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Autore: echelon_jonas_    09/05/2012    1 recensioni
Quando il mondo ti crolla addosso,
quando non hai più ragioni di vivere,
quando tutto sembra perso,
arriva un fascio di luce che ti cambia la vita.
E lì che puoi trovare una ragione per andare avanti.
Ma si sa,
la luce non dura per sempre.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Melanie Anderson. Ho 17 anni e vivo in New Jersey.
Tutto iniziò il 28 giugno 2011. Stavo per partire in vacanza con i miei genitori e mio fratello.
Saremmo andati ad Atlanta,come al solito. Ma qualcosa è andato storto. Mancava appena una settimana alla partenza quando io e mio fratello Jeremy andammo nella vecchia casa abitata che si trovava un po’ lontano da casa nostra. Scrivo ‘trovava’ perché quella casa non c’è più. Era un’insignificante casetta di legno andata a fuoco,insieme a mio fratello. Lui aveva solo un anno in meno di me. Il mondò mi crollò addosso e la famiglia che eravamo una volta si è persa. I miei genitori litigavano giorno e notte perché si incolpavano a vicenda per morte di Jer. Non ascoltavano mai me,ciò che avevo da dire.
Solo un giorno riuscii a fargli capire che l’unica colpevole ero io. Loro non mi davano ragione. Mi dicevano di stare tranquilla perché nessuno aveva mai pensato che fossi stata io la causa della sua morte. Beh,non avevano considerato me. Io invece,non mi davo ragioni per un’altra cosa: la vita. Anzi,la MIA vita.
Senza Jeremy,la famiglia che avevo prima e la mia migliore amica,quella non era più vita. Un giorno decisi di farla finita. Perché vivere un minuto in più su questo mondo così brutto,così triste,così avvolto nell’oscurità? La mia migliore amica, Meredith mi ha tradito in un certo senso.
Tutti lo interpretano come un modo per aiutarmi,ma delle parole della gente me ne frega ben poco. Beh,a causa di Meredith io sono ancora qui. Le avevo confessato di volermi uccidere. Le dicevo tutto. E lei lo disse a mia madre.
Ceh,proprio lei? Ma questo non è il peggio. Il peggio è essere qui seduti su una sedia arrugginita,in un banco che sta in piedi grazie a qualche divinità, a scrivere un tema sul perché sono finita qui. Beh,neanche io lo so perché sono qui,ok?
Io non sono un pericolo. Non voglio fare del male agli altri. Non voglio fare del male a nessuno, tantomeno a me stessa. Se mi uccidessi è solo un bene. Io non voglio vivere qui,su questo mondo,in questa vita.

Il professor Landster passò vicino al banco di Melanie esclamando:”Anderson! Hai scritto molto!” Le rivolse un sorriso,ma lei non rispose. Non lo degnò neanche di uno sguardo. Lei odiava tutto. Odiava stare lì,odiava la gente,i professori. Odiava la vita in generale. Quando il prof finì di raccogliere i temi di tutti gli alunni disse:”Domani faremo una lezione molto interessante,vi prego di partecipare” e la campanella suonò.
Mel uscì dalla classe e si diresse verso la sua stanza. O,come la chiamava lei, topaia. Era in quella specie di ‘college per ragazzi con istinti suicidi’,come scrisse lei nella sua prima e ultima lettera ai suoi genitori. Da loro non se lo aspettava. Non credeva davvero che arrivassero al punto di mandarla in un manicomio per adolescenti.
La scuola era recintata e tenuta sotto severo controllo,così che nessun potesse entrarvi o uscirvi. Se qualcuno voleva venire a fare visita doveva chiamare prima per prenotare.
Mentre posava i libri sopra la scrivania si affacciò alla finestra. Vedeva un mucchio di corpi muoversi,correre,saltare,e stranamente vide anche della gente ridere. Ma il suo occhio cadde su un ragazzo seduto su una panchina di legno marcio. La cosa che la colpì furono i suoi riccioli biondi. Non riuscì a capire il colore dei suoi occhi,ma si immaginava un colore chiaro,forse verdi,o azzurri.
