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Autore: Evelyn Inkheart    09/05/2012    1 recensioni
What if? Rieccoci: Hogwarts, Settimo Anno, dopo la ricostruzione in seguito alla sconfitta di Voldemort. Ma anche se ufficialmente la II guerra è finita, non è da dare per scontato che lo stesso valga per quella nell'animo di ognuno, segnata da tutto ciò che è successo. E se Hermione fosse più provata di quanto non lasci a vedere? E se Draco si trovasse a fare i conti con la propria coscienza? E se i due fossero più simili di quanto pensano?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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1. The Draco Malfoy Theory

 

Lui era sopravvissuto.

Fu questo il primo pensiero che gli balenò per la testa alla luce del ragionamento che aveva portato a conclusione poco prima.

Da quando Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato (nonostante tutto temeva ancora il solo pensiero del suo vero nome) se n’era andato per sempre, la vita a Malfoy Manor non era stata più la stessa.

Suo padre, Lucius Malfoy, nonostante l’evidente fallimento cui era andato incontro due anni prima nello scontro all’Ufficio Misteri, era stato infine riaccolto nella schiera del Signore Oscuro, non senza pagarne il prezzo. D’altronde, dopo la fine di quest’ultimo, egli non poteva non essere tra i primi nella lista degli Auror che ora erano di nuovo liberi di giocare al gatto col topo, da quando il Ministero della Magia non era più sotto controllo di suo padre e degli altri Mangiamorte.

Se fino a poco prima tutti gli impiegati del Ministero erano come tanti Peter Minus che pur di avere salva la pelle denunciavano Nati Babbani e Mezzosangue senza alcuno scrupolo, con l’eccezione, doveva ammetterlo, di alcuni James Potter e Sirius Black che invece, pur di non rivelare i loro nascondigli, morivano nella speranza (ora considerata lungimiranza) della sconfitta di Voldemort, come ostentavano chiamarlo, adesso, alcuni di quegli stessi che così docilmente si erano sottomessi poco prima, guardavano lui e sua madre (dato che oramai suo padre non poteva che trovarsi ad Azkaban) come la peggior feccia capitata nel mondo dei maghi e dei babbani.

Sua madre, Narcissa Black Malfoy, era stata astuta, non c’era che dire. Aveva sempre cercato di tutelare sé stessa e suo figlio prima di tutto, tirando le sottili redini di ogni mossa di suo marito, lasciando però a quest’ultimo il lavoro sporco così che alla fine di tutto, gli Auror non potevano trovare una sola imputazione di cui accusarla. Inoltre, come tanti realmente pentiti di aver fatto parte della schiera del Signore Oscuro, anche lei si era dichiarata tale e così Azkaban dovette, a malincuore, escluderla da coloro che avrebbero presto provato l’entusiasmante esperienza di essere privati dell’anima previo bacio di un Dissennatore.

Senza contare che a tutti gli effetti sua madre non aveva mai avuto il Marchio Nero.

Altrettanto non si poteva affermare di lui, Draco, ma d’altronde poteva sempre valere il discorso dell’accorato e sentito pentimento di cui sopra.

Cosicché, due settimane dopo, si trovò al San Mungo per togliere definitivamente e senza lasciare alcuna traccia visibile, quel segno che gli era stato impresso invece indelebilmente nell’anima e che gli aveva tanto arso la pelle, non solo al momento dell’incisione, ma anche dopo, ogni qualvolta Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato chiamava e loro dovevano arrivare, come tanti retti soldatini che non hanno una mente propria con cui pensare, ma vivono in funzione del loro generale perché la gratificazione più grande per loro è compiacerlo.

Era stato obbligato da sua madre a farsi imprimere quel marchio maledetto, perché, a sua detta, così sarebbe stato più al sicuro… peccato che era lo stesso motivo per cui ora glielo faceva togliere.

E lo stesso motivo per cui, temendo per la sua incolumità, aveva fatto promettere, sotto Voto Infrangibile, a Severus Piton, quando ancora non si era scoperto della sua, per così dire, doppia vita, di aiutare suo figlio a compiere il gesto finale contro Albus Silente, qualora lui non ci fosse riuscito personalmente.

