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Autore: Gipsy Danger    08/05/2012    6 recensioni
Per quei visi belli che al risveglio piangi, come fosse per davvero un addio.
“Le cose più dolci, se divenute ordinarie, perdono il loro grato piacere..." o forse no.
Tra spettri e saké, per rendere un addio più leggero.
[Prima classificata al contest Courage, Honor and Nakamaship di Angelsword e vincitrice dei premi Shakespeare, Piuma d'Inchiostro e Opposizione]
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanosuke Harada, Shinpachi Nagakura
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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If today was your last day

*
[My best friend gave me the best advice
he said each day's a gift and not a given right
Leave no stone unturned, leave your fears behind
and try to take the path less travelled by
That first step you take is the longest stride

Against the gain should be a way of life
what's worht the price is always worth the fight
Every second counts, 'cause there's no second try
So live your life like you'll never live it twice
Don't take the free ride in your own life

If today was your last day and tomorrow was too late
could you say goodbye to yesterday?
Would you live each moment like your last?
Leave old pictures in the past?
Donate every dime you had?]

Nickelback, If today was your last day

*

Non è molto: appena una goccia. Gli tocca le labbra screpolate e scivola oltre, una stilla al limite dell'insapore.
E tuttavia riesce a strappargli una smorfia.
"Allora?"
Attraverso il legno levigato del tavolo, gli occhi ambra di Harada lo puntano come quelli di un segugio. Le labbra di Shinpachi si piegano in un sorrisetto sarcastico. Braccia incrociate davanti a sé, gambe stese, uno stivale posato sull'altro: conosce quella posa.
Il suo migliore amico potrà sembrare tranquillo, quasi innocuo, ma è solo una facciata.
Una facciata che vorrebbe davvero mandare in pezzi.
"Allora che?"
"Quando torniamo con il resto delle truppe?"
Shinpachi fa spallucce. Il saké gli ammicca di rimando, chiazza lucida e perfetta alla luce delle lanterne. Uno specchietto per le allodole, considera il ronin, inclinando la tazzina. La ceramica liscia sembra fuori posto tra le sue mani – scure, rovinate.
Per un attimo gli ricorda Chizuru, quella forma così fragile annidata tra le sue dita. Un attimo dopo il suo palmo si apre e la tazzina torna a essere quello che dovrebbe: uno stupido contenitore di saké scadente.
"Che ne so, io?"
Harada contrae la mascella. Sul suo viso sono apparse quelle sottili linee bianche che ha sempre quando è irritato, una parodia di un lupo che ringhia.
"Non ti sei ancora stufato di andare per izaka-ya?" chiede. Le sue dita tormentano un filo sfuggito alle bende attorno alle sue mani.
Almeno non sono cambiate, pensa Shinpachi, buttando giù il saké. Almeno sono ancora le stesse fasce. Chissà dove sono rimasti i vestiti di Sano, gli hakama troppo corti per la sua altezza sproporzionata e gli zori. L'haori azzurro e bianco.
Bruciati insieme al tempo.
Pensa, ma non parla.
"C'è ancora saké?" mugugna, invece.
Harada inarca appena un sopracciglio. Prende la bottiglietta, la scuote piano.
"Metà, credo."
Senza una parola, Shinpachi tende la tazzina verso di lui. Sano sospira, inclina la bottiglia. Il liquido disegna increspature nel fondo del recipiente e il profumo – dolce, lievemente speziato – del saké di Edo riempie l'aria.
"Mi hai almeno ascoltato?"
Shinpachi non alza gli occhi.
Il saké nella tazza gira.
"Non eri tu quello che voleva andare a dare l'addio a Edo?" borbotta, portandoselo di nuovo alle labbra. Si sorprende a provare, all'ultimo istante, un briciolo di aspettativa.
Ma il saké è insipido. Come il primo sorso, così il secondo – e il terzo, il quarto.
Harada pianta i gomiti sul tavolo e il suo sguardo brucia su di lui, lo sente anche senza guardarlo.
Un tarlo. Che scava, scava, scava -
"Sì, ma per salutare non intendevo trascinarsi da una bettola all'altra a gonfiarsi d'alcool."
Shinpachi emette uno sbuffo divertito. Alcool è un complimento che il risciacquo di piatti nella sua tazza non merita.
"Sto facendo un favore ai padroni, Sano. Se la gente sapesse quant'è disgustosa quella roba, finirebbero in rovina."
Non riesce più a farsi piacere il gusto del sakè. È da un po' che succede, e non può essere  normale – Sano lo guarda con gli occhi sgranati, incredulo.
"Era il tuo posto preferito" puntualizza.
Era.
Passato remoto. Viene utilizzato un po' troppo, ultimamente.

