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Autore: shamrock13    09/05/2012    1 recensioni
Questa One-Shot partecipa al contest 'Scrivere è un atto di fede' di Freddy 16
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“Non la bevo sai, ce l’hai scritto che la vita non ti viene come vuoi, ma è la tua. Per me è speciale, e se ti può bastare sai che se hai voglia di ballare uno pronto qui ce l’hai.”
Questa frase, tratta dalla canzone “Balliamo sul Mondo” di Ligabue, è il prompt lasciato da chi ha indetto il concorso al quale questa one-shot ha partecipato. Le altre indicazioni erano i personaggi -ho scelto la coppia Sirius/Remus ma non è una slash!- e il tempo in cui si doveva svolgere il racconto, ossia l’adolescenza dei protagonistii. Dati questi tre elementi la storia si è praticamente scritta da sola, non ho dovuto pensarci molto.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Una follia
Solo per te, amico…

 
Sirius Black entrò nel dormitorio di Grifondoro per la prima volta quella sera.
 
Valutò per un paio di secondi il piccolo spazio che sarebbe stata la sua camera da letto nei sette anni che lo attendevano, poi scelse uno dei due letti tra i quali era collocata la finestra, esattamente di fronte alla porta. Ci saltò sopra e si sdraiò, le braccia dietro la testa, ancora pensando alla scelta del Cappello Parlante; non si era mai sentito tanto sollevato in vita sua. Ricordava perfettamente gli occhi severi dei suoi genitori, fissi su di lui mentre saliva sull’espresso per Hogwarts. Avevano appena finito di spiegargli perché ci si aspettava da lui che diventasse un Serpeverde e recasse onore alla sua famiglia, come i suoi parenti prima di lui. Un macigno gli era crollato sul petto e si era dissolto solo quando il vecchio cappello squarciato lo aveva assegnato alla casa rossa ed oro.
 
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dall’ingresso di quelli che sarebbero stati i suoi compagni di camera: il primo ad entrare fu un ragazzino alto, dai capelli neri, che aveva tutta l’aria di essere stato viziato fino a dieci minuti prima. Forse no. Quella era l’impressione che lui stesso dava probabilmente. Il nuovo arrivato non era stato solo viziato. Er stato anche coccolato ed amato, a differenza sua. Lo osservò meglio. La sua divisa era perfetta, le sue guance floride e lo sguardo amichevole ma leggermente superbo; uno dei Potter di Godric’s Hollow. Non lo conosceva di persona ma, come amava ricordargli sua madre, i purosangue devono conoscere i purosangue e lui aveva fatto i suoi compiti studiando le genealogie delle famiglie magiche più antiche.
 
Dietro di lui veniva un piccoletto grassottello, dai capelli biondicci, che pareva spaventato a morte. L’aveva notato tremare come una foglia quando si era seduto di fronte a tutta la scuola per lo smistamento.
 
I due presero posto, Potter nel letto accanto a quello che aveva scelto mentre il piccoletto occupò uno di quelli accanto alla porta. Restava solamente un letto libero.
 
Remus Lupin.
 
Magro e pallido, capelli e vestiti in disordine, il ragazzino era stato convocato nell’ufficio del preside subito dopo gli avvisi che avevano concluso il banchetto. Era rimasto zitto zitto per tutta la sera a tavola. Sirius, curioso, si chiese cosa ci fosse di strano nel loro compagno di dormitorio.
 
“Ehi, Black!” Sirius si riscosse e guardò James, che gli porgeva un mazzo di carte. Minus era già seduto sul letto di Potter. “Sparaschiocco?”
 
Remus Lupin entrò in stanza nel bel mezzo della terza rumorosa partita. Sembrava, se possibile, più triste e più preoccupato di come era apparso al banchetto. Con ancora indosso la divisa, senza badare ai saluti degli altri tre, salì sul letto e si chiuse le tende del baldacchino tutto attorno.
 

***

 
Era la quarta settimana di scuola del secondo anno.
 
Sirius e Peter stavano studiando in biblioteca; per essere più precisi, Peter cercava inutilmente di comprendere alcuni teoremi di Trasfigurazione aiutato da Sirius, che aveva chiuso i libri mezz’ora prima. James era rimasto con loro, pensieroso, per qualche tempo, poi si era alzato e, senza una parola, si era tuffato tra gli scaffali.
 
Remus non c’era.
 
