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Autore: Faust_Lee_Gahan    11/05/2012    2 recensioni
"Ritorno al mio crepuscolo. Mi dispiacerà non ricordarmi di lei."
[Sherlock/John]
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Lividi Amniotici'
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Titolo: Ritorno al crepuscolo

Summary: «Ritorno al mio crepuscolo. Mi dispiacerà non ricordarmi di lei.»

Pairing: Sherlock/John implied; mamma Holmes.

Words: 2034

Rating: PG

Desclaimers: Not mine, gnè.

Notes: Per la Sherlothon dello SFI sul prompt #6 ("Resti qui con me sulla terrazza; potrebbe essere la nostra ultima occasione di scambiare due chiacchiere in pace.") TEAM CANON!







Ritorno al crepuscolo



Pensi che il vero amore sia

l'unica cosa che possa spezzarti il cuore,

la cosa che ti riempie la vita

e la illumina,

o la distrugge.

Poi diventi madre”

(Grey's Anatomy)





John salì i gradini di quello che un tempo era stato il suo appartamento. Gli sembrava fosse stato una vita fa.

Diciassette. Erano sempre diciassette. Nonostante la vita che ci era passata in mezzo.

Mrs. Hudson era stata stupidamente felice di vederlo. Gli aveva chiesto cosa facesse lì. Non aveva avuto risposta. Lei aveva tuttavia annuito, e si era chiusa nel suo appartamento, al piano terra.

Diciassette gradini.

Aprì la porta, aspettandosi di trovare la stanza vuota.

Non si aspettava una donna che guardava insistentemente fuori dalle tendine.

Aprì la bocca per dire qualcosa.

«Salve, dottore. Mi domandavo quanto ancora avrei dovuto aspettarla.»

Aveva una voce forte, autoritaria. Il volto che si mise a guardarlo era di una donna importante, non abituata ad abbassare gli occhi o dare spiegazioni.

«Resti qui con me, dottore. Sono malata, potrebbe essere l'ultima volta che abbiamo l'occasione di parlare con calma. Alla fine della giornata potrei non ricordarmi di lei.»

John si avvicinò di qualche passo. «Chi è lei? E cosa fa qui?»

Si alzò solo un lato delle sue labbra. «Mi stupisco che lei non colga le somiglianze. Mi chiamo Dora Bouvier, ma il mio cognome da sposata è Holmes.»

Il rumore delle chiavi che sbattevano contro il pavimento arrivò a malapena al suo timpano, reso sordo da un fischio acuto e continuo.

Con un gesto elegante, l'intrusa si sedette al tavolo - il loro tavolo - e lo guardò, sorridendogli.

«Si sieda, dottore. Chiacchieriamo.»

La ragione gli disse di scappare il più velocemente possibile da lì, il cuore altrettanto, l'anima era tremendamente d'accordo.

I piedi furono di altro avviso, e lo condussero suo malgrado a sedersi su quella che un tempo era la sua sedia, al suo posto, quello che gli spettava di diritto.

Forse l'avevano fatto proprio per quello. Perchè era anche il loro posto.

«Che si dice fuori, dottore?»

Che si diceva fuori, John?

«Niente.» Scosse la testa. «Niente.» (1)

Lei annuì. «La capisco. E' così anche per me.»

John si appoggiò ai gomiti e si sporse verso di lei. «Non mi ha ancora detto cosa fa qui, Mrs. Holmes.»

«Già, in effetti no. Mi dispiace se l'ho spaventata, dottore. Mio figlio non deve averle parlato molto di me.»

«No, a dire la verità no.»

«Non mi stupisce. D'altra parte nemmeno io ho sentito una parola su di lei da Sherlock. Ma non si offenda, la prego. Io e mio figlio abbiamo sempre parlato molto raramente.»

Stese le labbra in un sorriso più largo.

«E' stato Mycroft a parlarmi di lei.»

John alzò gli occhi stupito. «Davvero?»

«Ma certo. Mi ha detto come si chiamava e che tipo era. Ma devo ammettere che la sua esistenza mi era già nota. L'avevo intravista negli occhi di Sherlock.»

