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Autore: Aesir    12/05/2012    2 recensioni
Questa fiction è il seguito di "Leggende del Mondo Emerso: La Strada di Dubhe"
Mano nella mano nelle tenebre
Il prezzo per una vita assieme
Una missione in cui non credono
Dubhe e Aster
Riusciranno nel loro obiettivo?
Se giochi secondo le regole, non ti sogneresti mai di infrangerle. Ma io non ho voglia di giocare secondo le regole. E quando queste si fanno troppo pressanti, e t’ingabbiano, e t’incasellano, e t’infilano a forza in un’esistenza che detesti con tutta te stessa, l’unico modo per sfuggirle è mettere fine al gioco. Mettere fine a tutti i giochi. Perché quando i giochi finiscono, nessuna regola vale più
[DubhexAster]
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Aster, Dubhe
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Mondo Emerso'
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Scena Terza (III): DUBHE NON DIMENTICA

 

I can't go on living this way
and I can't go back the way I came
Shamed of this fear that I will never find

a way to heal my soul

- Evanescence, My Heart is Broken

Per favore”, gli aveva chiesto. Si trovavano sulla soglia di una grotta, poco fuori dalla città. Il luogo dove per due anni Dubhe aveva dimorato. La ragazza era da poco riemersa dall’acqua gelida della Fonte Scura, e i suoi capelli erano ancora umidi e gocciolanti: “È una cosa che voglio fare da sola. Mi lasci?”
Aster aveva sorriso a quelle parole: “Se senti che è una cosa che devi fare – e lo capisco benissimo – e che non ti sarai data pace finchè non l’avrai fatta – e capisco anche questo -, non vedo perché non dovresti. Mi sono lasciato andare anch’io a questi sentimenti, sapevo che… per così dire, moralmente… non era giusto, ma non me n’è importato. Comprendo quindi senza problemi le tue necessità. Chi mai ci può essere a dirci che ciò che facciamo è sbagliato? Ogni essere umano deve essere responsabile delle sue azioni, dopotutto.”

Già.” La voce della ladra era carica di astio, ma il mezzelfo sapeva che non era indirizzato a lui. E se non ne avesse conosciuto il destinatario, gli sarebbe bastato seguire lo sguardo gelido di Dubhe: la ragazza aveva estratto il pugnale, conficcandolo in una mappa del Mondo Emerso.
Terra del Sole.
Un villaggio.
Selva.

L’uomo imprecò. Diventava sempre più difficile. All’inizio il reggente si era comportato in tutto e per tutto come il suo predecessore, e per un po’ le cose erano andate bene, ma da quando tutti i membri del Consiglio si erano svegliati con un pugnale sul cuscino, tutto in seguito ad una seduta il cui contenuto non era mai stato divulgato, aveva improvvisamente deciso di promuovere leggi repressive e intensificare i controlli, con lo zelo di chi sa di aver mancato un dovere. Così, di punto in bianco. Adesso era costretto ad agire nottetempo come un contrabbandiere, e a pagare i suoi compaesani perché tenessero il becco chiuso, con conseguente calo dei guadagni. Tutto per colpa di due individui che avevano dichiarato il suo lavoro fuori legge. Andava molto meglio quando c’era Dohor, pensò l’uomo. Il re non aveva mai avuto nulla in contrario al mercato di schiavi.
Andiamo, Renni, è ora”, lo chiamò una voce.
Arrivo”, rispose distrattamente.

Schiavo proveniente dalla Terra delle Rocce, in ottime condizioni, a trecento carole!
Il palco non era altro che una rozza costruzione in legno, che si affacciava sulla piccola piazza. Il battitore non doveva nemmeno alzare troppo la voce per farsi udire dalla piccola folla.
All’improvviso un rumore li azzittì tutti quanti.
Thud.
Un battito ritmato e possente.
Thud.
Un’enorme sagoma oscurò la luna.

Draghi!”
Una voce ruppe il silenzio innaturale. Fu il pandemonio. Corpi che si accalcavano, cercando di scavalcare i propri simili per garantirsi la salvezza.
La creatura passò ancora sopra di loro e, traslucide alla luce della luna, mise in mostra le sue grandi ali piumate. Un barile di olio si rovesciò sul palco, e da un braciere urtato cadde qualche scintilla. Ovviamente, in un istante preso tutto fuoco.
E il falò non fece altro che aumentare la confusione. Dei, per fortuna le catene degli schiavi erano abbastanza spesse da impedire loro di liberarsi e scappare!
Thud.
La bestia alata si posò dietro alla costruzione in fiamme, e scrutò la folla di volti terrorizzati con i suoi occhi arancioni. Quando si posarono su Renni, quelle braci ardenti non si spostarono più. La viverna sibilò, schiudendo appena le fauci letali. Davanti a lei, sovrastando tutti quanti dalla sua altezza sul palco, una sagoma femminile lo guardava con occhi se possibili ancora più infuocati di quelli dell’animale. Era vestita di nero, e alla luce delle fiamme il suo volto pallido riluceva come avorio. Sembrava un demone venuto dall’inferno, e in quel momento Renni seppe che era venuto per lui. Il suo sesto senso l’aveva avvertito che il tempo degli affari felici era finito quando il principe Learco aveva comprato quelle due schiave.
Peccato che lui non avesse mai imparato a dargli ascolto.
La figura continuava a fissarlo impassibile.

Bastardo”, ringhiò.

