correre via a gambe levate. Ma non succederà nulla. Ecco qua, due caffè lisci, signora, per favore… grazie mille, signora. Quel taglio di capelli le dona molto, sa? Oh, si figuri… Ma cosa stavo dicendo? Ah, sì, la storia. Bene, tu sei…? Oh, non importa. I nomi sono spesso forieri di pregiudizi inutili. Prendi me, con un nome così non dovrei forse stare dietro qualche scrivania nel superattico di un alto grattacielo? E invece no, faccio il barbone per le strade di Brescia. Ma è proprio facendo l’accattone, sai, che si scoprono storie vere che mai nessun narratore saprebbe inventare…

 

 

La Rotonda, di mattina, ha un che di poetico. Il sole sorge dietro le case e riesce a malapena a far filtrare i suoi raggi fino al centro. Così lì resta un residuo di foschia che ammanta tutto, mentre il cielo si fa progressivamente sempre più rosa. Camminare per Brescia è piuttosto semplice, le strade a griglia di impianto romano sono ordinate e precise, portano dalla piazza centrale alla circonvallazione che cinge la città. Da lì, arrivare ai negozi dei portici e di Piazza Loggia – che ancora porta le cicatrici della sua personale tragedia – è un gioco da ragazzi. La piazza di per sé è splendida: il loggiato rinascimentale è tutt’ora intatto, lo stile veneziano inconfondibile. Nulla lascia a intendere che il cuore pulsante della Leonessa d’Italia sia ancora mortalmente ferito.

 

