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Autore: Mary P_Stark    09/05/2012    2 recensioni
Cosa potrebbe succedere, se l'Araba Fenice tornasse a vivere ai giorni nostri? Se camminasse come un comune essere umano, sconosciuto ai più e per nulla riconoscibile ai nostri occhi? La storia di Joy è la storia delle molte vite di Fenice che, con i suoi poteri, tenta a ogni rinascita di portare il Bene e l'Amore nel mondo. Ma può, l'amore vero e Unico, toccare una creatura come lei che, da sempre, non vi si può abbandonare poiché votata solo all'altrui benessere? Sarà Morgan a far scoprire a Joy quanto, anche una creatura immortale come lei, può cedere al calore dell'amore, facendole perdere di vista il suo essere Fenice.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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30.
 
 
 
 
 
Nel sentire la porta di casa aprirsi, Consuelo si asciugò frettolosamente le mani per poi portarsi in corridoio e dire: “Oh, tesoro, sei riuscito a…”

Si interruppe subito, quando vide Oliver.

Era accompagnato da Morgan e da Joy, che tante volte aveva visto in fotografia, durante le sue visite a casa del figlio.

Sobbalzando di sorpresa, esalò: “Oh, mio Dio!”

Oliver le sorrise bonariamente, comprendendo appieno la sua sorpresa e il suo smarrimento.

Quando, però, fece per parlare, si ritrovò gli occhi sgranati di Consuelo addosso.

Al limite delle lacrime, lo fissavano come se lo vedessero per la prima volta. O come se fossero tornati a vederlo dopo tanti anni di assenza.

Portandosi una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo, Consuelo lo abbracciò con forza, esclamando al colmo della gioia: “Sei di nuovo tu! Sei di nuovo tu!”

Joy sorrise nel sentirle pronunciare quelle parole e, a Morgan, sussurrò: “E’ evidente che a tua madre non fosse sfuggito un cambiamento negli occhi di tuo padre.”

“A quanto pare…” asserì Morgan, sorridendo nel vedere la coppia così teneramente abbracciata.

La decisione di recarsi da Consuelo era venuta di comune accordo ma, prima di andare a casa Thomson, Joy li aveva pregati di fermarsi al suo appartamento.

Continuare a indossare la camicia di Morgan, non era esattamente il modo migliore per presentarsi a una persona mai vista né conosciuta.

In fretta e furia, aveva indossato un paio di jeans e una maglietta con felpa correlata e, dopo aver infilato le scarpette da ginnastica, era tornata di corsa all’auto del professore.

Vagamente sorpreso, Morgan le aveva chiesto spiegazioni circa la sua agilità di movimenti e la totale mancanza di zoppia.

“L’essermi trasformata in Fenice mi ha permesso di guarire” gli aveva spiegato con semplicità, prima di vedersi appuntare addosso lo sguardo indagatore di Oliver.

Con un sorrisino, aveva aggiunto: “Sì, suo figlio mi ha vista anche nell’altra mia forma.”

E Morgan, estasiato, ne aveva decantato la bellezza con parole così ispirate che, a un certo punto, Joy aveva dovuto frenarne la loquacità per non morire d’imbarazzo.

Sapeva che, l’eccessiva parlantina del giovane, dipendeva da una non completa assimilazione della realtà.

Era anche conscia del fatto che, per riavere accanto a sé un Morgan nuovamente ‘in fase’, avrebbe dovuto aspettare ancora qualche giorno.

Anche Alex aveva faticato a digerire la verità, pur avendo dentro di sé un Oracolo di Alessandria d’Egitto.

Comprendeva appieno le difficoltà di Morgan, perciò non le era parso strano sentirlo straparlare di lei e della sua doppia personalità.

Tutto si sarebbe risolto ma, per il momento, avrebbe dovuto lasciar parlare Morgan a briglia sciolta, almeno con lei.

Quando infine avevano raggiunto la villetta dei Thomson, Morgan aveva circondato la vita di Joy con un braccio e si era incamminato assieme a lei lungo il vialetto.

Aveva sorriso sornione, con una soddisfazione quasi palpabile dipinta sul volto.

Joy ne aveva gioito, perché sapeva quanto avesse desiderato quel momento, pur se nubi all’orizzonte adombravano in parte la bellezza di quell’istante tanto agognato.

Nessuno di loro aveva dimenticato il pericolo incombente, ma la riappacificazione della loro famiglia era un evento così importante che non poteva non essere festeggiato.

Nello sciogliersi dall’abbraccio col marito, Consuelo scrutò la giovane coppia sull’ingresso e, sorridendo loro con autentica gioia, sussurrò grata: “Me l’avete riportato.”

“E’ stato tutto un po’ complicato, ma… sì. Papà è come prima” annuì Morgan, sciogliendosi dalla stretta con Joy per dare un bacio sulla fronte alla madre.

Sorridente e con mano leggermente tremante, Consuelo diede una carezza al figlio prima di volgere gli scuri occhi di pece in direzione di Joy.

“Posso solo immaginare che il merito di tutto sia tuo.”