Renni parve ritrovarsi in quell’attimo, come se l’insulto in qualche modo l’avesse riportato alla realtà: “Perché, signorina, mi insultate?”
La ladra faticava a riconoscere in quella palla di lardo il ragazzino smilzo che aveva giocato con lei, ma di sicuro l’uomo era lo stesso di qualche mese prima. E comunque, quella nocetta stridula e untuosa, specie quando strisciava per compiacere i potenti, era rimasta la stessa.

Lo sai benissimo il perché, bastardo.”
Molto saggiamente - era l’istinto di sopravvivenza degli animali, si disse lei - accusò l’insulto senza replicare.

Io… credo di non capire. Chi siete voi?”
Una ladra, un’assassina. La regina della Grande Terra. E una che hai venduto per cinquemila carole.”
Continuo a…”
L’ha ammazzato! L’ha ammazzato!”, squittì lei in falsetto. Poi continuò, fredda e spietata: “Dì un po’, Renni, come ci si sente a vedersi sbattuti in faccia i propri peccati?”
L’uomo impallidì visibilmente.
Un lampo di comprensione passò nei suoi occhi.

No… non è possibile… tu… tu non puoi essere… Dubhe!

E perché no, di grazia?”, chiese la ladra, saltando e atterrando davanti a lui, il mantello che le si gonfiava dietro alle spalle come le ali di un pipistrello, scostato così da fargli ammirare l’arsenale che portava addosso. Ciascuna di quelle armi garantiva una morte pressoché istantanea, e soprattutto certa. Se quella figura nera avesse avuto una grossa falce in mano e un teschio per volto, Renni non ne sarebbe stato più terrorizzato.
Io…”
Parlare non serve.”
Scusami…”
Scusarsi nemmeno.”
Ero un bambino…”
Dubhe abbassò il tono di voce: “Anch’io ero una bambina… o lo hai scordato?”
Mentre continuava ad implorare, a cercare almeno di parlare con la sua vecchia compagna di giochi, Renni continuava freneticamente a tenere d’occhio lo spazio dietro di lei.
Eddai… un altro pochino…
Se pensava di poter fregare quella che era la più micidiale di tutte le assassine mai esistite con un trucco idiota, rimase gravemente deluso. La ragazza ruotò su sé stessa, le mani rigide, il corpo teso, il mantello che le svolazzava dietro la coda che si mosse seguendo l’arco del corpo. Gli sprovveduti che avevano provato ad arrivarle alle spalle non erano uomini addestrati, e non ebbero scampo. Si chinò a guardarli. Il primo era un volto anonimo, il tipico uomo della Terra del Sole. Era fuori combattimento. Il secondo lo riconobbe fin troppo bene. Si agitava ancora debolmente. “Ah, Mathon”, salutò, noncurante. “Mi piacevi, sai?”, e gli calò la mano di taglio sulla tempia, spedendolo nel mondo dei sogni.
Renni aveva gli occhi spalancati: “Li hai uccisi…”

No.” Lo prese per il colletto: “Adesso io parlerò e tu starai ad ascoltare, va bene? E se non ti va bene fa lo stesso.”
Lui annuì debolmente.

Hai tramato ai danni della mia persona. Due volte, se consideriamo lo scherzetto che mi hai preparato. Io sono la regina della Grande Terra, e una delle due massime autorità di questo mondo. Se non mi credi, posso chiamare l’altra così che confermi. Quello che hai commesso si chiama alto tradimento. E la pena è la morte.”
Lui le cadde in ginocchio davanti: “Vuoi uccidermi?”
Quella nocetta stridula e untuosa, come le dava sui nervi! Dubhe alzò le spade. Una parte di lei avrebbe voluto dire sprezzante di sì, calarle, ridere selvaggiamente e porre fine a quella miserabile vita con le sue mani. Ma un'altra parte la tratteneva. Era buffo. Aveva sognato a lungo di trovarsi quel cane bastardo sotto alle mani, fantasticando su che fine fargli fare. Adesso che aveva davvero la possibilità di vendicarsi, esitava. Era colpa della voce, di quella schifosa voce da porcellino che aveva imitato così sadicamente.
L’hai ammazzato, l’hai ammazzato. La ragazza odiava le persone come lui, che costruivano la loro vita sulla pelle delle altre. Ai suoi occhi, ucciderlo sarebbe stato un atto di giustizia. Un colpo di spada, il più possibile doloroso, squartarlo come una bestia e lasciare il cadavere ai corvi. Eppure, se l’avesse trafitto, avrebbe dovuto dopo fare i conti con sé stessa. Forse che non avrebbe avuto ragione, in quel caso, a darle dell’assassina? No, più ci pensava, più l’idea di ucciderlo si allontanava dalla sua mente. In fondo, c’erano altri modi per farlo pagare. E, così, sarebbe rimasto in vita per godersi tutta la punizione che gli avrebbe riservato, invece di un clemente colpo di spada. L’hai ammazzato, l’hai ammazzato, strillò il Renni – bambino nella sua mente. Taci!, gli intimò rabbiosamente lei. Non c’è niente che mi farebbe più piacere che tagliarti la gola e vederti annegare nel tuo sangue, ma ucciderti non cambierà ciò che hai fatto. Ucciderti non cambierà ciò che ho fatto.
Però merita di morire,
sussurrò suadente un'altra voce, una voce che Dubhe ben conosceva: quella della Bestia.
Se lo merita. Oh, eccome se se lo merita. Ma sono così tanti fra i vivi che meriterebbero la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato di vivere. Sono in grado di dargliela forse?
Tornò dentro di se a rivolgersi a Renni:
No, tu vivrai, ma soffrirai, oh se ti farò soffrire…
Abbassò le spade e le rinfoderò, rigida. “Non spreco le mie lame su un bastardo come te.”