Crampo allo stomaco. John strinse la mano, spostò il piede e si mosse sulla sedia.

Mrs Holmes assunse un'aria mortificata. «Mi dispiace, dottore. Avrei dovuto immaginare che una frase del genere l'avrebbe ferita.»

John sospirò. «Cosa è venuta a fare qui, Mrs. Holmes?»

Lei congiunse le mani e lo osservò. Lui ebbe una sensazione di deja-vù.

«Sono venuta a dirle di non mollare, di avere fede. Sono venuta a dirle che mio figlio è ancora vivo.»

Il rumore dei battiti del suo cuore che si arrestavano furono sordi e senza vita. Crampo allo stomaco. Cuore, addio.

«Mi sta prendendo in giro, per caso?»

Scoprì che la voce gli tremava leggermente. Ira? Paura? Pianto? Ancora?

«Immaginavo anche una reazione simile.» disse lei immobile «Sono sua madre, dottore. Se mio figlio fosse morto sul serio, l'avrei sentito

John lasciò che ancora una volta i suoi piedi prendessero il comando. Si alzò e camminò avanti e indietro per la stanza un paio di volte, prima di trovare da qualche parte la calma per parlare.

«Voglio che lei se ne vada di qui immediatamente.» sentenziò «Lei non sa assolutamente niente di me, e neanche di... di Sherlock. Lei non può venire qui e accaparrarsi il diritto di sentire per prima la morte della persona che era la più importante della mia vita!»

Aveva alzato mano a mano la voce, senza neanche accorgersene. Non gli importò.

«Io sento la sua mancanza ogni secondo- ogni dannatissimo secondo della mia dannatissima esistenza! E lei spunta fuori dal nulla a dirmi che tutta questa sofferenza è inutile, e che io dovrei avere fede o roba simile? Permette che sia almeno un po' scettico?»

Dora Holmes non si scompose. Incrociò le mani sotto al mento senza staccargli gli occhi di dosso.

«Sa qual è la mia malattia, dottore? Mio figlio gliene ha mai parlato?»

John scosse la testa.

«Ho l'Alzheimer. Ma non speri che quanto le ho detto sia un puro vaneggiamento da vecchia signora allo stadio terminale della sua vita. Oggi sono lucida, purtroppo per lei.»

«Perché "purtroppo"?»

«Perchè non posso darle appigli per smentirmi, né ho vie di fuga da offrirle. Questa è la realtà, dottore.»

John tentò di elevarsi in tutta la sua statura per recuperare un po' di dignità che, se non aveva già perso, se ne sarebbe andata di lì a poco. Perché la cosa che più gli premeva di fare era nascondersi sotto il letto e piangere tutte le lacrime che gli restavano.

«E' venuta qui solo per dirmi questo?»

Sembrò risentita, se non offesa, da quella domanda. «No di certo. Non sono abituata a infiltrarmi nelle case altrui solo per dare fastidio. Sono venuta qui perché credo sia giusto che qualcuno sappia la mia verità, oltre a me. Io morirò, e non posso farlo con tutto questo peso in corpo. Vorrei raccontarle alcune cose, se me lo permette. Vorrei che si rendesse conto di quanto io la conosca - non benissimo, certo, ma so abbastanza da essere certa che lei è la persona giusta per mio figlio - e di quanto io conosca Sherlock, cosicché lei possa comprendere che quanto ho asserito prima non fosse senza fondamento.»

John valutò se urlare e scappare, o restare e impazzire.

«Vuole del tè, dottore?»

Dora Holmes era una donna elegante, curata il giusto per la sua età. I capelli grigi erano di una tonalità che lasciava indovinare il suo naturale colore scuro. Sorseggiava il suo tè come se fosse sua consueta abitudine prenderlo con dei perfetti sconosciuti, in casa dei medesimi. Medesimi che avevano avuto una relazione con suo figlio morto, che lei sosteneva essere vivo, per inciso.

La tortura peggiore per John non fu stare lì ad ascoltare la sua storia. La tortura peggiore era che Dora Holmes somigliava tremendamente a Sherlock.

