Un’altra
giornata di lavoro per Samuel Evans. Si svegliò di mattina
presto, e dopo aver dato un’accurata occhiata al suo aspetto,
si lavò il viso. Acqua fredda che bagnava gli occhi verdi
delineati da un ciuffo biondo di capelli. Il documento di laurea in
giornalismo ottenuto dopo sei anni di studio
all’università di New York era appeso sul muro del
salotto, sopra la base di legno del camino spento di quel 16 novembre
1901. Giacca di stoffa marrone con bordini verdi e scarpe
anch’esse marroni con suole nere che al contatto con il
pavimento di legno causavano un rumore quasi stridulo.
Ventiquattrore
con dentro i suoi biglietti di visita, il portafoto con la foto della
sua famiglia rimasta nel Kentucky, e il suo taccuino con la
stilografica. Casa sua era all’angolo rispetto alla sede
della testata giornalista del New York Today dove aveva trovato lavoro
nel 1899.
Entrato
nell’edificio, salutò George, il portiere con il
quale ormai aveva preso confidenza fra un caffè e
l’altro, e salì le scale fino ad arrivare nel suo
ufficio collegato a quello del nuovo direttore Raymond Bur del terzo
piano.
Il
suo amico Finn Hudson era impegnato nel dare una recensione allo
spettacolo tenutosi nel nuovo teatro inaugurato nel cuore del quartiere
che andava da Broadway, strada che tagliava in parte Manhattan
orizzontalmente, a Times Square.
Si
erano conosciuti al liceo, avevano inseguito i loro sogni ed ora si
trovavano nella Grande Mela, quella che negli anni a seguire sarebbe
stata la città più fiorente sia a livello
economico che culturale degli Stati Uniti d’America. Sam
aveva avuto la fortuna di conoscerlo, o avrebbe dovuto darsi alla
prostituzione per mantenere a distanza la sua famiglia. Grazie a Finn e
alla sua famiglia era stato mantenuto e portato su quella scrivania che
occupava, affiancato sempre da quel suo amico inseparabile.
Il
fratellastro di Finn, Kurt Hummel si era realizzato come attore per i
nuovi film che venivano sperimentati con l’avvento della
macchina cinematografica grazie agli ottimi voti ottenuti alla New York
Academy of Dramatic Arts.
Il
succedersi di scoperte e invenzioni aveva fatto acquistare agli Stati
Uniti, nel corso degli anni, milioni di capitali e aveva fatto risalire
l’economia dando una certa importanza al paese su livello
mondiale.
Samuel
era seduto sulla sua sedia in legno di mogano e stava aprendo la sua
ventiquattrore quando una voce interruppe quel ticchettio provocato dal
premere sui tasti divenuti gialli con il tempo, delle macchine da
scrivere.
- Dov’è Evans? Qualcuno l’ha visto?
– Sam si allarmò a quel richiamo: era la voce del
direttore Bur.
- Arrivo Signor Direttore! – Disse con calma e in modo anche
un po’ freddo. Il direttore precedente al Signor Bur era
andato ormai in pensione, e aveva occupato quel ruolo con passione, a
differenza dell’attuale che sembrava desideroso solo dei
soldi e del successo del suo giornale, e non certo della correttezza
con la quale svolgevano il lavoro i suoi impiegati.
Ma
il ragazzo ormai trentenne sapeva che assumendo il ruolo di giornalista
doveva acquisire precise qualità. L’essere
paziente, l’essere fermo sulle decisioni, ed anche saper
gestire il suo stipendio e ricambiare l’aiuto di Finn ogni
momento nel quale lui ne avrebbe sentito l’immediata
necessità.
Pochi
passi sul pavimento in legno scuro e bussò sulla porta di R.
Bur
- Potrei entrare, Signor Direttore? – Chiese in tono molto
cordiale il biondo.
- Sì, prego Signor Evans. – Rimbombava la voce
nell’ufficio che si affacciava, con una vista fantastica sui
grattacieli e palazzi che rendevano New York City, una città
sempre più bella.