Grazie, grazie…” L’uomo le si gettò ai piedi, baciandole un lembo del mantello. Dubhe, disgustata, sentì la rabbia ribollirle dentro e la decisione venire meno. Meglio spicciarsi, si disse, prima che questo verme trovi il modo di farsi ammazzare comunque.
Gli sferrò un calcio, violento, che lo mandò all’indietro con la bocca sanguinante. Un paio di denti caddero per terra: “Non insudiciarmi le vesti, bestia.”
Lui annuì con convinzione: “Sì, sì, sono un miserabile e vivo solo per la misericordia di…”

Taci! Dovrei darti in pasto a Veritas, se non sapessi che puoi solo fargli male. No…”
Si guardò intorno. I cittadini e gli acquirenti sembravano svaniti nel nulla, ma sapeva che probabilmente non erano lontani. Dalla tenda, degli occhi la sbirciavano impauriti.

Liberate gli schiavi!”, ordinò. Nessuno si mosse.
Liberate gli schiavi”, ripetè, “e forse forse non vi faccio appiccare tutti quanti!”
La minaccia ebbe effetto: una chiave scattò, aprendo le catene. Uomini e donne si guardarono, increduli. “Andate”, ordinò lei. “E se qualcuno osa fermarvi, ditegli il nome di Dubhe della Terra del Sole.”
Non se lo fecero ripetere due volte.

Quando furono spariti, la ragazza rivolse di nuovo l’attenzione a Renni. “Vieni”, ordinò.
Si incamminò per le vie della città. Formavano una strana coppia, una ragazza magra che camminava dritta come un fuso, silenziosa e letale, e un grassone che le strisciava intorno. I ripetuti “Dove stai andando?”, con crescente dose di panico, ricevettero solo la sibillina risposta: “Dove mi pare.”
Dubhe si fermò davanti alla casa di Renni: “Guarda guarda, ti tratti bene, figlio di puttana…”
Sguainò le spade e abbatté la porta con pochi colpi, quindi entrò bruscamente, senza badare a cosa fracassasse nel frattempo, e si guardò intorno, tallonata dal mercante di schiavi, sempre più terrorizzato. “Che cosa fai?”, le chiese.

Ciò che voglio.”
L’addestramento di ladra le fu utile: non ci mise praticamente nulla a trovare la botola nascosta. La sfondò anch’essa, e, spinto dentro l’uomo, atterrò con grazia acanto ad un baule. “Ma che carino”, osservò, ironica, prima di sputargli con la consueta freddezza: “Mi devi la vita, cane, quindi questo mi appartiene di diritto.”
Alzò la testa, come ad ascoltare un suono lontano, e Renni urlò quando la grande viverna scoperchiò il tetto della casa con i possenti artigli. La creatura alata guardò negli occhi Dubhe, e parve annuire quando la ragazza le disse: “In piazza”. Spiccò il volo, alzando turbini di polvere fra le rovine delle macerie.
L'assassina indicò il baule. “Ehi, bastardo, muoviti.”
Un po’ sollevando, un po’ trascinando, un po’ assestando calci a quel relitto umano perché facesse la sua parte, il pesante oggetto fu trasportato al centro del paese e issato su ciò che restava del palco. Il dragone era giù lì.
Con un colpo di spada, la ladra fracassò i cardini, poi sollevò con fare melodrammatico una manciata di monete.

Veritas”, ordinò, facendosi da parte.
La viverna, persa la parvenza d'aspetto di animale reale e tornata alla forma di oscurità condensata, chinò il capo, e dalle sue fauci eruttarono lingue di fuoco bianco, che arrivarono a sfiorare l’oro, l’argento e il rame, incendiando il legno, e trasformando quelle preziose monete in un blocco indistinto e variegato. “No, no!” Renni urlò disperato, come se lo stessero scuoiando vivo, o come se a bruciare fosse la sua famiglia.
La ragazza inclinò il capo. “No? Ancora protesti?”

Sono i guadagni di una vita!!!”
Guadagni di una vita fatta su quella di altri esseri umani”, replicò Dubhe, mentre sentiva l'ira montarle nel petto.
Ti sbagli!”, supplicò Renni. Farneticava. “Io non ho speculato su di loro. Questi uomini e queste donne che sono arrivati fra le mie braccia... io li ho salvati, ecco! Sì, sì, li ho salvati!”
L'assassina ebbe un conato di vomito: “Salvati? E come, di grazia?”