“Se fossi stata più oculata, avrei potuto rendermene conto anni fa, ma ho avuto paura” ammise Joy, scrollando leggermente le spalle. “Ma sono lieta di aver liberato suo marito dalla nebbia che lo avvolgeva.”

Detto questo, le raccontò brevemente ciò di cui era stato vittima Oliver.

Annuendo a più riprese, pur se con un’espressione di vaga meraviglia nello sguardo, Consuelo sospirò e ammise: “Sapevo che qualcosa non andava in lui, ma mai avrei pensato una cosa simile. E’ ancora tutto così assurdo, ai miei occhi!”

“Credo anche per loro” sostenne Joy, sorridendo ai due uomini accanto a loro.

Consuelo annuì prima di ridacchiare e prendere Joy sotto braccio, ammiccando all’indirizzo della cucina.

“Andiamo a sederci. Mi sembra sciocco parlare di cose così importanti nel bel mezzo di un corridoio.”

“Ha ragione” annuì Joy, sorridendole.

Con una pacca sulla mano della ragazza, Consuelo replicò gentilmente: “Dammi del tu, bambina. Ora che tutto si è risolto, non c’è bisogno di mantenere le distanze.”

A quel commento, Oliver sospirò e, nell’accomodarsi al tavolo della cucina, la moglie lo fissò turbata.

Lanciò poi un’eguale occhiata dubbiosa ai due giovani, che si sedettero l’uno accanto all’altro, tenendo le mani allacciate tra loro.

Intrecciando le proprie sulla tovaglia di pizzo bianco, la donna sollevò un arcuato sopracciglio scuro prima di chiedere ai presenti: “Cosa vi siete dimenticati di dirmi? Devo ringraziare il fatto di essere seduta? Cosa può esserci di più strano di quanto mi avete detto fin’ora?”

Fu Oliver a parlare.

Le spiegò della sua telefonata a Bharat Chandra, e delle ripercussioni che avrebbe avuto su tutti loro.

Quando Consuelo ebbe terminato di ascoltare la dissertazione imbarazzata del marito, non si lasciò sfuggire un singulto strozzato quanto irritato.

Comprendendone la giusta ira, Oliver reclinò il capo con fare colpevole e la moglie, dandogli una pacca piuttosto energica sul braccio, sibilò: “Ma perché hai dovuto parlare proprio con lui?!”

“In parte, a causa della possessione del veleno del Naga e, in parte, per via dell’Oracolo. La Pizia nacque sacerdotessa di Pitone e perciò, a causa dell’influsso del Naga, non ho potuto percepire Apollo, né il suo lungo braccio” mormorò l’uomo, lanciando un’occhiata spiacente a Joy,

“E’ stato praticamente spinto a dire tutto a Chandra” spiegò succintamente quest’ultima, sospirando tremula. “Il problema è un altro. Qui, sono in condizione di svantaggio, poiché sono una creatura legata al fuoco, mentre i Naga sono legati all’acqua. Lincoln City non è esattamente un luogo ideale per uno scontro, per me.”

Morgan strinse maggiormente la mano attorno a quella esile di Joy, mormorando: “Possono prendere forza dal posto in cui si trovano?”

Annuendo, Joy asserì: “Non è un caso se Manasa si trova in India. E’ uno dei luoghi più umidi della Terra, oltre a essere il posto in cui è nato il suo culto.”

“E tu dove dovresti andare?” replicò Morgan, curioso.

La ragazza gli sorrise sorniona e il giovane, sollevando un sopracciglio con evidente sorpresa, esalò: “Phoenix?!”

“Già” ammiccò lei, divertita dalla sua sorpresa.

A quel punto, Consuelo e Oliver si guardarono sorpresi in volto e vagamente speranzosi.

Stupita dalla loro reazione, Joy chiese loro: “C’è qualcosa che non so?”

Fu il turno di Morgan di sorriderle con fare sornione.

Avvolgendole le spalle con un braccio, il giovane le disse: “Devi sapere, piccola, che papà e mamma sono nati a Phoenix – si conobbero lì, prima di perdersi di vista, e ritrovarsi tempo dopo all’università. Comunque, per la cronaca, papà ha una casa, laggiù.”

Sgranando gli occhi per la sorpresa, Joy fissò in volto l’uomo prima di aprirsi in un mezzo sorriso ed esalare: “Sembra che fossimo destinati a incontrarci in ogni caso, io e lei.”

“Ha un significato speciale, per te, quella città?” le chiese allora Oliver, sorridendole generosamente.

Ridendo sommessamente, Joy annuì.

“Ero lì, quando Jack Swilling decise di fondare Phoenix. La Valle del Sole è uno dei miei luoghi preferiti.”

Morgan tossicchiò sgomento, a quel commento, e Joy, sorridendogli spiacente, mormorò: “Mi spiace. Vedrò di stare attenta nelle uscite. So che questo genere di nozioni può dare alla testa.”

“Mai come quella faccia di fuoco che è comparsa nel mio camino” brontolò Morgan, scuotendo il capo, ancora poco convinto riguardo a ciò che aveva visto e sentito.

