Mama’s Day
C’erano due tazze
in più nella credenza sopra il lavello dei Tsukino.
Due grosse tazze da latte, bianche con dei buffi coniglietti rosa; i nomi che
le decoravano dicevano che quella a destra era di Chibiusa e quella a sinistra di Chibichibi.
Ma erano due tazze
impolverate, poiché da tempo non le usava più nessuno.
*
Era
la seconda domenica di maggio, una giornata calda e silenziosa. Neo Queen Serenity era partita pochi giorni prima per un viaggio di
rappresentanza, e il sovrano l’aveva accompagnata. Small
Lady era quindi rimasta sola nel palazzo – per quanto potesse considerarsi sola circondata da guerriere,
dipendenti, governanti e istitutori.
Rattristata
dal fatto di non poter festeggiare il Mother’s Day di quell’anno insieme, la mattina Chibiusa aveva spedito a sua madre un regalo per celebrare
la festa malgrado la distanza. Ora era in attesa di una risposta che sapeva non
sarebbe mancata, e per quel giorno non aveva né obblighi, né impegni, né
doveri. Eppure fare qualsiasi cosa di quelle che preferiva le sembrava un
affronto alla giornata che ogni anno passava interamente con sua madre. Ogni
anno, meno quello.
Stesa
sul letto a lasciar correre pigramente il tempo, sentì all’improvviso bussare
alla porta. Abituata a veder entrare una cameriera ad annunciare qualcuno, si
meravigliò nel constatare che tutto taceva, e che la porta rimanesse chiusa. Credette di essersi ingannata, quando bussarono ancora. Si
alzò dal letto ed andò ad aprire.
«Tu… Cosa… Chi…
Come…», tanto sorpresa da non riuscire ad articolare
una frase sensata. «Come sei entrata?» finì col chiedere, pensando che fosse
una domanda piuttosto stupida da rivolgere a qualcuno che non si vede da tanto
tempo.
«Diciamo
che l’ingresso in casa altrui per me non è mai stato un problema…»
cantilenò l’ospite, battendosi l’ombrellino chiuso sugli stivaletti.
Chibichibi, dopo un tempo che
era sembrato infinito, le stava di nuovo davanti. Dimostrava dieci o undici
anni, la pettinatura era la stessa ma i capelli erano più lunghi; vestiva alla
marinaretta e portava con se il suo ombrellino che pareva esser cresciuto con
lei.
«Perdonami»
continuò, «immagino non ti aspettassi di vedermi di nuovo» sorrise. «Ti va di
accompagnarmi a trovare qualcuno? Non mi sembra tu oggi sia impegnata».
«Chi?»
chiese Chibiusa curiosa e ancora in poco stordita.
Il
sorriso di Chibichibi si accentuò. «La persona che
per un po’ di tempo ha fatto a entrambe da mamma…»
Chibiusa comprese
perfettamente di chi stesse parlando e anche sul suo volto si dipinse un grande
sorriso.
Mamma Ikuko.
Pensò
che, in assenza della sua vera mamma, fosse un modo davvero magnifico di
passare il Mother’s Day.
Grazie
a Pluto avevano raggiunto il ventesimo secolo atterrando dolcemente nel parco
del quartiere di Juban. Chibiusa
– vestita in modo più sobrio di quanto non usasse a palazzo – non stava più
nella pelle dall’emozione.
«È
rimasto esattamente come lo ricordavo!»
«Ricordi
anche la strada di casa?»
«Mi
stai dicendo che non la sai?», una vaga punta di panico nella voce. Mancava da
quella Tokyo da oltre cinque anni: bastava una casa intonacata di un colore
diverso, una nuova costruzione o una strada chiusa per farle perdere il senso
dell’orientamento.
«Io
so arrivare alla casa, ma non conosco la strada.»
Chibiusa aggrottò la
fronte. «Sei più enigmatica di quando ti ho incontrato la prima volta…»
«Ti
fidi?»
