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Autore: Strega_Mogana    04/12/2006    1 recensioni
One-Shot scritta per il concorso sul forum di Piton con tema Halloween.
Un Severus giovane che partecipa ad una festa in costume trovando la donna che un tempo aveva amato.
Preludio di un'altra ff che sto scrivendo...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: questa one shot é stata scritta per il 10 Contest sul forum di Piton, tema: La notte di Halloween. ci saranno delle scene forse un po' incomprensibili ma che spiegherò più avanti in una FF che sto scrivendo da poco, questo é il preludio, giusto per farvi capire un poco come sono tornati insieme i due protagonisti.
Bene, buona lettura!
Commentate in tanti!
Elena

- Le due maschere -

Una stupida festa di Halloween.
Lui non voleva andarci, voleva solo starsene lì, nella sua fredda e spoglia stanza nei sotterranei, a nascondersi come un verme che striscia sottoterra. Una festa del genere con balli, musiche e costumi gli ricordava le feste che solitamente faceva con i suoi fratelli durante quelle notti. Un omaggio ai morti, un segno di rispetto per la morte che davano alle loro vittime.
E per lui, Mangiamorte poco più che ventenne, traditore e senza un futuro sereno o un passato gioioso da ricordare, quella festa era solo un macigno in più che si posava sopra il suo debole cuore che ancora continuava a battere. Debole ma pur sempre un battito.
Ma Silente era stato chiaro, deciso e soprattutto irremovibile: doveva partecipare a quella stupida sceneggiata, doveva indossare un costume che non fosse nero e una maschera che avrebbe celato il suo volto fino alla mezzanotte.
Tutto ciò era così stupido.
L’unica maschera che lui voleva indossare era quella del professore arcigno e inflessibile che indossava tutte le mattine appena sceso da letto. Quella maschera che era diventata una dolce coperta con cui nascondersi, la sua anima era troppo macchiata per mostrarla a qualcuno, il suo dolore troppo profondo per parlarne con altri, così, quel carattere impossibile che lo aveva caratterizzato fin da piccolo, lo stava plasmando nel professore odioso di Hogwarts ed ogni sera era sempre più difficile liberarsene, toglierla per tornare ad essere quello di sempre e sentire nuovamente quel dolore. Sapeva di offuscare la sua umanità, sapeva che, con il passare degli anni, quella maschera sarebbe diventata il suo vero viso, sapeva che non doveva fingere di essere qualcun altro ma non riusciva più ad esser il Severus del passato, quel ragazzino solo che non riusciva ad avere un amico, quel secchione perennemente chino sui libri che aveva trovato nell’Oscuro la risposta a tutti i suoi problemi, quel ragazzino che si é trovato in un gioco più grande di lui e che aveva deciso si uscirne. No, lui non voleva più esserlo.
Voleva solo essere Severus Piton, il mago che insegnava pozioni ad Hogwarts, a dei ragazzini stupidi che avevano solo qualche anno in meno di lui.
Con poca grazia aprì le ante del suo piccolo armadio che aveva in stanza, una stanza che lo rappresentava alla perfezione con le librerie stracolme di libri potenti ed antichi, il fuoco quasi perennemente spento, la fredda pietra delle pareti che rappresentavano la corazza di gelo che si stava faticosamente costruendo attorno, la penombra che regnava in quel luogo come la poca luca che illuminava il suo cuore che ma, presto, si sarebbe spenta e l’umidità di quei corridoi, che rappresentavano le lacrime che non avrebbe mai versato.
Con riluttanza spostò tutti gli abiti neri che aveva disposto in ordine quasi maniacale, si inginocchiò a terra e prese una scatola bianca rettangolare, una scatola che conteneva l’unico costume che aveva indossato durante una delle feste organizzate nel maniero dei Malfoy.
Sistemò la scatola sul letto e l’osservò, era bianca e, anche dopo anni, la polvere sembrava non aver danneggiato il candore della carta. Con mani lievemente tremanti alzò il coperchio e un’ondata di profumo femminile lo colpì in pieno come un pugno ben assestato nel suo stomaco. C’era un profumo femminile per il semplice motivo che era stata una donna a regalarglielo, avevano partecipato insieme a quella festa, la loro prima uscita come coppia.