“ehm.. Scusami.. Tu sei Melanie? Melanie Anderson?” chiese una voce alle sue spalle. Lei si girò subito e disse:”Sì.. Tu .. Sei?”
“La tua compagna di stanza. Caroline Smith. Piacere” rispose la ragazza bionda. Aveva gli occhi neri,profondi,quasi simili a quelli di suo fratello,Jeremy. Melanie rimase incantata. Era immobile e non distoglieva lo sguardo dagli occhi di Caroline.
“Hey?” disse la ragazza per cerare di capire se fosse viva o no.
“Ehm.. Si.. Scusa.. Hai dei bei occhi.. Sono come quelli di mio fratello…”
“AH.. Tranquilla! Come si chiama tuo fratello?” rispose Caroline sorridente.
“Si chiamava Jeremy..” rispose Mel abbassando il volto.
“Ah.. Scusa.. Non sapevo che..” disse Caroline imbarazzata.
“No,tranquilla. Non potevi saperlo” disse Mel tranquillizzandola.
“Beh,andiamo a mangiare pranzo? Sono arrivata ieri qui e non so ancora bene come muovermi,,”
“Sì,ti accompagno. Io sono qui da poco più di una settimana. Sono arrivata all’inizio di settembre.. Ma non c’è molto da vedere.!” rispose Mel.
Le due ragazze uscirono dalla stanza e iniziarono a camminare,dirette alla mensa.
Il ragazzo riccio che Mel aveva appena visto dalla finestra passò vicino a loro. Melanie lo guardò,come se qualcosa l’avesse spinta a girarsi. Con sua sorpresa scoprì che i suoi occhi erano grigi,non azzurri. Sembravano racchiudere il suo umore,le sue preoccupazioni,tutto ciò che si teneva dentro. Caroline continuava a parlarle quando si accorse che Mel non la stava ascoltando:”Ehm..Melanie?”
‘Chissà come si chiama.. Cosa ha fatto per finire qua. Chissà quanti anni ha …’ pensava Mel.
“Meeeelanie?” continuava Caroline.
“Sì,scusa.. Non ti stavo ascoltando..”
“Me ne ero accorta” disse Caroline sorridendo. Come poteva una ragazza così sorridente essere finita in quel posto? Mentre parlavano le due si scontrarono contro qualcosa,o meglio,qualcuno. Era una ragazza abbastanza bassa,con i capelli scurissimi lunghi e gli occhi verdi. Era simile a Mel,solo che lei era più alta e aveva i capelli più chiari e corti e gli occhi azzurri.  
“Scusa. Non ti abbiamo vista” dissero le ragazza quasi all’unisono.
“Non è una novità che la gente non mi veda..” rispose la ragazza.
Mel e Caroline si guardarono non riuscendo a capire se la ragazza scherzasse o no.
“Ragazze,non mordo.” disse ridendo “Piacere,sono Jennifer Lenas,ma potete chiamarmi Jen. Siete nuove?”
“Sì.. Io sono Melanie Anderson e lei è Caroline Smith..” rispose Mel.
“Bene,vi porto a vedere la ‘scuola’,se si può chiamare così.. Io sono qui da quasi due anni,sapete? È un inferno..”
“Ma siete tutti così.. Sorridenti..” commentò Mel.
“Devi sapere,Melanie,che quelli che stanno proprio peggio sono rinchiusi in una specie di gabbia.. Sono in camere tutti insieme,e purtroppo alcuni sono costretti a legarli..” rispose Jennifer abbassando il volto.
“Come fai a saperlo?” chiese Caroline curiosa.
Jen alzò il volto,sorrise,ma non rispose. Le due ragazze non ci fecero caso e continuarono il loro cammino verso la mensa insieme a Jen.
“Vedete,anche qui c’è la ‘reginetta’,quella che si crede dio.. Ma sta più male di noi 3 messe insieme. Ha attacchi d’isteria e la tengono lontana dalla mensa più che possono.. L’ultima volta ha iniziato a lanciare cibo, a cercare di fare del male con dei coltelli. Il fatto è che qui è tutto di plastica.. Sai,certa gente si taglia..”