Per quanto il timido ragazzino aveva loro concesso, il rapporto tra i quattro si era fatto un po’ più stretto. Studiavano spesso assieme, lui ogni tanto scherzava e rideva con loro e, ancora più raramente, si lasciava coinvolgere in qualche piccola marachella. A differenza di Sirius e James però, non si era mai dato all’esplorazione notturna del castello.
 
Nonostante tutto nei suoi occhi c’era sempre una nota triste, come di rimpianto, che si sposava alla perfezione coi suoi abiti rattoppati di seconda mano e la sua camminata stanca e trascinata. Della sua situazione però non aveva mai voluto parlare, sebbene James, Sirius e Peter -alle cui famiglie i soldi certo non mancavano- si erano sempre offerti, con tutta l’innocenza dei loro dodici anni, di regalargli una divisa nuova a Natale.
 
Remus, a disagio, li pregava sempre di non farlo.
 
C’erano infine tutte le sue assenze per malattia. Spariva almeno una volta al mese, a volte anche di più, e Madama Chips non aveva mai dato il permesso ai suoi amici di andarlo a trovare in infermeria. Ovviamente Remus non ne aveva mai parlato, se non per assicurare a tutti che i suoi malesseri non erano contagiosi.
 
Il tonfo di un pesante tomo lasciato cadere sul tavolo spaventò Sirius, Peter -che si lasciò sfuggire un gridolino- e un paio di ragazze del quarto anno di Tassorosso del tavolo accanto, che proruppero in imprecazioni decisamente poco femminili.
 
James, serio, si sedette, estrasse la bacchetta e mormorò: “Muffliato!”
 
Sirius e Peter si chinarono automaticamente in avanti mentre James sfogliava il libro ed iniziava a parlare.
 
“Ieri sera non ho dormito; avevamo dimenticato di tirare le tende della finestra. C’era luna piena e la luce mi ha tenuto sveglio per un bel pezzo, così ho riflettuto.” Parlava per frasi brevi mentre il suo sguardo cercava febbrilmente qualcosa sul grosso tomo. La sua voce tradiva una certa eccitazione.
 
I due amici che lo ascoltavano si lanciarono un occhiata confusa. E quel librone cosa cavolo c’entrava?
 
“Il fatto è” continuò “che non credo di essere stato l’unico ad aver avuto problemi ad addormentarmi.”
 
James tacque e voltò con aria soddisfatta il volume verso di loro: era aperto al capitolo Lupi Mannari.
 

***

 
La porta del dormitorio sbatté alle spalle di Remus con violenza, lasciando James, Sirius e Peter impalati, a bocca spalancata.
 
Era raro sentire Remus parlare per più di cinque minuti di fila quindi sentirlo urlare per venti li aveva lasciati di sale.
 
Il primo a riprendersi fu Sirius. “Ragazzi, ci abbiamo preso in pieno.” Disse, poi gli scappò un ghigno, come al solito. “Sicuramente ora nessuno in questa torre crederà più alla storia della malattia debilitante che lo ha colpito da piccolo. Sentito che polmoni il ragazzo?”
 
James si lasciò sfuggire una risatina, poi lo guardò con rimprovero. “Piantala.”
 
“Adesso non ci parlerà più, vero?” domandò Peter, dispiaciuto. Da quando tre giorni prima avevano letto quel libro in biblioteca lui non aveva smesso di ripetere che non era il caso di affrontare l’argomento con Remus.
 
Forse aveva ragione, forse non avevano alcun diritto di indagare sulla vita del loro compagno di dormitorio, ma erano lì! Non erano scappati, non lo avevano denunciato: erano lì e volevano aiutarlo. Perché se l’era presa con loro?
 
I lupi mannari sono un argomento delicato tra i maghi, questo lo sapevano tutti. James e Sirius però erano convinti di poter gestire la cosa e pensavano che a Remus avrebbe fatto bene parlarne. Gli avrebbe tolto un peso. Inoltre entrambi nutrivano un particolare gusto per il pericolo, James l’aveva dimostrato nell’ultima partita di Quidditch, quindi l’idea di avere per amico un aggressivo mostro zannuto li elettrizzava.
 
Malgrado tutto però, la posizione più saggia sembrava ora quella di Peter.
 
“E’ solo spaventato a morte, come dargli torto?”
 
