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Autore: marguerite_murcielago    09/05/2012    2 recensioni
[partecipante al contest: SMOKEY DREAMS indetto da Roba da Scrittori di Fanfiction]
«Astride, cos’hai sulla guancia?»
Gelò, portandosi due dita allo zigomo, pur senza perdere il sorriso.
Sotto i polpastrelli, una forma di fango ormai essiccato.
La forma di un bacio di ninfa.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Astride'
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Titolo della storia: Ninfale rodigino
Nome dell’autore su EFP: Marguerite_
Rating: Verde
Generi: Sovrannaturale
Avvertimenti: One-shot
Immagine scelta: http://animeartbooks.net/viewimage/6868/
Scelta perché: le altre erano troppo p0rn per me! scherzo, mi ha incantato la delicatezza di questa figura, tanto da ricalcare alla perfezione un
villain a cui pensavo da molto tempo.

 

 

 

Astride sbadigliò, le palpebre pesavano.
Scivolò un poco di più nell’avvallamento fresco in cui era scivolata e abbassò il cappellino da baseball sulla fronte per soffocare la luce che attraversava il tetto di foglie sopra di lei, e il riverbero del sole sulle onde scure a pochi passi dai suoi piedi. Sbadigliò ancora, una voce lontana la chiamò.

Non è nulla, si disse, solo l’acqua che scorre sulle rocce, solo il fruscio dei pioppi, solo…

 

Il riflesso sull’acqua l’accecò di nuovo.
Portò le mani alla testa, ma non indossava più il suo amato cappellino: sotto il sole, i capelli stavano diventando bollenti. Strizzando gli occhi, riconobbe una donna chinata sull’acqua, lontana da lei.

Doveva essere una donna, nonostante i tratti infantili del volto e l’espressione sognante, una donna con corti capelli biondi e la pelle bianchissima, come porcellana.
Faceva persino male agli occhi continuare a fissarla.
«Scusa! Posso farti una domanda?» gridò, andando nella sua direzione, mentre sentiva il caldo e l’afa batterle sulle tempie e stenderle un velo di sudore sulle tempie e sulla nuca. La donna raddrizzò la schiena e la guardò e le rispose solo quando furono a pochi metri l’una dall’altra.
«Oh, Astride!» trillò gioiosa, fregiandosi di un sorriso luminoso.
Benché sorpresa da quell’accoglienza, Astride dovette prima socchiudere gli occhi.
La donna era molto bella, molto più bella di chiunque avesse mai conosciuto: somigliava, in flessuosità, bellezza, luce, a certi dipinti di ninfe e dee; nel mondo reale le sarebbe piaciuta, l’avrebbe affascinata, invece sentì crescere l’irritazione e l’astio, quando si schermò il volto.
«Come mai…?»
«Astride cara, io ti conosco da così tanto tempo!» replicò subito la donna, stringendosi addosso il velo verde che la vestiva. Mosse alcuni passi sull’erba secca, i polpacci bagnati. «Mi chiamo Scilla.»
Il suo cuore si gonfiò di rabbia, oh sì! Non avrebbe saputo spiegarsi il perché, ma a quel nome la calura si fece schiaffo, le mani le tremarono dal desiderio di colpirla.
«Scilla, dici? No che non ti conosco.» replicò, a bassa voce. Scilla, Scilla, Scilla diceva, ma negli occhi aveva uno sguardo che conosceva e riconosceva solo in un paio di occhi scuri, occhi reali.
Il caldo la fece barcollare: desiderò un riparo, si guardò intorno, vide solo una tremolante distesa di campi riarsi, un fiume davanti a lei, due alberi lontanissimi, quasi invisibile.
Scilla la prese per un braccio, toccandola appena, la fece sedere sulla terra grigia.
«Pensi a lei, non è vero?» lo disse con voce dolce. Astride alzò lo sguardo, di nuovo abbagliata da quel volto brillante. Annuì. Scilla fece un sorriso quasi invisibile e annuì a sua volta, pensierosa.