«Vede, dottore, quando mi sono ammalata la prima cosa che ho scordato è stata quella di avere due figli. Ero rimasta ferma a quando Mycroft era ancora piccolo. A volte dimenticavo anche che mio marito fosse morto. Di solito però mi dimenticavo completamente dell'esistenza di Sherlock. E questo, nonostante lo negasse, lo faceva soffrire molto. Tuttavia, non ne era stupito. Le ho detto che i nostri rapporti erano un po' freddi, per usare un gentile eufemismo. Quando nacque Sherlock io non volevo fare come le altre madri che si occupano maggiormente del più piccolo trascurando il maggiore, creando delle gelosie da parte di quest'ultimo. A malicuore devo ammettere che caddi nell'errore opposto. Non iniziò facilmente come lei crede, sa. Volevo solo essere quanto più imparziale e giusta possibile. Sherlock mi rese incredibilmente facile l'obbiettivo che mi ero prefissata. Sin dalla sua nascita io... avvertivo qualcosa nei suoi occhi. Mi guardava come se io fossi sotto il suo giudizio. Sempre. Soffrii di una lieve forma di depressione post partum, e questa mia ulteriore condizione di debolezza determinò la mia caduta. E anche quella di mio figlio. Mi convinsi che quel bambino mi odiasse. Cresceva, e insieme a lui cresceva la mia frustrazione. Il suo naturale carattere schivo e la sua estrema intelligenza erano caratteristiche che io rivedevo in me stessa, ma la mia instabilità mi portò a scambiarli per disobbedienza. Il suo silenzio durante le mie sfuriate, o anche quando semplicemente parlavamo, fu interpretato da me come un suo personale processo nei miei confronti. Per lui ero sbagliata. Ogni cosa che facevo era sbagliata. Non ero libera, mai. I suoi occhi mi seguivano ovunque. Dovrebbe conoscere la sensazione. Eppure dentro di me li riconoscevo come difetti miei, e questo non faceva altro che causarmi nuovo dolore. Mi dicevo che era colpa mia, che ero stata io a renderlo così. Rimproverando più lui che il maggiore, finii col commettere l'errore che le dicevo prima. Sherlock si convinse che avevo una spiccata preferenza per Mycroft. E ancora ne è convinto. Prego invece lei, dottore, di non pensarla allo stesso modo. Io amo i miei figli della stessa quantità d'amore e con la stessa forza. Solo che non l'ho saputo dimostrare. E di ciò sono l'unica responsabile.»

Ebbe appena il tempo di riprendere fiato, mentre lei fissava un punto lontano oltre la spalla di John.

«Sa, credevo che mio marito fosse l'unico che potesse spezzarmi il cuore. E l'ha fatto. Morendo. Poi sono diventata madre. Mi creda quando le dico che prendere l'Alzheimer è stata una benedizione.»

John scosse la testa. «Che dice? Non è-»

«Una benedizione, le dico.» lo interruppe chiudendo gli occhi «Se lei sapesse, dottore, quanto dolore e quanta rabbia... Non potevo più vivere col senso di colpa per non aver amato mio figlio nel modo giusto. Eppure, nonostante questo, io lo conosco. E' carne della mia carne. So che non è morto.»

Mrs. Holmes tornò ad osservarlo, a scrutarlo, come faceva Sherlock. John ebbe di nuovo un crampo allo stomaco, specie dopo che lei ebbe sorriso.

«Vuole una prova, dottore? Molto bene, allora. Sherlock non ha mai dormito molto, questo lei dovrebbe saperlo. Quando era piccolo, però, io sola conoscevo il trucco. Avevo trovato la ninnananna perfetta: era la sua melodia preferita, l'avevo capito da come sorrideva quando l'ascoltava. Si addormentava solo quando gliela cantavo. Io so di cosa ha bisogno mio figlio, dottore, e so che ha bisogno di lei. So che tornerà. Pertanto le chiedo che questa conversazione rimanga privata. Non credo gli farebbe piacere sapere che io e lei ci siamo incontrati.»

