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Autore: Blackbird_    13/05/2012    1 recensioni
Liverpool, 1961. Quattro giovani Beatles sono di ritorno dalla loro avventura tedesca. Ad attenderli non solo i loro vecchi amici, ma anche un turbine di novità. L'enorme successo sorprende tutti quanti, anche Ray e Sun, le due piccole "mascottes" della comitiva liverpooliana.
Dal Secondo Capitolo:
“Magari così trovate un nuovo manager che vi farà fare qualche provino per le etichette discografiche, no?” aggiunse Sun. George annuì sorridente e tornò a guardare gli altri. “Non sarebbe affatto male un provino, magari è la volta buona che sfondiamo sul serio” ammise. Come se fosse stato il cucciolo di un qualsiasi animale iniziai a carezzarlo sulla testa. “Sfonderete sicuramente e magari diventerete famosi in tutto il mondo e cambierete la storia della musica e…” “Frena, frena Ray!” mi interruppe lui ridendo “non starai correndo un po’ troppo?”.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La spiaggia era immensa. Le grandi onde si infrangevano su di essa senza fatica, spinte inesorabilmente dal forte vento, facendo un gran baccano. La sabbia era intonsa, sembrava di stare camminando sulla luna. Saranno state ore che nessuno passeggiava da quelle parti. Il terreno scuro era più soffice del solito, dovuto alle mareggiate e all’incessante pioggia dell’intera giornata. Di tanto in tanto qualche piccolo gruppo di gabbiani planava faticosamente sul bagnasciuga per riposarsi e cercare qualcosa da mangiare. Stridevano come pazzi, e se non fosse stato per loro avremmo di certo creduto di trovarci in un pianeta totalmente disabitato. Le loro erano le uniche impronte presenti sulla sabbia, oltre a quelle che stavamo creando noi. Persino il porto, sempre saturo di gente, appariva stranamente vuoto da lontano. Il cantiere navale era evidentemente chiuso perché non c’era ombra del fumo grigio che era solito uscire da quegli enormi comignoli.
Stupidamente saltellavamo da un angolo all’altro della spiaggia per smuovere la sabbia e fare più impronte possibili. Quando la terra è inesplorata, inabitata, si ha come la necessità di renderlo tuo, per dire “ei, mi dispiace non siete i primi ad aver scoperto questo paradiso, sono arrivato prima io!”. Solo tu hai la voglia e il bisogno di conoscere l’aspetto incontaminato di quel posto. Tanta è la gelosia di quel ricordo da volerlo rendere diverso a chi verrà dopo di te. Forse in futuro l’uomo farà così anche con lo spazio: scoprirlo e lasciare un proprio ricordo di sé, per le generazioni a venire.
“Ray, a cosa pensi?” mi domandò Pete mentre, pensierosa, continuavo a saltellare e a creare piccole impronte. “A quando l’uomo andrà sulla luna. Dici che farà come stiamo facendo noi qui?” risposi sorridente. Lui scoppiò a ridere “Togliti questa strana fantasia dalla testa, piccola pazza, l’uomo non andrà mai sulla luna”. Senza lasciarmi tempo di rispondere si allontanò rapidamente. Forse avevano ragione tutti quanti, la mia fantasia era decisamente sempre troppo libera.
Mi voltai verso Sun che, stranamente, non era al mio fianco. Non era arzilla come al suo solito, passeggiava svogliatamente guardando gli altri saltare. Di tanto in tanto la sua bocca si contraeva in un piccolo sorriso, ma sapevo benissimo che quella non era la mia amica. Mi fermai immediatamente e la raggiunsi. “Ehi porchetta, che cos’hai?” le chiesi prendendola sottobraccio. “Sono stanca” mi rispose sbuffando. Magari fosse stato solo quello. Ma se in quel momento preferiva non parlarne, non avevo alcuna intenzione di forzarla. Odiavo quando creava quella corazza inattaccabile attorno a sé, ma non potevo farci niente. Ridendo mi misi dietro di lei ed iniziai a spingerla “Coraggio bella addormentata nel bosco, Stump è qui vicino”. Stump, come lo chiamava gran parte della popolazione di Liverpool al di sotto dei trent’anni, era un enorme tronco portato fino in spiaggia dalle correnti di molti anni prima. Dopo essersi arenato sulla nostra battigia, nessuna tempesta era più riuscita a portarlo via. Dopo molti anni dal suo arrivo era reputato uno dei simboli della città, per noi giovani, nonché un punto di riferimento per tutti. Lo si utilizzava anche per dare indicazioni ‘porto alle spalle, poco prima di Stump’. In fondo era divertente poterlo infilare in ogni conversazione. ‘Stump di qua’, ‘Stump dillà’. Erano soprattutto i ragazzi a nominarlo spesso. Dandogli un nome un po’ ambiguo si divertivano a scherzare fra di loro con frasi a doppio senso che, spesso e volentieri, né io né Sun capivamo. E quando erano anche particolarmente in vena di scherzi, lo chiamavano Stu, prendendo in giro Stuart.