Sam
fece qualche passo avanti aprendo la porta socchiusa, per poi chiuderla
alla sue spalle facendo attenzione a non fare molto rumore, in quella
giornata nella quale il sole pareva non voler risplendere nella sua
totale bellezza che generalmente faceva aprire i petali dei fiori rosa
tropicali importati assieme ad un forte bagaglio culturale dai
cittadini del paese di ceppo ispanico.
Rimase in piedi di fronte alla figura di Raymond, seduto sulla sedia
girevole. L’uomo ormai ultra cinquantenne alzò lo
sguardo, facendolo incontrare con quello caratterizzato dagli occhi
verdi pieni di ambizioni dell’altro. Rigirava fra le mani
l’articolo del NY Illustrated.
- Leggi! – Gli lanciò il giornale, colpendolo sul
petto. Le sue mani andarono a coprire i bordi della carta del giornale
stampato la mattina stessa, e dopo un sospiro per scacciare la
tensione, iniziò a leggere.
JACK LO SQUARTATORE A NEW YORK?
Un’altra
notte di orrore nella contea di Manhattan.
Ritrovato da un agente di pattuglia il cadavere insanguinato
di una giovane cantante. L’assassino non contento, la mutila
esportandole organi quali il fegato e il cuore. Rachel Berry,
una delle stelle ascendenti di Broadway perde la vita in
barbaro modo. Quest’omicidio ricorda quello avvenute poche
settimane fa, sempre in circostanze analoghe, dell’attrice di
origini afroamericane, Mercedes Jones (31 ottobre 1901).
Tutto ciò ricordano i “Delitti di White
Chapel” di Jack
lo Squartatore a Londra. Uccise allo stesso modo sei prostitute
londinesi nella città stessa, agendo sempre di notte.
La popolazione dei quartieri è caduta nel panico totale,
ma – come sempre – il capo della Contea di Manhattan
rassicura affermando che il killer non agirà più
con molta probabilità, poiché l’area
nella quale
sono avvenuti gli omicidi è ristretta. La polizia
continuerà
ad indagare sul caso.
Sam
deglutì a vuoto, osservando e rileggendo ogni riga di
inchiostro di quella prima pagina del newspaper newyorkese. Lo
poggiò delicatamente sulla scrivania del direttore,
guardandolo.
- Deve indagare. Le loro vendite sono state le più alte!
Siamo stati battuti 10 a 1 oggi! Voglio un articolo pieno di
informazioni. Loro hanno le illustrazioni a loro vantaggio, io non
voglio stupidi disegnini, ma parole. Parole. Testimonianze. Fatti,
concreti! Forza! Domani voglio entrare in questo palazzo sentendo il
solito odore di caffè e ritrovarmi su questa scomoda
scrivania l’articolo battuto su macchina da scrivere e
firmato da lei, Signor Samuel Evans. La sua nuova casa sarà
il distretto di polizia della contea di Manhattan. –
Esclamò in modo scortese, indicando e puntando il dito un
po’ sul giornale della concorrenza e un po’ sul
corpo alto del ragazzo del Tennessee.
- Sì, Signor Direttore. Entro domani avrà
quell’articolo. – Rispose, abbassando il capo e
chiudendo gli occhi, cercando di calmarsi dalle provocazioni e dal modo
arrogante di fare del direttore. – Posso andare? –
Chiese stupidamente e timidamente, rialzando lo sguardo.
- Certo che può Evans! – Gli rispose, e mentre Sam
si dirigeva verso la porta dell’ufficio, lo fermò
esclamando nuovamente il suo cognome.
- Evans! Un’ultima cosa! .. Lei crede a questa storia di Jack
lo Squartatore? – Voleva sapere il Signor Bur.