Una ninfa, una ninfa bellissima… ha le mani così fresche!
Nonostante il cuore galoppante, non si sottrasse al suo tocco.
«Pensi a Cordelia, che è amata da chi vorresti avere, che ti guarda sempre in modo così odioso che vorresti romperle il naso e tagliarle le labbra e cavarle anche gli occhi, rovinare il suo visino.»
«Sì. Mi piacerebbe. Mi piacerebbe tanto.» sussurrò, inclinando il viso verso quello di Scilla. Era così bella e capiva così bene quanto male provasse per Cordelia, che il disgusto che in fondo sentiva per quel bel corpo era risibile, a confronto.
Eppure, il suo sorriso s’incrinò.
«Ti ho aspettata tanto,» disse Scilla, dandole improvvisamente le spalle, «e sono cambiata così tanto che non ti ricordi nemmeno più di me. Cosa hai provato, quando mi hai vista?» il suo tono cambiò: da triste che era si fece attento, mellifluo.
Astride chiuse gli occhi, respirò a fondo, rabbrividì.
«Ti odio, Scilla, vorrei che anche tu bruciassi in fondo all’Inferno, con Cordelia!»
Una notte calda e viscida, un ronzio di moscerini, un lampo su di un ponte, mille immagini le si affollavano nella testa, Scilla era una bestia, un animale e l’aveva spaventata e lei l’aveva odiata, un centinaio d’anni prima.
Strisciò lontano da lei, lontano dall’acqua.
Scilla si coprì il volto con le mani, piegandosi su se stessa.
«Il tempo mi ha fatto del male, lo vedi? Te ne accorgi, Astride bella?» continuò in tono giocoso, «Vedo che ti ricordi di me, in un certo senso? Non mi trovi familiare, così?» allargò le mani.
I lineamenti da bambina erano immutati, ma tutto il resto… Dio.
I capelli biondi erano alghe incollate alle guance di argilla, gli occhi ricolmi di acqua torbida, rena fine le scivolava dalle labbra ad ogni parola. Si ergeva, dritta come il fusto di un albero, su una pozza di fango maleodorante.
Astride si coprì gli occhi con le mani, indietreggiò; Scilla le venne incontro, circondata dal fetore di acqua stagnante e carcassa decomposta, dal ronzio di un moscone accorso al banchetto.
La strinse tra le braccia viscide e forti, gli occhi socchiusi: «Tu e Cordelia siete uguali, avete la stessa anima e lo vedrai.» sibilò.
«Che diavolo sei?» cercò di allontanarla, ma le mani affondavano nel fango tenero che era il suo corpo. Scilla scoppiò in una risata argentina e sgraziata, dandole un bacio sonoro sulla guancia.
«Questa è la domanda sbagliata! Hai pensato tu stessa che io sia una ninfa, ed hai ragione! Io posseggo tutta l’acqua che bagna queste terre e questi campi, io decido quando rompere gli argini, io ho fame di terra da secoli, millenni!»
Quindi la lasciò andare.
La lasciò andare e disse, piano: «Cordelia mi conosce, come te. È per questo che ti guarda.»
«Perché lo sa?» boccheggiò, rannicchiata sul terreno bollente. Una nuvola coprì il sole e scurì gli occhi di Scilla: «Sì.»
Una voce lontana la chiamò.

 

… solo un incubo.
Si svegliò in ginocchio, gli occhi sbarrati.
Era incredula, che razza di sogno! Tutto per colpa di quel posto troppo suggestivo!
Abbassò la testa: le sue braccia e i vestiti erano ancora puliti, nessuna traccia di fango.
Raccolse il cappellino da terra, lo pulì con un paio di manate, forse troppo violente, risalì l’argine alla ricerca delle sue amiche, più innervosita che spaventata dall’incubo. Davanti gli occhi aveva ancora una macchia rossa, come se avesse fissato il sole per un lungo lasso di tempo. Anche quella… ninfa, Scilla però risplendeva… scosse la testa.
Emerse da una fessura circondata di felci e sorrise, per scusarsi del ritardo.
«Astride, cos’hai sulla guancia?»
Gelò, portandosi due dita allo zigomo, pur senza perdere il sorriso.
Sotto i polpastrelli, una forma di fango ormai essiccato.
La forma di un bacio di ninfa.

   
 
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