Lei aveva diciotto anni e lui venti…
Un ragazzino… un ragazzino che aveva sulle spalle le colpe di un uomo.
Lei ancora una bambina ma con lo spirito della grande donna che sarebbe diventata col tempo.
Con un sospiro spostò la carta velina che proteggeva il leggero tessuto dalla polvere di tutti quegli anni, liberò il vestito d’impeccabile fattura e si alzò guardandolo meglio. Forse avrebbe dovuto allargarlo qualche punto ma non era da buttare. Accarezzò come un amante la stoffa lucente arancio e gialla che sfumava sul rosso verso le maniche e i risvolti dei pantaloni. Prese il mantello d’oro e se lo passò tra le dita, la stoffa era impalpabile come l’aria ma calda come la lana più pura. Passò i polpastrelli sulle perfette cuciture fatte con il filo d’oro e arancione, osservò i ricami luccicanti e gli ornamenti di ametista. Posò l’abito sul letto e prese l’ultimo pezzo di quel costume: la maschera. Morbida e robusta che aderiva perfettamente al volto, copriva il viso dalla punta del naso alla fronte, lasciando libera solo la bocca per parlare.
I lineamenti della maschera erano aggraziati, delicati totalmente differenti dai suoi, sulla parte superiore partivano dei raggi e delle ciocche bionde ricadevano indietro ricoprendo parte dei capelli.
Il sole, era questo che raffigurava il suo costume: il dio Demion, Dio del sole e del giorno. Il dio che portava luce e felicità dopo il periodo dei monsoni.
Non ricordava le origini di quella maschera, non ricordava il popolo che adorava il Dio sole e la Dea Luna... ricordava solo il momento in cui quella ragazzina da poco maggiorenne gli aveva regalato quel costume, come segno del suo affetto e della sua stima.
Le aveva detto che lui non era un Dio, che non era luminoso o solare, era solo Severus Piton, il Serpeverde odiato da tutti tranne che da quelli che capivano chi fosse veramente.
Ma per lei, per quella buffa ragazzina con i perfetti ricci color mogano, per lei lui era il Dio del sole, gli diceva sempre che sotto il tetro mantello nero che celava la sua figura vedeva una scintilla luminosa, la luce di una candela che brillava anche se le tenebre l’avvolgevano.
Lei era l’unica donna che riuscisse a farlo ridere di gusto.
Neppure sua madre ci era mai riuscita dacché avesse memoria.
Si vestì lentamente, cercando di prolungare quanto più possibile la sua permanenza nella sua stanza, sapeva che, prima o poi, sarebbe dovuto salire ma più tardi arrivava più restava solo e senza sguardi indiscreti, se arrivava all’inizio delle danze, i ragazzi e i suoi colleghi sarebbero stati troppo occupati per guardarlo anche se non lo avessero riconosciuto con quel vestito così sgargiante.
Si guardò allo specchio, con la maschera in mano osservando la sua figura magra nascosta dagli strati di stoffa, mentre i suoi occhi neri si perdevano lungo le linee delicate della veste ripensava alla leggenda che narrava l’amore impossibile tra il Dio sole Demion e la Dea della luna Ellera. Fratelli e amanti stavano insieme di nascosto ma quando il loro padre, il Dio supremo Thor, li aveva scoperti aveva incantato i due innamorati incendiando uno e riempiendo di ghiaccio l’altra, troppo diversi per avvicinarsi, troppo lontani per amarsi. Ma il padre non aveva pensato che c’erano dei minuti dove il sole si raffreddava e dove la luna si scaldava quel tanto che bastava per unire i due innamorati, così da quelle brevi unioni nacquero i loro due figli: Alba e Tramonto.
Era stata lei a raccontargli la leggenda regalandogli il vestito, gli aveva spiegato che aveva trovato quella storia in un vecchio libro che aveva rubato all’amico di suo fratello, quell’amico di cui in tempo era cotta, prima che conoscesse meglio lui. Il suono lontano della torre dell’orologio a nord lo riportò alla drastica realtà che stava vivendo. Non c’erano Dei, non c’erano leggende, non c’era un amore, ma solo lui, con le sue colpe, con i suoi incubi e quella stupida festa.