Ci sarebbe davvero voluto ancora molto, perché accettasse quella parte di lei. Ma avevano tempo o, almeno, così sperava.

Anche Consuelo parve piuttosto restia a comprendere l’uscita del figlio e, soprattutto, ad accettarla ma, gentilmente, non espresse i suoi dubbi.

Era già tanto che non fosse svenuta, alla notizia della sua duplice identità.

Stare al fianco con Oliver tutti quegli anni, doveva averla svezzata alle stranezza.

Lo scontro con i Naga, comunque, la preoccupava più di qualsiasi reazione anomala da parte dei suoi uditori.

Questi erano tempi in cui, ben poco, sfuggiva all’occhio attento degli esseri umani, e divulgare la loro presenza al mondo, era un pericolo che avrebbe preferito evitare.

Preso un gran respiro, Joy chiese a Oliver: “Sarebbe disposto a prestarmi… prestarci la casa per qualche giorno?”

Nel dirlo, sorrise a Morgan che, non appena si era reso conto di essere stato tagliato fuori, le aveva dato un pizzicotto sulla spalla.

“Non ci sono problemi. Chiamerò i miei genitori perché vi vengano a prendere all’aeroporto e arieggino un po’ i locali. Di solito, ci andiamo solo un paio di volte l’anno, quindi sarebbe meglio rimpinguare le scorte, in vista del vostro arrivo” le spiegò Oliver, annuendo alla ragazza.

Un attimo dopo, però, guardò dubbioso il figlio.

“Sei certo di volerla seguire?”

“Dove va lei, vado io” replicò perentorio Morgan, chiudendo il discorso con poche, rapide parole.

Consuelo annuì nel sorridere al figlio ma, turbata, chiese: “Cosa succederà, all’incirca?”

“Niente di buono” sospirò Joy. “In che zona si trova la sua casa, Oliver?”

“Dammi del tu, per favore” la pregò lui, aggiungendo subito dopo: “Nella Orange Valley, sulla West Estrella.”

Annuendo, Joy mormorò pensierosa: “Ci sono dei rilievi montuosi, a Est, neppure troppo distanti, e una quantità imprecisata di arroyo1. Può andare, ma non basta.”

Afferrato il cellulare che teneva nella sua custodia, allacciata alla cintola, Joy compose il numero di Brian che, dopo pochi squilli, mugugnò uno stentato: “Che c’è?”

Ridacchiando suo malgrado per quel saluto borbottato a mezza voce, Joy gli domandò curiosa: “B, che stai facendo? Non dirmi che stavi dormendo! Dovrebbe già essere pomeriggio, lì da te.”

“Non ti stupiresti così tanto, se avessi lavorato per un intero mese perennemente di notte” borbottò lui, prima di sbadigliare sonoramente e chiederle: “Che succede, cuginetta? Guai con il tuo pompiere preferito?”

Ammiccando all’indirizzo di Morgan, Joy poggiò il telefonino sul tavolo e disse a mezza voce: “Metto il vivavoce, sappilo. E sappi anche un’altra cosa; sono con il professor Thomson e famiglia, e abbiamo più o meno chiarito tutto.”

“CHE COSA?!” sbraitò al telefono Brian.

Come una furia scatenata, si lanciò in una serie di oscenità tali da portare Consuelo a ridacchiare, e Oliver a fissare incuriosito Joy, che scrollò le spalle impotente.

Quando gli insulti terminarono, Brian aggiunse furente: “Che diavolo ci fai, lì? Ti si è fuso il cervello?! O Rah ti ha scaricato un millino di Volt in testa, e ti ha mandato in corto i neuroni?!”

Quel riferimento a Rah la fece arrossire e Morgan, fissandola con aria inquisitoria, le domandò: “Il cuginetto ha usato un riferimento casuale, o specifico?”

“Ehi, pompiere, ci sei anche tu? Non potevi fermarla?” brontolò Brian, con tono offeso.

Ridendo, Morgan si rivolse al telefono, replicando: “Guarda che Joy ti ha detto la verità. Il problema non è più mio padre.”

“E cosa, allora?” si insospettì Brian, prima di chiedere a Joy: “Cuginetta, vuoi spiegarmi?”

“E’ quello che volevo fare, ma tu hai cominciato a sbraitare come un ossesso” ci tenne a dire Joy, sbuffando.

“Okay, mi muro la bocca, per il momento. Spara.”

“Vorrei sapere se puoi farmi avere i tracciati dei satelliti spia, e non, che solcheranno i cieli dell’Arizona tra il sei e l’otto maggio di quest’anno” gli spiegò succintamente, sorprendendo vagamente i presenti.

Silenzio totale.

Brian ritrovò la voce solo dopo un minuto buono di riflessione e, con voce stranamente professionale e seria, asserì: “Mi ci vorrà qualche giorno, perché non è esattamente il mio campo, ma so a chi chiedere. Perché ti serve saperlo?”

“Pare che dovrò recarmi a Phoenix per affilare un po’ gli artigli, e preferirei non essere vista” si limitò a dire Joy, sperando gli bastasse.