Profughi... persone che avevano perso tutto! Sarebbero morti di stento in ogni caso! Io ho dato loro un luogo dove vivere, anche se in servitù, ho restituito loro una famiglia... li ho salvati!”
Trai profitto dalla guerra, dalle vite spezzate.”
No, no!” Campionato nazionale di arrampicata sugli specchi. “Io voglio solo il meglio per loro, faccio sì che vengano trattati bene, me ne assicuro...”
Questo fu troppo. Un lampo color rubino offuscò per un attimo i suoi occhi grigi e il pugnale le si materializzò in mano ancora prima di pensarci. “Sei un uomo morto, Renni. Ucciso dalla mia lama, ma ancora di più da te stesso. Che tu possa capirlo, nel luogo dove andrai. Muori.”
L'ultima parola fu sottolineata da un ampio fendente del pugnale. La gola si aprì come il bocciolo di un fiore, rivelando il proprio cuore vermiglio e sporcando i guanti e le braccia della ladra del liquido vitale.
Dubhe rimase impassibile a guardare la pozza di sangue che si allargava sotto l'uomo che era stata il suo amico. Sibilò. Un sorriso amaro le increspava le labbra.
Ti sbagli, Nihal. Io non sono una brava persona.
E poi:
ho ucciso ancora. Il mio destino.
Senza bisogno di ordini espliciti, la grande viverna si dissolse, tornando ad essere niente più che un'ombra negli occhi inquieti della ragazza. Poi questa si voltò e, fra gli sguardi stupiti, si incamminò a grandi passi, avviandosi verso la cinta muraria e le porte di quella città in cui aveva giurato che non avrebbe mai più fatto ritorno.

Trovò il mezzelfo seduto ad aspettarla. Se si sorprese di vederla con le lacrime agli occhi, non lo diede a vedere. Si limitò ad alzarsi e abbracciarla. “Sciocchina, perché piangi?”
Lo sapeva, in verità. Piangeva per sé stessa. Ma pensava che chiederglielo l’avrebbe fatta sentire meglio: “Non hai fatto quello che dovevi?”
Lei gli si strinse addosso, e fu solo quando si fu un poco calmata che sussurrò, eludendo la prima domanda: “Sì… ma è come se non fosse abbastanza.”
Aster la strinse più forte, comprendendo che, un’altra volta, la ragazza si era scelta la strada più difficile.
Nel cielo, una miriade di lucine li fissavano, impassibili. “Non lo è mai”, le mormorò.
La ladra inspirò a fondo l’aria fresca della notte, per schiarirsi la testa, e si sciolse dall’abbraccio. “È tardi”, osservò. “Stiamo qui, stanotte, partiremo domani.”
Aster annuì.

Lungo la spiaggia che le nuvole infrangono
I soli gemelli tramontano nel lago
Le ombre s’allungano
     A Carcosa

Strana è la notte dove sorgono stelle nere
E strane lune orbitano nei cieli
Ma ancor più strana è la
     Perduta Carcosa

Canto che le Iadi dovrebbero intonare
Laddove ondeggia il mantello del Re
Che tu muoia inascoltato nella
     Oscura Carcosa

Canto del mio animo, la mia voce è morta
Muori dunque, ineseguito, e le lacrime non versate
possano asciugarsi e morire nella
     Perduta Carcosa*

Dubhe spalancò gli occhi. Per un attimo ritrovarsi in quel luogo le aveva fatto temere, irrazionalmente, di essersi inventata tutto, che quei nove anni non fossero mai esistiti. Era un pensiero intollerabile, e per questo aveva aperto gli occhi. Le bastò uno sguardo per confermare a sé stessa di essere la ragazza diciassettenne di sempre. Si sentiva un po’ imbarazzata per quella paura. Rotolò di fianco, aspettandosi di incontrare il corpo di Aster, ma non ci fu nulla ad arrestare il suo movimento. Si fermò pancia all’aria e sentì qualcosa crepitarle sotto la schiena. Spalancò gli occhi. Allungò una mano, raccogliendo un foglio, leggermente stropicciato:

Ciao bellissima,
sono andato a riempire le borracce al torrente. Non stare in pensiero.

E sotto, scarabocchiata a mo’ di firma, una stella.