Con un sospiro carico di tristezza indossò la maschera facendo ben attenzione a celare il suo viso e da rendersi perfettamente irriconoscibile, lisciò le ciocche dorate sui suoi capelli neri e uscì dalla stanza.
Salì le scale facendo ben attenzione a non farsi vedere da nessuno, non voleva che qualcuno lo riconoscesse, non voleva che sapessero che Severus Piton aveva vestiti giallo canarino nel suo armadio, andava fiero di quel costume ma non voleva esser deriso, aveva subito troppe umiliazioni nel suo passato e non voleva ricominciare quel calvario.
Entrò nella sala e camminò veloce fino ai tavoli più in fondo, la Sala Grande era stata riccamente addobbata, con enormi zucche che volteggiavano per il soffitto, drappi neri e finti ragni che si calavano dalle loro grottesche ragnatele. Gli studenti già ballavano al centro della stanza, ognuno con un costume diverso, c’era una moltitudine di colori e forme, i ragazzi ridevano, ballavano si divertivano come mai nella loro giovane vita. Lui voleva solo scappare.
Non gli sembrava giusto godersi quel divertimento, non voleva stare in quella sala, non voleva divertirsi, non voleva ricordare.
Si mise a sedere al tavolino più lontano dalla pista, nella penombra di un drappo nero, si mise comodo e iniziò a guardare in modo arcigno tutti quelli che posavano lo sguardo, anche per errore, sul suo vestito o se lo guardavano in maniera dubbiosa.
- Dovresti rilassarti. – gli fece Albus alle sue spalle con in mano un delicato calice di cristallo con all’interno del succo di zucca – E’ una festa.
Severus guardò con un misto di disgusto il vestito rosso a piume che ricordava vagamente il manto di Fanny, quel barbagianni sgargiante che lo guardava in maniera torva ogni volta che metteva piede in quell’ufficio che gli faceva sempre girare la testa. Poi spostò il suo sguardo su una Minerva più allegra del solito che sfoggiava il suo vestito di seta blu con piume vere di pavone che formavano la sua lunga coda.
- Spero si strozzi con quel succo! – strinse i pugni cercano di non urlargli quella frase ma di tenerla stretta nella sua mente, in fondo Silente l’aveva salvato quando non sapeva cosa fare o dove andare.
Ma Albus lo squadrò un attimo al di sopra delle lenti a mezza luna e fece un lieve sorriso.
Aveva capito perfettamente i suoi insulti.
- Divertiti Severus. – sorrise poggiandogli una mano sulla spalla.
- Certo mi divertirò se mentre balli ti spacchi una gamba! - sospirò ricacciando indietro anche quella frase e fece un lieve, mezzo, incerto e tirato sorriso e li osservò mentre si allontanavano iniziando a ballare.
Fece un profondo respiro, doveva restare almeno fino alle undici e mezzo evitando, con una scusa che avrebbe inventato al momento, la mezzanotte e il togliersi le maschere.
Nessuno doveva vederlo con quell’abito!
Prese un calice di vino speziato da uno dei vassoi di cristallo che volteggiavano per la sala a disposizione di insegnanti e studenti.
Osservò con una lieve punta di divertimento gli studenti che cercavano di prendere i calici con il vino e il loro disappunto quando scoprivano che, la bevanda, si trasformava in semplice succo di pomodoro quando arrivava alle loro labbra.
Mandò giù una lunga sorsata della pastosa bevanda assaporandone il suo gusto dolce e il retrogusto di noce moscata che gli restava in bocca, poggiò il calice sul tavolino rotondo e si guardò attorno.
Fu allora che la vide.
Un vestito color blu notte con ricami d’argento ed incastonate piccole gemme di luce, un mantello argentato sulle spalle che richiamava il firmamento delle notte serene e la maschera. Quella maschera d’argento dai lineamenti femminili, le labbra colorate dal rossetto argenteo, le ciocche bianche che partivano dalla maschera e che scendevano lungo la sua chioma richiamando i raggi bianchi della luna.
Ellera, la Dea della Luna e della notte.
La donna di ghiaccio amante del dio di fuoco.