Mel si sentì arrossire e guardò i suoi polsi. La pelle era ricresciuta lì dove prima il sangue gocciolava come del ghiaccio al sole. Le ferite erano chiuse. Sì,quelle sui polsi sì. Quelle nel cuore no. Il desiderio di scomparire,di lasciare vivere quell’inferno ad altri,di poter sentire dolore,tanto da morire non la abbandonavano mai. E in quel momento le sentiva lottare dentro di lei.
“Ragazze,vado in bagno” disse infine. Spedita si alzò e andò in bagno. Guardò che nessuno ci fosse,chiuse la porta a chiave e si guardò allo specchio. “Sei uno schifo. Non servi a niente. Ucciditi,Mel. Ucciditi” diceva il riflesso dello specchio. Lei pensava che dire le cose allo specchio era ‘incoraggiante’. Era una specie di scusa. Come se qualcuno ti  imponesse cosa fare e tu devi farlo. Così faceva Melanie,si incoraggiava allo specchio. Si incoraggiava ad uccidersi. Era certa che un giorno sarebbe capitato di nuovo. Era certa che avrebbe di nuovo visto le porte dell’inferno chiudersi e aprirsi un varco di luce accecante. Urlò. Secondo Mel urlare era liberatorio. Come se lei provasse ad opporsi a ciò che si era appena detta. Così avrebbe potuto dire che ci aveva provato. Pianse. Lasciò che le lacrime rigassero il suo volto e bagnassero il suo cuore. Appoggiò le ginocchia a terra e un peso allo stomaco la invase. La nausea diventò più presente che mai. Si alzò. Tremava. La campanella era già suonata e molte ragazze davano calci alla porta del bagno perché non si apriva. Lei non ci fece caso. Stava male. Era in uno di quei momenti in cui non sapeva cosa fare. Sentiva quel male salire dalle viscere. Passava tra il torace con insistenza. Arrivò al suo cervello che ormai voleva spegnersi per sempre. Cercò di calmarsi e dopo poco si fece forza. Iniziò a cercare con insistenza qualcosa con cui potesse farsi male. Qualcosa con cui finirla. Cercò nei cestini,nel lavandino. Cercò di staccare le maniglie della porta. Ma non riuscì a fare niente. Le sue gambe erano impegnate a dare calci ad ogni cosa si trovava in mezzo ai suoi piedi. Sentiva i nervi restringersi nella sua testa. Sentiva le vene trasportare più sangue del solito. Sentiva anche quella sensazione di vertigini e quei brividi che piano piano passarono attraverso la sua schiena. Il cuore cominciò a battere più lentamente. Lei si sedette in terra,con la schiena attaccato al muro. Si mise le mani nei capelli e chiuse gli occhi. Quando rialzò la testa vide il casino che aveva creato in quel bagno. Era tutto in aria. I cestini in terra,le porte spalancate e il cuore lacerato. Dopo aver fatto questo,sempre,Mel si sentiva una stupida. Credeva di fare qualcosa che le facesse bene,poi si sentiva ogni volta più male. Cercò di mettersi a posto i capelli e di lavare via la matita scolata che era rimasta. Era in ritardo per la lezione di biologia e sicuramente il professore non ne sarebbe stato contento. Fece un respiro profondo e uscì dal bagno. Il corridoio era vuoto. Mentre camminava sentiva delle urla. Urla di ragazzi e di ragazze. Chissà a cosa erano in preda. Ognuno lì dentro aveva un problema e Melanie in qualche modo si sentiva diversa,come se il suo non fosse un vero problema. Trovò l’aula di biologia e ci entrò. Cercò di abbassare lo sguardo per non vedere la faccia del prof che alla sua entrata disse:”Oh,signorina Anderson.. Per caso le si è rotto l’orologio?” Il suo umorismo era pessimo. “Mi scusi professore” si limitò a rispondere lei.
Caroline le lanciò un’occhiata interrogativa facendole segno di sedersi accanto a lei. “Dove sei finita?” chiese Caroline. Melanie cercava di elaborare una risposta sensata,credibile. Non voleva svelarle niente di cosa le accadeva. “I miei genitori mi hanno..sì.. I miei mi hanno chiamata e sono stata a telefono con loro..”. Caroline sorrise e continuò a evidenziare sul suo grosso libro di biologia. La lezione passò pianissimo. Nonostante Mel fosse arrivata più tardi il tempo sembrava essersi fermato.