Ovviamente, era stata una speranza vana fin da quando l’aveva pensato.

Brian mugugnò un altro mezzo insulto, prima di replicare scocciato: “D’accordo che tu e Alex siete come pane e marmellata, ma vorrei essere messo al corrente anch’io delle cose, se fosse possibile.”

Ridacchiando, Joy ribatté divertita: “Guarda che sei il primo a sapere di questa cosa, B.”

“Sì?” esclamò lui, tutto eccitato. Sghignazzando, sentenziò: “Lo farò morire, prima di dirgli tutto.”

Morgan fissò Joy con aria ghignante e lei, con una scrollata di spalle, chiosò: “Gelosia tra fratelli. Che ci vuoi fare?”

“Ti serve altro, Joy?”

“Mi basteranno i tracciati. Per il resto, dovrò rivolgermi ben più in alto” sospirò la ragazza, prendendo un gran respiro.

“Lo farai mai davanti a me? Non è giusto che Steve e Alex abbiano potuto parlarci, mentre io no” borbottò con fare petulante Brian.

“Brian, non è un gioco” precisò Joy, fissando malamente il cellulare.

“Lo so perfettamente. Ma il fatto rimane” puntualizzò Brian, testardamente.

Passandosi una mano sul viso con aria estremamente disgustata, Joy mugugnò: “Rimani in linea… e prega che voglia parlarmi. Ultimamente, è stato parecchio sulle sue.”

“Lo hai fatto arrabbiare? O è geloso del tuo ragazzo?” ridacchiò Brian, incuriosendo, e parecchio, Morgan, che fissò Joy in cerca di risposte.

“Brian!” lo richiamò all’ordine la ragazza, diventando paonazza.

“C’è qualcosa che non so?” le domandò con falsa ingenuità Morgan.

Divenendo, se possibile, ancor più rossa in viso, Joy lanciò delle occhiate veloci all’indirizzo di Oliver e Consuelo – che avevano ascoltato l’intera telefonata a metà tra il divertito e l’interessato.

Stridente, Joy allora ringhiò all’indirizzo dell’amante: “Non parlerò di certi argomenti di fronte ai tuoi genitori!”

“Oh” sussurrò Morgan, assottigliando le iridi scure per scrutarla con malcelato interesse.

Coprendosi il viso con le mani, Joy ringhiò: “Brian, se tutto finirà bene, giuro che ti scuoierò vivo!”

Ridacchiando senza il minimo imbarazzo, Brian ribatté caparbio: “Non puoi farlo! Sei Fenice!”

“Potrei sempre fare un’eccezione, esattamente come ho fatto con Morgan” replicò lei, mortalmente seria.

Brian ebbe la decenza di non dire altro.

Una volta che fu sicura del silenzio del cugino, Joy guardò i suoi interlocutori e disse spiacente: “Temo dobbiate sorbirvi uno spettacolo pirotecnico, ora. Non abbiate paura e, soprattutto, non stupitevi di ciò che sentirete. Invocherò Rah, il dio Sole, esattamente come stamani ho chiamato Apollo.”

Consuelo fu l’unica a sgranare gli occhi fin quasi a farsi male e Oliver, afferrandole una mano, la consolò, dicendole gentilmente: “Non sei stata tu a dirmi che al mondo esistono cose incredibili?”

“Era tantissimo tempo fa…” replicò ansando Consuelo, con tono vagamente piccato. “… e, di certo, non intendevo niente del genere! Già è stata dura mandar giù la sua indentità, ma altro

“Mi spiace, Consuelo. Avrò tempo di spiegarti tutto più avanti, se ogni cosa andrà per il verso giusto, ma ora non posso permettermi di essere gentile” asserì calorosamente Joy, allungando una mano a sfiorare il suo braccio.

Pur tremando, la donna annuì e disse roca: “Fai quel che devi. Vedrò di non svenire.”

Annuendo con un sorriso, Joy riprese nella sua la mano di Morgan e, chiusi gli occhi, mormorò con tono pacato e gentile: “Rah, io ti invoco. Ti prego, ho bisogno del tuo aiuto.”

“Dovrai offrirmi un mezzo tramite cui parlare, se vuoi che i presenti mi ascoltino” dichiarò una voce tranquilla nel buio della sua mente.

Sorridendo nell’udire quel timbro a lei tanto caro e che, in quelle ultime settimane, era quasi giunto a scomparire, Joy chiese a Morgan il suo telefonino.

Dopo averlo disposto sul tavolo accanto al suo, mormorò: “Conosci il numero di Morgan, vero?”

“Che domande!” esclamò Rah, ridendo nella sua mente.

Joy accentuò il suo sorriso e, quando il telefono squillò, tutti sobbalzarono per la sorpresa, tranne lei.

Accettata la chiamata e inserito il vivavoce, Joy gli chiese: “Posso fare affidamento sul tuo aiuto?”

“Benu, dovresti saperlo che, per te, ci sarò sempre!” esclamò una voce stentorea, proveniente dal telefonino.

Non occorse alcuna presentazione.