“Già, bella domanda” pensò
dentro di sé il ragazzo. La verità era che non si
era posto nulla del genere, e non sapeva cosa rispondere, ma notando lo
sguardo di disprezzo alla notizia del suo datore lavorativo, rispose
prontamente:
- No, Signore! Certamente è un’altra falsa che
utilizzano le altre testate per attirare la povera gente in false
informazioni.
- Bene, così mi piaci, Samuel. – Il viso del
plurilaureato Raymond si illuminò con un sorriso, quasi a
forzarlo di farsi piacere quel ragazzo biondo.
Sam
avrebbe ottenuto una promozione, se tutto sarebbe andato in buon fine.
Ma
doveva darsi da fare, erano le 09.18 antimeridiane e George, il
portinaio, avrebbe chiuso il palazzo alle 08.00 precise della sera.
Uscì da lì e presa la ventiquattrore che stava
aprendo prima di essere interrotto dalla voce tonante del direttore,
salutò Finn con una stretta di mano come da buon colleghi, e
scese le scale, per arrivare al piano terra.
Il
distretto di polizia distava un mezzo chilometro dalla sede del NY
Today e di certo un po’ di camminare a quelle gambe lunghe e
sviluppate del giovane di origini scandinave, come dimostravano i
tratti del suo viso, non avrebbe di certo fatto male.
Era
arrivato. Non era stato difficile, prima a destra, sempre dritto e poi
due volte a sinistra ed ecco la scritta “Distretto di Polizia
Principale - Contea di Manhattan, New York City.”
All’entrata vicino alle due grandi porte vi erano due
vetrate, appannate dal freddo causato dal vento che si era alzato e che
rendeva quella giornata di Novembre, ancora più strana ed
inquietante.
Trovò
un uomo un po’ grassoccio e calvo, con degli occhiali dalla
montatura stretta e in ottone scesa fino alla gobba formatasi con il
passare degli anni sullo stretto naso.
- Buongiorno Buonuomo. Sono Sam Evans, giornalista del New York Today.
Sono stato incaricato nell’acquisire informazioni sul delitto
avvenuto ieri notte a Broadway. Il capo della polizia è
presente?
- Buongiorno a lei, Signor Evans. Sì, il Signor Anderson
è nel suo ufficio. Seconda entrata a destra, prego.. le
faccio spazio. – Gli rispose cordialmente l’addetto
all’entrata, spostandosi ed aprendo un’altra porta
con delle chiavi racchiuse in un grande mazzo di altre tutto in ferro,
che portava legato alla cintura di cuoio spesso sotto la pancia, a
stringergli la vita.
Sam camminò verso il lungo corridoio dopo aver saluto con un
cenno del capo il gentile signore. “Quanto vorrei che anche
il Signor Bur fosse così” pensò e
borbottò fra sé e sé.
Arrivò di fronte ad una porta sulla quale era scritto in
maiuscolo il cognome del direttore della polizia di Manhattan.
Bussò e quando ottenne una risposta, entrò
chiedendo permesso.
- Salve Signor Anderson, sono Sam Evans, un giornalista del New York
Today. – Ormai nel corso di quei due anni aveva imparato la
procedura di presentazione a memoria, come un salmo.
- Ah! Anche lei vuole informazioni sul delitto di Berry? Prego legga
pure il rapporto preliminare. – Chiese immaginando di
già, poggiando il pollice su di un foglio scritto e firmato
sia da lui che dall’agente Cartwright che era di pattuglia
quella sera.
Rapporto di: Abraham
Cartwright (agente di pattuglia)
16 novembre 1901.
Approvato da: Blaine
Anderson (capo della polizia)
Il corpo della cantante giaceva a terra, con il viso rivolto verso
la parete. Era sotto il porticato che conduceva all’entrata
laterale
di casa propria, vicino al nuovo teatro inaugurato a Broadway.
Testa completamente staccata dal collo e tenuta unita da un piccolo
lembo di pelle. Tagli ovunque e maggiormente presenti su addome,
seno e piedi, dai quali sono state tolte le scarpe e poste accanto
al corpo. Anulare della mano destra tolto dal resto delle dita,
e tagliato con un coltello è stato portato via dalla scena
del
crimine. La vittima indossava un vestito giallo pallido.
