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Autore: FRC Coazze    08/05/2012    2 recensioni
C'era una volta... un bambino. I suoi sogni. I suoi incubi. Le sue lacrime. Il blu...
E il blu! Il bambino adorava il blu. Il suo modo di scivolare leggero sui sentieri del vento, le sue braccia calde che lo avvolgevano e lo stringevano e lo coccolavano. Ma era un sogno. E ogni volta che riapriva gli occhi, il bambino vedeva solo grigio. Grigio ovunque.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Blu


 

C’era una volta un bambino.

Viveva in una vecchia casa. Buia. Tagliente. Una casa di vetro. Grigio. Tutto era di vetro. I muri erano di vetro. Il pavimento. Mobili non ce n’erano. La casa era un guscio di vetro grigio, e il bambino viveva lì come un pulcino dentro ad un uovo di nulla.

Nessun altro abitava quella casa. Il bambino era da solo. Se ne stava giornate intere seduto nel grigio, immobile. In silenzio. Perché lui era solo. Perché nessun altro al mondo poteva vederlo. Lui era solo. E se ne stava lì, in silenzio, protetto dal suo scrigno di vetro.

Voleva scappare. Voleva vedere il mondo. Voleva uscire e gridare a tutti che lui era lì. Che lui esisteva. E aprendo le ali al cielo avrebbe potuto volare. Volare lontano. Lontano dalla sua grigia casa di vetro. Lontano. Toccare le nuvole. Visitare paesi colmi di colore, con i fiori, con le farfalle, coi pesci!

Ma non poteva.

Le pareti di quella casa erano lisce, perfette, impenetrabili. Non c’erano finestre. Non c’erano porte. Non poteva uscire. Non poteva fuggire. Non poteva vedere alcun colore se non quel grigio perfetto che lo circondava. Perché? Perché non poteva uscire? C’erano così tanti colori là fuori… lo sapeva. Li aveva visti. Nei suoi sogni. Colori che nemmeno un angelo avrebbe saputo descrivere. Banchi di indaco che nuotavano nell’aria. Stormi infiniti di gialli che cantavano veleggiando su grandi foglie verdi. E i rossi. I rossi che saltavano felici qua e là tra i fiori rosa e bianchi. L’arancione che faceva le capriole insieme alle farfalle variopinte. E il blu! Il bambino adorava il blu. Il suo modo di scivolare leggero sui sentieri del vento, le sue braccia calde che lo avvolgevano e lo stringevano e lo coccolavano. Ma era un sogno. E ogni volta che riapriva gli occhi, il bambino vedeva solo grigio. Grigio ovunque.

Perché? Perché nessuno lo liberava? L’avevano abbandonato. Tutti l’avevano abbandonato. Nessuno sapeva che lui era lì. E nessuno, nessuno sarebbe mai venuto a prenderlo. E allora la tristezza e l’amarezza e il dolore prendevano il sopravvento. E i colori svanivano. Piano piano. Sfumavano nel grigio triste della casa. E il bambino sentiva le lacrime calde accarezzargli le guance. Ma anche loro erano grigie. Grigie come tutto il resto. Anche i suoi occhi erano grigi? E i suoi capelli? E la sua pelle? Tutto era colorato dalle lacrime.

Voleva vedere i fiori. Voleva vedere il cielo.

Voleva il blu. Il blu. Scintillante e consolatore, che lo cullava nel sonno. Dov’era il blu?

Perché nessuno vedeva quel bambino imprigionato nella nebbia? Perché?

Voleva urlare. Urlare. Chiamare aiuto. Ma non aveva voce. Perché il bambino era muto. Non c’era alcuna parola nel suo petto. Non c’erano finestre in quella casa. Non c’erano porte. Né luce. Né buio. Né voce. E allora il bambino si rannicchiava su sé stesso, bevendo le sue stesse lacrime. Perché non c’era acqua in quella casa. Acqua fresca e gorgogliante. Il bambino non l’aveva mai vista. Conosceva solo il sapore salato e amaro delle lacrime e del grigio. Il bambino non l’aveva mai sentita. Sentiva soltanto il suono dei suoi singhiozzi e il silenzio del grigio.

Il blu. Dov’era il blu?

