A
tutte le mie carissime Drunk, che rendono i miei pomeriggi di studio più
sopportabili e non si stufano mai della mia follia.
COME UNA BOLLA DI SAPONE
La tana era immersa nel silenzio. Non c’era nulla che paresse
vivo, nulla che sembrasse sveglio.
Era tutto in placida attesa, attesa di cosa non si capiva.
Eppure tutto stava aspettando.
Ron fissava il soffitto della sua stanza.
Harry dormiva, il suo russare roco e assorto era l’unico rumore.
Sul soffitto di quella stanza in cui Ron aveva dormito tante
volte nella sua vita, il ragazzo scorgeva cose che non aveva mai visto. Non
riusciva a prendere sonno. Non riusciva a smettere di pensare a quante cose
fossero così immensamente sbagliate nella sua vita.
Pensava a se a Lavanda. Pensava a quanto fosse ridicola la loro
storia, a quanto fosse priva di senso, una stupida ripicca.
Pensava a Hermione, alla sua rabbia, e non capiva. Perché lo
odiava tanto? Spesso gli aveva detto che lui era il suo migliore amico. Bhè,
Ron era più che certo che con i propri migliori amici non bisogna arrabbiarsi
con tanta frequenza e per cose così stupide. Ne era sicuro.
Eppure lei si arrabbiava sempre con lui per questo genere di
cose.
Anche tu ti arrabbi sempre con lei per questo genere di cose,
gli
sussurrò una voce all’orecchio.
E anche lei è la tua migliore amica.
Aveva iniziato lei.
No, hai iniziato tu.
Eri arrabbiato perché Hermione aveva baciato Krum.
Ma Krum! Krum non va bene per Hermione.
Forse questo è ciò che pensa Hermione di Lavanda.
Lei non ne ha il diritto.
Tu sì? Sì.
Perché?
Perché io conosco Hermione.
No, è diverso. A te piace Hermione.
No.
Non poteva piacergli Hermione. Lei era… Hermione.
Impacciata, silenziosa, secchiona, puntigliosa, precisa,
sorprendente, leale, coraggiosa, forte… Hermione.
Non poteva piacergli Hermione.
Non aveva alcun senso.
Hermione giocherellava con l’orlo bianco del suo copriletto.
Non poteva chiudere occhio.
Essere a casa per Natale era come essere in prigione.
Essere lontana da Harry e da Ron per Natale era come essere… sola.
Sola.
Quella stupida, infida parola, che continuava ad intrufolarsi
nella sua mente ogni volta che sorrideva a qualcuno che era felice. Ogni volta
che pensava a se stessa. Ogni volta che pensava a Ron e Lavanda. A Harry. A
tutti.
Tutti l’avevano lasciata sola, o l’avrebbero fatto presto.
Sei tu che vuoi essere sola.
Scrollò la testa.
Io non sono sola.
Harry e Ron erano sempre lì per lei.
E poi c’era Ginny.
Si sarebbero fidanzati, sposati, sarebbero stati felici, ma non
l’avrebbero lasciata.
Non Harry e Ginny.
Ma Ron? La loro amicizia era sempre così fragile. Pronta a
spezzarsi sotto il suo primo gesto stizzito o sotto la prima sciocchezza di
Ron.
Al primo cambio di corrente, la frittata si poteva capovolgere…
e non avrebbe lasciato altro che lacrime. Per lei almeno.
Se ne asciugò una, innervosita.
Se Ron non teneva a lei, lei avrebbe smesso di tenere a lui.
Non l’aveva nemmeno invitata a passare il Natale alla Tana come
ogni anno.
E ora lei era lì, sola, con la testa che le faceva male ma gli
occhi che non le si volevano chiudere.
Era lì, con i suoi insopportabili pensieri.
Pensieri rivolti sempre e costantemente a lui. A Ron.
Perché?
Perché stava con Lavanda. E allora?
Non le se lo poteva spiegare.
Perché doveva prendersela tanto?
Era stato lui ad iniziare ad essere arrabbiato con lei.
Perché?
Non lo sapeva.
Non c’era una vera ragione per il loro litigio.
