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Autore: liberasognatrice    10/05/2012    2 recensioni
Questa storia è per chi, almeno una volta nella sua vita, si è sentito così sopraffatto dai propri problemi che ha pensato ad un unica soluzione...
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Fiume Porpora
 

Le lancette dell’orologio ticchettavano inesorabilmente. Da quando mi ero seduta su quella sedia, non avevo mai lasciato con lo sguardo l’oroglogio sulla scrivania. Erano passati dieci minuti di assoluto silenzio, e se fosse stato per me, avrei passato tutta l’ora così. Io non volevo venirci, ma il dispiacere dei miei non mi ha fatto controbattere la loro decisione. Mi dispiaceva fargli spendere un sacco di soldi, soprattutto perché non credevo che questa cosa avrebbe risolto i miei problemi.

Erano passati tre minuti e iniziavano a bruciarmi gli occhi, per l’intensità con cui stavo osservando lo scorrere del tempo. Per la prima volta distolsi lo sguardo dall’oggeto e lo passai sulla persona seduta davanti a me, dall’altra parte della scrivania.
Una donna giovane, coi capelli raccolti in uno chignon e gli occhiali con una montatura nera sul naso sottile. Non volevo guardarla negli occhi, non volevo osservarla troppo a lungo. Tornai a guardare l’orologio sulla scrivania. Se prima il tempo sembrava scorrere veloce, ora inveca aveva rallentato in maniera allucinante. La lancetta dei secondi sembrava non muoversi più. Dovevo trovare un altro passatempo per sopravvivere a quella tortura.

Iniziai a guardarmi intorno, la stanza dove mi trovavo era piccola, piena di libri su alti scafali e piccole librerie. Le pareti erano azzurre, suppongo per rassicurare e tranquillizzare le persone che entravano nell’ambiente. Fui colpita da un quadro, non molto grande, che raffigurava uno scorcio di una baia, con un faro che spiccava sulla scogliera più alta, il mare era calmo e il cielo sereno tappezzato da batuffoli di nuvole bianche.
Inconsciamente mi ero alzata, avvicinandomi a quel dipinto per osservare meglio tutti i dettagli.
-Ti piace il mare?- era la prima cosa che mi diceva da quando ero entrata, se non contiamo quando si era presentata stringendomi la mano. Non mi voltai, continuai a guardare il quadro.
-Mi piace fare lunghe passeggiate sulla spiaggia e raccogliere le conchiglie più belle- ero curiosa di vedere dove volesse andare a parare
-Io adoro il mare. Penso sia il luogo più rilassante che ci possa essere. Passerei intere giornate seduta sulla sabbia, a guardare l’infrangersi delle onde sul bagnasciuga- quella conversazione, se prima mi incuriosiva, ora iniziava a darmi sui nervi. Non ero lì per parlare del mare.
-Non credo che questo sia l’argomento di cui divrebbe parlarmi.- la mia voce era dura, un po’ irritata e i miei occhi non avevano mai lasciato quelle pennellate azzurre sulla piccola tela.
-In effetti dovresti parlarmi tu.- eccola dove voleva arrivare –Perché non torni qui e mi racconti cos’è successo?- tornai controvoglia sulla sedia, alzai gli occhi e per la prima volta fissai i suoi. Due iridi castane chiare erano lì che mi aspettavano. Nonostante volessi distogliere subito lo sguardo, non ci riuscì.
-Cosa vuole sapere?- non avevo voglia di raccontarle i fatti miei, figurarsi vita, morte e miracoli di quello che mi era successo.
-Speravo iniziassi a raccontarmi tu, ma se preferisci che ti faccia delle domande va bene.- mi sorrise dolcemente e io mi convinsi ancora di più che fosse una cosa inutile. In ogni caso le feci segno che poteva iniziare a chiedere.
-Direi di cominciare con qualcosa di semplice. Perché hai scelto quella modalità?- e lei quello lo considerava semplice? Aveva dei parametri un bel po’ sballati allora.

Abbassai lo sguardo sulle mie braccia che avevo appoggiato in grembo. Una linea sottile, più rosata rispetto al resto della pelle, mi attraversava entrambi i polsi. Chiusi gli occhi e vidi rosso. Tutto era rosso. Un fiume porpora che scorreva incessante. Quel rosso intenso che contrastava con il bianco acceso delle piastrelle del bagno. Ripercorsi mentalmente gli avvenimenti: mio padre al lavoro, mia madre era uscita, avevo sistemato tutto, mi ero diretta in bagno, con decisione avevo rotto il rasoio di mio padre, presa la lametta argentata, mi ero seduta su quelle fredde piastrelle, con la schiena appoggiata al mobile, mi ero guardata i polsi, le vene pulsavano sotto il sottile strato di pelle, avevo chiuso gli occhi e appoggiato la lama su uno dei polsi, cominciai a spingere e la carne iniziò a lacerarsi, sentivo il bruciore, il dolore, spinsi più a fondo, mi morsi forte il labbro per non urlare, faceva male, dopo il primo polso passai all’altro, la cosa mi risultò più difficile perché iniziavo a perdere forze, ma riuscì a tagliare anche l’altro, finito l’operato lasciai cadere la lametta, gli schizzi di sangue sembravano spruzzi di tempera rossa su una tela bianca, appoggiaia i polsi ai lati del corpo, il sangue continuava a sgorgare come un fiume in piena, chiusi di nuovo gli occhi e appoggiai la testa al mobile, piano piano sentivo le forze abbandonarmi, il bruciore stava lentamente affievolendosi, sentivo le mani diventare sempre più fredde, poi anche tutto il corpo, poi più niente, penso di essermi addormentata, dolcemente mi stavo avvicinando alla fine.  Quando riaprì gli occhi, non vidi angeli o demoni che mi davano il benvenuto, ma una forte luce al neon e poi un’infermiera che mi cambiava la flebo. Mia madre era tornata a casa prima del previsto, trovandomi in una pozza di sangue. L’ambulanza arrivò in tempo ed io sono ancora viva.

-Era la soluzione più fattibile- risposi come se fosse la cosa più ovvia del mondo, lei però mi guardò interrogativa, voleva di più.
-Non ho travi in casa per potermi impiccare; soffro di vertigini quindi saltre da un palazzo era escluso; impasticcarmi mi sembrava troppo da rock star fallita e drogata; bruciarmi viva era impensabile, penso che sia la cosa più atroce che possa esistere; affogare mi affascinava, ma non ho avuto abbastanza forza per rimanere sott’acqua il necessario; ho anche provato a smettere di respirare, ma poi non sono riuscita a resistere dal riprendere aria; spararmi era impossibile visto che non possiedo una pistola, quindi ho optato per le vene dei polsi.-
-Capisco- non riuscì a decifrare la sua espressione e nemmeno quello che le stava passando per la testa. Guardai l’orologio per l’ennesima volta e con mia gioia notai che la mia prima seduta dalla psicologa era appena terminata. Finalmente!

  
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