Spense il computer, con uno scatto e
sbuffò. Perché non
riusciva a contenere rabbia, ansia, sentimenti, tutto?
Perché le veniva così
difficile? Sembrava che tutti ci riuscissero tranne lei.
Chiuse gli occhi e portò le manine alle tempie, a
massaggiarle. Tanti respiri profondi ma questo le causò solo
più nervoso, un
senso di urto immane, come lo
definiva lei. Riaprì gli occhi e tirò di nuovo
fuori l’aria dai polmoni, prese
l’I-Pod che era sulla scrivania con le cuffie già
inserite, creò una di quelle
playlist con un massimo di cinque canzoni, quelle che si sentiva cucite
addosso
in quel momento e allontanò la sedia, alzandosi piano e
dirigendosi verso il
letto. Trascinandosi.
Spense l’abat-jour che le faceva da luce soffusa per tutta
la stanza e che teneva sul comodino e si rintanò sotto le
coperte. Il play
partì in automatico, come un riflesso incondizionato del suo
pollice. Il flusso
dei pensieri fu lasciato libero assieme alle frasi delle canzoni che le
risuonavano come martellate nel cervello, nei polmoni, nel cuore.
Il cuore. Il suo
cuore. Quello che avrebbe desiderato
Juliet per se stessa. Quello che non avrebbe mai avuto.
Non riuscì a dormire per l’ora successiva, pur
sforzandosi,
sentiva ogni minima cosa rimbombarle dentro, così si
limitò a spegnere la
musica e rigirarsi nel letto. Si ritrovò la mattina dopo con
un senso di
angoscia, dovuto agli incubi, le cui immagini le ripassava davanti ad
intermittenza mentre apriva e richiudeva gli occhi di scatto.
Nelle orecchie le sembrava di ascoltare ancora le note della
sera precedente e si affrettò a riprendere in mano
l’I-Pod rimettendo play e
alzandosi lentamente dal letto. Aveva lezione quella mattina, ma
probabilmente
avrebbe fatto tardi. E dire che abitava a pochi passi
dall’Università!
Mandò un messaggio al suo amico. – Tienimi il
posto! Arrivo
tra poco! J. –
Si preparò di fretta, legò i capelli in una
codina di lato,
lasciando libero il boccolo del ciuffo a ricaderle davanti, proprio
come
piaceva a lui, e con le forcine tenne fermi quei ciuffetti dietro che
non
stavano nella coda. Arrivò così, per il rotto
della cuffia prima del docente, e
andò a sedersi assieme tra Claudio e Giacomo, i suoi
compagni di avventure in
quegli ultimi due anni.
Due anni. Com’era cambiata in due anni? Tanto, forse troppo,
o forse solo in parte rimanendo la ragazza dolce ma con carisma. No, il
carisma
prima non esisteva, non sapeva neanche cosa fosse.
Cosa l’aveva cambiata? La morte della migliore amica forse,
avvenuta proprio due anni prima, poco dopo aver iniziato
l’Università, e dire
che volevano prendere casa assieme. Se l’avessero fatto forse
lei sarebbe
ancora viva, al sicuro, al suo fianco.
L’aveva cambiata l’ex ragazzo, facendole capire che
le
persone non sempre mantengono le promesse come faceva lei, che le loro
parole
il più delle volte erano dette solo per compiacere
l’altro, ma doveva
ringraziarlo. L’aveva fatta crescere e maturare anche, le
aveva insegnato a
parlare di tutto visto che lui era molto colto, peccato che molti dei
suoi
erano solo giri di parole e arabesque che abbellivano il tutto, lei
invece era
fin troppo pratica. Concisa e diretta, arrivava al punto, a volte in
maniera
letale, così come quando lui la lasciò al
telefono. Un messaggio e addio. Oh,
gliela fece pagare eccome.
Una gravidanza inaspettata giocò a suo favore,
l’aborto fu
la parte che la distrusse, così come il menefreghismo di lui.
Andando avanti, credendo che ormai non bastasse più colla a
rimettere in sesto i pezzi di se stessa,
che non bastasse più il filo nell’ago
per rattoppare il cuore, si rimise
in sesto continuando per la sua strada. Cambiata anche dalla gente che
aveva
conosciuto in quei due anni che volente o nolente le aveva lasciato
qualcosa di
loro.
Venne ripresa dalla voce di Claudio che le faceva vedere una
delle sue caricature. Rise e scostò il boccolo dal viso,
portandolo dietro l’orecchio,
lo sguardo vacuo rispetto al sorriso aperto.
‘Il
tuo sguardo è la tua
anima. Rispecchia te stessa.’