Il tono, quanto il timbro vocale, parlarono per Rah.

Il suo inglese strideva con il suo modo di parlare e, il suo accento orientale, dava alle sue parole un che di singolare, di mistico.

Oliver e sua moglie impallidirono visibilmente nell’udire quella voce mentre Morgan, fissando vagamente spaventato Joy, gracchiò: “E’ davvero Rah? Quel Rah che ipotizzo io?”

Annuendo, Joy gli spiegò: “E’ il Disco Solare, sì.”

“A quanto sembra, Manasa vuole assaggiare le tue carni, Benu, o sbaglio?” intervenne Rah, con tono incolore.

“Vedi bene, amico mio. Puoi coprirmi per il tempo in cui sarò a Phoenix?” gli domandò allora Joy.

“Vedrò di colpire la Terra con il mio dolce bacio” ridacchiò Rah, tornando serio subito dopo. “Preferirei portassi con te Alexander. Potrei aiutarti tramite lui. Con il giovane Morgan non posso intervenire, invece.”

“Alex dovrà rimanere al sicuro… e credimi, non ho bisogno del tuo intervento fino a questo punto” replicò Joy, pur apprezzando la sua preoccupazione.

“Il fulgore dei tuoi poteri non è completo, e lo sai” ribatté Rah, adombrandosi.

A quel commento, Morgan la fissò accigliato e lei, con un sospiro, gli spiegò: “I miei poteri saranno completi al compimento del mio trentesimo anno di età.”

“Allora, sequestrerò Alex e lo porteremo con noi” sentenziò Morgan, con un tono che non ammetteva repliche.

“C’era un motivo se ho sempre apprezzato questo giovane” ridacchiò Rah, facendo arrossire Joy.

Morgan trovò quel commento piuttosto bizzarro.

Rivolgendosi per la prima volta a quell’essere immortale che, stranamente, stava parlando con loro attraverso uno strumento che, di mistico, non aveva un bel niente, mormorò: “Posso sapere come fa a conoscermi?”

“Ragazzo, io vedo tutto e so tutto. Io sono l’Astro del Mattino e della Sera, sono colui che illumina i cieli, sono…”

Interrompendolo, Joy esclamò: “Rah, ti prego. Morgan sa benissimo cosa sei!”

“Chiedo venia, Benu. E’ così raro, per me, parlare con i mortali!” esclamò divertito Rah. “Venendo a noi, giovane Morgan Johnathan, so di te fin da quando tu e la mia prediletta vi conosceste. Non ho mai abbandonato il fianco della mia diletta Benu, nonostante ultimamente siamo stati decisamente in disaccordo.”

Joy sorrise a quel commento mentre, per la prima volta, veniva a conoscenza del secondo nome di Morgan.

Rah adorava stupire i suoi ascoltatori e il pompiere, nel sentir nominare il suo nome completo, impallidì.

“Devo… preoccuparmi?”

“Affatto. Anche se so che il giovane Brian Theodor ti ha messo in allarme su di me” replicò bonario Rah.

Brian, dal suo telefonino, ridacchiò nel sentirsi nominare.

“Quel che c’è stato tra me e Benu, si perde nei secoli e tra le sabbie del deserto, e non tocca minimamente il rapporto unico che vi lega” continuò col dire Rah, ora mortalmente serio. “Non potrò agire per aiutarla, ma so che la tua presenza le sarà ugualmente di conforto. Purtroppo, non posso dirvi altro.”

“Prima o poi scoprirò chi riesce ad azzittirti” brontolò Joy.

Una risatina allegra fuoriuscì dal telefono, mentre il tono di voce di Rah andava scemando, allontanandosi nell’ancestrale abisso dove il suo Io aveva dimora.

Quando la linea venne interrotta, Joy chiuse il telefonino di Morgan, restituendoglielo.

Dopo aver lanciato un’occhiata a tutti loro, spiegò succintamente: “Pare ci sarà una bella tempesta magnetica2, nel mese di maggio.”

“Rah riuscirà a influenzare il Sole?!” ansò Morgan, sobbalzando sulla sua sedia.

“Lui è il Sole” precisò Joy. “Contento, ora, Brian?”

“Più che sì. Ti farò avere i dati che ti servono, Joy, così potrai riferirli a chi di dovere” le promise il giovane prima di aggiungere, seriamente: “Fai attenzione. Fenice o meno, sei pur sempre la mia cuginetta e mi mancheresti, se ti succedesse qualcosa.”

Joy sorrise a mezzo e sussurrò: “Sarò prudente, nei limiti del possibile.”

Detto ciò, chiuse la comunicazione anche con il cugino e, con un lungo sospiro, guardò Oliver.

“Temo che ora dovremo parlare con i miei genitori. Preferisci rimanere qui?”

“Il guaio l’ho fatto io, perciò affronterò le conseguenze come merito.”

Poi, con un risolino nervoso, le chiese: “Tuo padre gira armato, per casa?”

Joy si limitò a ridere sommessamente ma, in tutta onestà, preferì non rispondere.

Metterlo in ansia non sarebbe servito a nulla.
 