Cosa che effettivamente era successa.

La lungimiranza di Narcissa Malfoy.

Aveva avuto paura, sì, sarebbe stato un codardo al pari, se non superiore, a suo padre a negarlo. Sarebbe andato contro il suo impossibile da ignorare orgoglio affermare che sì, era stato un errore, che gli era scivolata la bacchetta e per quello e solo per quello Piton era dovuto intervenire ad aiutarlo.

Il pensiero che gli aveva attraversato la mente in quegli istanti letteralmente in bilico sulla torre di Astronomia e che l’aveva fatto titubare, era stato lo stesso che poco più di tre mesi prima l’aveva fatto rimanere un minuto di troppo nella schiera degli studenti di Hogwarts, immune al consueto richiamo di sua madre, nello spiazzo antistante l’ingresso della scuola, tra le macerie, umane e non, della lotta, durante quegli ultimi e dilatati attimi prima dello scontro finale.

Poi, quando era stata svelata la verità riguardo la missione di San Potter da mille e più fonti, in cento e più modi, di cui solo una decina affidabili – tra questi aveva escluso a priori la versione di Rita Skeeter, il suo turbamento non aveva potuto far altro che aumentare.

Già prima della caduta di quello che un tempo era stato Tom Riddle, aveva intuito tutta la faccenda degli Horcrux. Non per esperienza diretta, ma quanto meno per gli incarichi che l’Oscuro Signore aveva assegnato ai suoi più fidati, per l’evidente se non strano attaccamento con quel gigantesco serpente, Nagini, per non parlare, infine, dell’improvvisa sparizione di quel suo lontano cugino, Regulus Black.

Tuttavia non gli era mai stata chiara – perlomeno fino a quel momento – la faccenda dei Doni della Morte. O meglio, sapeva a grandi linee in cosa essi consistevano, si ricordava bene la spasmodica frenesia con cui Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato aveva cercato per mesi quella Bacchetta di Sambuco, ma non vi aveva mai attribuito quella importanza che gli facesse pensare che chi li possedeva tutti e tre sarebbe diventato Padrone della Morte.

Erano storie che gli raccontavano da bambino, niente di più.

Forse.

Le domande che gli attraversavano la mente erano tante, e sempre più veloci si susseguivano l’una all’altra.

Perché quella stupida Bacchetta non aveva funzionato come avrebbe dovuto, col Signore Oscuro?

Perché Potter era riuscito infine a Disarmarlo?

Disarmare… si ricordava fin troppo bene quel giorno in cui era toccato a lui stare di guardia agli allora prigionieri delle segrete di Malfoy Manor e, per pura noia, si era messo a discutere col vecchio Olivander sulla Lealtà delle bacchette.

«Signor Malfoy, lei per primo dovrebbe capire ciò di cui sto parlando. Se due maghi si scontrano in leale duello magico, colui che prevale ottiene anche la bacchetta dell’avversario. E non tanto per l’Incantesimo di Disarmo in sé, quanto perché la bacchetta riconosce la superiorità del mago vincente e cambia la sua Lealtà! Si ricordi sempre ciò che le dissi al primo anno, signor Malfoy, “E’ la…»

«“…bacchetta che sceglie il mago, signor Malfoy, anche se non è sempre chiaro il perché!”» lo scimmiottò, interrompendolo «Sì, mi ricordo, vecchio, l’avrai detto almeno un migliaio di volte solo quel giorno…» poi, ricordandosi quello che aveva appena sentito, aveva aggiunto «…ma a cosa ti riferivi quando hai detto “lei per primo dovrebbe capire ciò di cui sto parlando”?»

«Per quanto tristi, mi sono giunte alcune voci riguardo la notte della morte del mio caro amico, il Preside di Hogwarts»

«Ebbene?»

«Non è stato forse lei, signor Malfoy, a Disarmare Albus Silente quella notte, sulla Torre di Astronomia, prima che questi venisse ucciso da quel doppiogiochista di Piton?!?» era vecchio e malaticcio, in quel periodo di prigionia, ma gli insulti per chi, a suo dire, se li meritava, li esprimeva ancora facilmente.