“D’accordo James, ma noi siamo i suoi amici!” inveì Sirius. “E’ un bel cretino se rifiuta il nostro aiuto. Se io fossi un lupo mannaro non reggerei il peso di tutto quanto da solo!”
 
“Se tu fossi un lupo mannaro te ne vanteresti per i corridoi.” James scosse il capo. “Cerca di capirlo un po’…”
 
Sirius sorrise alle parole dell’amico, poi si rifece serio.
 
“E se non gli passasse? Se non si fidasse più di noi?” Peter continuava a fare domande con la sua vocetta acuta. Sirius gli mollò un pugno sul braccio.
 
“Ahio!” si lagnò.
 
“Non fare l’isterico.” Intimò Sirius.
 
“Però…” James stava riflettendo. “E’ un’eventualità. Potremmo averla fatta grossa.”
 
“Oh, non ti ci mettere anche tu!”
 
“No, aspetta! Ascoltami.” James fermò le proteste di Sirius, alzando una mano. “Remus è timido, ma è anche molto orgoglioso e noi abbiamo distrutto uno dei muri dietro i quali si nasconde. E senza nemmeno un po’ di preavviso.”
 
Sirius sorrise. “Poco delicato, eh?”
 
James si strinse nelle spalle. “Potrebbe volerci un po’ per riguadagnare la sua fiducia.”
 
“Pensate che dovremmo fare qualcosa?” chiese Peter. “Scrivergli una lettera in cui mettiamo bene in ordine tutti i nostri pensieri, forse…”
 
“Potrebbe servire qualcos’altro oltre alle parole.” Disse Sirius, con un improvviso lampo negli occhi. “Potrebbe servire una vera e propria follia!”
 

***

 
Sotto il mantello dell’invisibilità prestatogli da James, Sirius scendeva per il prato che dal castello portava al parco di Hogwarts. Le due figure che stava seguendo, nell’ultima luce del tramonto, erano perfettamente visibili poco più avanti.
 
Uno era Albus Silente, alto e magro, la chioma argentea che contrastava con l’oscurità.
 
L’altro, alto quasi quanto il preside, procedeva con la familiare andatura a spalle curve e con passi quasi trascinati, come se invece di camminare con un'altra persona la stesse portando sulle spalle. Dalla sera in cui avevano parlato per la prima volta del ‘piccolo problema peloso’ di Remus (così battezzato proprio da Sirius) erano passati quasi due anni e l’amico era cresciuto parecchio, però camminava sempre nello stesso modo.
 
Era maggio. Del loro quarto anno per la precisione. Come previsto da James i rapporti con Remus erano rimasti freddi e tesi. Non avevano affrontato più l’argomento con lui; c’erano momenti in cui studiavano assieme e tutto sembrava tornato alla normalità e momenti in cui, a causa di una sola parola sbagliata, Remus non parlava più con nessuno di loro per settimane intere.
 
Quella sera però le cose sarebbero cambiate, eccome!
 
Sirius sentiva una morsa allo stomaco mentre pedinava i due verso il Platano Picchiatore. Lui e James avevano già seguito Remus fino a lì in una notte di luna piena e, una domenica pomeriggio, avevano persino preso il passaggio segreto che da lì portava ad una vecchia casa abbandonata a Hogsmeade -era il secondo passaggio che scoprivano che portava al villaggio, anche se quello che sbucava nella cantina di Mielandia era molto più utile- ma nessuno di loro si era mai sognato di fare le due cose assieme.
 
Sirius guardò Silente bloccare con maestria l’aggressivo albero, spendendo un sasso a levitare verso il tronco fino a colpire il nodo che ne immobilizzava i rami, poi posò una mano sulla spalla di Remus. Non riuscì a udire le parole del preside che, alla fine, sospinse il ragazzo verso il tronco.
 
Remus scomparve tra le radici e il preside risalì verso il castello.
 
Sirius, agitato, sudava. Stava fermo, impalato sotto il mantello, nella tiepida aria primaverile, cercando di convincere i suoi piedi a muoversi; Silente era ormai ragionevolmente lontano, non c’era più motivo per esitare.
 
La verità era che se la stava facendo sotto. Con James a fianco era facile scherzare sui lupi mannari. Con Minus al seguito vantarsi e fare lo spaccone era una passeggiata. Quella sera però era solo; era l’unico che poteva fare…
 
Un brivido gli percorse la schiena, poi imprecò a mezza voce: “Muoviti, stupido vigliacco!”
 
E si mosse.
 