***

Non si può mai conoscere una persona fino in fondo, a meno di non mettergli di fronte la sua peggiore nemesi, e aspettare di vederne le reazioni.

Fu per quel motivo che, prudenzialmente, Joy fece precedere Oliver da Morgan

Forte della sua stazza e dell’altezza considerevole, poteva offrire un riparo più che degno all’uomo, nel caso Richard avesse perso le staffe.

Consuelo, al suo fianco, strise tremante la mano della ragazza che, sorridendo incerta, suonò il campanello e attese impaziente che la porta venisse aperta per loro.

Occorsero pochi attimi, finchè una dubbiosa Mel si presentò all’entrata, sorridendo lieta nel vedere Morgan e Joy.

L’attimo seguente, spalancò lentamente gli occhi quando, nel suo campo visivo, vennero inglobati anche i coniugi Thomson.

Gli occhi scuri le si assottigliarono pericolosamente mentre Richard, a pochi passi dalla moglie, esclamava: “Ehi, Joy! Ciao! Qual buon…”

Bloccandosi a metà della frase, quando l’uomo intercettò lo sguardo colpevole di Oliver, Richard passò all’attacco nel giro di pochissimi secondi.

Secondi in cui Joy si fece da parte – facendo da scudo umano a Consuelo – per lasciar intervenire Morgan che, con un placcaggio da manuale, afferrò alla vita il poliziotto.

Non riuscendo a sfuggire alla stretta del giovane pompiere, Richard fece perciò andare a spron battuto la bocca.

Con rabbia sempre crescente, lasciò sgorgare tutto l’astio e il risentimento che, anni e anni di ansie sempre trattenute, erano cresciute poco alla volta in lui.

Oliver, silenzioso e contrito, accettò tutto ciò come degna punizione per il suo comportamento.

Muta spettatrice dell’ira funesta del marito, Melinda fissò la figlia con aria sinceramente confusa e, in un mormorio turbato, le chiese: “Cosa significa, Joy?”

“Sa tutto, mamma. Ma non è questo il problema. Non più” le spiegò con poche parole Joy, prima di esclamare seccamente: “Papà! Ora basta! Abbiamo capito!”

Arrestando il fiume di insulti, Richard fissò malamente Morgan, che ancora lo stava trattenendo senza sforzo apparente.

Raddrizzatosi con fare scocciato, lo sceriffo fissò bieco la figlia e ringhiò: “Che c’è? Non dovrei essere giustamente incavolato con lui?!”

“Siamo già passati oltre l’arrabbiatura, credimi, e ho dato spettacolo a sufficienza perché a Oliver non venga più in mente di dare fastidio a uno qualsiasi degli esseri mitologici che camminano sulla Terra” brontolò Joy, ritrovandosi addosso quattro paia d’occhi sconvolti e sgomenti assieme.

Lanciando una leggera imprecazione tra i denti, la giovane scosse nervosamente le mani e aggiunse: “Oh, per l’amor di Dio, non mi metterò qui a discutere con voi di cosa ci sia in giro! Non è questo il momento, e neppure deve interessarvi!”

Con un sospiro tremulo, Melinda annuì e disse: “Joy ha ragione. Entriamo e sentiamo cos’è successo. E’ inutile rimanere sulla porta a dare spettacolo di noi.”

Richard mugugnò tra i denti, allontanandosi da Morgan con un ringhio furioso.

Il giovane, ammiccando all’indirizzo di Joy, esalò: “E’ forte, tuo padre.”

“Terrà il muso per giorni, visto che sei riuscito a trattenerlo” gli predisse Joy, sorridendogli nel prenderlo sottobraccio.

“Vedrò di tenermi alla larga dai posti di blocco, non si sa mai” ridacchiò Morgan, chiudendo la porta dietro i genitori, che seguirono in silenzio i coniugi Patterson nel salotto adiacente all’entrata.

Lì, Melinda chiese loro se volessero qualcosa da bere; pur se la situazione era assurda, non poteva smettere di essere una perfetta padrona di casa.

Richard, ancora furioso, si accomodò su una delle poltrone.

Lanciata un’occhiata speranzosa alla madre, la giovane tornò a rivolgersi al padre per dire: “Tu e mamma vi dovete prendere almeno una settimana di ferie, e andarvene a Portland da Steve. Alex e Susy sono impegnati a Seattle, adesso, perciò sono sufficientemente distanti… e al sicuro dai guai che stanno per pioverci addosso.”

“Che intendi dire? Lui non bastava?” ringhiò Richard, indirizzando un’occhiata ferale a Oliver, che si limitò ad accettarla come dovuta.

“Papà!” esclamò Joy, richiamandolo all’ordine mentre Melinda rientrava nel salotto con un vassoio.

Servendo tè e pasticcini senza dire una parola, Melinda si accomodò sul divano, prima di guardare accigliata il marito e sentenziare: “Comportandoti come uno zuccone, non migliori la situazione, Richard. Non ti ricordi cosa può succedere a Joy, se l’ambiente intorno a lei è ostile e greve di odio?”