«Fin
ora cos’ho fatto?»
Chibichibi partì decisa e Chibiusa la seguì. Passo dopo passo, svolta dopo svolta, Chibiusa riconosceva facciate o luoghi, si rammaricava del
cambio di alcuni o si sorprendeva di altri dimenticati. Finché ad un certo
punto, notando il cartellone di una promozione in occasione del Mother’s Day appeso
fuori un negozio di fiori, un pensiero improvviso le attraversò la mente.
«Ma
io non le ho preso nulla! Non posso arrivare a mani vuote!» seguito da un altro
pensiero altrettanto improvviso «Non ho preso gli yen che mi erano avanzati! Li
ho lasciati nello zainetto a forma di coniglio!» si portò le mani al viso,
abbattuta.
Negli
spiragli di marciapiede che vedeva tra le dita comparve una banconota da 2000
yen. Si accorse che era Chibichibi a porgergliela, e
si affrettò a rifiutare.
«Non
è necessario, mi inventerò qualcosa…» sì, cosa? «non è…» si arrese,
sospirò e allungò lentamente la mano «Te li renderò fino all’ultimo yen».
Chibichibi sorrise. «Sono di Usagi»
Chibiusa li afferrò
all’istante «Mi terrò il resto» disse, con naturalezza.
Chibichibi ridacchiò e
cominciarono a chiedersi se fosse meglio cercare dei bei fiori o passare in
pasticceria.
Suonarono
alla porta di casa Tsukino nel primo pomeriggio, Chibiusa con in mano una scatola di dolci tradizionali, Chibichibi con in mano un mazzo di narcisi e gerbere rosa;
nelle tasche il resto dei soldi di Usagi equamente
diviso in due.
Venne
ad aprire proprio Usagi – una Usagi
stranamente adulta agli occhi di Chibiusa – che si concesse tutto il tempo che le serviva
per salutarle, abbracciarle e commuoversi per incontrarle finalmente di nuovo.
Non vedeva quella Chibiusa
da anni e temeva di non poterla più rivedere; Chibichibi
invece l’aveva incontrata la notte prima, ma in sogno e quasi temeva che il suo
fosse stato davvero solo un sogno.
«Mamma!
Guarda chi è arrivato apposta per te!» urlò verso l’interno della casa, facendo
entrare le due ragazzine. Ikuko le raggiunse
nell’ingresso prima che Usagi potesse accompagnarle
in salotto, con un’espressione curiosa e stupita in volto.
Le
riconobbe subito e sorrise con tutto il viso.
Chibichibi e Chibiusa si lanciarono una veloce occhiata felice l’un
l’altra: aveva funzionato.
«Quanto
siete cresciute! Che bello rivedervi!» e non fecero in tempo a dire nulla che
si ritrovarono strette in un abbraccio. «Che sciocca…»
disse poi, asciugandosi con le mani le lacrime che iniziarono a spuntarle dagli
occhi, «Sono così felice che mi viene da piangere!»
«Auguri,
mamma Ikuko!» le dissero, porgendole i dolci e i
fiori.
«Che
belli! Ma non dovevate… Faccio subito il tè e cerco
un vaso!» scappò in cucina e Usagi accompagnò le
ragazze oltre l’ingresso.
In
salotto trovarono Shingo e papà Kenji,
contenti come non mai di rivederle, e Mamoru che da
qualche anno portava al dito lo stesso anello di Usagi.
Ikuko trovò subito le loro tazze, le
sciacquò e servì il tè.
«Diteci,
come va a casa?» chiese Shingo alle sorelline,
prendendo uno dei dolci tradizionali.
Usagi, abituata a essere immune dalla
loro ipnosi, non disse nulla ma non riuscì a trattenere uno sguardo nella loro
direzione. Nelle piega delle loro labbra lesse una certa soddisfazione.
«Tutto
bene, grazie! Anzi, vi ringraziano ancora per l’ospitalità che ci avete dato»
rispose Chibiusa, ed entrambe chinarono il capo
educatamente.