Utilizzò lo stesso sasso che aveva usato Silente per bloccare il Platano Picchiatore -a differenza del preside gli ci vollero tre tentativi-, poi si intrufolò nel passaggio segreto, abbandonando il mantello alla base della scalinata di pietra che aveva appena disceso.
 
Lumos!” sussurrò, e a luce di bacchetta percorse svelto tutto il cunicolo, fino a che non sbucò nella cantina della casa abbandonata.
 
Quel posto non era male. A parte la polvere che ricopriva con una spessa coltre tutte le superfici e che turbinava in piccoli mulinelli attorno ai piedi ad ogni movimento, era ancora perfettamente arredata. Quando l’avevano esplorata, in alcuni armadi avevano persino trovato dei capi di vestiario ancora appesi alle grucce.
 
Con molta cautela, bacchetta in pugno, Sirius salì le scale della cantina e si diresse verso il salotto principale. Sapeva che vi avrebbe trovato Remus, era la stanza meno sporca; sembrava che fosse stata preparata ed usata di recente. I divani e il pavimento erano stati spolverati accuratamente e, sul parquet, avevano visto dei dei solchi prodotti da profondi graffi che avevano strappato grosse schegge di legno. In un angolo poi avevano trovato un enorme cuscino rosso scuro.
 
Fu su quel cuscino che, seduto abbracciato alle ginocchia, sedeva Remus Lupin. Sirius ghignò. “Pronto per la cuccia?”
 
Remus sobbalzò ed una ampolla vuota tintinnò cadendo sul pavimento. Ci mise qualche secondo per rendersi conto del fatto che Sirius era lì in carne ed ossa, nel posto che più riteneva sicuro e segreto. Secondi che Sirius utilizzò per lasciarsi cadere con noncuranza su uno dei divani nella stanza.
 
“Tu- Come- Che diavolo-” Remus sembrava incapace di iniziare una frase e portarla a termine, il che fece affiorare sul volto di Sirius un sorriso canzonatorio che si allargava sempre di più. Concentrandosi Remus riuscì a riordinare i pensieri e a dire solamente una parola. “Vattene.”
 
“No.” Sirius sembrava decisamente divertito.
 
“Vattene. Non puoi stare qui.”
 
“Correrò il rischio.” Mentre la voce di Remus vibrava di collera quella di Sirius era decisamente rilassata e beffarda.
 
“Non mi interessa come hai trovato questo posto, ma non puoi stare qui. Lo sai anche tu cosa succederà tra poco!” c’era una nota di panico nelle ultime parole di Remus. “Per favore Sirius, torna al castello.”
 
“Dai, finiscila di piagnucolare. Vuoi dirmi che non ti andrebbe un po’ di compagnia?”
 
Stranamente, a quell’osservazione assolutamente veritiera, qualcosa scattò in Remus Lupin.
 
Una collera improvvisa lo catturò. Nasceva dall’esasperazione che provava per tutte le volte che da solo aveva dovuto affrontare notti come quella. Da tutti gli sguardi sospettosi e, da parte dei suoi amici, consapevoli e dispiaciuti, che lo accompagnavano per tutto il castello. Non riuscì, come sempre faceva, a cacciare indietro la rabbia e il rancore che provava.
 
“Smettila!” gridò. “Dovete smetterla di farvi gli affari miei! Dovete lasciarmi in pace! Questa è la mia malattia! E’ il mio problema! E’ la mia vita! Mia, e di nessun altro! E la voglio affrontare da solo! Sparisci!”
 
Lacrime di rabbia rigavano ora il viso del ragazzo che stringeva i pugni con tanta forza che le sue braccia tremavano fino alle spalle. Questa volta Sirius non si sognò nemmeno di canzonarlo; fece invece due rapidi passi portandosi di fronte a lui.
 
“Puoi raccontarmi tutte le balle che vuoi amico, non me le bevo.” La sua voce era seria e calma. “E’ la tua malattia, certo; e finora l’hai affrontata da solo. Non venirmi a raccontare che è quello che vuoi, però, che te la vuoi tenere stretta. Non ci credi nemmeno tu. E’ solo che sei convinto che questo sia l’unico modo.”
 