Ai piedi di Stump c’erano i resti di un falò. Evidentemente la sera precedente qualche pazzo aveva sfidato la sorte ed il meteo per stare in compagnia dei propri amici. In fondo noi non eravamo tanto lontani da quell’idea, quella sera. Sun si sedette sull’enorme tronco, divenuto quasi bianco per via della salsedine e delle insistenti precipitazioni inglesi. “Voi continuate pure, io e Sun restiamo un po’ qui” dissi sorridente agli altri. “Ehm… Ray?” era la prima volta che sentivo Paul pronunciare parola da quando era arrivato al Cavern. “Se vuoi continuare a passeggiare vai pure, faccio compagnia io a Sun”. “Sicuro?” insistetti. “Sicurissimo, stavo aspettando di arrivare qui per fermarmi comunque”. Dopo uno sguardo d’intesa con la mia amica, lasciai spazio a Paulie alla sinistra di Sun e mi affiancai a Ted che, borbottando, riprese a camminare. Né io né lui ci fidavamo troppo a lasciarli lì soli. Lui perché temeva che l’amico potesse fare il Don Giovanni con sua sorella come con tutte le ragazze che le capitavano sotto tiro, ed io perché non volevo che la mia amica si illudesse troppo. Ma, dopotutto, due chiacchiere innocenti con lui non le avrebbero di certo fatto male. Peggio di così quella sera non poteva andare, in fin dei conti.
Lungo la nostra passeggiata incontrammo due gabbiani che si contendevano un pezzo di pesce puzzolente. Molto probabilmente venivano dal porto. Chissà cosa ci trovavano di così buono in quel pezzo rancido di cibo. Magari era la cosa più buona del mondo, per loro, ma a me continuava a disgustare. Accelerai il passo fino a raggiungerli, e li guardai mentre, terrorizzati, volavano via. Il pesce era rimasto lì sulla sabbia, forse non era poi così prelibato. “Ehi Reb, perché spaventi i piccioncini?” mi urlò contro John. Mi fermai e lo guardai sconcertata. “Erano gabbiani, John”. Mi mise il braccio sulle spalle e tornò a camminare. “No, no, erano due piccioncini. Proprio come noi!”. Lo fulminai con lo sguardo e tentai con tutte le mie forze di togliermelo di dosso, con scarsi risultati. “Lennon non fare il cretino e lasciami stare”. Eravamo parecchio distanti dagli altri, forse avevo esagerato nel correre dietro a quei due stupidi uccellacci, ed ora per mia sfortuna mi ritrovavo con numero uno dei rompiscatole, senza che nessuno potesse aiutarmi. Ogni mio tentativo di liberarmi di lui fu vano. La cosa che più mi innervosiva era il fatto che, nonostante la poca resistenza che stesse facendo, riusciva comunque a sovrastarmi. E non smetteva un attimo di ridere. Se ne avessi avuto l’occasione l’avrei picchiato molto volentieri. Ma quello, ovviamente, sarebbe stato un comportamento poco consono per una dolce donzella. Dannato maschilismo inglese. Speravo davvero con tutto il cure che le donne, un giorno, avessero potuto essere alla pari degli uomini, senza dover sottostare a loro o preoccuparsi dei comportamenti poco adeguati. Così avrei potuto picchiarlo. Sarebbe successo molto spesso, poco ma sicuro.