A volte aveva ancora quelle parole in
testa, quella
vecchietta che l’aveva fermata quando entrò in una
chiesa a vedere una mostra.
Le aveva preso una mano e le aveva detto quelle parole, continuando:
“Quanta
tristezza, agitazione, dolore, per una ragazza così
giovane.”
Le rimasero impresse, marchiate sulla pelle, quelle parole.
La verità sconcertante. Scappò fuori alla ricerca
di aria dopo che l’anziana
signora le aveva lasciato la mano.
Sorrise di nuovo, Juliet, quasi colpevole dell’essere
scoperta, come se adesso fosse alla mercé del suo amico,
come se lui potesse
vedere i suoi ricordi. Si sentì violata solo per un momento
per poi ricordarsi
che era pressoché impossibile leggerle la mente. Rincuorata
da quel pensiero si
decise a parlare.
“E’ che oggi arriva il mio migliore amico e sono
eccitatissima!”
Suonava forse da ragazzina quella frase, ma a Giacomo bastò
per
fargli sfuggire un sorriso vedendola finalmente contenta mentre Claudio
si impressionava della curva delle labbra assunta dal collega.
Iniziarono a
scherzare tra loro, cercando di non disturbare il resto della lezione,
finchè
dimenticarono di stare in aula e vennero buttati fuori.
Chiusero le porte dell’aula e scoppiarono a ridere. Fortuna che ho loro, pensò
Juliet.
Andarono a fumare una sigaretta insieme e poi si separarono. Prese il
lettore
dalla borsa, assieme alle chiavi e tornò a casa.
La prima canzone le rimbombò nelle orecchie e si
ricordò perché
si distraeva in continuazione quel giorno. Maledetta musica.
Entrò in casa facendo girare la chiave nella toppa e
salutò
le coinquiline. Di mangiare non se ne parlava, aveva bisogno di stare
sola. In
realtà mangiare quando stava lì per quattro
giorni la settimana le sembrava
quasi un optional da non stare troppo a contemplare. Faceva un pasto
frugale al
giorno, il pomeriggio o la sera.
Si rintanò in camera, com’era sua abitudine ed
accese il pc,
controllo mail, messaggi e poi andò dritta a studiare,
mentre la mente era
ancora in altri posti. Non si rese neanche conto che si era
addormentata sul
libro di Letteratura Italiana finché non bussarono alla sua
porta.
Dio! Alex!
Il suo migliore amico era alla sua porta,
chiusa dietro di lui, già in camera. Notò con uno
sguardo rapido che aveva già
sistemato la valigia e messo le lenzuola al letto accanto al suo. Come ho fatto a non accorgermi di nulla??
Si alzò dalla sedie e gli fece le solite moine: baci,
abbracci, una scossa ai capelli e un sorriso grande. Chi voleva
prendere in
giro? Gli altri, comuni mortali, si sarebbero di certo lasciati
abbindolare, ma
non lui.
“Che succede piccola?”
Che succede? Che
succedeva? Juliet non aveva una risposta
pratica. “Non lo so.”
Ogni suo ‘non lo so’ era come una pugnalata per chi
teneva a
lei, si sapeva che quelle tre parole dette da lei erano un misto di
emozioni e
pensieri inespressi, che forse neanche lei sapeva dargli il giusto
nome. Sapeva
però collocarli.
Illusioni. Amore. Problemi. Odio.
Quella la collocazione di ogni suo pensiero razionale e non
in quel momento, e due persone a coronore il tutto: un lui e una lei.
“Sai che qualche
volta dovresti spegnere il cervello?”
Le braccia di lui andarono alla vita sottile di Juliet,
abbracciandola da dietro.
“Mi piacerebbe anche spegnere il cuore.”
Istintivamente, a quelle semplice frase, che semplice non
era, l’abbraccio si strinse di poco. Alex sapeva cosa
intesse. Non voleva
realmente spegnere il suo cuore e
lasciarsi morire, no. Voleva solo una tregua dall'amore.
Ma
si puo' davvero trovare tregua con un sentimento così
forte?
L’amore la distruggeva, la
dilaniava pezzo per pezzo, perché
lei era una di quelle persone che amava davvero, senza niente da volere
in
cambio, forse qualche attenzione, un paio di sorrisi, ma nulla di
più.
Alex le piazzò un bacio sulla fronte.
“Shopping è quello che serve!”
L’occhiolino e la parola ‘shopping’ le
fecero ricordare che
se quel ragazzo non fosse stato assurdamente gay, se lo sarebbe portata
a letto
da anni, e sarebbe stata una gran bella storia d’amore.