Ricordava quei momenti ancora come un boccone amarissimo, difficile se non impossibile da mandar giù.

«Sì, è vero, ma questo cosa…»

Questa volta era stato Olivander a interromperlo.

«…è stato un vero peccato» aveva marcato quella parola come un insulto. Era evidente che per lui in realtà era tutto fuorché un dispiacere «che lei, signor Malfoy, non sapesse di tutta questa faccenda prima d’ora,» Aveva fatto una pausa in cui gli aveva lanciato uno sguardo pieno di derisione e soddisfazione «altrimenti avrebbe potuto entrare in possesso della bacchetta evidentemente potente di un grande mago quale era e sarà sempre il Professor Silente»

In quel momento avrebbe voluto ribattere un paio di parole a proposito del “grande mago”, ma si era limitato a lasciarlo lì con le sue moine sull’ex Preside e se n’era andato.

Adesso tuttavia quelle parole le aveva ricordate come un pugno che lo colpiva in pieno stomaco.

Per il lasso di tempo tra la morte di Silente e l’Expelliarmus di Potter, che l’aveva privato della bacchetta che possedeva sin dal primo anno, lui era stato il padrone della Bacchetta di Sambuco.

Lui.

Era stato il padrone della bacchetta più potente del mondo magico e nemmeno l’aveva capito. Se n’era reso conto solo ora quando ormai era inutile.

Ecco perché con Riddle non funzionava, ecco perché anche se aveva ucciso Piton…

Ora il pugno si trasformò in uno schiaffo in pieno volto.

Piton.

Piton sapeva. Aveva ucciso Silente perché era stato lui stesso a chiederglielo, subito dopo che lui, Draco, l’avesse Disarmato ma prima che lo potesse uccidere.

Gli aveva mentito.

Piton gli aveva mentito. Aveva stretto un patto con quello strambo del Preside prima ancora che sua madre lo implorasse al Voto Infrangibile.

E il bello è che gli aveva creduto.

Aveva davvero creduto che Severus volesse il suo bene, che non volesse farlo macchiare di un omicidio di quelle dimensioni, sacrificandosi e prendendosi tutta la colpa.

Invece quei due avevano cospirato alle sue spalle, usandolo solo perché il Signore Oscuro pensasse che semplicemente prima l’uno e poi l’altro erano diventati padroni della Bacchetta di Sambuco.

L’avevano usato per depistare Voldemort.

Quel nome non gli faceva più paura, di fronte a qualcosa di ben più grande e, ormai, reale. Perché lui era rimasto all’oscuro di tutto, diventato nulla più che una pedina su una scacchiera, pronta a essere sacrificata quando più sarebbe convenuto.

Però era sopravvissuto.

Riddle, nel suo infinito egoismo, aveva guardato solo dritto davanti a sé, senza mai riuscire a vedere il quadro, ordito da menti ben più lungimiranti della sua, nella sua complessità.

Se solo si fosse reso conto che l’unico scopo di Silente era la fine di tutto quel Male, i cui motivi ormai non si reggevano più in piedi, forse avrebbe capito chi era stato il vero padrone della Bacchetta di Sambuco e Draco ora non sarebbe stato lì, tutto intero, ancora in grado di pensarci.

Lui era sopravvissuto.

A quelle consapevolezze qualcosa dentro di lui cambiò.

Non l’avrebbe ammesso mai, nemmeno a sé stesso, ma sapeva che era così.

Perché forse, il professor Silente, lo conosceva più di quanto egli conoscesse sé stesso.

***

Okay, partiamo dal presupposto che personalmente sono ampiamente pessimista - o realista? Mah... >_< - e considero una schifezza tutto ciò che è frutto della mia fantasia controversa... detto ciò, aggiungiamoci pure che questa è la prima storia che pubblico su EFP e il risultato sarà... che dovete avere tanta, tanta pietà di me!!! Ahah ammesso e non concesso che mai leggerete e, eventualmente, recensirete questo sgorbietto... dehihi... a presto! :-)

  
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