“Sirius…” Remus sembrava lamentarsi ora. Prese a tormentarsi la veste con le mani che tremavano e, contemporaneamente, iniziò a camminare per la stanza. “Sono stato morso nella culla, cosa credi, che me la sia scelta io questa vita? Certo che fa schifo, certo che ne farei a meno!” Si accorse solo in quel momento delle lacrime che gli solcavano le guance. Se le asciugò con rabbia, usando il dorso delle mani. “Lo sai anche tu cosa si dice dei lupi mannari e ti chiedi perché io non voglia farlo sapere in giro? Meno si sa, meglio è. E’ l’unico modo per non allontanare gli altri…”
 
La brusca e breve risata di Sirius lo interruppe. “E la cosa funziona alla grande! Infatti hai allontanato tutti quanti meno le uniche tre persone che sanno del tuo problemino.”
 
“Finiscila di prendermi in giro!” gridò Remus.
 
“Qualcuno ha la luna storta stasera…” si lasciò sfuggire Sirius. Fu troppo per Remus, che gli si lanciò contro. Sfortunatamente però scelse di usare i pugni, mentre Sirius sfoderò la bacchetta: “Levicorpus!”
 
“Mettimi giù, bastardo!” inveì Remus, fluttuante nell’aria a testa in giù.
 
Sirius, a quella parola, sorrise stranamente ma tenne l’amico appeso al nulla ancora per un po’. “Sentimi bene. Capisco che è difficile da credere ma io, James e Peter vogliamo solo aiutarti, farti compagnia. Sei in gamba, Remus, e quello che ti è capitato non deve appestare tutta la tua esistenza!” Sirius parlava con passione ora. “Tutti noi abbiamo ricevuto dalla vita qualcosa che non vorremmo. Guarda la mia stupida famiglia! Perché però questo dovrebbe farmi diventare un reietto anche quando qualcuno vuole- hai capito pezzo di scemo? Vuole!- stare dalla mia parte?”
 
Remus venne pian piano calato sul pavimento e si rimise in piedi. “Cosa cavolo vorresti fare? Stare qui ad accarezzarmi il pelo e limarmi i denti?” borbottò, spolverandosi la veste.
 
“Questo è un problema mio.” Rispose Sirius sornione. “Tu devi solo rispondere ad una domanda. Quella che suonano  è la tua musica bello e, come hai detto, sei tu che devi ballare. Se però ci fosse qualcuno pronto a ballare con te, lo lasceresti fare?”
 
Remus inarcò un sopracciglio, accennando per la prima volta un sorriso. “E’ un appuntamento?”
 
“Non fare l’idiota, hai capito cosa intendo.”
 
Fu la serietà nelle parole e negli occhi grigi di Sirius a far finalmente capitolare l’amico; prima ancora che se ne rendesse conto dalle labbra gli sfuggì un “Sì.”
 
“Quanto tempo abbiamo?” domandò Sirius.
 
Remus diede un occhiata alla finestra, come se ne avesse avuto bisogno. Sentiva già le prime avvisaglie della trasformazione: la salivazione si era fatta più copiosa, la pelle iniziava a prudere e l’oscurità non gli dava più fastidio. Sentiva anche dei suoni lievi che prima gli erano indifferenti. “Non molto, sta per sorgere.”
 
Sirius indietreggiò di un passo e chiuse gli occhi, levando la bacchetta davanti a sé. Non era molto sicuro di ciò che stava facendo. Ci era già riuscito, certo, ma solo un paio di volte. Era comunque un risultato migliore di quello ottenuto finora da James, ed era secoli avanti a Peter, ma un lieve timore si impadronì di lui lo stesso.
 
Sussurrò tra i denti un incantesimo, che Remus non distinse, e seppe d’istinto che aveva funzionato.
 
Le preoccupazioni che lo avevano accompagnato per tutta la serata, la paura di essere respinto dall’amico, la rabbia per il suo comportamento in quegli anni, scomparivano lentamente. Meglio, rimpicciolivano. Era un effetto strano, al quale non si era ancora abituato, ma era piacevole. Era come se tutti i suoi pensieri si ritirassero in una piccola zona della sua testa, dalle parti della fronte, per lasciare spazio ad altre emozioni -definirli pensieri sarebbe stato troppo- che si espandevano nella sua mente provenendo dal profondo del suo cervello, dove la testa si attacca al collo.
 
Piano piano tutto si semplificava. Voleva poche cose, voleva correre, voleva esplorare quella casa piena di vecchi odori, voleva rincorrere i topi che sentiva spostarsi nelle pareti e poi, dannazione, voleva grattarsi dietro la testa. Seduto sul pavimento alzò la zampa posteriore destra e, mugolando di soddisfazione, scacciò il fastidioso prurito.
 
