Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: roxy92    13/05/2012    3 recensioni
Chi ha sbirciato la fic che ho cancellato prima avrà una vaga idea di come scrivo. Mi piacciono le cose che non piacciono alla massa, trattate in modo non ordinario. Io lo so che me le cerco, ma ognuno, quando libera la fantasia, produce i risultati più disparati. Il mio è questo.
Dal prologo:
"Quando non ricordi il tuo passato, è come se un macigno fosse sempre in procinto di caderti addosso. Ce l’hai sospeso sopra alla testa, trattenuto da un filo sottile. Il terrore che il presente sfumi come il tempo trascorso è una morsa che attanaglia lo stomaco e a tratti non fa respirare.
Se sei abbastanza forte, ore, giorni, minuti e secondi, ti scivolano addosso come se il tempo non esistesse. Le tue mani sembrano vuote ai sentimenti e ti ritrovi sempre a stringere il niente. Non hai nulla per cui vivere e nulla per cui morire."
Io mi metto alla prova nel disperato tentativo di creare qualcosa che superi almeno le più basse aspettative... Qualcuno di voi mi da una mano e mi dice che ne pensa? Anche sapere se è meglio lasciar stare... Se ne avete il coraggio, buona lettura. :)
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Piccolo, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo forse un pò strano, di passaggio. Sarà che con questo tempo strano sono tremendamente strana anche io. Com'è buffa la vita a volte.Simile a una corda che si tende e si spezza. Ok. Basta cose noiose. Si inizia. Un saluto a tutti. Spero nella vostra clemenza e ... nella vostra curiosità, ammesso che riuscirò a stuzzicarla. :)

Le aveva preso il polso e se l’era fatto passare dietro il collo. Aveva portato il braccio sotto le sue ginocchia e l’aveva sollevata facilmente: era leggera.

Mentre la portava via dal luogo dove erano svenuti i suoi nemici, si domandò il perché del loro odio.

Attorno a loro c’era ancora silenzio. I passi del guerriero e i suoi respiri erano sovrastati a malapena dagli animali che ricominciavano a zampettare nel sottobosco e dal battere delle ali degli uccelli, che si gettavano di nuovo nell’aria sicura.

Piccolo guardò la ragazza, ancora addormentata. Stranamente, non gli dava fastidio il viso di quella sulla sua spalla. Al contrario: sapere di una creatura all’apparenza fragile e in realtà pericolosa, lo inorgogliva.

In un certo senso, era davvero felice che un essere simile, come lui, avesse un legame con Namec. Non conosceva quasi nulla degli alieni che popolavano il suo pianeta d’origine, della sua gente. Presto avrebbe imparato qualcosa di più sul suo passato.

Con quella speranza l’aveva allontanata dall’obelisco, dalla cascata. L’aveva condotta in un luogo più riparato, dove nessuno avrebbe potuto disturbare il suo riposo.

“L’arte della spada non ha molte regole.”

Era una voce altera, baritonale e profonda. Erano parole di un guerriero che non ammetteva repliche e non aveva tempo da perdere con dei mocciosi.

Gli occhi scuri del suo maestro avevano il colore del cielo quando le stelle sono già spente e facevano paura come la notte. Si muoveva rapido, inquieto, come una barca in balia delle onde.

La lunga chioma dorata sbuffava a ogni suo passo come una pioggia di sole. Carezzava di tanto in tanto le else delle spade appese ai fianchi.

A differenza della maggior parte degli uomini della tribù, procedeva scalzo e non girava a torso nudo. Si diceva che fosse per nascondere un’orrenda cicatrice o un sinistro tatuaggio, qualcosa che lo sfregiava.

“In realtà, di regola ce n’è una sola…”

Tutti i suoi compagni avevano avuto paura quando quel sinistro individuò li passò in rassegna con lo sguardo, uno a uno. Lei non aveva fatto eccezione. Forse aveva tremato di più.

“…o sei abile a usare la spada o muori su di essa.”

L’unica emozione tradita con quella frase era una fredda indifferenza. Non erano certo figli suoi, quei bambini. Haldir non aveva un cuore.

I più malevoli dicevano che la cicatrice che copriva con quei vestiti, era il segno di quando glielo avevano strappato. Nessuno conosceva la storia di quel guerriero abilissimo, giovane ed alquanto eccentrico.

Per questo, le male lingue si erano premurate di costruirgliene uno oscuro. All’inizio, anche lei aveva avuto paura.

Quando il maestro la guardava con quegli zaffiri di tenebra, per lo spavento, lei neppure riusciva a respirare. Era un personaggio cattivo e nessuno si sarebbe mai aspettato che avrebbe mosso un dito per salvarli, figurarsi rischiare tanto.

“Non dovrà essere solo un’arma.”