Dubhe si alzò, e si guardò intorno. Desiderò subito di non averlo mai fatto. L’inquietudine, il solito dolore sottile che si annidava in profondità dentro di lei, che le faceva sentire la mente stanca e il cuore pesante, premeva per uscire alla luce. Serrò gli occhi, ma ormai il paesaggio si era impresso nella sua mente. Si appoggiò contro un albero e lasciò che la schiena le scivolasse lungo il tronco, che le graffiasse la pelle esposta. Cadde al suolo e si raggomitolò ai piedi della pianta, stringendosi le ginocchia fra le braccia. Premette la schiena contro la dura corteccia e inspirò a fondo più volte, riempiendosi i polmoni dell’odore intenso del bosco e cercando di calmarsi.
Non posso mettermi a piangere come una bambina spaventata… non due volte nel giro di ventiquattro ore. Accidenti, non è da me! Si sentiva malissimo: lo stomaco le si contraeva violento nell’addome, minacciando di farle rigettare quel poco che conteneva, la testa le sembrava stretta in una morsa e il cuore le martellava selvaggiamente nel petto, trasmettendole una sensazione di estrema debolezza. Certo, dovevi prevederlo, stupida, si disse, cinicamente. Non è forse la vita un eterno circolo, alla cui fine ti ritrovi esattamente al punto di partenza?
Odiava quei luoghi, eppure allo stesso tempo provava un senso di struggente appartenenza. Il sentimento che si era sforzata di reprimere quando era tornata nella Terra del Sole ricominciava a strisciare ai margini del suo animo. Era tutto ciò che aveva no? Dolori, rimpianti e…
Basta! Non pensare a... ad altro! La sua mano corse al cappuccio, per calarselo sul volto. Era sempre stato così. Gli altri bambini, quando avevano paura, cercavano la luce. Lei il buio più fitto. La sua mano avrebbe trovato il tessuto, e con questo sarebbe arrivata quell'oscurità benedetta, avrebbe fatto svanire i contorni delle cose e tutto sarebbe diventato indistinto. E lei sarebbe stata in pace. Ma un rametto si spezzò con uno scricchiolio e qualcuno fu più veloce di lei. Il mantello scese sul suo viso, e assieme a lui le tenebre che bramava. In un altro momento si sarebbe accorta ben prima della presenza, ma in quel momento non gliene importava proprio niente. Lasciò che la sollevasse, stringendola fra le sue braccia, facendole poggiare il capo su un petto magro che conosceva bene, e si concesse finalmente di piangere.
Si sforzò di trattenere le lacrime - quanto le avrebbe odiate se le avessero solcato le guance! - o almeno di soffocare i singhiozzi, ma semplicemente non ce la fece. Abbiamo tutti un punto di rottura, e lei il suo l’aveva abbondantemente oltrepassato.
Il suo corpo contro la sua guancia era caldo e rassicurante e sapeva di quel profumo di notte d’estate che la faceva sentire al sicuro. Il suo era un sentore che evocava tutte quelle notti che avevano trascorso assieme, momenti in cui per la sofferenza semplicemente non c’era posto. Aster non la mollò un momento, tenendola stretta a sé, cullandola con dolcezza, con gli occhi chiusi e il naso immerso nei suoi capelli, facendole capire nella maniera più semplice del mondo di non essere più sola in balia del dolore, e ben presto Dubhe si calmò, tranquillizzata dal suo abbraccio e dal battito del suo cuore. No, si disse, aveva anche qualcos’altro, oltre ai suoi rimpianti, e questo le diede forza; e poi era abituata al dolore, ormai. Si strappò in fretta le lacrime dalle guance, vergognandosi profondamente per la propria debolezza.
Ancora, si disse amareggiata. Si spostò, e fece una smorfia quando il sangue ricominciò dolorosamente a scorrere. Per essere stata seduta così scomoda tanto tempo, le cosce, il sedere e la schiena erano completamente insensibili.
Va meglio?”, le chiese il mezzelfo. La sua voce era dolce e la guardava con profonda tristezza.
La ragazza si limitò ad annuire. Era a disagio: odiava mostrare la propria debolezza, lei che a prezzo di grandi sacrifici si era sforzata di diventare forte, di diventare insensibile.

Io… Dubhe, mi dispiace… me l’avevi anche descritto, il luogo, ma era tardi, ieri sera, eravamo tutti e due stanchi e…”
Aster, non hai niente da rimproverarti. Non è colpa di nessuno, è che per me questo è un luogo di dolore.”
I suoi grandi occhi erano colmi di disperazione: “Io vivo in mezzo alla morte. Quel giorno non ho ucciso solo Gornar. Li ho uccisi tutti, i miei amici, i miei genitori, gli abitanti di Selva, tutti quanti. Ho ucciso me stessa. La Dubhe morì quel giorno, e qui giacciono le spoglie della bambina che ero. Qui ho costruito le muraglie della mia prigione, e quel che è peggio è che non ho speranze di evadere. In questo luogo, io sono prigioniera di me stessa.”
Sospirò: “Senti...” Gli prese la mano e se la passò sulle palme, sul lato interno dei gomiti e sulla fronte. In tutti e sette i luoghi, la pelle era liscia e perfetta. “Sono i punti dove i fanatici della Gilda erano marchiati. Far sparire quei segni è una delle prime cose che ho fatto, quando ho scoperto di possedere la magia. Io non sono mai stata e non sarò mai una Vittoriosa. Eppure, tutto in questo luogo mi grida: Assassina! Assassina!”
Tese la mano, e quando Aster gli porse la sua la strinse delicatamente, come una bambina: “Vieni.”
Mentre camminavano indicava i vari luoghi via via che parlava: “Di là liberai con mio padre una lepre che era rimasta bloccata nella trappola di un cacciatore. Fra quei cespugli, invece, mi nascosi per un giorno intero da mia madre… mi aveva fatta infuriare. In quella buca c’era il luogo dove riponevamo i ‘tesori’ che trovavamo… e lì…”
Indicò un pietra in riva ad un torrente. Era bianca, ma lei la vedeva macchiata di sangue e sarebbe sempre rimasta tale. Deglutì. “Lì è dove accadde.”
Con sua sorpresa la sua voce non tremò, e non pianse.
Forse sono davvero più forte di quanto non creda.
Sospirò, e una punta della disperazione che provava dovette trasparire dal suo volto, perché Aster le ripetè: “Mi dispiace.”

Non è colpa tua, amore mio. Devo riuscire ad andare avanti.”
Come hai sempre fatto.”
Come ho sempre fatto”, ripetè, e nel dirlo rabbrividì. “Devo imparare a fare la pace con il rimpianto.” Il suo volto aveva assunto una smorfia, mentre diceva queste parole, e dal tono si capiva che in fondo non ci credeva nemmeno lei.
E pensi che si possibile che questo accada soltanto dicendolo?”
Un sorriso triste apparve sul volto della ragazza: “No…”

Dubhe, quante volte te lo devo dire? Non c’è niente di male nell’essere deboli, talvolta, e ti giuro che tu lo sei molto meno di quanto sembri credere.”
Lei tornò ad abbracciarlo: “Come fai a leggere così bene in me? Come fai a vedere nei miei occhi come se fossero porte aperte, fino alle profondità del mio cuore, dove non c’era altro che una landa desolata prima che arrivassi tu?”, gli mormorò. “Ti odio”, aggiunse, ma il tono della sua voce contraddiceva a tal punto le sue parole che tanto valeva che avesse detto
ti amo.
Il ragazzo le sollevò il mento fra le dita: “Ti voglio bene anch’io, piccola mia. Per favore, dunque, smettila di cercare di essere forte ad ogni costo, d’accordo?”