Dopo molti minuti passati nel tentativo di liberarmi mi arresi e continuai a camminare al suo fianco esausta. “Ce l’hai fatta, finalmente. Hai molta resistenza per essere una cosina così piccola” mi canzonò il ragazzo al mio fianco. Non gli risposi e cambiò argomento. Iniziò a raccontarmi alcune delle storie che stava scrivendo. Potevo dire di tutto a quel ragazzo, tranne che non fosse creativo. Quando mi trovai a ridere di gusto per una storiella decisamente molto divertente mi resi conto che, in fondo, non avevo alcuna motivazione per rovinarmi la serata. Dopotutto mi stavo divertendo più con lui in quei momenti che a saltellare per riempire di impronte la spiaggia, insieme agli altri. “Visto che in fondo un po’ di senso dell’umorismo ce l’hai anche tu?” Stavo per replicare quando, guardando il mare e lasciando ciondolare la testa a destra e a sinistra, riprese “Mi chiedo cosa tu abbia di diverso da tutte le altre”. Lo guardai piena di interrogativi. “In genere le ragazze muoiono per i musicisti. Devi vedere ad Amburgo come ce la spassavamo!”. Tornò a ridere, evidentemente molto divertito dalla sua affermazione. “John non ho voglia di sapere i dettagli delle vostre nottate tedesche, grazie. E poi non vedo perché dovrei essere come tutte le altre”. Scrollò le spalle. “Ti conosco abbastanza per sapere quanto sei idiota e per non cedere al tuo fascino da musicista e…” “Ferma, ferma, ferma!” mi interruppe “Hai appena detto che ho fascino!”. Mi sentii avvampare. Molto probabilmente ero diventata rossa come un peperone, se non di più. Mi guardava ridendo, molto compiaciuto dall’avermi totalmente colta di sorpresa. Non capitava spesso che non avessi la risposta pronta. Boccheggiavo come un pesce fuor d’acqua alla ricerca di una qualche risposta gelida da dargli. “Ehm… bè…” “Ehi John, è inutile che ci provi con Ray! Non ci starà mai!” Mi voltai e guardai oltre il braccio di Lennon che ancora mi cingeva le spalle. Dietro di noi gli altri se la stavano ridendo come matti. “State tranquilli, ancora un po’ e vedrete come cade ai miei piedi” rispose lui, facendo loro l’occhiolino. Come pervasa da un’improvvisa furia omicida spinsi John talmente forte da togliermelo di dosso. “Vai al diavolo, idiota!” gli urlai contro, raggiungendo gli altri. Quando li fulminai con lo sguardo smisero improvvisamente tutti di ridere. Continuavo ad insultare quel cretino a voce alta, quando qualcuno mi poggiò la mano sulla spalla. “Dai Ray, si scherza” mi voltai di scatto. Paul. Sempre in mezzo nei momenti meno opportuni, era davvero così egocentrico da credere di avere le parole giuste in ogni momento? Stupido Paul. Continuavo ad urlare queste parole nella mia testa quando mi accorsi che qualcosa non andava. “Tu cosa ci fai qui? Hai lasciato Sun da sola, eh? Lo sapevo che non dovevo lasciarla con te. Possibile che tu sia così idiota?” feci dietro front e iniziai a camminare a passo sostenuto verso Stump. Dovevo capirlo da subito che quella serata sarebbe stata un disastro. Chissà in che condizioni avrei trovato la mia amica. Qualcuno mi trattenne per un braccio. Era Ted e, nonostante sua sorella si trovasse da sola seduta su un tronco sulla spiaggia nel bel mezzo della notte, aveva lo sguardo stranamente tranquillo. “Ray, datti una calmata. E’ andato Ringo a farle compagnia”. Mi pietrificai. Avevo fatto la mia solita figura. “Ah, occhei”. Teddy raggiunse gli altri e tutti quanti, ridendo come pazzi, tornarono a passeggiare verso il porto. Chissà se ridevano di me.
