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Autore: marguerite_murcielago    11/05/2012    2 recensioni
Una vecchia potenza fatica a quietarsi.
Cosa diranno, quando gonfierà le acque e le farà attorcere e mulinare su se stesse, trascinando con sé rami e cristiani; le loro facce sbiadiranno, all’ombra delle grandi onde marroni di fango, con le loro creste di spuma biancastra...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Astride'
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La chiamano Scilla.

La chiamano Scilla, Scilla dalle gambe di cagna, Scilla dalle fauci sbavanti, Scilla dal nido tra le rocce, Scilla che divora i marinai. C’è stato un tempo in cui aveva lunghi capelli biondi, un portamento grazioso, una luce da dea dietro i bei lineamenti.

C’è stato un tempo, ora non c’è più.

La sua bellezza di ninfa è stata spodestata dal tempo e dall’infiacchirsi dei miti, e puzza di carogna,  il verde dei suoi occhi si è tramutato in una pozza di acqua torbida, la pelle eburnea è argilla, i bei capelli ciuffi di alghe, le labbra si sgretolano in sabbia nel parlare.

La chiamano Scilla-che-non-è.

Perché Scilla significa «strappare» e «dilaniare». Per calunniarla, perché credono non possa più nuocere, credono la sua potenza esaurita per sempre, il suo corpo disciolto.

Che parlino ancora, che parlino pure!

Cosa diranno, quando gonfierà le acque e le farà attorcere e mulinare su se stesse, trascinando con sé rami e cristiani; le loro facce sbiadiranno, all’ombra delle grandi onde marroni di fango, con le loro creste di spuma biancastra; grideranno, quando la forza delle sue braccia aprirà brecce negli argini e finalmente sarà sazia di terra, fresca, corposa terra da masticare, celata dalla notte come dal più impenetrabile mantello.

Si scaglierà contro i fari puntati contro la sua faccia, ché non può essere guardata da occhi profani, così li affogherà tutti e mangerà, soprattutto, dopo anni di digiuno forzato!

La chiamano Scilla e non la temono?

Che stupidi! Lei è la più grande tra le ninfe, di tutte le sue sorelle è l’unica sopravissuta. Seppur a malincuore ha ceduto la sua bellezza in cambio della vita, ma non fanno così tutti, no? Rinunciano, per avere qualcosa di diverso.

Ha tanta fame che potrebbe campare di quello, per secoli.

Solo del desiderio di affondare i denti; non è dissimile da un predatore.

 

Dopo aver raccontato tutto, in tono lamentoso, si sente come un vecchio leone che si lecca le ferite. Accanto a lei e in procinto di rotolare giù per il pendio, Astride sospira.

Senza cercare il suo volto nella notte, le svela con voce piatta che lei non è certo così ingenua da chiamarla Scilla-che-non-è per sottovalutarla, anzi! La istiga con quel nomignolo proprio perché si scateni così che lei possa sfruttare la sua bieca rabbia, ma la teme più di quanto non l’abbia temuta Cordelia. Scilla si dice lusingata, sorriso feroce.

Astride le chiede di poterle dedicare qualche verso.

 

La costei voce
Altro non par che un guaiolar perenne
Di lattante cagnuol: ma Scilla è atroce
Mostro, e sino a un dio, che a lei si fesse,
Non mirerebbe in lei senza ribrezzo

(Odissea, canto XII)

 

Un battito di mani, uno scroscio di risa.

 

   
 
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