"Heisuke era un ragazzino, lo sapevamo entrambi, non avresti sopportato di vederlo morire."
"Avevamo giurato di non toccare quella maledetta medicina, Sano! E lo sapeva!"
"Ha ventun'anni! Non puoi chiedergli di finirsi da solo-"
"Ma l'ha già fatto. L'ha – già – fatto!"
...
"Non dovevamo proteggere lo Shogun e la Capitale?"
"Sì, l'obiettivo era quello."
"È la Makoto che vedo sullo stendardo. Non il nome di Kondou."
"Shinpachi..."
...
"E Shiranui? Non era un nemico?"
Sguardo distante.
"Le alleanze possono cambiare."
E quello strattone doloroso nel suo petto, come se lo stiano strappando in due.
"Quindi adesso molli?"
"No. Non ancora. Ma so chi potrei cercare, se non ce la facessimo. Insomma, se fossimo soli-"
Chiedere aiuto ad un demone – un Satsuma, per di più. Fino a poco tempo fa, Harada si sarebbe aperto di nuovo lo stomaco pur di evitarlo.
Ma si cambia.

Era.
Shinpachi tracanna il saké d'un fiato. Di secondo in secondo si sente sempre più orribile. Più puntiglioso. Più odioso.
Più debole.
Stupido idiota. Non riesci nemmeno ad andare fino in fondo.
"Già," rincara. "Era. Hai presente? Quand'ero un idiota che si fidava di una manciata di promesse e si faceva fregare il riso da un ragazzino."
Adesso il tarlo non è più lo sguardo di Harada. È dentro di lui e lo consuma, lo corrode.
Era.
Heisuke è un morto che cammina, Kondou ha perso la strada e Shiranui è una chiazza nera che attira Harada ogni giorno di più.
Era.
Quanto manca perché anche lui vada in frantumi?
Non lo sa. Non lo vuole scoprire.
Forse è già successo.
Ha paura di scoprirlo.
"Sei completamente impazzito, Shinpachi?"
"No. No, sono a posto. Davvero. Mai stato meglio." La ceramica emette un gemito che assomiglia al pianto quando afferra la bottiglia e la strascica verso di sé. Tanto vale riempirsi fino a scoppiare di quella schifezza, non attenuerà il dolore. "E adesso non fare quella faccia, Sano, diamine, non ho ucciso nessuno."
Harada lo scruta. Per un istante una scintilla di rabbia gli s'accende negli occhi – quello successivo le pozze dorate si fanno distanti.
"No, stai solo sputando su qualunque cosa ti venga a tiro." commenta, caustico. "La Shinsengumi, Heisuke, Itou, la guerra, Edo, me- tutto, Shinpachi, dannazione, tutto. Anche il saké. Te lo ricordi, almeno, che ti piaceva?"
"Le cose più dolci, divenute ordinarie, perdono il loro grato piacere." Il ghigno sarcastico gli viene spontaneo come il ringhio ad un cane. Vuole mordere. Vuole ferire. Se solo Sano potesse sentire un briciolo di quello che prova...
Se solo.
Si accorge troppo tardi di aver detto la cosa sbagliata.
Lo sguardo ambra chiaro si fa freddo, duro. Le mani di Harada hanno una contrazione, uno spasmo involontario – e Shinpachi è sicuro che adesso gli tirerà un pugno. Non quelli amichevoli che si davano in dojo: uno di quelli che ti rivoltano la faccia sulla nuca.
Il pensiero lo disarma.
Me. Vuole colpire me. Perché sto mandando a puttane tutto. Perché non ce la faccio più. Perchèperchéperchè-
Harada tira indietro il braccio. Shinpachi sente la spada contro il fianco. L'elsa è lontanissima, una sporgenza di roccia a cui non può arrivare per salvarsi dal precipizio. Cado. Ora cado.
Disarmato, stringe i denti e serra gli occhi, d'istinto.