Haldir aveva sguainato una spada e l’aveva fatta roteare con maestria.

“…dovrà essere la vostra anima.”

Aveva spiegato fermandosi proprio di fronte a lei, causandole un crampo allo stomaco. Non era stato facile, in sua presenza, imparare a dominare la paura.

Udendola agitarsi nel sonno, probabilmente preda di un incubo, Piccolo provò a scuoterla per la spalla. Si fermò solo quando riuscì a svegliarla.

“Ce ne hai messo a riprenderti.”

Esordì, incrociando le braccia al petto. Si chiese perché accidenti continuasse a stare zitta e fissarlo insistentemente.

A disagio, arrossì e le ordinò di raccontargli chi fosse. Fra tutte le risposte che avrebbe potuto avere quella proprio non se l’aspettava. Fu un sospiro, un sussurro lieve lo sciocco della sua lingua.

“Il mio nome è Galen…”

La fanciulla aveva esitato ad alzare la fronte, le sue guance erano più rosee del solito. Aveva deglutito. In presenza di quell’individuo, sembrava non riuscire a dominare le proprie emozioni.

Si portò una mano al petto, come se, così, potesse imporre il ritmo del proprio battito cardiaco. Le sembrava di essere ritornata quella bambina delicata che doveva essere stata e fissava il suo interlocutore con occhi imploranti.

Tuttavia, lo capiva benissimo di essere ancora in vita solo grazie a lui. Si fece coraggio e sostenne il suo sguardo.

“…ti ringrazio dell’aiuto…”

Di nuovo, la voce cominciò a mancarle. Non la intimidiva il tono fiero di quell’uomo. La spaventava altro.

Era dal baratro che si ritrovava al posto del proprio passato che continuava a fuggire. Svelarlo, era come dare corpo e importanza a quel pensiero, renderlo reale e, per questo, più spaventoso.

“…vorrei tanto risponderti, ma non posso. Davvero: io non so chi sono.”

Si era riavviata i capelli dietro l’orecchio ed era rimasta in attesa: di un rimprovero urlato, di un semplice commento.

Il namecciano aveva solo sbuffato e nascosto una mano sotto al proprio mantello. Aveva tirato fuori dalla tuta un rettangolo di carta che le aveva buttato ai piedi. La osservò rigirare tra le dita quell’album gualcito dall’acqua, confusa.

Rimase stranito quando si trovò costretto a spiegare il perché del suo gesto. Arrabbiato, aveva allora sciolto la posa meditativa. Aveva iniziato a sfogliare senza riguardo quei paesaggi dalle tinte ormai scolorite.

Quando aveva trovato il disegno che gli interessava, l’aveva strappato dal resto dei fogli. Glielo aveva agitato sotto al naso.

“Questo pianeta è Namec e tu lo conosci! Non mentire! Ti ho vista mentre lo disegnavi!”

Continuò per almeno un minuto a scuotere quel povero disegno finché lei, come se si fosse riavuta all’improvviso, glielo strappò di mano, si massaggiò le tempie e si decise ad esaminarlo. Piccolo si sentì fremere quando lei lo appallottolò e lo gettò nell’erba.

“E’ un posto che non esiste. Un mio stupido sogno.”

Che diritto aveva, quella, di screditare un pianeta di cui era così orgoglioso? La afferrò per le spalle e la obbligò ad alzarsi.

“Quel posto esiste ed è il pianeta da cui provengo. Tu adesso mi dici qual è il tuo legame con Namec.”

Parò senza problemi il pugno diretto al suo viso. La spinse via e la fece barcollare appena. Sentiva mille emozioni confondersi nell’aura di quella femmina, scemare in fretta la sicurezza della guerriera.

“…non esiste…”

La lasciò ripetere due o tre volte, come un disco rotto. Si girò con una morsa allo stomaco, quando vide le lacrime sfuggire con rabbia dalle sue mani bianche e dalle sue ciglia. Al momento, quella ragazza era troppo scossa per smettere di piangere.

“… se questo Namec esiste, io non ne ho ricordo.”

Restarono ancora un po’ così, incerti, entrambi a contatto con una situazione nuova e difficile da comprendere, in bilico su di un terreno sul quale era difficile muoversi.

Fu Piccolo, per primo, ad alzare le spalle e rimettersi a terra, a gambe incrociate. Il guerriero l’aveva guardata. Invece di avere notizie da lei, si era rassegnato che le avrebbe raccontato qualcosa.

Riparato dalla folta vegetazione, Haldir aveva scosso il capo, divertito. Avrebbe continuato a controllarli per qualche altro minuto, poi se ne sarebbe andato. Di tutte le cose assurde che aveva immaginato sarebbero successe, quell’incontro proprio non se l’aspettava.


  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: roxy92