Hermione sbuffò. Non c’era mai una vera ragione
per i loro litigi.
Erano sempre campati per aria.
Forse avrebbero dovuto smettere di essere amici. Un attimo prima
erano felici –davvero felici- e l’attimo dopo… l’attimo dopo lei piangeva
a letto.
Hermione si alzò, si appoggiò con tutto il suo peso alla
finestra, mentre la vita sotto di lei, la vita di Londra, palpitava nella notte
che avanzava verso il mattino. Pensa alla tua vita senza Ron… una vita senza
crisi isteriche, una vita senza litigi, una vita senza pianti, una vita in cui
non devi stare attenta a quello che dici o non dici, una vita in cui devi
preoccuparti solo di te stessa… una vita vuota.
Un buco di paura e rammarico si aprì nel suo cuore.
Non poteva rinunciare a Ron.
Il sole luccicò per un istante tra le cime argentate e lontane
degli alberi. Un treno scivolò sull’orizzonte.
La mattina di Natale.
Quanti anni erano che non faceva il Natale senza Hermione?
Tanti. Troppi da ricordare.
Le aveva preso un regalo… ma non avrebbe avuto il coraggio di
darglielo. Non avrebbe avuto senso, lei non era lì. Non aveva senso un Natale
senza Hermione.
Un Natale senza regali totalmente inappropriati e inutili, un
Natale senza il suo tea pomeridiano, un Natale senza lei che legge un libro
immenso davanti al camino, mentre il fuoco le illumina i capelli, un Natale
senza le sue fisse sugli elfi domestici… un Natale senza quelle piccole cose
bellissime di quando tra loro andava tutto bene.
Quanto tempo era che le cose non andavano bene?
Non lo ricordava più.
Quando era stata l’ultima volta che avevano cenato
tranquillamente, ridendo, scherzando, prendendosi in giro e apprezzandosi?
Senza trovare insopportabile e irritante ogni singolo movimento dell’altro,
ogni espressione dell’altro…?
Ron non lo ricordava.
Non ricordava più come si sentisse allora.
Si ricordava solo… quest’ultimo mese (perché era stato un mese,
no?) con Lavanda, a baciarsi sotto gli occhi di tutti, a strofinarsi… Senza
parlare, solo toccandosi.
Si alzò di scatto. Non poteva reggerlo.
Non poteva.
Era… inaccettabile.
Un Natale senza Hermione non era un Natale… No?
Forse in fondo poteva esser stata colpa sua.
Doveva aver fatto qualcosa senza accorgersene. Poteva chiedere
scusa, per una volta. Passare un Natale felice e tranquillo, nonostante tutto.
Passare un Natale felice. Poteva ignorare il fatto che lui stesse con una
specie di gallina (e poi perché mai questo avrebbe dovuto infastidirla?) e chiedergli
scusa per la storia dei canarini, anche se era certa che lui fosse arrabbiato
con lei già da prima.
Ma non importa.
Una parte di lei insisteva a pensare che lui stesse con Lavanda
per far rabbia a lei.
per ripicca nei suoi confronti.
Ma questo non aveva senso. Non reggeva. Lei si illudeva, si
illudeva… di cosa? Scrollò via questo pensiero con un cenno del capo.
Il sole stava sorgendo su quello che si preannunciava il Natale
più deprimente della sua vita.
Nessuno stupido regalo, nessun dolce troppo dolce, nessun pranzo
infinito con i Weasley. Ma soprattutto… Nessun pomeriggio a guardare Ron e
Harry giocare a scacchi, con Ron che vince e vince, guardando il suo bel viso
attraverso i bagliori del fuoco e ricordando la prima volta che aveva avuto
paura per lui. Nessun risveglio correndo nella loro stanza per svegliarli,
sedendosi sul letto di Ron, tutto intento nello scartare i regali. Nessun
maglione sfornato a rendere rosse le orecchie dell’amico. Almeno non davanti a
lei… Nessuno a cui menarla sugli elfi domestici. Un Natale senza le prese in
giro di Ron sul suo vestito, su qualcosa che lei avrebbe detto, su quello che
lei avrebbe letto.