Silenziosamente li raggiunsi. Tenevo lo sguardo basso, e quando qualcuno provava a rivolgermi la parola lo liquidavo abilmente con uno sguardo furioso od un cenno della mano. Stavo seriamente iniziando ad odiarli tutti. Tanto per cominciare odiavo le loro risate. Non capivo cosa ci trovassero di tanto divertente in quella situazione. Odiavo Ted per avermi invitato a quella rimpatriata. Se non fosse stato per lui a quell’ora sarei stata a finire tranquillamente i compiti per la settimana successiva, come il mio solito, e mi sarei evitata un’enorme arrabbiatura e un’ancora più enorme figuraccia. Odiavo George perché, se non fosse stato per lui e la sua mania di raccontarci sempre tutto, in quel momento sarei stata a passeggiare sulla spiaggia con Sun, evitando di ascoltare le conversazioni dei ragazzi. E, nuovamente, mi sarei evitata incavolatura e successiva figuraccia. Odiavo John per avermi fatto credere, anche solo per un momento, che quella serata non fosse poi così male. Odiavo il suo stupido sorrisetto strafottente e il non riuscire mai a capire quando fosse serio e quando stesse scherzando. Odiavo Pete per averci urlato quella cosa, poco prima. Forse se non fosse stato per lui e la sua stupida mania di trovare dei doppi fini in qualsiasi cosa in quel momento sarei ancora a pensare che quella sera, dopotutto, non fosse tutta da buttare. Ma, soprattutto, odiavo me stessa. Per essere uscita, quella sera. Per aver lasciato Sun da sola. Per essere corsa a spaventare quei due maledetti gabbiani. Per essermi arresa così in fretta alla presa di Lennon e per aver riso alle sue battute. Ma, soprattutto, per aver creduto anche solo un momento di essere riuscita a risollevare la serata solo grazie ad una risata. Come era possibile che tutto quello mi fosse mancato, mentre gli altri erano ad Amburgo? Avrei dato qualunque cosa, in quel momento, per trovare una qualsiasi stupida scusa per dileguarmi dagli altri e tornarmene a casa. Qualunque cosa. Purtroppo, però, in quel momento la mia mente era impegnata a maledire chiunque e qualsiasi cosa si trovasse nell’arco di miglia.
Improvvisamente, come se le mie preghiere fossero state esaudite, iniziò a piovere. Quella fu l’unica dannatissima volta in cui ringraziai la variabilità del meteo inglese. E la sua pioggia. Come se un acquazzone fosse seriamente dannatamente divertente scoppiarono tutti a ridere e a rincorrersi sotto la pioggia. Pietrificata rimasi a guardarli, e in un attimo fui di nuovo bagnata fino alle ossa. “Oh diamine ragazzi avete una certa età per fare questi stupidi giochi sotto la pioggia, perché non torniamo a casa invece di prendercela tutta?” intimai. Per la prima volta da quando li conoscevo mi obbedirono immediatamente senza obiettare o guardarmi storto. Iniziarono a correre verso Stump ridendo, come i bambini che giocano ad evitare le gocce d’acqua. Io, soddisfatta, mi avviai dietro di loro. Correre sarebbe stato un inutile spreco di energie, tanto ormai ero bagnata completamente. Sun e Ringo erano seduti tranquillamente dentro al tronco. Dopotutto era molto comodo avere un tronco cavo nel bel mezzo della spiaggia. Li invitammo ad uscire e raggiungemmo velocemente le vetture. Come all’andata io e la mia amica eravamo sedute al sedile posteriore dell’auto di Ted, e Richard si trovava nel sedile del passeggero. Non sapevo gli altri come sarebbero tornati a casa e, francamente, non m’interessava.
“Cosa hai fatto? Sembri sconvolta” mi chiese Sun guardandomi fissa negli occhi. Con la coda dello sguardo notai che il fratello ci stava ascoltando quindi le feci un cenno con la mano, bisbigliando il mio classico “Te lo racconto la prossima volta”. Non era affatto soddisfatta della mia risposta, ma le lasciai capire che quello non era il momento adatto per parlarne. “Te cos’è successo con Paulie e Richie?”. Poggiò l’indice sulla bocca e mi indicò i due ragazzi con lo sguardo. “Te lo racconto la prossima volta” mi imitò, facendomi l’occhiolino.



Ecco qui anche il tezo capitolo! Spero vi piaccia e vi incuriosisca sempre di più :)
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Un bacio grande grande a tutti quanti
   
 
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