Non guardarmi con pietà! Non osare farlo!”, scattò lei, mordendosi le labbra un istante dopo.
Non lo sto facendo”, ripose semplicemente Aster. “Lo so fin troppo bene, quanto ti è intollerabile.”
Io non sono una qualsiasi persona da salvare, hai capito? Questo dolore me lo sono meritato, stilla per stilla.”
Il mezzelfo non rispose, e la tirò a sé. Stava tremando, la ragazza. Era allo stremo e ormai sragionava. “Aster... perdonami... non volevo...”

Perdonata...”, le sussurrò lui, riuscendo a strapparle un timido sorriso. La tenne a lungo e la ladra si godette ogni istante di quell'intimo contatto fra loro due. Queste mani che mi stringono hanno cancellato un intero popolo dalla faccia del Mondo Emerso, ne hanno assoggettati innumerevoli altri, hanno compiuto gesta terribili... eppure io sono a casa. E lo so il perchè. Aster è come me, mi comprende come nessun altro può fare, e... e soprattutto, mi ama. E io amo lui.
Dubhe... il passato... è semplicemente passato, lo capisci?”
Lei annuì, il capo poggiato sul suo petto, mentre respirava freneticamente l'odore della sua pelle, come se fosse stato aria pura e lei stesse annegando.

E… Dubhe?”
Sì?”
Le parole che seguirono furono totalmente inaspettate per la ragazza: “Fammi un favore. Finisci di versare le tue lacrime. Quant’è che non lo fai? Fallo, ti prego. Fallo per me.”
Lei lo guardò, con gli occhi lucidi, lo abbracciò con disperazione e si lasciò andare. Nel momento stesso in cui aveva sentito la sua voce aveva capito che quello che le diceva poteva essere solo il meglio per lei. La prima lacrima le scese sulla guancia e fino all’angolo della bocca, senza neppure un singhiozzo, tracciando una linea sulla sua pelle chiara. Per un attimo si illuse di aver ancora il controllo, e si sforzò di trattenere i singhiozzi, ma poi semplicemente si arrese e smise di combattere, e si accontentò di affondare il volto nella casacca di Aster e di lasciare che il suo profumo la inebriasse, di vedere il mondo sfocato attraverso il velo delle lacrime e di assaggiare il loro sapore salato quando le scivolavano fino alle labbra, mentre le dita di Aster gliele asciugavano una ad una. Il pianto si fece violento e disperato.
Non contò il tempo in cui stette lì, cullata dalle sue braccia, mentre i suoni della natura erano coperti dalla sua voce che le mormorava frasi su frasi. E non ne avrebbe saputa ricordare neanche una, di quelle parole che lui le disse, ma andava bene così, e non importava. Il loro scopo aveva fine l’istante stesso in cui venivano pronunciate, mentre le toglievano pian piano il dolore di dosso e arginavano la piena che sembrava traboccare dal profondo del suo cuore

Non lo so… non so più nulla… mi pare veramente impossibile… di essere qui… e di riuscire a… a vivere, semplicemente… mi sembra così sbagliato… e nel contempo soffro a stare così… mi sembra… d’aver gettato via tutto ciò in cui credevo… e… e sono felice… qui accanto a te… ma non mi sembra giusto… non mi sembra possibile che io sia felice, qui… e mi vergogno così tanto… sia di essere felice sia… di aver vergogna di questo… e di star a piangere così…”
L'indice sottile di Aster le si posò sulle labbra. “Ssst…”, le sussurrò il mezzelfo. “Non hai nulla da vergognarti… Stai piangendo per una buona ragione… Va tutto bene, Dubhe, va tutto bene… io ti amo e sono qui con te…”

Sta’… zitto…”, gemette la ragazza, ma se ne pentì nel momento stesso in cui lo diceva, e questo la fece stare solo ancora più male. Le sembrava inconcepibile aver offeso l’unica persona che le fosse accanto, in quel momento. “Scusami… scusami…”, sussurrò.
Lui le accarezzò i capelli. “Stai tranquilla… non preoccuparti… Sai… quando ti sento così... così piena di dolore, mi fai quasi paura. Non so come raggiungerti, e ho il terrore di sbagliare qualcosa, di compromettere il nostro rapporto con una stupidaggine. Se anche io usassi tutta la mia vita per il tuo bene, non avrei rimpianti. Anch’io ho bisogno di te, amore mio, ho bisogno di te almeno quanto tu ne hai di me. Sei l’unica cosa buona che mi sia mai capitata, in questa vita… Mi guardi con quegli occhi, d l'unica cosa a cui riesco a pensare è a come potrei darti anche solo un attimo di felicità... è che sei bella, Dubhe, tanto, troppo bella...”
Le poggiò la testa sulla spalla.
La ragazza sollevò il capo. Fra le lacrime, sorrideva: “Così, mi devi raggiungere. Aster, suonerò scontata, ma davvero, se non ci fossi tu con me...”
Si fermò. “Morirei, credo. Mi lascerei andare. Come stavo facendo prima che bussassi alla mia porta. Tornerei a vivere al momento, a mettere un passo davanti all'altro. Ma non potrei mai reggere come ho fatto prima. Tu mi sei entrato nel sangue, hai inondato la mia mente, e io non voglio, non posso, cancellarti via, mai, in nessun modo. Sì, morirei. Aster, senza di te, io non esisto.”
Il mezzelfo ripensò a quando l’aveva abbracciata la prima volta. Lui solo l’aveva capito, che quella disperazione che aveva mostrato la giovane ladra nell’amarlo, quella ricerca disperata della sua persona, era un dono grandissimo, il più grande che lei potesse fargli. Perché Dubhe aveva imparato a proteggere il proprio cuore con le unghie e con i denti. Ciò che la rendeva sé stessa, la sua identità, per quanto fragile e tormentata, era l’unica cosa che il destino non fosse mai riuscito a strapparle via. E quindi, aveva capito davvero quanto lei gli volesse bene quando gli aveva aperto i cancelli della sua anima, gli aveva permesso di vagare nei suoi pensieri ed si era donata animo a corpo a lui. E quell’insolito patto si era rinnovato, giorno dopo giorno, finchè in poco tempo loro due si erano legati così saldamente da essere impossibili da dividere.
La guardò negli occhi, quei grandi, meravigliosi occhi pieni di gioia e di tristezza, di speranze e di rimpianti, e ognuno in quello sguardo lesse il riflesso del suo.
Fu un solo istante, in cui il grigio si specchiò nel verde e il verde si specchiò nel grigio, e poi il blu e il castano si incontrarono, le loro bocche si unirono, e i loro cuori pulsarono allo stesso ritmo.
Non c’era bisogno di parole, per dire
ti amo.

