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Autore: DA_translations    08/05/2012    3 recensioni
- Ci rivedremo nella prossima vita -
- Sì. Aspetterò -
Due giovani studenti, tormentati dallo stesso sogno fin da quando erano piccoli, si incontreranno. Ma sarà per caso o per destino? Come si comporteranno quando si incontreranno?
Per scoprirlo non vi resta che entrare e leggere.
ATTENZIONE: questa è una traduzione, non è farina del mio sacco. L'autrice è Saharen sul sito deviantART. Per chi volesse leggere la storia in lingua originale ho inserito un link nelle note finali del primo capitolo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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ROXAS POV
Era come se un coltello fosse stato piantato nel mio petto e poi rigirato per sadismo, come se una persona senza scrupoli avesse appena deciso che la mia vita non fosse importante.
Frammenti di una vita che non riuscivo a ricordare, ricordi di persone che, in qualche modo, da qualche parte, avevo conosciuto e amato.
Mia madre diceva che avevo un disturbo, qualcosa che sarebbe passato se io avessi semplicemente ignorato i miei sogni, se li avessi dimenticati. Ma più ci provavo e più difficile diventava. I sogni sembravano solo diventare più intensi e laceranti, come se la persona che mi faceva vedere quelle cose si irritasse e decidesse di punirmi per aver provato a sbarazzarmene. La sensazione di vuoto e solitudine iniziava a penetrare nella mia vita al di fuori.
Non riuscivo a tenere le immagini del rosso che mi dava la caccia al di fuori dei miei pensieri diurni. I suoi brillanti occhi verdi che scintillavano come di luce propria. Il modo in cui mi guardava, triste e amorevole al tempo stesso.
Ogni tanto mi sorprendevo di non essere rinchiuso in un centro di igiene mentale da quando avevo cominciato a dire alla gente che non ero Corey Lawrence ma un ragazzo di nome Roxas. Da quel momento era cominciato un regime di cure: dei dottori venivano a visitarmi due volte a settimana e mia madre mi faceva studiare in casa  e si rifiutava di farmi parlare con i miei coetanei. Diceva che quei ragazzi avrebbero peggiorato i miei problemi, che avrebbero finito per chiamarmi Roxas su mia insistenza e io avrei continuato a credere alle bugie nascoste nella mia testa.
I dottori l’avevano esortata a cambiare idea, dicendo che interagire con altri ragazzi mi avrebbe aiutato a capire che qualcuno ci teneva a me e che sarei mancato alle persone che mi volevano bene, se me ne fossi andato.
Mi misi a sedere lentamente, lo sguardo che si posava sullo specchio dall’altra parte della stanza. Anche da quella distanza potevo vedere che i miei capelli biondo scuro erano appiattiti dalla notte di sonno. Di solito li sparavo in tutte le direzioni ed era un’abitudine che le persone non capivano: perché sprecare mezz’ora per rendere i miei capelli spinosi? Non potevo dire che erano i miei sogni a spingermi a farlo, mi avrebbero solo compatito.
Lentamente mi costrinsi a sorridere, avevo bisogno di essere felice. Finalmente io e i dottori avevamo convinto mamma ad accettare il fatto che frequentare una scuola pubblica fosse la cosa più importante per me. Questo era ciò che mi avrebbe aiutato a “guarire”.
In realtà pensavo che mamma si fosse arresa con me; dopotutto poteva un disturbo sparire dopo essere peggiorato costantemente per più di dieci anni?
Scuotendo la testa mi alzai e infilai i vestiti che avevo preparato la sera prima. Semplice: una maglia bianca e un paio di jeans blu, un po’ consumati sulle gambe e un paio di sneaker nere. Non mi ero mai sforzato di scegliere come vestirmi e questo non sarebbe cambiato solo perché dovevo andare da qualche parte. Erano i miei capelli ad essere davvero importanti. Passai molto tempo in bagno ad impiastricciarmeli di gel, giusto per essere sicuro che mantenessero la forma che volevo e il risultato fu di far strillare mia madre, infastidita. Lei non capiva che era per libera scelta che facevo questo, che era una cosa che sentivo giusta e naturale.