Lei lo vide e sorrise appena.
Raccolse un po’ le sue gonne e si avvicinò al mago.
- Sapevo che avresti indossato questo vestito. – sorrise appena mostrando un poco i denti perfettamente regolari e bianchi come l’avorio.
- Cosa ci fai qui? – domandò rudemente, forse più rudemente di quanto avrebbe voluto.
La donna voltò il viso verso la sala da ballo individuando immediatamente Silente che ballava con Minerva in un turbinio di rosso e blu.
- Albus mi ha invitato… o forse dovrei dire che mi ha obbligato… non ci volevo venire. - Perché no?
Si voltò a guardalo di nuovo, una scia dubbiosa o forse solo stupita, passò attraverso i suoi occhi.
- Perché credevo che tu non mi volessi.
- Non sono il padrone della scuola, se Silente ti invita non posso certo ordinargli di non farlo e poi… non sapevo che ti aveva invitato. Ti credevo in Germania o in un altro paese europeo.
- C’ero fino alla settimana scorsa. – ribatté con un tono seccato la donna, scosse un poco la testa sbuffando e si voltò dandogli le spalle – Lo sapevo che non dovevo venire.
Fece per allontanarsi ma Severus le prese un polso.
- Non andare. – le disse con un filo di voce – Resta con me.
Annuì solamente e andò a sedersi accanto all’uomo, restarono in silenzio per alcuni minuti osservando la sala e i ragazzi che ballavano.
- Sei sola? – domandò fingendosi disinteressato.
- E tu?
- Non hai mai perso il vizio di rispondere a delle domande con altre domande vero?
- E tu non hai mai perso il vizio di fare domande stupide vero?
- Perché sei qui?
- Per te.
Una risposta secca, precisa, quasi calcolata come lo avrebbe fatto lui, forse si aspettava quella risposta… forse ci sperava.
Si voltò e le prese una mano.
- Balliamo?
La donna fece un sorriso molto più largo, felice, speranzoso e annuì stringendo la mano del mago. Fecero i pochi passi che li dividevano dalla pista, Severus le cinse la vita con un braccio, accarezzandole la pelle sopra il vestito, quella pelle che conosceva molto bene. La sentì rabbrividire un attimo, un lampo di passione le accese le sue iridi marroni per qualche secondo, poggiò la sua mano delicata sulla sua spalla e si lasciò guidare nelle danze.
Al primo ballo se ne seguì un altro e un altro ancora fino a quando entrambi non furono esausti.
- Sono le undici e mezza. – fece la donna – Non credo che tu voglia che i tuoi studenti ti vedano con questo addosso. Usciamo.
La serata era fredda, un sottile strato di rugiada ghiacciata aveva ricoperto il prato e gli alberi avevano perso completamente le foglie. Un clima troppo rigido per invogliare le coppiette ad uscire per amoreggiare un poco.
Erano soli, sotto i portici che univano le varie parti di quell’immenso maniero, passeggiarono per alcuni minuti fino a quando lui non si fermò ricordando che lei se n’era andata lasciandolo.
- Perché? – domandò solamente, non aveva bisogno di porre tutta la domanda lei sapeva di cosa parlava.
La donna si fermò ma non si voltò, non era certa di poter sostenere il suo sguardo senza crollare.
- Ero arrabbiata.
- Con me?
- Con il mondo… con Albus… con Lui… con me stessa… sì, Severus anche con te.
- Cos’hai fatto?
- Ho cercato di arrivare a fine mese… ho fatto i lavori più squallidi ed umilianti che una strega potesse fare, ma sapevo di meritare quella fine e non mi sono mai lamentata.
- Potevi venire qui… con me…
- Silente me l’aveva proposto ma non potevo… volevo stare un po’ per conto mio.
- Potevi dirmelo, - replicò l’altro – avrei capito.
- Non è vero Severus… non avresti mai capito… tu volevi salvarti, io volevo solo vendetta.
- Sono passati tre anni da quel giorno… devi andare avanti.
La strega si voltò di scatto mostrando le lacrime che scendevano sotto la maschera.