«Come fa a sapere che è vivo?» chiese John senza poterselo impedire «Speranza? Fede? Malattia? O semplice istinto materno?»

Mrs. Holmes fece una mezza risata. Beffarda. «Dopo quanto le ho raccontato crede ancora che io possa avere un qualche istinto materno? Che ottimista, dottore. In ogni caso, lo so e basta. Mio figlio non è il tipo che lascia le cose in sospeso.»

«Ha lasciato me, in sospeso.»

«Appunto.» Sorrise indulgente.

«Ma come fa a sapere quello che Sherlock provava verso la sua malattia se non si ricorda nemmeno della sua esistenza, in quei momenti?»

«Ci sono altri momenti, come questi, in cui sono perfettamente lucida. Sono pochi, e rari, ma ci sono. E ricordo tutto, anche quello che è successo durante il mio... possiamo chiamarlo "oblio"? Io lo chiamo in un altro modo: "zona del crepuscolo". Lo trovo più poetico. Mi ricordo anche perché ci sono, nella "zona". Credo sia la stessa cosa che è capitata a mio figlio. E' vivo, ma non se lo ricorda.»

Mrs. Holmes si alzò, gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, guardandolo intensamente.

«Mio figlio tornerà da lei, dottore. Deve solo aspettare.»

Si avviò verso la porta, ma le gambe di John decisero di fermarla. «Aspetti!» esclamò «Dove va?»

«Ritorno al mio crepuscolo. Mi dispiacerà non ricordarmi di lei.»

Fece per uscire, ma esitò quando ebbe la mano sulla maniglia. Prese un respiro e si voltò di nuovo verso di lui. Aveva gli occhi alti e fieri, ma lucidi.

«Voglio confessarle una cosa, dottore. Sarà il mio ultimo insegnamento. Vede, quando noi - noi esseri umani - non ricordiamo è perché non vogliamo ricordare. Scegliamo le nostre memorie peggiori e le nascondiamo da qualche parte, nei meandri del nostro cervello. Come se non fossero mai stati vissuti. Noi scegliamo di dimenticare. Noi scegliamo di non vivere. Io ho fatto tanti errori con mio figlio, probabilmente sono stata una cattiva madre per entrambi, e sicuramente ho decine di memorie che vorrei cancellare. Ho scelto l'Alzheimer - ho scelto la mia "zona" - per non ricordare tutte le cose sbagliate della mia vita. Lui ha scelto la non-morte, ha trovato la sua "zona", per poter rimediare ai suoi errori. Noi scegliamo di non essere. Ma la verità è che siamo comunque, e sentiamo esattamente come prima, anche se ci facciamo cullare dalla dolce illusione che non sia così. La "zona" che scegliamo diventa solo una via di fuga. O un alibi. Quindi le ho mentito, dottore.»

Una lacrima, sola e spaventata, le solcò la guancia.

«La Zona del Crepuscolo non esiste.»









Notes, again:

Sappiate che Grey's Anatomy caccia fuori il mio lato più angst. Mio dio, quanto angst. "Quanto dolore, Boris." Vorrei che fosse chiaro che quando parlo di fede lo faccio in senso stretto, non parlo di religioni o cose simili. Non so se l'avevo reso chiaro nel testo... insomma, ve l'ho detto.

Mi piaceva il fatto che sia Irene che mamma Holmes, la mia Dora, avessero trovato lo stesso nome per la loro situazione. Per la prima è sinonimo di potenza, mentre la seconda, diversa per età e carattere, la consideri, più saggiamente, una via di fuga. O un alibi. Decidete voi chi delle due ha ragione.

Il titolo viene dal numero di Dylan Dog che fa da seguito a La zona del crepuscolo, la citazione iniziale dalla 8x02 di Greys.

I riferimenti di Dora sono tutti sparsi tra Snuff, The way we were (è una AU questa, ma c'è Dora!) e per la saga di Being there, se proprio vogliamo essere fiscali! (1) è inoltre una citazione del film Le conseguenze dell'amore di Paolo Sorrentino (sempre con Toni Servillo). E la "conversazione privata" è così Mycroftiana! XD

Sonia, grazie. <3



  
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