Dita calde si posano sulla sua testa. Leggere, quasi impalpabili.
Shinpachi spalanca gli occhi di scatto.
"Hai sbagliato di nuovo." mormora Sano. Gli scompiglia i capelli così come faceva con Heisuke e Chizuru.
All'improvviso sono entrambi in piedi – e non c'è il tavolo tra loro, non c'è la strada invasa dagli accordi del koto né dagli schiamazzi degli ubriachi. Tutto è avvolto in una luce bianca e asettica.
E allora Shinpachi capisce.
"No. No."
È un sogno. No, anzi: è il sogno. Quello che lo tormenta una notte dietro l'altro. Si sveglia e non se lo ricorda. Si addormenta e non si accorge di caderci dentro a peso morto.
Succede così, senza controllo. Un milione di volte la stessa scena, un milione di volte lo stesso tavolo e lo stesso saké che gli brucia la gola come fuoco. Ogni volta il desiderio di tornare indietro.
Non vale. Non vale! Lasciatemi tornare indietro! Lasciatemi riprovare.
"Sano-"
Le dita sono meno di un refolo di vento tra le sue ciocche arruffate. Dita di fantasma, dita di spettro. Sano non è trasparente e ha ancora gli stivali ai piedi, ma questo non cambia le cose.
Harada è morto.
E lui
ha sbagliato
di nuovo.
"Sano, no, ti prego-"
Il suo amico non risponde. Shinpachi annaspa e cerca la consistenza del suo corpo, la concretezza della mano appoggiata su di lui. Non la trova. Un ringhio gli nasce e gli si spezza in gola – ed è meglio così, perché se potesse uscire si porterebbe dietro tutto il resto.
"Devi smetterla."  Harada socchiuse gli occhi, le sopracciglia corrugate. "smettila, Shinpachi. Non puoi andare avanti così."
Il Nagakura che era capitano della seconda unità della Shinsengumi riderebbe e gli chiederebbe da quando in qua è diventato il suo spirito custode. Il Nagakura di adesso non regge sotto il peso del suo stesso sorriso.
"Lasciami tornare indietro – posso cambiare le cose, posso farcela, stavolta ne sono sicuro."
"No."
"Sano, te lo giuro, sono pronto! Se solo mi lasciassi provare, se solo-"
"Shinpachi, basta, dacci un taglio."
"No!"
"Smettila!" Quando Harada alza la voce lo segue una folata di aria fredda. Shinpachi rabbrividisce, si tira indietro. Il vento gelido gli graffia le braccia. "Un anno, kuso, un anno! Smettila! Quanto accidenti ti ci vuole a capire che sei ancora vivo?! Tu, non io! Non io!"
Shinpachi deglutisce. È una fortuna che a mattina fatta si scordi di tutto questo – ogni volta desidera che quel dannato saké sia veleno. Se morisse sarebbe tutto più facile. Se.
"I-io non-" balbetta
"Incontriamoci ad Aizu!" abbaia Sano, rauco. Lo spinge, ma le sue mani prive di consistenza gli passano attraverso. "Ad Aizu! Lo so che non ho mantenuto la promessa, ma questa non è una buona scusa per consumarsi! Ti sei visto? Ti sei ascoltato?"
Shinpachi digrigna i denti. Tieni, tieni duro. A questo punto di solito tira avanti con questo ritornello.
Ma non questa volta.
Questa volta si rende conto che quella massa informe e ferita e rattoppata con il metallo che gli pulsa in petto è il suo cuore. Gira su ingranaggi che ha smesso di pulire e ticchetta.
Una bomba.
"Rispondimi, cazzo! Guardami!"
E la sua voce esce come non ha mai fatto prima.
"Lo so!" urla. Harada sussulta e fa un passo indietro, preso alla sprovvista. "Lo so! Che cosa credi, che mi stia divertendo a mandare tutto a puttane?! Non ce la faccio! Non cambia niente, ogni giorno ci provo e ci provo ma non riesco a buttarmi tutto dietro le spalle! Non posso far finta che non sia successo niente..."