Ikuko le invitò a fermarsi a cena:
avrebbe voluto si fermassero qualche giorno, ma Chibiusa
e ChibiChibi declinarono l’invito con la scusa della
scuola e della mancanza di un bagaglio. Dissero di avere un biglietto per
l’ultimo treno locale e per l’intercity notturno.
Più
tardi, mentre Usagi lavava i piatti con Chibiusa e ChibiChibi – senza
romperne nemmeno uno! –, nella privacy della cucina vuota, espresse i suoi
dubbi. Ne aveva due, partì dal più immediato.
«Dopo
aver parlato con te Chibichibi, in sogno, mi sono
sparite delle banconote dal borsellino, ne sai nulla?»
Chibichibi alla sua sinistra
posò il piatto che stava asciugando ed urlò: «Sì, mamma! Arrivo!» e aggiunse,
con un tono che sembrava pure sincero «Scusami Usa, torno subito…».
Velocemente uscì dalla cucina.
«È
diventata impertinente come te… Sei sicura che non
siate in nessun modo parenti?»
Chibiusa ridacchiò.
«Abbiamo imparato tutto da te!»
«Sono
davvero felice che siate tornate a trovarci…» disse Usagi all’improvviso, cambiando il tono di voce «Anche
perché non so quando…» Si asciugò le mani nello
strofinaccio, prese il polso sinistro di Chibiusa e
si portò la sua mano al ventre. «Sto per incontrare la te di questo secolo!»
Chibiusa sembrò capire
piano piano quel gesto, ma quando la luce della
comprensione le attraversò lo sguardo non trattenne la gioia. «Usa, ma è magnifico!»
L’abbracciò di slancio, rischiando di sbilanciare entrambe.
«Sei
la prima persona a cui lo dico! Nemmeno Mamo lo sa.»
«Mi
consolo: sei la stupida di sempre! Mi eri quasi sembrata una donna matura!»
«Tu
invece se l’antipatica di sempre!» le
rispose pizzicandole le guancie per dispetto.
«Perché
non glielo dici?», liberatasi dalle grinfie di Usagi,
Chibiusa tornò seria.
«Devo
trovare il modo giusto. Non voglio che pensi che in fondo è una persona che già
conosce…»
Chibiusa annuì lentamente e
tornò ad asciugare le pentole. Sapeva che con Mamo
non c’era di questo rischio, ma anche capiva che tutto sommato quella Usa
pasticciona che le era stata amica per tanto tempo era la mamma di quella
piccola Chibiusa di cui ancora nessuno sapeva nulla,
più che la sua. Eppure…
«Usa… Avrei dovuto portare qualcosa anche a te per il Mother’s Day, no?»
Usagi, di nuovo le mani nel lavello,
sorrise. «Mi basta la tua presenza, e averti potuta vedere un’ultima volta…»
«Oh,
giusto… Non posso incontrare il mio doppelgänger…» non ci aveva pensato. «Ma troverò un modo
per tornare!» riprese, con un’energia tutta nuova che stupì Usagi.
«Non posso non tornare più, proprio ora che posso tornare a trovare mamma Ikuko quando voglio!»
«Cosa?
A proposito,» il secondo dubbio di Usagi «cos’è questa
storia di come va a casa vostra?»
Chibiusa sorrise maliziosa.
« È solo un piano che ha funzionato.»
*
C’erano volte in
cui Ikuko, facendo la spesa, comprava un po’ troppi
dolci; altre in cui apparecchiava per cinque o sei persone pur non avendo
ospiti oppure aveva l’istinto di conservare i vecchi vestiti di Usagi pur non avendo altre figlie femmine; e altre ancora
in cui contava e ricontava le paia di ciabatte in ingresso, con la vaga
sensazione di aver dimenticato qualcosa.