- Andare avanti? Severus io… sono rimasta da sola… la mia famiglia è morta! Tutto è andato distrutto e per cosa? Perché ti ho seguito nei Mangiamorte! Sono sempre stata la pecora nera della famiglia non l’ho mai negato ma non posso più commettere errori. Con due falcate la raggiunse afferrandola per le spalle.
- E’ questo che sono stato un errore?
- No…- singhiozzò l’altra – non lo sei mai stato… e tornerei dai Mangiamorte se solo tu me lo chiedessi.
La baciò. Un bacio vorace una punizione per essersene andata e un perdono per esser tornata.
Quando le labbra si separarono Severus poggiò la sua fronte con quella della donna mettendo in contatto le due maschere.
- Sei qui per restare?
- Dipende solo da te.
Severus si allontanò da lei quanto bastava per levarle la maschera e mettere alla luce il suo volto ovale, la pelle lievemente abbronzata, le labbra carnose, i suoi occhi resi ancora più luminosi dal pianto, le sue iridi marroni erano come due specchi per lui. Con i pollici tirò via un po’ del trucco colato e la baciò delicatamente di nuovo. La donna si divincolò dal suo abbraccio e gli tolse la maschera liberando anche il suo volto.
- Ciao Severus. – sorrise come se vedesse per la prima volta il mago.
- Alice…
Avvertì dei passi dietro di lui, si voltò notando due studenti che erano usciti per sfidare il clima rigido dell’inverno, ma appena lo videro tornarono subito dentro per non rischiare una severa punizione.
Si voltò di nuovo ma Alice era sparita, l’unica traccia della sua presenza era la maschera a forma di luna che teneva in mano e la sua appoggiata alla colonna di pietra grigia.
Sapeva che non l’avrebbe trovata nel castello, Alice conosceva tutti i passaggi segreti a lui ignoti, conosceva ogni antro, ogni corridoio di quel castello. Se voleva sarebbe stata lei a tornare.
La mezzanotte suonò in quel preciso momento, dalla Sala Grande udì le risate degli studenti al momento di togliersi la maschera che aveva celato i loro volti per il resto delle persone. Prese la sua maschera da terra e tornò nella sua stanza, si mise a sedere pesantemente sulla sedia dietro la scrivania e osservò i due manufatti uno accanto all’altro. Prese la maschera argentata della donna e sovrappose i suoi lineamenti con quelli di Alice.
Le sue dita toccarono qualcosa di strano dietro la maschera, la voltò e trovò un biglietto attaccato sopra l’occhio destro con un po’ di nastro magico. Delicatamente staccò il rotolino di pergamena e lo srotolò.

Dipende solo da te…
Ora sai dove sono...


La porta si aprì delicatamente, Severus, il Severus quarantenne, il Severus spia e traditore, alzò il viso, la stessa donna dai boccoli castani fece capolino dallo spiraglio che si era aperta. Quando vide che non stava lavorando sorrise ed entrò nella stanza.
- Siamo in ritardo. – disse con un tono di voce sicuro di se, in mano teneva due mantelli neri come la notte.
- Lo so. – rispose meccanicamente il mago poggiando la maschera sulla sua scrivania. Alice osservò per qualche istante le due maschere che un tempo avevano segnato l’inizio del loro amore.
- Non le indossiamo da molto. – valutò con un tono triste – Mi mancano quei giorni.
- Mancano anche a me. – ammise Severus alzandosi e prendendo il mantello che la strega gli porgeva – Sono certo che torneranno.
- Forse non per noi. – disse la donna pronunciando una frase che Severus aveva celato nella sua mente ma che lei aveva trovato subito.
- Non é questo l’importante. – spiegò l’altro porgendole la maschera argentata, diversa da quella della Dea della Luna. Una maschera dai lineamenti grotteschi, inumani, malvagi.
- Diventa sempre più pesante. – mormorò Alice indossando la maschera dei Mangiamorte.
- Presto finirà tutto. – promise il mago.
Alice sorrise e prese la mano di Severus.
- Ci sta chiamando.
Velocemente uscirono dalla stanza, una candela era rimasta accesa sulla scrivania, una candela che illuminava debolmente le due maschere sul tavolo. Due maschere e il ricordo di una notte di Hallowen.
FINE
   
 
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