Sospirando, l’uomo assentì contrito, mormorando spiacente alla figlia: “Tutto bene, bambina?”

Joy sbuffò in risposta, muovendo seccamente la mandibola, che emise uno schiocco piuttosto evidente, quanto inquietante.

 “Di certo, avrò male in bocca per un po’.”

Vagamente confuso, Morgan le chiese: “Perché fai così?”

“Ricordi i rostri che ho sui fianchi del becco?” gli domandò per contro lei.

 Morgan annuì, prima di impallidire leggermente ed esalare: “Non mi dire che…”

Aperta la bocca, Joy mise in mostra le zanne lunghe già tre centimetri, bianche come coltelli di ceramica.

Con un sospiro sofferente, mormorò: “Fanno un male cane, quando escono, ma non ci posso fare niente. La rabbia di papà è fenomenale, per farle uscire.”

“Scusa” mormorò Richard, ancor più mogio.

“Non fa niente, papà. Ti voglio bene e, quando ti incavoli così tanto, il mio corpo reagisce” cercò di ironizzare.

Nel notare le espressioni confuse di Oliver, Consuelo e Morgan, spiegò comunque il perché della presenza delle zanne.

“Mi servono per combattere. Difficilmente, lo faccio in forma animale, e quella umana è priva di armi di difesa, così posso assumere una forma intermedia, dotata di zanne e artigli prominenti.”

“Di questo non si fa menzione nel mito” esalò Oliver, suo malgrado affascinato da questa novità.

Sollevando un sopracciglio con evidente ironia, Joy celiò: “Il mito non dice neppure la metà di ciò che io sono. Nessuno dei miti su di me.”

Accigliandosi, Richard le chiese: “Perché parli di combattimento?”

Tornando a volgere lo sguardo in direzione del padre, lo fissò spiacente prima di raccontargli ogni cosa, ogni più piccolo particolare della vicenda.

Quando ebbe infine terminato di spiegarli i motivi per cui li voleva lontani da L.C., sussurrò debolmente: “Nessuno deve morire per me. Nessuno di voi.”

“Rimarremo e ti difenderemo!” protestò vibratamente Richard, levandosi in piedi per dare maggiore foga al suo dire.

Levando gli occhi al cielo, Joy lanciò uno sguardo accigliato all’indirizzo di Morgan e brontolò: “Tutti eroi, eh?”
Morgan si limitò a ridacchiare.

Passandosi una mano sul viso, la ragazza allora scosse il capo e replicò: “Nessuno di voi può fare niente. L’unico aiuto che potete darmi è stare lontani da qui. I Naga non potranno individuare le vostre tracce olfattive, e io potrò lottare in tutta tranquillità, sapendovi al sicuro.”

Prendendo la parola per la prima volta, Oliver aggiunse: “Io rimarrò per dire ai Naga dove trovare Joy. Chandra e io abbiamo appuntamento in un luogo pubblico perciò, pur se intenzionato a farmi del male, non lo farà mai in presenza di testimoni. ”

Annuendo, Joy intervenne dicendo: “Manasa vuole innanzitutto la sottoscritta. La ricerca di Oliver è stata solo il pungolo necessario per venirmi a cercare. Inoltre, non potrà colpire Oliver, quando scoprirà che ha una Pizia, dentro di sé. Ne rimarrà alquanto sorpresa e, io spero, anche piuttosto infastidita.”

“Che intendi dire?” esalò Oliver, vagamente sorpreso.

Con un sogghigno, Joy spiegò loro: “Sei legato ai serpenti, volente o nolente, e una Manasa non può fare del male a chi ha un legame con loro, per quanto debole esso possa essere. Questo la farà incavolare a morte, ma non me ne preoccuperei.”

Scrutando Consuelo, Oliver replicò: “Lei, però, non ha alcun legame.”

Con un cenno di assenso, Joy ammise: “Consuelo dovrà seguire i miei genitori. E’ più sicuro così.”

La donna, sentendosi interpellata, strinse la mano del marito e replicò: “Io rimarrò con lui.”

Fu Melinda a intervenire, a quel punto.

“Joy sarà più tranquilla, se la saprà al sicuro, Consuelo. Accetti di venire con noi, la prego.”

Richard annuì, sorridendo brevemente alla moglie, così che alla donna non restò altro che annuire, pur se in totale disaccordo con il loro piano.

Tranquillizzata da quelle parole, Joy sorrise ai suoi genitori con orgoglio, lieta che avessero compreso le sue intenzioni e fossero disposti ad aiutarla.

Fissandola vagamente in ansia, Melinda però esalò: “Non c’è altro modo, vero? Dovrai combattere.”

Con un sorriso rivolto alla madre, Joy andò a inginocchiarsi dinanzi a lei e, prese le sue mani tra le proprie, gliele riscaldò leggermente col proprio potere.

Erano gelide, in quel momento, e lei sapeva bene che era per colpa sua.

“Voi mi avete conosciuta come una dolce e tenera bambina, ma non sono solo questo. Non sono mai stata solo questo. Ho potere sufficiente per difendermi e, nell’eventualità, eliminare il mio nemico, pur se tenterò di venire a
patti con Manasa.”