Sospirando pesantemente scesi di sotto, trovando mia madre che mi aspettava battendo nervosamente un piede sul lucidissimo parquet.
- Corey, farai tardi per il tuo primo giorno –
- No, invece, ho ancora un’ora di tempo –
- Ma devi essere lì prima per –
- E ci sarò! Tra un’ora sarò lì per incontrare lo studente anziano che mi spiegherà tutto e mi mostrerà la scuola. Mamma! Non voglio arrivare mica con due ore d’anticipo! –
Sapevo che non avrei dovuto urlarle contro in quel modo, era davvero un grande sforzo per lei lasciarmi fare questo… ma il suo modo di soffocarmi di premure era davvero esasperante. Presi il mio piatto di uova e frittelle e mi sedetti, ascoltando le ininterrotte raccomandazioni di mia madre su cosa fare e cosa evitare, tutte cose che continuava a ripetermi fin da quando aveva acconsentito al piano.
L’ora non passava mai, sembrò trascorrere un secolo prima che arrivasse il momento di arrampicarmi in macchina e allacciare la cintura. Il tragitto, poi… un altro secolo. Avrei giurato che mia madre avesse guidato più lentamente di proposito e che avesse preso la strada più lunga.
Il cuore sembrava trapassarmi il petto per quanto batteva forte, il mio stomaco era totalmente annodato, le mani stringevano nervosamente il sedile. Per qualche ragione quello mi sembrava un passo importante da fare, come se in quella scuola avrei trovato qualcosa di fondamentale per me e attendevo con ansia quel momento.
Mamma aveva chiamato il preside prima di arrivare e l’uomo ci stava già aspettando. Guardai la scuola per qualche momento, anche se mia madre era già scesa. Cos’era quella strana sensazione nel mio petto? Quella specie di gioiosa angoscia? Un brivido mi percorse e balzai fuori, borsa in spalla.
Sorrisi all’uomo che parlava con mia madre con la timidezza e la purezza di un bambino che non aveva fatto niente di male: sapevo di dovergli dare una buona impressione.
Prima di accorgermene venni guidato attraverso i corridoi della scuola, senza più mia madre al mio fianco, solo in quello strano posto pieno di strane persone che non conoscevo. E mi sembrava giusto e naturale. Scuotendo la testa provai a concentrarmi sulle parole del preside.
- … in classe. Okay? –
- Ehm… Chiedo scusa? – sussurrai fissando l’uomo dai grandi occhi, che esitava sull’uscio di una porta da cu provenivano delle voci.
- Ho detto che la giornata si divide in tre parti. A quest’ora gli anziano cominciano le lezioni, ma io ne farò uscire uno. Ti porterà in giro, parlerà con te di come funzionano le cose da queste parti e ti porterà in mensa. Rimarrà con te fino alla fine del pranzo, poi ti lascerà in classe –
- Oh – fu tutto quello che riuscii a dire.
L’uomo bussò in fretta alla porta prima di aprirla e chiamare qualcuno. Ci fu un silenzioso scambio di battute, poi una persona parlò con una voce che mi fece balzare il cuore in gola dalla felicità.
- Ha deciso di assentarsi e il professore ha stabilito che lo sostituissi io. Dopotutto sono un onorario –
- Molto bene, allora, assolvi il tuo compito –
Il preside uscì dall’aula, seguito da uno studente alto e magro. I fiammanti capelli rossi, i segni sulle guance e quegli scintillanti occhi verde smeraldo…
I nostri sguardi si incontrarono e io seppi che il Destino ci aveva messo il suo zampino.

Note alla traduzione
Ecco il nuovo capitolo, dal punto di vista di Roxas. Il prossimo aggiornamento sarà venerdì.
Questo capitolo è stato particolarmente difficile da tradurre a causa della concordanza verbale inglese-italiano e certo non mi ha facilitato il compito il fatto che la storia sia interamente narrata in prima persona. Quindi vi invito a segnalare eventuali errori o imprecisioni, il che mi aiuterebbe enormemente a migliorare lo stile di traduzione. Ripeto, alcuni capitoli potranno sembrare un po’ pesanti anche per questo motivo, ma spero che li troverete comunque interessanti. :) 
  
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