Vittima: Rachel
Berry.
Età: 26
anni.
Professione: Cantante.
Sede lavorativa: Teatro
McKinley.
Descrizione: Alta
159 cm, capelli ed occhi castani.
Residenza: Numero
26, Broadway, NY.
Bastò
questo rapporto scritto per fare rigirare lo stomaco a Sam e fargli
venire la pelle d’oca. Com’era possibile una tale
crudeltà?
Prese
il taccuino dalla sua valigia e iniziò a scrivere le
informazioni lette dal documento e una volta riposto tutto quanto,
rimise lo scritto sulla scrivania di Anderson e sorrise, come
ringraziamento. Dopo un saluto cordiale fra i due, prese di nuovo la
strada per il corridoio e dopo aver risalutato l’addetto
all’entrata, uscì dalla centrale.
Doveva
avere sempre più informazioni su Rachel, doveva sapere della
sua vita per scrivere un articolo che avrebbe soddisfatto a pieno Bur.
La
prossima destinazione sarebbe stata quella del teatro, e
così fece. Erano le 10.18, esattamente un’ora da
quando si stava subendo tutte le urla del proprio datore nel suo
ufficio.
Salì i dieci e grandi gradini che portavano
all’entrata del nuovo Teatro McKinley e bussò alla
porta laterale che aveva diretto accesso al corridoio dei camerini
degli attori. Un uomo dall’aria strana gli aprì il
portone, dopo avergli chiesto chi era, lo fece entrare.
Sam si guardò attorno, sentendosi basso di fronte a quelle
mura così imponenti che sostenevano la struttura del nuovo
edificio culturale cittadino. Camminando nel lungo corridoio si
soffermò di fronte alla porta sulla quale era inciso il nome
Rachel Berry, con accanto una piccola stella colorata da un giallo
dorato. Entrò per trovare indizi e materiale che poteva
essere utile per l’articolo e vide, a sua sorpresa, una donna
chinata a stringere abiti di scena, molto probabilmente quelli che
indossava Rachel durante i suoi spettacoli.
La
donna che piangeva, il quale viso era delineato da una lunga chioma di
capelli biondi, si girò e fulminò con lo sguardo
il povero giornalista, rimasto spiazzato dalla visione.
Un tonfo prese il cuore di Sam nel vederla.
“Com’è bella..”
sussurrò a bassa voce; nonostante lei stesse piangendo,
trovava una bellezza particolare nella ragazza.
- Scu,scusami.. sono Samuel Evans, un giornalista.. ero entrato nel
teatro per cercare informazioni su Rachel e pensavo che nel suo
camerino avrei trovato qualche indizio, una lettera, un oggetto che
poteva rendere il mio articolo più interessante.
La
ragazza si alzò di scatto gettando il vestito azzurro che
stringeva fra le mani, e dal quale sentiva per un ultima volta il
profumo della migliore amica ormai morta. Tutta la situazione la stava
distruggendo. Si avvicinò a Sam con passo veloce, quasi
nervosa della sua presenza.
- Rachel è morta! Nient’altro
c’è da sapere! Nient’altro
c’è da sapere! Quel demonio le ha strappato la
vita in modo barbaro, e le ha portato via quel sorriso che aveva ogni
volta che mi vedeva, ogni volta che ci scambiavamo uno sguardo, ogni
volta che era sul palco e cantava. Non ti basta? –
Esclamò, affermando e ricordando in quelle poche parole la
compagna che aveva avuto sempre accanto, da quando le era morto il
padre per malattia, a quando erano riuscite assieme a vincere le borse
di studio e a realizzare i propri sogni arrivando a New York.
Sam
abbassò lo sguardo, chiudendo gli occhi e sospirando. Forse
era stato un po’ troppo affrettato con presentazioni del
genere e non essendo rispettoso nei confronti della ragazza.