Nessun Ron.
Perché questo avrebbe dovuto renderla così triste?
Perché stava piangendo?
Era solo un Natale.
E lui era… solo Ron.
Perché solo questo bastava a renderla insieme così triste e così
euforica?
Era presto. Prestissimo.
Le strade, allagate da una luce fragile e grigia, erano vuote e
fredde.
Nevicava.
Soffici riccioli bianchi scendevano al suolo, sciogliendosi
nelle pozze e posandosi sulle macchine e nei prati.
Ron aveva freddo.
Eppure annaspava tra le guance paonazze.
Non sapeva esattamente cosa stesse facendo.
Londra era ancora assopita.
Le luci decoravano un’alba Natalizia avvolta da un alone di
magia.
Forse lo sentiva solo lui.
Guardò ancora l’orologio. Erano quasi le 5.
Il fiato si condensava appena si lanciava fuori dalle sue
labbra.
Sorrideva, e non capiva perché. Stava solo facendo una cosa
gentile.
Non aveva invitato Hermione per Natale perché era arrabbiato con
lei.
Ma non sapeva più perché lo fosse.
Quindi non aveva senso che lei non passasse il Natale con lui e
Harry alla Tana, che lei non mangiasse tanto da scoppiare e poi non si mettesse
a leggere davanti al camino.
Non aveva senso che lei non ascoltasse lei menate di Harry su
Malfoy.
Con chi si sarebbe scambiato sguardi esasperati?
Con chi avrebbero preso in giro Fleur?
Aveva camminato fino al paese vicino e preso la metropolitana.
Sapeva dove abitava Hermione, perché l’andava sempre a prendere con suo padre.
Era semplice arrivarci.
Pensò che forse lei si sarebbe arrabbiata.
Infondo era presto, e non le aveva detto niente. In più lei
odiava le sorprese.
Ma non voleva pensare a quell’opportunità. Se lei fosse scesa
subito, sarebbero arrivati a casa entro il risveglio generale, avrebbero potuto
anche far colazione con tutti gli altri.
Il tea del mattino di Natale, con tutte le caramelle e i
biscotti… Non si poteva rinunciare al tea del mattino di Natale.
Il palazzo in cui abitava Hermione era un bel palazzo, una casa
a ringhiera, con un ingresso pulito e fresco. Una casa per bene. Si chiese se
poteva citofonare da lei alle 5.05 del 25 Dicembre e si rispose di No.
Avrebbe tanto voluto avere con se una scopa, o quanto meno
essere già maggiorenne, così da potersi materializzare in camera sua.
La sua cameretta… non poteva nemmeno immaginare un luogo che
avrebbe voluto vedere più di quello.
Perché diavolo oggi hai dei pensieri così assurdi?
Guardò attraverso il portone di vetro. Una donna lavava il marmo
pallido delle scale. Bussò con insistenza.
La donna lo guardò con cipiglio stupido.
Gli aprì.
-Chi è lei?
-Mi scusi, ma sono stato fuori sta notte, ho lasciato le chiavi
in casa e non voglio svegliare i miei…- arrossì, ma la donna non ci fece caso.
Sbuffò e lo lasciò entrare. Ron sentì il forte odore di fumo e alcool trapelare
dalla sua pelle, e sospirò. Era talmente andata che non avrebbe mai fatto a
caso alla sua spudorata bugia.
Salì le scale lentamente. Sapeva che Hermione stava al 3° piano.
Ricordava che glielo aveva ripetuto tante volte l’ultima volta
che lui e suo padre erano andati a prenderla.
Perché non mi ha fatto vedere la sua camera?
Su una porta di legno opaco, una targhetta di bronzo aveva
inciso su “GRANGER”. Sorrise e guardò l’orologio. Erano le 5.08.
Doveva rischiare di farla arrabbiare, questa volta.
Tanto ci era abituato.
Sentì un leggero scampanellio. La porta? Erano le 5.08 del 25
Dicembre. Chi poteva essere? Era irritata. Non aveva chiuso occhio.