Il blu non c’era più.

Venne il giorno in cui il bambino chiuse gli occhi e vide solo nero. Nero e oscurità. Dov’erano i sogni colorati? Anche loro lo avevano abbandonato?

Chi aveva rubato i suoi sogni? Non c’era nessuno in quella casa. Solo lui. Lui solo. Sé stesso.

Il nero dei suoi sogni divenne il nero dei suoi incubi. E il rosso. Il bambino odiava quel rosso. Non era giocoso e felice come quello dei suoi sogni, no. Era scuro, denso, caldo. Il bambino aveva paura. Quel rosso e quel nero si appiccicavano sulla sua pelle come parassiti e lui non poteva scappare. Non poteva scappare. Il blu… dov’era il blu?

E il bambino piangeva. Piangeva. Quel rosso faceva male. Bruciava la sua pelle. Il nero faceva male. Bruciava il suo cuore. Le sue lacrime non coloravano più nulla di grigio, svanivano nel nulla, ingoiate dal nero e dal rosso. Il bambino non sentiva più il loro gusto amaro, ma quello metallico e dolciastro del rosso.

Il bambino non poteva più piangere. Non poteva più respirare. Non aveva più paura. Voleva andarsene. Andarsene ad ogni costo.

Cominciò a spingere sulle pareti dell’incubo che lo stringevano. Spinse. Spinse sempre più forte. Voleva svegliarsi. Era solo un incubo. Solo un incubo…

Il grigio. Il grigio lo accolse. Stremato e ansimante. Era riuscito a fuggire. Era riuscito a svegliarsi. Il nero. Il rosso. Li aveva abbandonati dietro le sue palpebre, ma sapeva che erano ancora lì, pronti ad accoglierlo non appena il sonno lo avesse catturato di nuovo.

Pianse. Pianse, il bambino. Perché sapeva che non avrebbe mai potuto fuggire ai suoi incubi. Non sarebbe mai potuto fuggire dalla sua casa di vetro grigio. Pianse, perché sapeva che non avrebbe mai più riavuto i suoi sogni colorati. Sapeva che il nero e il rosso malvagio li avevano uccisi per sempre. Per quanto lui si sforzasse mai, mai avrebbe visto i colori dei suoi sogni. Mai. Solo il grigio quando era sveglio. E il nero e il rosso quando dormiva.

Pianse, perché era solo.

Pianse, perché tutti lo avevano abbandonato. I suoi genitori. I suoi amici.

Pianse, perché nessuno si sarebbe accorto che lui era lì.

Pianse, perché a nessuno importava.

Pianse.

Pianse e le sue lacrime presero a tintinnare come il suono consolatore dell’argento. E blu. Blu, divennero blu. Stelle blu splendenti dietro l’argento, che gli sorridevano.

Il bambino si stupì. Ma sì. Sì, era proprio blu quello. Erano due stelle blu che gli sorridevano. Sorridevano a lui!

Il bambino sentì mani calde asciugargli dolcemente le lacrime. Braccia forti avvolgerlo e cullarlo. Era il blu. Il suo blu! Era tornato!

Il bambino si accoccolò in quel mantello di colore, sotto il sorriso dolce e paterno delle stelle blu. Si abbandonò al calore carico d’affetto. Non aveva più paura. Ora sapeva che il blu non l’aveva abbandonato. Sapeva che era lì, pronto ad accoglierlo e a sorridergli e a scacciare gli incubi lontano. I colori dei suoi sogni erano morti, ma il blu era vero. E al bambino il blu bastava.

 

*******

 

Non me la sento di commentare questa storia. Non so da dove sia saltata fuori, semplicemente è nata da sola. Molto profonda. Fa pensare, vero? E io voglio farvi riflettere.

Credo che abbiate capito tutti chi è il bambino. Cosa, anzi chi rappresenta il blu. E il nero e il rosso degli incubi. Non so perché ho dato un impostazione da favola. E’ venuta così.

In teoria, il bambino abita in uno specchio. Non so se qualcuno di voi l'abbia capito. Non si capisce bene dalla storia, ma ve lo dico io. XD

Spero vi sia piaciuta. Mi lasciate qualche commento?
 
 
  
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