Lasciando cadere la lingua fuori dalla bocca alzò lo sguardo su Remus, che lo osservava con gli occhi fuori dalle orbite, impietrito. La cosa lo divertì parecchio e si fece sfuggire un latrato. Si avvicinò poi a lui, annusandolo. Il suo odore era tutto sommato piacevole ma c’era una nota che stonava, in sottofondo. E quella nota si faceva sempre più intensa. Gridava forte una sola parola: PERICOLO!
 
Interruppe l’incantesimo, spinto dall’urgenza che quella nota comunicava, e si ritrovò accovacciato a terra. Raddrizzò le gambe con eleganza, riportandosi in piedi.
 
Remus, ancora troppo sbalordito per parlare, emise un roco verso inarticolato. Sirius lo guardò, con noncuranza. “Animagus.” Spiegò facendo spallucce.
 
“Ma…E’…” “Incredibile, sì. E faticoso. Hai idea di quanto ci abbiamo messo?” fece Sirius con un sorriso soddisfatto. “…illegale.” Concluse Remus.
 
Sirius non trattenne una risata sincera; anche l’amico sorrise. Poi chiese: “Anche gli altri?”
 
“James sì, tra non molto. E’ grosso anche lui, quindi ti terremo testa. Peter invece è lontano da qualcosa che assomigli a un risultato ma ce lo faremo arrivare a calci, come al solito.”
 
“Per me?” chiese ancora Remus, a fatica. La voce gli usciva rotta e flebile mentre la meraviglia cedeva il posto ad una profonda gratitudine che gli riempiva il petto.
 
“Solo per te. Immagino che questa cosa porterà guai, ma non potevamo lasciarti solo.” Concluse solenne.
 
C’erano altre cose che Remus avrebbe voluto chiedere, spiegazioni, idee su cosa credevano che avrebbero fatto d’ora in poi nelle notti di luna piena, voleva sapere in cosa si trasformava James, dove diavolo avevano trovato l’incantesimo per trasformarsi ma l’enormità del gesto che quei tre avevano compiuto per lui lo travolse come un onda troppo grossa per opporvisi e, di slancio, abbracciò Sirius.
 
Non era più solo.
 
Sirius rispose all’abbraccio dell’amico fino a quando non lo sentì agitarsi stranamente tra le sue braccia. Sembrava scosso da brividi, tutto il suo corpo tremava e le sue mani gli si aggrappavano convulsamente alla schiena.
 
Con uno spintone lo allontanò da sé e, poco dopo, un enorme cane nero fronteggiava una strana creatura dal muso ferino, ritta sulle zampe posteriori.
 
Da quella notte, nel piccolo paesino magico di Hogsmeade, iniziò a diffondersi la convinzione che nella vecchia casa disabitata ai margini dell’abitato si fosse insediato qualche spettro decisamente molesto.
 
 
 
 

NOTE DELL’AUTORE
 
“Non la bevo sai, ce l’hai scritto che la vita non ti viene come vuoi, ma è la tua. Per me è speciale, e se ti può bastare sai che se hai voglia di ballare uno pronto qui ce l’hai.”
 
Questa frase, tratta dalla canzone “Balliamo sul Mondo” di Ligabue, è il prompt lasciato da chi ha indetto il concorso al quale questa One-Shot ha partecipato. Le altre indicazioni erano i personaggi -come vedete tra le possibili coppie proposte ho scelto Sirius/Remus- e il tempo in cui si doveva svolgere il racconto, ossia l’adolescenza dei protagonisti. Dati questi tre elementi la storia si è praticamente scritta da sola, non ho dovuto pensarci molto.
Non scrivo molto sui Malandrini, spero di aver reso bene i quattro, lascerò il giudizio a chi ne ha viste più di quante non ne abbia viste io. Mi sono state fatte notare alcune piccole imprecisioni, soprattutto discrepanze con la Timeline originale, ma ho preferito non correggere. Mi auguro che il tutto suoni sufficientemente realistico ma, come sempre, è una mia interpretazione, non un pezzo della saga originale, per quanto abbia cercato di discostarmene il meno possibile.
 
Fatemi sapere che ne pensate e, come al solito…
 
Non smettete di leggere, e non parlo delle mie Fanfic!
 
N.

  
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