"Non ti sto chiedendo di far finta di nulla, idiota, ti sto chiedendo di non comportarti come se fossi morto tu al posto mio!"
"Come se fosse facile!"
"Shinpachi, sei l'unico che si sta incaponendo. Ce l'ha fatta Saitou, perché non tu?"
"Saitou è diverso."
"Saitou ha avuto la nostra stessa dedizione. Ed è solo quanto te."
"Ha una moglie."
Harada si piazza le mani sui fianchi, in quel gesto così familiare. "Perché, tu no?" lo rimbecca, con sarcasmo.
Shinpachi arrossisce. È vero. Dopo essere rimasti tagliati fuori da Aizu, la Seiheitai si è sciolta e lui è tornato a Edo con il resto del suo clan di nascita, i Matsumae, per poco. Poi – grazie, Itou Kashitarou, si dice con una smorfia, non bastava che ci portassi via Heisuke, dovevo anche incontrare tuo fratello – la strada l'ha portato fin in Hokkaido.
E lì si è sposato.
"Sai benissimo che non ho la minima dannata intenzione di sputare sulla vostra memoria."
"Shinpachi, sei l'unico a vederla così. Lo sai. Dove lo vedi l'oltraggio alla memoria? E tutti quei discorsi a Shimbabara? Oh, sì, celebriamo la vita a scapito della morte!" Harada abbozza un mezzo sorriso. "D'accordo, erano per giustificare quello che facevamo, ma adesso non cambia nulla."
Shinpachi scuote il capo.
"Cambia il fatto che sei morto."
"La morte non è niente. È come se fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io, e tu sei sempre tu. Quello che era vero prima è vero anche adesso. E tu lo sai.
Esci. Vai al festival di Gion, vai al tempio, prega. Assapora ogni chicco di riso, trova qualcuno che beva il saké in tua compagnia. Fai l'amore con tua moglie, cerca tua figlia. Te la ricordi, tua figlia? Oiso. Quand'è stata l'ultima volta che l'hai vista?"
Oiso.
Di quei pochi istanti in cui Shinpachi l'ha tenuta in braccio resta una manciata di ricordi disseccati dalla guerra civile, ma qualcosa è ancora lì, attaccato tenacemente a lui. Gli occhi neri, assonnati. Le mani così piccole, le unghiette come quelle minuscole patelle che si trovano sulla sabbia al mattino presto.
Chissà come sono diventate, quelle mani.
Shinpachi non può fare a meno di pensare alla figlia di Hijikata, morta piccolissima, e lo stomaco gli si contrae all'idea che forse anche Oiso potrebbe...potrebbe...no, se fosse morta me lo sentirei. Almeno questo, come padre.
Già, che razza di padre è stato.
"Aveva qualche giorno." Mormora. "L'ho portata dalla sorella di Kotsune prima che potesse succede qualcos'altro."
Un altro nome, un altro era. Kotsune. Un'altra persona che gli manca terribilmente. Lei, la sua risata, la sua pelle liscia a contrastare le sue cicatrici. Il suo sorriso quando parlavano insieme del bambino. Un'altra memoria calpestata. Se davvero l'avessi amata non avrei accettato di avere nessun'altra.
Ma il mondo va avanti così, a piccole cose che possono essere piacevoli, ma alla lunga diventano stancanti.
"Valla a cercare. Shinpachi, valla a cercare prima che sia troppo tardi. Non fare il mio stesso errore. Ogni istante che passi qui è una benedizione, che sia ordinario o no. Non lo sprecare. Ogni cosa, fino in fondo. È tutto quello che abbiamo."
"..."