Dubhe si sciolse esitante dall’abbraccio. Fece per parlare, ma il mezzelfo la precedette.
No, non è finita”, bisbigliò, e in quel momento la giovane ladra non ebbe più dubbi sulla sua facoltà di saper leggere nella sua anima, più in profondità di quanto lei stessa non osasse spingersi.
Non è finita”, riprese Aster. “Ma bisogna credere che lo sia.”
Sulle labbra dell’assassina danzava l’ombra di un sorriso. Un sorriso tremulo ed esitante, ma pur sempre un sorriso. Era bellissima quando aveva quell’aria di disperata speranza, e il ragazzo non sapeva resistere all’istinto di stringerla accanto a se, farle capire che la proteggeva e dirle che le sarebbe stata sempre accanto. E così fece.
Dubhe fece per tirarsi indietro: “Io… Aster, sei davvero un tesoro a starmi accanto quando mi sento così. Non capisco cosa ci provi in me, in un'assassina... e lo so, che sono una ragazza difficile... che sono insopportabile, a momenti…”, mormorò con un filo di voce.
Lui le fece cenno di tacere: “Lo faccio con piacere, invece. Dubhe, il tuo turbamento è una cosa normalissima. Sei umana anche tu. Mi stupirei piuttosto se fossi in grado di restare fredda e impassibile mentre il passato ti tormenta in questo modo. Non sei una statua, e ti amo anche per questo. Comunque, tu sei l'unica persona che, quando ho guardato nei suoi occhi, mi ha restituito il riflesso dei miei. Sì, sei una ragazzina difficile - e qui sorrisero entrambi - però se non fosse così, non saresti tu. E se non fossi tu... come potrei amarti come ti sto amando?”
La ragazza chinò il capo, mordendosi nervosamente un labbro. “Grazie in ogni caso, allora.”
Abbozzò un sorriso, che le riuscì un pelino meglio dei precedenti. I suoi occhi si erano schiariti come il cielo estivo dopo un temporale, anche se erano ancora arrossati dal pianto. Dalle spalle rilassate e dallo sguardo calmo tranquillo, Aster capì senza problemi che, psicologicamente parlando, la Dubhe che gli stava accanto era una persona più tranquilla e fiduciosa rispetto a quella di poco prima.

Non ne valeva la pena.”
Di piangere?”
Di cercare di nasconderti. Tutti piangono.”
Io detesto piangere. Se avessi iniziato, da bambina, non avrei smesso più. E dire che sono riuscita a sopprimere i miei sentimenti per nove anni...”
Anche imparare a piangere è un modo di crescere, Dubhe.** Io ho ripreso a farlo quando ti ho conosciuta, sai? È così che funziona. Alcuni devono smettere, altri devono cominciare.”
La ladra annuì. Aster aveva ragione, come sempre. Era confortante sapere che c'era qualcuno che aveva percorso la sua stessa strada e che poteva guidarla nelle difficoltà. Se poi quel qualcuno è anche il ragazzo che amo...
Guardò per un po' il torrente, tenendo la testa ostinatamente girata nel lato opposto rispetto a dove c’era la pietra bianca. “Ho bisogno di farmi un bagno”, annunciò, in tono volutamente neutro. “Controlla che non ci sia nessuno nei dintorni, per favore.” Il mezzelfo ubbidì, e non riuscì a trattenere un sorriso. Dubhe era troppo forte per restare caduta al suolo e non rialzarsi. Lei non era fatta per le rapide scorciatoie. Non era una vittima. Lo era stata, un tempo, e aveva giurato a sé stessa che non sarebbe successo mai più. Qualcuno l'aveva violentata, allora, era passato sopra alla sua esistenza e quando aveva finito di divertirsi l'aveva gettata via come un giocattolo rotto.
Ma lei non era più una bambina indifesa.
Dubhe era una ladra, e un'assassina, e una guerriera.
E la ragazza di Aster.
Un giorno quel qualcuno avrebbe pagato.