- Mi scusi, Signora..
- Signorina, prego! – Le rispose l’altra in modo
freddo ed anche acido. Aveva smesso di piangere, ormai Sam
l’aveva disturbata in quel momento di sfogo. Anche lei chiuse
gli occhi e abbassò lo sguardo, per calmarsi e cercando di
nascondere il dolore per il lutto.
- Quinn, Quinn Fabray. – La ragazza scaricò la
tensione stringendo la delicata mano in un pugno, per poi stringere
quella di Sam, che aveva riacquistato sicurezza sul come instaurare il
rapporto con la nuova conoscente.
- Samuel Evans, ma può chiamarmi anche Sam. – Fece
un sorrisetto fuori luogo ed inappropriato in quella situazione, e per
riparare sbarrò le labbra assumendo un’espressione
alquanto seria. Strinse con presa non molto forte la mano di Quinn.
- La porto nel mio camerino, mi scusi per la reazione esagerata..
– La voce dell’ex migliore amica della Berry
risentiva di una forte agitazione e comunque lei era rimasta
dispiaciuta per il modo di fare che aveva avuto con il giornalista,
ormai abituato a certi trattamenti.
Sam
entrò nel camerino della neo conoscente, e vide ovunque dei
fiori e le pareti tappezzate da foto di lei e Rachel sin dalla tenera
età. Una foto gli risaltò all’occhio
molto facilmente: Rachel e Quinn che si stringevano la mano e dietro in
terzo piano, verso l’uscita lo sguardo cattivo dello stesso
uomo che gli aveva permesso l’accesso nel teatro.
Qualcosa
non andava..
Distolse
lo sguardo dai vetri che premevano sopra la carta fotografica e
guardò Quinn, riflettendosi negli occhi – anche
suoi – verdi, come quelli del ragazzo.
Lei si sedette su una comoda panchina foderata sul sedile da un tessuto
rosso, sotto al quale vi era una voluminosa imbottitura.
Sam le andò incontro, rimanendo in piedi di fronte alla sua
figura che dava una particolare bellezza a quel camerino adornato da
una cristalliera e da diversi divanetti e poltrone rosse, come le sue
labbra.
-
Volevo sapere se lei sarebbe stata disponibile a qualche domanda
sull’accaduto.
- L’ultima volta che l’ho vista era stato proprio
pochi minuti prima dell’omicidio. Abbiamo riso e scherzato
bevendo un po’ di champagne al bar qui affianco poi ognuna
è tornata a casa propria, com’era nostra abitudine
fare il giovedì sera. Niente di particolare, abbiamo
ricordati i tempi del liceo e l’ho vista, l’ho
vista per l’ultima volta con quel suo sorriso e quel vestito
giallo pallido che tanto amava. – La Signorina Fabray
sospirò, portandosi la testa fra le mani e socchiudendo gli
occhi nuovamente si fece coraggio. Mentre lei parlava Sam stava
già trascrivendo le informazioni sul suo taccuino, una volta
finito lo chiuse con dentro la stilografica e prese un suo biglietto da
visita e glielo porse.
- Tenga, se avrà bisogno.. non esiti a chiamare a casa, o al
mio ufficio cercandomi. Qui sopra ci sono tutte le informazioni di cui
avrà bisogno, c’è anche il mio
indirizzo di casa: numero 18, Pearl Street, Manhattan. – Le
sorrise, facendo sorridere anche lei e dandole un po’ di
conforto e sicurezza in quel momento di tristezza.
Si alzò dall’imbottita panchina e si
recò verso l’uscita, pensando di avere
già abbastanza informazioni per l’articolo: Bur
sarebbe stato entusiasta. Ma appena superò lo stipite della
porta, Quinn urlò il suo nome, andando verso di lui e
fermandolo con presa decisa sul polso.
-
Ho qualcosa da darti!
- Cosa? – Chiese prontamente Sam, e si ritrovò
trascinato nuovamente in camerino.