I macc de le ure picchiavano sulle campane di bronzo dell’orologio. Due, cinque, dieci rintocchi. E lui era lì, insieme ai suoi colleghi, a protestare contro quei bastardi – ehi, scusami la parola, bimba – dicevo, quei balordi che, a trent’anni dalla fine della guerra, erano tornati a inneggiare al fascismo, al nazismo e a tutte quelle porcate dalla camicia nera. L’aria era calda nonostante la pioggia, l’umidità nell’aria lasciava presagire che giugno e luglio sarebbero stati infuocati. Ma non gliene importava. Aveva venticinque anni, era bello – o, almeno, così ha detto – e sfruttava il suo giorno libero per protestare accanto a quella bella pollastr…quella bella donna della sua collega. Giunonica, fosse un po’ troppo rotondetta per i gusti altrui, ma a lui piaceva. Aveva un ché di materno, mentre raccoglieva intorno a sé i suoi alunni all’uscita della scuola. Ora erano lì, tutti e due, infervorati dalla protesta. C’erano tanti altri insegnanti in piazza, alcuni che sembravano operai dalle tute che indossavano, gente anziana sicuramente già in pensione. I soliti studenti sfaccendati stavano ai bordi, sfruttando la scusa della manifestazione per dare un’occhiata alle belle vetrine. Il palco era allestito, mancavano solo Pannella e Castrezzati. La gente rumoreggiava: sciopero generale voleva dire quarantamila lire in meno in busta, ma erano in pochi a non aver aderito. La preoccupazione per le “Sam” era alta, dopo ben quattro mesi di attentati. Lui – il tizio amico del commesso… ah, ok, ti ricordi già – in realtà non era poi così allarmato: che potevano fare? Certo, colpire onorevoli e giornalisti, qualche sindacalista… brutte, brutte faccende, ma non si parlava certo di far scoppiare una nuova guerra! La cosa più importante era rimanere lì, sotto i portici, dove la pioggia battente non arrivava. Certo, erano un po’ distantini, l’arietta iniziava a rinfrescarsi con il rinforzarsi dell’acquazzone…quale scusa migliore per stringersi di più a Olga? La fontana ostruiva parzialmente la visuale di entrambi, ma pazienza. Castrezzati aveva appena iniziato a parlare. Lui annuisce, partecipe: parole sante, la lotta contro il fascismo non è conclusa, tutti devono fare la loro per la giustizia, questi terroristi criminali devono essere scovati dallo Stato e rinchiusi dove non possano più nuocere. Poi, in un attimo, tutto crollò. Uno scoppio, proprio davanti a loro, e fumo, tanto fumo. La gente urlava, cercava di allontanarsi dalla piazza, lui teneva stretta a sé Olga per impedire alla folla in delirio di separarli, calpestarli. Le orecchie fischiavano, era difficile mantenere l’equilibrio. A terra sei corpi, immobili, e poi altri che strillavano il loro dolore, e persone in piedi, immobili, i visi sbiancati dallo shock. Perfino Olga, il bel viso imbiancato tanto dalla paura quanto dalla polvere di marmo alzatasi dalle colonne martoriate, stava ammutolita a fissare il buco dove, poco prima, c’era un semplice cestino dei rifiuti. Alcune persone si riscossero, iniziarono ad aiutare i feriti, mentre la sirena delle ambulanze e dei pompieri si faceva sempre più vicina. Forse proprio quel suono insistente lo portò ad agire. Si mosse insieme agli uomini in tuta blu, coprendo con alcuni bandieroni i corpi immobili dimenticati a terra. Erano solo le dieci e trenta del mattino, un mattino già esausto e gonfio d’orrore. Appoggiata alla fontana meridionale stava una ragazzetta, forse di sedici, diciassette anni. Le labbra sembravano imbellettate tanto spiccavano sul viso. Portava uno scialle strettamente legato sotto la testa, probabilmente per coprirsi dalla pioggia battente. Le sirene erano più vicine. Lui le si avvicinò, per confortarla, aiutarla, chiederle se stesse bene. Gli occhi erano spenti, le labbra mormoravano incessantemente. Si avvicinò per sentire cosa diceva. “…voglio andare a casa, ho tanto freddo, non vedo nulla, voglio andare a casa, a casa, a casa… voglio andare  a casa, voglio andare a casa, ho freddo, non…” “Ehi, stai calma, adesso arrivano i soccorsi, vieni con me, ti porto via dalla pioggia…” e presala in braccio, camminava verso il porticato dove ancora Olga lo attendeva immobile. Vedere un essere così fragile che necessitava aiuto parve riscuoterla e si prodigò a togliersi la giacca leggera, per farne un cuscino approssimativo. I paramedici stavano lentamente visitando tutti i feriti, sarebbero arrivati anche lì. Lui la distese per terra, togliendosi la camicia per coprirla. Ricordava quanto fosse importante tenere al caldo le persone sotto shock. La ragazza ora piangeva, continuando la sua litania. Che una scheggia le avesse colpito gli occhi? “cara, va tutto bene, presto ti porteranno in ospedale… puoi dirmi come ti chiami? Chiameremo la tua mamma e verrà a prenderti, così potrai tornare a casa…”. La voce di Olga era calda e suadente, il tipico tono professionale dell’insegnante che cerca di convincere l’alunno recalcitrante. Gli occhi della giovane parvero metterne a fuoco la figura, mentre scandiva, bisbigliando in un soffio, “Mi chiamo Giulia. Mi portate a casa? Voglio andare a casa dalla mia mamma, le voglio tanto bene. Glielo potete dire?”. I due si guardarono. “Certo, bambina, glielo protrai dire tu…adesso calmati, io vado a chiamare uno dei paramedici…” e Olga si allontanò. Lui le tenne la mano stretta. La ragazza tossì e il movimento… ah, la pioggia. Per un attimo, era stato assolutamente certo che il collo fosse scivolato un po’ in laterale. Ma era impossibile.

Il paramedico arrivò sollecito. Si fece aiutare a mettere la ragazza su una barella ed iniziò i primissimi accertamenti. Snodò delicatamente lo scialle. Il sangue della ragazza gli schizzò sul viso, disegnandovi una maschera rossa. La testa perse posizione e cadde, un osceno sorriso si allargava da un lato all’altro del collo. Olga prese ad urlare, seguita dal paramedico, mentre lui rimaneva immobile, incapace di articolare un solo pensiero. Sentiva un altro grido inumano, senza rendersi conto di essere lui stesso ad emetterlo. Tutti accorsero. Un altro infermiere controllava i parametri vitali della ragazza. Era morta, le membra già si irrigidivano. La portarono via, insieme ai due insegnanti che, ancora gridando, tentavano di spiegare che non era vero, che la ragazze era viva fino a poco prima, parlava, aveva detto di chiamarsi Giulia…