Finalmente,anche la sera calò. Le due ragazze si trovavano a fissare il soffitto di camera loro. Melanie continuava a pensare a quello che era successo nel pomeriggio. Come aveva potuto lasciare che questo accadesse un’altra volta? Poi le venne in mente Jeremy. Lui e quel suo sorriso timido.
Quel ragazzo che era forte e debole nello stesso momento. Quel ragazzo dolce e arrabbiato. Quel ragazzo che con un abbraccio poteva fare sentire Mel protetta. Quel ragazzo che non annoiava mai nessuno. Quel ragazzo che avrebbe dato anima e cuore per chi amava. Quel ragazzo che non c’era più. Scomparso dietro l’ombra di una nuvola. I suoi respiri non si sentivano più. I suoi sorrisi non brillavano più. I suoi abbracci non riuscivano mai a toccare Mel. Semplicemente non c’era più.
“Vado a farmi una doccia” disse ad un certo punto Mel,cercando di fermare i pensieri.
Aprì l’acqua calda e dopo poco ci si buttò sotto. La prima sensazione fu un misto di brividi caldi e freddi,poi il suo corpo si adattò. L’acqua che scivolava piano sulle sue spalle sembrava a i suoi ricordi che scivolavano via dalla mente. Nel momento in cui chiudeva gli occhi c’era solo più Mel e i ricordi che la tormentavano le concedevano una pausa. Come per mettersi alla prova,decise di alzare la temperatura dell’acqua. La pelle si arrossò subito e Mel sentì che non era ancora abbastanza. Quello riusciva ancora a sopportarlo. La alzò ancora di più. La sua pelle era un fuoco. La sua bocca era serrata per non urlare. Ma non ci riuscì. Le sue corde vocali emanarono un urlo di dolore. Ecco,quello non lo sopportava. Caroline corse subito in bagno. “Mel! Stai bene?” chiese preoccupata mentre la vedeva mettersi l’accappatoio. “Sì,Caroline. Sto bene” rispose senza girarsi
. ‘Non farti vedere debole’ pensò Mel. “Hai la pelle che scotta Mel! Vieni che ti metto una crema!” disse Caroline. “No. Grazie Carol. Non ne ho bisogno. Mi sono solo sbagliata a girare il rubinetto. Stai tranquilla. Non brucia”. Le veniva così naturale mentire a sé stessa. “Va bene,va bene” rispose la compagna.
Erano le dieci e mezza e Caroline si stava per addormentare. La luce del comodino di Mel invece era ancora accesa. Stava leggendo la parte di lezione che si era persa oggi a biologia. Ma era così noioso. Così chiuse i libri e sospirò.
“Carol?” sussurrò per vedere se la ragazza era ancora sveglia. Delle parole incomprensibili uscirono fuori dalla bocca di Caroline. Bene,stava dormendo. Non riuscendo a prendere sonno si alzò dal letto e si affacciò dalla finestra e osservava il giardino che guardava quando era ancora giorno. Era vuoto. Quasi vuoto. Vide una piccola lucina rossa e poi una nuvola di fumo. E poi vide lui. Il solito ragazzo con i riccioli d’oro. Il suo cuore sussultò.
Le faceva un effetto strano. Aveva quasi voglia di scendere giù e conoscerlo. Ma si arrese. Sarebbe potuto accadergli ciò che era accaduto poco prima. E non voleva farlo vedere agli altri. Tantomeno al ragazzo che sembrava interessarle. Continuò a osservare ogni suo minimo movimento finché non scomparve nella notte buia. Lo cercò ancora aprendo la finestra cos’ da riuscire a mettere la testa fuori,ma niente,non lo vide più.
“Mel,chiudi sta finestra!” disse Caroline in ostrogoto.
A Melanie scappò da ridere. Si era già fatta un’amica,anzi due,in così poco tempo. Chiuse la finestra e mise l’anima a riposo.
  
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