E c’erano anche
volte in cui Kenji si aspettava di trovare un
giocattolo per terra malgrado i figli grandi, e altre in cui Shingo prendeva il secondo joystick della consolle anche se
sapeva che avrebbe giocato da solo.
Mentre
stavano scegliendo i fiori per Ikuko, Chibichibi aveva detto a Chibiusa:
«Che ne diresti se le facessimo un regalo che non saprà mai di aver ricevuto,
ma che apprezzerà molto più di qualsiasi fiore?»
Chibiusa aveva aggrottato
la fronte. «Cos’hai in mente?»
«Ormai
hai abbastanza potere e capacità per creare un’illusione ben più duratura della
tua permanenza» aveva cominciato, ma Chibiusa l’aveva
interrotta.
«Mi
spiace dover ricorrere alle illusioni e all’ipnosi! Mi sembra un po’ come tradirli… Tradire tutte le persone che mi vogliono bene…»
«Forse…» aveva annuito Chibichibi
«Ci ho pensato a lungo mentre vagavo alla ricerca di un posto per me. Mi sono
accorta che nella forza che mi spingeva avanti c’era anche l’amore della
famiglia di Usagi.» Aveva afferrato le mani di Chibiusa e l’aveva guardata negli occhi. «Ormai è successo:
ci siamo incontrati e ci siamo voluti bene come in una famiglia. E questo è
qualcosa che va oltre l’ipnosi, l’illusione, il tempo e lo spazio. Penso che
sia meglio amare qualcuno e saperlo lontano, piuttosto che non sapere di averlo
amato.» Aveva fatto una pausa e aveva aggiunto a bassa voce: «Meglio una lunga
illusione che privare qualcuno della memoria di un affetto, no?»
Chibiusa non aveva risposto
subito. Era rimasta colpita dalla forza che sentiva nella stretta delle mani di
Chibichibi: la forza di una guerriera, ma anche una
forza molto umana. Aveva annuito lentamente dopo parecchi istanti.
«Quando
mi chiedevo se mamma Ikuko fosse triste senza di me,
mi consolavo dicendomi che a contrario delle ragazze lei non si ricordava più
di me, quindi era per forza felice. Eppure, ogni volta che sono tornata dal
trentesimo secolo ho ritrovato la mia tazza col mio nome…»
aveva sorriso, gli occhi lucidi di qualche lacrima di commozione.
«Ci
stai? Unendo i nostri poteri possiamo creare un’illusione, una storia su di noi
tanto potente da far restare il nostro ricordo anche nelle loro menti, oltre
che nei loro cuori.»
«Ma
se non potremo più tornare, non finirà con l’essere ancora più doloroso? Prima
o poi Usagi avrà una bambina e…»
questa volta era stata Chibichibi a interromperla,
scotendo la testa con convinzione.
«Saremo
due sorelle che per qualche motivo sono state ospiti degli Tsukino:
saremo amici, parenti, ex vicini… come vuoi. Risolti
i problemi, siamo tornate dalla nostra famiglia. Penso sia un buon compromesso:
il loro affetto e quello degli amici non può scomparire con un battito di mani,
però in questo modo tutti ci penseranno felici e al sicuro. E poi, quanto alla
figlia di Usagi…» si era stretta nelle spalle «Sono
successe così tante cose imprevedibili che trovo azzardato usare le parole non potremo più tornare.»
Chibiusa aveva sospirato, «Sei
sicura di avere gli anni che dimostri?» l’aveva presa in giro, e aveva sorriso,
convinta. La sua testa non aveva più obiezioni, e ora il suo cuore poteva
seguire ciecamente quell’idea che la rendeva tanto felice: mamma Ikuko, papà Kenji, Shingo, Momoko, Kyosuke non l’avrebbero mai più dimenticata. «D’accordo! Se
fosse il contrario, se fossi io a dover soffrire la loro mancanza senza nemmeno
sapere che li ho incontrati… Bhè,
hai ragione, preferirei vivere un’illusione se fosse il prezzo per ricordarmi
di chi ho amato.»