 

 

Capisci?Ha fatto come i ghigliottinati francesi, sai, si dice che parlassero dopo la decapitazione…eh, lo stesso: un po’ di sangue aveva continuato a circolare dopo che qualcosa – una scheggia di marmo, forse, o un qualche rifiuto nel cestino – sbalzato dalla potenza dell’esplosione, le aveva tagliato la gola. Il taglio era stato così netto da non far uscire nemmeno una stilla, un po’ come quando ci si taglia con la carta: finché non si slabbra, nada. E lo scialle aveva fatto il resto.  Ehi, che hai? Ti senti male? Eh, forse il tema è un po’ lugubre, ne convengo…ma non ti avevo forse assicurato una notte di incubi, all’inizio?Signora, la prego, porti un bicchiere di acqua, la ragazza non si sente bene… no, anzi, porti un tè molto zuccherato. Oh, eccolo, qui. Grazie mille. Tieni, bevi. Meglio? Qualcosa di caldo nello stomaco fa sempre bene. Non credi che sia stato possibile? Ma come, te l’ho già detto: succedeva anche ai ghigliottinati francesi. La testa funziona ancora per un po’, mentre tutte le sinapsi collassano…cosa ne so io? Ehi, bionda, sono barbone, mica stupido. Ai miei tempi ho studiato pure parecchio, sai?
In ogni caso il tizio amico del mio amico venne fermato e gli venne fatta raccontare tutta la storia. Ovviamente non gli credettero… gli accertamenti dell’autopsia mostravano che la ragazza era già morta quando l’avevano trovata. Quando però scoprirono che la giovane era davvero una certa Giulia Sottrapa, i più iniziarono ricredersi. Tanti se ne ricordano ancora, ci sarà di sicuro qualche ritaglio di giornale dell’epoca che puoi sfogliare. Ora io devo proprio andare…davvero, non è necessario, ma se proprio insisti…quello al prosciutto, semplice semplice, sarebbe perfetto. Grazie mille cara, è da ieri che non mangio…grazie. Brrrr, che freddo, ah? Forza corri a casa, sta venendo buio e la stazione non è certo uno dei posti migliori… meglio della Chinatown che le è nata dietro, comunque. Che c’è ancora? Scusa, ripeti, non ho sentito… Se sono sicuro che sia successo davvero? Ehi, ma per chi mi hai preso? Per uno che narra bufale per un caffè? Andiamo. Non crederai davvero che sia tutta un’invenzione?

 

 

 

Brescia è realmente a pianta quadrata, la Rotonda è il Duomo vecchio e si trova realmente in centro. È vero che il 28 maggio 1974 qualche ba… lordo, per citare Vittorio, mise una bomba in un cestino, provocando otto morti e un centinaio di feriti più o meno gravi. Ovviamente nessuna ragazza venne trovata decapitata, men che meno una Giulia. La storia prende le mosse dalla leggenda metropolitana del motociclista decapitato… è ben nota, sono certa la conosciate. E dalle storie del terrore su vari fantasmi che si raccontano puntualmente ad ogni “campo invernale” organizzato dall’oratorio. Spero non lo giudichiate irrispettoso: non lo è. Amo Brescia, sono tutt’ora incazzata per il fatto che ancora nessuno abbia realmente pagato per la strage di Piazza Loggia. Mi piaceva ricordare questo fatto, un po’ sconosciuto, un po’ dimenticato, in una storia. Una storia nera, lugubre e un po’ gotica, come tetro era il tempo quella mattina.

 

Ho tentato di mantenere l’impianto classico delle leggende metropolitane più goticheggianti: l’amico dell’amico che parla, l’elemento orale, i dati che fanno riferimento a degli indizi che poi non ci sono. E la morte. Che sia l’autostoppista fantasma, Elvis redivivo, gente mangiata dai coccodrilli nella metro… l’elemento della morte è spesso presente. Insieme a quello della malattia, ma la malattia non è una morte per interposta persona? Ecco qua. Spero vi sia piaciuta.

 

 

 

 

   
 
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