Si infilò un paio di pantofole disfatte e si avviò lungo il
corridoio bianco. Tutto era così dannatamente bianco in quella casa.
Ormai non sopportava più di stare in un posto così… babbano.
Si avvicinò alla porta senza accendere le luci. Non voleva
svegliare i suoi.
Solo le luci dell’albero di Natale e quelle fragili dell’alba
illuminavano il corridoio.
-Chi è?- chiese piano.
Un velo d’emozione la stava percorrendo, ma non ne capiva il
motivo.
-Hermione, sono Ron.
Ridacchiò, stupita, e aprì la porta.
Lui era lì, un berretto coperto di neve calato sui capelli
rossi, gli occhi dall’azzurro incredibile luccicanti e circondati da una lieve
ombra livida, le orecchie rosse, le labbra tese in un sorriso dubbioso.
-Come hai fatto ad entrare?
-La vostra portinaia è ubriaca.
Hermione sorrise.
-Vieni, starai congelando.
Lo fece entrare.
-Grazie- sussurrò lui.
La guardava di sottecchi, pallida e stanca, i capelli in una
nuvola informe intorno al viso, il corpo in una vestaglia azzurro polvere che
le aveva visto tante volte.
Si sentì felice.
Lei lo condusse in corridoio, e poi nella sua stanza. La luce
era spenta, solo i raggi dell’alba coloravano le pareti.
-Che ci fai qui?- chiese Hermione.
-Volevo augurarti Buon Natale.
Lei sorrise, commossa.
-Davvero?
-No. Volevo farti venire alla Tana.
-Davvero?- Era così commossa che si sentì annaspare, e non ne
capiva il motivo.
Una fragile felicità che le faceva paura stava sorgendo dentro
di lei. Quel genere di felicità che solo Ron le sapeva donare: immensa,
splendida, luminosa, ma pronta a spezzarsi al primo alito di vento, come una
bolla di sapone.
-No. Volevo anche scusarmi con te, per tutto questa cosa di
Lavanda.
-Non ti devi scusare. Non ce n’è motivo.
-No, invece c’è. Volevo dirti anche che mi spiace di essermela
presa perché avevi baciato Krum.- sussurrava.
-Cosa?
-E di non averti accompagnata alla festa di Lumacorno.
-Davvero?
-Sì. Volevo venirci.
-Oh Ron.- Lei singhiozzò piano.
-Non piangere adesso.
-Non piango.
-Sì invece!
Scoppiarono a ridere.
-Mi spiace di non averti detto di Krum prima.- Fece lei, una
lacrima che le scivolava sulla guancia. –Dovevo immaginare che avresti
voluto saperlo da me.
-Non da Ginny di certo.
-Infatti. Ma avevo paura del tuo giudizio.- Fece lei sorridendo,
con un altro tiepido singhiozzo. –Non ti piaceva Krum.
-Non è quello. Non importa. Va bene così.
Lei sorrise. –Mi spiace per i canarini.
Ron si toccò in testa, togliendosi il cappello. –mi hai
fatto male.
Risero, impacciati.
-Hermione?
-Sì?
-Buon Natale.
Lei sorrise.
Tremante, eppure dominata da una forza a lei sconosciuta, allungò
una mano e gli sfiorò la guancia. Era calda. Con il mignolo gli toccò il naso.
Era gelato. Gli fece scivolare le dita nei capelli. Lui era rosso. Ma lei no.
Aveva improvvisamente capito che aveva sempre saputo il perché
di tutti quei litigi.
Loro non dovevano essere migliori amici.
Si sporse verso le sue labbra e vi posò sopra le sue, calde e
morbide, saporose di notte. Quelle di lui, salate e dolcissime, strinsero le
sue in un tiepido abbraccio. La prese tra le braccia, avvolgendo il suo piccolo
corpo, mentre sentiva i suoi seni sul petto. Lei gli fece scivolare di dosso la
giacca, continuando a respirare attraverso le sue labbra.
Si staccò un secondo.
-Buon Natale, Ron.- Disse, roca.
I suoi occhi brillavano.
Ron sorrise, e la baciò di nuovo.