Terminò l’incantesimo di ricerca e si voltò verso di lei: “Nessuno. Solo animali.”
La ragazza annuì. “Ok. Grazie.”
Si slacciò la cintura, poi si sfilò in fretta i vestiti, appendendoli al ramo di un albero. Il mantello svolazzante aveva un’aria vagamente spettrale, ma non ci badò. Entrò rapida nel torrente e chiuse gli occhi. Faceva freddissimo, e l’acqua era gelida, ma a cosa serve l’immortalità se non se ne approfittava in situazioni come quella? Girò il capo, inzuppandosi i capelli, poi si uncinò con le mani al greto, attendendo il momento in cui il freddo, che le pungeva la pelle come un milione di spilli, si sarebbe fatto quasi insopportabile e per poi trasformarsi in quell’assurdo tepore che tanto le piaceva. Quando questo giunse, semplicemente poggiò la testa sulla riva e smise di pensare, a tutto e a tutti, concentrandosi semplicemente sul mezzelfo accanto a lei. I suoi muscoli contratti lentamente si sciolsero. Le mani di Aster presero ad accarezzarle la schiena, e quella dolce sensazione si fondeva perfettamente con tutto il resto.
Credette d'essersi addormentata, e forse era davvero così. Il ragazzo la stava ancora accarezzando. Quando ritenne di averne avuto abbastanza - anche se per lei le coccole di Aster valevano più dell’oro - e ormai aveva la pelle delle mani e dei piedi raggrinzita per la permanenza in acqua, fece forza sulle braccia e si tirò su. Subito il mezzelfo accorse e l’avvolse nel mantello. Normalmente Dubhe gli avrebbe scherzosamente intimato di non essere stupido, ricordandogli che un po’ di freddo non aveva mai ucciso nessuno, ma ora aveva disperato bisogno di quel contatto. Era riemersa dalla palude, ma non si trovava ancora sul terreno solido. Aster parve capire e, dopo averla imbacuccata per benino nel mantello, compreso il cappuccio calato sul volto, le mise un braccio attorno alle spalle e la strinse al suo fianco.
Dubhe gli poggiò la testa sulla spalla: “Aster? Ho bisogno del tuo parere su una cosa...”

Dimmi.”
Secondo te... l'amore mi sta rendendo più debole? Una volta, non sarei mai scoppiata a piangere in questo modo, e comunque, se anche così fosse stato, non avrei voluto che tu mi vedessi. Adesso... io...”
No. Dubhe, tu sei una delle persone più forti che io abbia mai conosciuto.” Poggiò il volto sui suoi capelli. “Se ti ho capita bene...”
Ed è così”, lo interruppe lei.
...allora tu adesso hai questi... chiamiamoli 'crolli'... perchè per la prima volta in vita tua ti puoi davvero sfogare. Stai buttando fuori anni e anni di tensione accumulata e repressa, ma non c'è nulla di anormale in tutto ciò. Ti ricordi com'ero io, la prima notte alla Rocca?”
Lei annuì. Non avrebbe mai dimenticato l'intimità che avevano sperimentato quella sera, seduti sul trono di cristallo nero, a specchiarsi l'una negli occhi dell'altro e confessarsi reciprocamente le rispettive disperazioni.

Ecco. Dubhe, l'unica differenza fra me e te è che io ho avuto quarant'anni per fare la pace con quella che è stata la mia vita, mentre tu sei... uscita solo adesso dall'inferno, ma, si tratta solo questo. Un giorno sarai libera anche tu. E io ti starò accanto finchè non verrà quel giorno, e continuerò a starti accanto dopo che sarà venuto. Anche se libera, la mia vita era vuota, lo capisci? Ci sei voluta tu, per riempirla. Non sarei nulla, senza di te.”
Grazie. Ti dico grazie, perchè non ho altro modo di farti capire quanto le tue parole mi abbiano fatto bene.” Dubhe lasciò che la mano di Aster le scostasse i capelli che ricadevano sugli occhi, e quando lui le prese il volto fra le mani, non si oppose. Si lasciò baciare, a lungo e teneramente. Era incerta se aprire gli occhi, per controllare se ciò che sentiva corrispondesse al vero, o tenerli chiusi per goderselo meglio. Fu la seconda opzione a prevalere, e solo quando Aster si staccò li aprì, languidamente, quasi si stesse risvegliando da un lungo sonno. “Ti amo” sussurrò, e alle sue parole fece eco un secondo bacio. Quando anche quello ebbe fine e i due si separarono, la ragazza si sentiva decisamente meglio: “Piuttosto, dì a qualcuno che ho pianto in questa maniera, e giuro che morirai ancor prima di avere il tempo di pentirtene”, cercò di sdrammatizzare con un sorrisetto tirato.
Il mezzelfo la abbracciò più forte. Come tante persona che avevano avuto una vita dura - e Aster includeva all'elenco sé stesso - Dubhe aveva una forte propensione al sarcasmo. Era un meccanismo di difesa: senza di quello, o si andava fuori di testa, o si finiva depressi a morte per colpa della malvagità e della perversione umana che costituivano le cause fondanti della suddetta vita dura.
Quindi se faceva la spiritosa era un buon segno. Significava che l’altra Dubhe era tornata.

Ne sono sicuro”, mormorò.

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* Chambers R.W., The King in Yellow
**Francesco Dimistri, Alice nel paese della vaporità

Ho diciott'anni! Evviva!
*Aster e Dubhe cantano "Tanti auguri a te"*


 

   
 
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