- Rimani qui. – Ormai il tono fra i due era divenuto di
totale confidenza, senza darsi più del lei. Quinn aveva
aperto un piccolo cassetto ornato di brillantini e lapislazzuli che era
situato nella parte inferiore di un carillon.
Mentre la ragazza, coetanea di Rachel, frugava con le dita, lo sguardo
di Sam si andò a posare su una lettera chiusa e posata
vicino ad un vaso rosso; “Miss Fabray” era quello
che era scritto sulla parte visibile al suo occhio data la prospettiva.
Quinn
chiuse il cassetto e gli porse due fogli sui quali vi erano due
illustrazioni della vicenda.
- Li ho trovati andando questa mattina presto sulla scena del crimine,
mi sono informata chiedendo alla gente delle case accanto e mi hanno
detto che erano stati fatti da un illustratore di un giornale
newyorkese, ma non sapevano per quale lavorasse. Tieni.
Sam prese i fogli e una volta piegati uno sull’altro, li mise
nella tasca della giacca sorridendo e ringraziando Quinn. Prese di
nuovo la sua strada per il corridoio, doveva ritornare nel suo ufficio
a scrivere l’articolo e a chiedere a Finn informazioni
sull’illustratore.
La losca e misteriosa persona che l’aveva fatto entrare lo
guardò male, con la stessa espressione con la quale guardava
male Rachel nella foto appesa nel camerino di Quinn.
Arrivò
in ufficio quando furono le 02.54 del pomeriggio e dopo aver diviso il
sacco a pranzo con il suo amico Finn:
- Finn, conosci per caso giornali che usano illustrazioni? –
Gli chiese Sam, dandogli i disegni ripiegati nella tasca della giacca.
Il ragazzo ricambiò la domanda con un sorriso e scosse la
testa.
- Sam! Il New York Illustrated! Il giornale che questa mattina ti ha
dato Raymond!
- Giusto! Come non pensarci prima? – Chiese retoricamente Sam
accompagnando quella domanda ad una risatina. – Grazie, Finn.
Ma aspetta, chi è l’illustratore?
- Non saprei..
- Va bene, non ti preoccupare. Vado a scrivere l’articolo o
Bur mi ucciderà!
Mentre era già a metà, il direttore finiva il
turno e tornava a casa da sua moglie. Anche Finn stava andando e lui
era rimasto in ufficio da solo. Finito di scrivere, modificò
qualche cosa con la sua stilografica presa dalla ventiquattrore e
riscrisse l’articolo sulla macchina da scrivere: era pronto.
JACK
LO SQUARTATORE È TORNATO?
Due omicidi e due organi mancanti.
Due giorni fa, a Broadway, è stato ritrovato il cadavere
di una delle stelle ascendenti: Rachel Berry. La polizia
indaga. Ultima testimone ad averla vista è stata la migliore
amica, Quinn Fabray. Come da loro abitudine sorseggiavano
un bicchiere di champagne il giovedì sera, quel
giovedì che
sarebbe stato ricordato per una tragica fine. Testa completamente
divisa dal corpo. Fegato e cuore portati via assieme
all’anulare della
mano destra. Come per l’omicidio precedente
dell’attrice Mercedes
Jones, avvenuto la sera del 31 ottobre, l’arma del delitto
è la stessa.
Coltello da macellaio assai affilato e per recidere gli organi e il dito
è stato utilizzato un bisturi. Il capo del distretto di
polizia Anderson
rassicura e si affida a noi testate giornalistiche per evitare di
allarmare
la gente. Ma noi ci chiediamo: questa situazione finirà?
Sistemò
le cose nella valigia e dopo aver bevuto il terzo caffè
della giornata, mise l’articolo sulla scrivania di Bur.
Appena in tempo, perché George qualche minuto dopo avrebbe
chiuso l’entrata al palazzo.
Ma un dubbio e un’inquietudine pervasero Sam: l’assassino avrebbe colpito ancora?