Una corrente d'aria calda lo sfiora mentre Sano si muove verso di lui. Gli circonda le spalle con un braccio, come faceva sempre di ritorno da Shimabara.
"Devi lasciarmi andare."
"Non ce la faccio. Da solo non ce la faccio. Ho bisogno di te, io...io non sono mai riuscito a mettere la testa a posto, lo dicevi sempre."
"Beh, questa è l'occasione per imparare. Tenermi qui, legato a te, finirà per fare del male ad entrambi. E io non voglio trasformarmi in uno yuurei, Shinpachi. Non per rovinare la vita a te."
La presa si scioglie.
"Lasciami andare."
Shinpachi deglutisce. Ha un nodo alla gola che lo strangola di minuto in minuto. Ma Sano, stavolta, sembra più disperato di lui. Più testardo di lui.
"Ti prego. Lasciami andare."
Shinpachi si rifiuta di guardarlo. Non è pronto. Non vuole dire addio – nemmeno a questi sogni che lo tormentano, non se sono l'unico filo che ancora lo tiene legato a Sano.
"Mi aspetterete?"
La mano disincarnata cerca la sua, la trova, la stringe. Per un istante sembra quasi umana.
"Sempre. Ma tu cerca di arrivare il più tardi possibile."
Shinpachi annuisce.
"E...Shinpattsan?"
"Che c'è?"
"Fammi un favore. Quel saké finiscilo anche per me. Mi piange il cuore vederlo sprecato."
Shinpachi batte le palpebre. Poi, lento, un mezzo sorriso si apre sulla sua faccia.
"Che c'è, non ce n'è abbastanza al di là del fiume?"
Sano sogghigna.
"E chi lo sa. Tu goditelo finché puoi." La mano scivola via. Lo sguardo ambrato ammicca. "Anche per me, d'accordo?"
Shinpachi inarca un sopracciglio. Alza il braccio – eccola, la tazzina che era sparita. Piena fino all'orlo. Forse il saké sarà amaro, forse sarà più dolce del miele.
In ogni caso, è ciò che gli tocca.
Piega il braccio e accenna un brindisi scherzoso solo a metà.
"Kanpai" mormora. La sua voce è fievole.
Sano sorride. Sta già svanendo – e Shinpachi non vuole vedere l'istante in cui sparirà del tutto.
Chiude gli occhi, si porta la tazza alle labbra, l'inclina.
Non è molto: appena una goccia. Gli tocca le labbra screpolate e scivola oltre, una stilla al limite dell'insapore.
È un inizio. Un piccolo passo.

Non è ancora pronto ad un addio.
Ma questo è solo un arrivederci.

*

[And would you call those friends you never see?
Reminisce old memories?
Would you forgive your enemies?
And would you find that one you're dreaming off?
Swear up and down to God above
that you'd finally fall in love?
If today was your last day

You know it's never too late to shoot for the stars
Regardless of who you are
So do whatever it takes
'Cause you can't rewind a moment in this life]


N\A:

Questa one - shot si è classificata prima al concorso "Courage, Honor and Nakamaship: 'cause Friends are just like a second family" di Angelsword e ha vinto i premi speciali Shakespere (per inserzione della citazione data nel contesto e nel momento più opportuno), Opposizione (per essere andata "contro" al significato della citazione con le motivazioni più valide) e Piuma d'Inchiostro (per lo stile di scrittura più scorrevole). Potete leggere il giudizio generale sul mio LJ, dove l'ho sistemato per non intasare la pagina, insieme al commento sulla storia e a qualche nota storica inclusa nell'allegato originale :3

Ja ne, Kei

   
 
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