Chibichibi le aveva lasciato
le mani, finalmente rilassata aveva sorriso felice: era un desiderio che
portava nel cuore da tempo, e solo Chibiusa – che era
nella sua stesa condizione – poteva aiutarla a realizzarlo.
«Dai,
Chibiusa. Cerchiamo i fiori migliori per decorare il
nostro vero regalo per mamma Ikuko!»
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BHA!
BUBBOLE!
Due
parole – inutili – sulla fic!
E’
una vita che ho in mente una cosa del genere, e finalmente mi sono decisa di
postarla per la Festa della Mamma di quest’anno. Auguri a tutte le mamme!
*cuoricino* Ho sempre avuto un debole per Ikuko e mi è rimasta in mente –
tra le altre scene simili – la volta nella seconda serie dell’anime in cui
porta alle ragazze in salotto una tazza in più: Chibiusa
è stata rapita dalla Luna Nera e Ikuko non si ricorda
di lei, eppure porta una tazza anche per lei. Da questo nasce questa fic.
In
realtà avrei voluto mettere molte più cose, dare una mia interpretazione di
quello che succederà dopo la fine della serie. Lo speciale che zia Naoko ha fatto uscire per il 1999 – anno del Coniglio *altro cuoricino* – se non
sbaglio partiva dal presupposto che “Usagi aveva
deciso di affidare la terra ai suoi abitanti, piuttosto che regnarvi sopra” – o
qualcosa del genere… o forse era una fanfic… – prospettiva che mi era piaciuta molto. Avrei
voluto inserirla qui, insieme a molto altro, ma poi avrei messo toppa carne al fuoco per una one-shot “su” Ikuko, quindi ho
liquidato tutto con la frase di Chibichibi: «Sono successe così tante cose imprevedibili
che trovo azzardato usare le parole non potremo più tornare». Mi sono azzardata
a lanciarci dentro solo la faccenda del doppelgänger.
(La
verità è che i viaggi nel tempo mi impanicano sempre,
quindi per il mio cervellino sarebbe molto più semplice se Chibiusa
venisse da un’altra dimensione e ci fosse una corrispondenza di “anime” come
per Tsubasa delle Clamp…
Ironico che proprio il manga che più amo, Sailor Moon, racconti di viaggi nei
tempo! ^^”)
Idealmente
colloco la storia nel 1999, anno del
coniglio, in cui, per la cronaca, la festa della mamma era il 9 maggio.
Ho
tenuto la locuzione “Mother’s Day”
perché mi faceva molto Giappolandia, quando
traslitterano anziché tradurre. Ma, a essere proprio proprio
sinceri… non so nemmeno se lo si festeggia o meno, il
Mother’s Day, in Nippolandia… Pazienza! =)
[EDIT della notte dopo XD: Ho
corretto qualche errorino, ma le parole sono rimaste 2222 *cuoricino* Ma soprattutto mi ero dimenticata di dire una cosa esistenziale, senza la quale non capisco come possiate vivere felici! (Eh?) Riguardo Chibichibi sono stata vaga perché non ho ancora finito di leggere il 12 del manga il manga e l'anime sembrano dare due versioni diverse e devo ancora capire quale preferisco! Vero che ora che lo sapete vivete meglio? =P]
Sono
2222 parole: a fic
finita l’ho aggiustata per avere un numero carino, perché ultimamente ho la
fissa del conteggio delle parole!
Volevo
pubblicarla ieri per celebrare la festa
di oggi, ma come sempre calcolo male le mie tempistiche artistiche XP
Come
al solito ho parlato troppo! E mi è pure scappato di mente un altro paio di
cose di cui volevo blaterare… Pazienza!
Se
volete lasciarmi un parere nelle recensioni, sappiate che mi farete un piacere!
A
presto!
Viki
*
Un pensiero a tutte le mamme del mondo,
soprattutto a quelle che per qualsivoglia motivo non possono stare coi loro
piccoli o grandi bambini.