Una lacrima solitaria scivolò sulla gota pallida di Melinda e Joy, raccoltala con un bacio, le sussurrò: “Tornerò da te, mamma. Te lo prometto.”

“Mi arrabbierò tantissimo, se non lo farai.”

Nel dirlo, tremò e, con un abbraccio stentato, la attirò a sé scoppiando in lacrime.

Joy la cullò contro di sé, mentre un calore sempre crescente le invadeva le membra. Baciate più volte le gote fredde della madre, trasferì parte del suo potere dentro di lei per chetarne l’animo.

Quando la donna si scostò dalla figlia per scrutarla in viso con reverenziale timore, la ragazza iniziò a cantare.

Il canto, di ancestrale bellezza, perdurò per diversi minuti mentre, all’interno della stanza, gli animi andavano chetandosi.

Chiusi gli occhi, Joy proseguì nel suo antico inno rivolto al Sole.

Levate le mani verso l’alto, scivolò lentamente in ginocchio prima di reclinare il capo in avanti, e terminare la preghiera con un roco gemito prolungato.

Quando anche quel quieto rombo si spense, la ragazza riaprì gli occhi e sorrise ai presenti, dicendo loro: “Non resta altro da dire.”





 
 
***





 
Le mie preghiere erano volate lontano, attraversando il Nun3, sfociando nel Duat4, navigando solitarie nel miasma primordiale, dove l’energia primigenia galleggiava libera da freni.

Seduta nella posizione del loto sul retro della casa di Morgan, attorniata dalla radura in fiore e dagli abitanti del bosco, rilassai il mio spirito e il mio corpo in preparazione di quanto, entro breve, avrei dovuto affrontare.

Immobile e silenzioso a pochi metri da me, seduto anch’egli in mezzo al folto dell’erba fresca, Morgan mi osservava senza nulla dire.

Il suo respiro era quieto, mentre contemplava me e gli animali ossequiosi accoccolati al mio fianco.

 L’umidore della terra mi trasmetteva il potere delle reti di energia, che si estendevano infinite sotto di me.

Esse univano l’uno all’altro ogni filo d’erba, ogni pianta, ogni arbusto, fino a formare una catena senza fine, come un immenso cervello umano con le sue sinapsi.

Il giorno seguente, avrei chiesto a Robert un permesso per assentarmi dall’ospedale, così come avrebbe fatto Morgan con Nathan.

Se tutto fosse andato come speravamo, nel giro di qualche giorno al massimo, ci saremmo ritrovati nella Valle del Sole, in un terreno a me più congeniale per la lotta.

Certo, ai crotali piaceva il caldo e il secco ma, per mia fortuna, i Naga non appartenevano a quella razza.

E detestavano ciò che io amavo.

Phoenix sarebbe stato il luogo ideale, per me, dove svolgere un combattimento che non volevo.

E se, nel farlo, avessi potuto dare una lezione coi fiocchi a un’altra Manasa, tanto meglio.

Reincarnarsi nel corpo di un’umana, e subirne le bizze, non era la soluzione evolutiva migliore, ma non ero io ad avere questo problema, quanto piuttosto le nagini5.

Era evidente quanto l’ultima incarnazione di Manasa fosse una testa calda, altrimenti non si sarebbe accanita a questo modo contro me e Oliver.

Avrebbe preferito la trattativa, come altre avevano fatto prima di lei, invece di rischiare di innescare una bomba simile nel bel mezzo del ventunesimo secolo.

A ogni buon conto, io avrei lottato con tutta me stessa, se fosse stato necessario snudare denti e artigli.

Diversamente, mi sarei dichiarata disponibile alla trattativa, qualora Manasa fosse tornata a più miti consigli.

Non volevo spargere sangue, più di quanto volessi finire sulla prima pagina di Nature.

“Insieme, ce la faremo” mi sussurrò a un certo punto Morgan, strappandomi per alcuni attimi alla mia trance.

Mi volsi a mezzo per sorridergli, lui impegnato a coccolare tra le braccia un paio di scoiattoli grigi e, annuendo, replicai: “Affronteremo il pericolo assieme.”

Una stella cadente scivolò veloce lungo il cielo sgombro di nubi, illuminato da brillanti astri adamantini e io, pur sapendo quanto fosse sciocco, espressi un desiderio.

Chissà che, per una volta, non si avverasse.


 
 
 
 
 
 
 
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1 Arroyo: antico letto di un fiume, o torrente, ora disseccato. Si trovano per la maggior parte nella zona meso-americana.

2 Tempesta magnetica: altresì detta tempesta solare. Disturbo temporaneo della magnetosfera a causa dell’attività solare. Nel maggio del 2005 (periodo in cui si svolge questa parte della storia ) la Terra venne realmente a trovarsi nel bel mezzo di una ragguardevole tempesta magnetica.

3 Nut: acque primordiali da cui nacque anche Rah.

4 Duat: regno dell’oltretomba, per gli egizi.

5 Nagini: femminile di Naga.

  
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