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Autore: Natalja_Aljona    14/05/2012    1 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Duecentosettantasei


 

 

Duecentosettantasei

Salverò la vita del mio amore, brucerà il mio cuore di ben altro fuoco

Sarai tu coi tuoi nove anni, che mi vedi come fossi il re del mondo


Sei tu, sei tu, sei tu
Che mi hai rubato il cuore
(Sei tu, Matia Bazar)


 

Era bellissima, la mia Natal’ja.
Lo era sempre stata.

Mi chiedevo se mi sarei bruciato, passando una mano tra quei suoi capelli così biondi e luminosi, scintille di una supernova, praticamente interminabili, quasi più arruffati del solito.

Scossi la testa, ero un caso assurdamente disperato.

Solo uno stordito tredicenne greco che l’amava da morire avrebbe potuto pensare una cosa del genere.

E i suoi occhi, poi.

Dell’Egeo non avevano soltanto il colore.

Alle onde ribelli del mio Paese avevano rubato anche la consistenza, la schiuma trasparente che rimaneva tra le dita ogni volta che vi affondavo una mano.

L’azzurro che si nascondeva nel grigio, il riflesso del cielo sullo xiphos.

Io ce li avevo nel cuore, i suoi occhi.

Io li potevo sfiorare, i suoi occhi.

I suoi vestiti laceri, i suoi piedi nudi.

Lei era un angelo tradito, tradito anche dal cielo.

Il cielo le aveva lasciato i suoi colori, e poi le aveva voltato le spalle.

Io non lo sapevo, se un altro sarebbe riuscito a vederla così.

Quel Feri Desztor di Budapest, cosa pensava di lei?

Ma non volevo pensarci, in quel momento.

Lei mi guardò con quegli occhi stupendi, ancora più chiari di quando me n’ero andato, lucidi di lacrime.

E ce n’erano tante, di persone, lì intorno, ma lei guardava solo me.

E certo, mi dissi, e scoppiai a ridere.

Quand’ero diventato così cretino, esattamente?

Ma c’era un motivo, se ridevo così, senza che nessuno mi avesse parlato.

Ero il suo Georgij, io.

E l’avevano assolta.
Stavo forse sognando?

No, non abbastanza.
Con lei i sogni non bastavano.

Era un sogno anche lei.

Di quei sogni che ti bucavano il cuore come se fosse di carta, ed io avrei voluto scriverci sopra che la amavo ed era troppo vero.

C’era la Wilson, al processo, con i vestiti spiegazzati del giorno prima e i capelli color sabbia acconciati alla bell’e meglio, ma sembrava lo stesso una strega.

In realtà era bella, la Wilson, più o meno.

Era una finta bionda, però.

Non che avesse fatto cose strane con la camomilla, un po’ come le aspiranti rosse con l’henné.

Lei era bionda davvero, di nascita, ma non quanto Natal’ja.

Mai come Lys.

La Wilson, poi, non era neanche un po’ coraggiosa.

Natalys tantissimo, quasi quanto me.

Forse anche di più, ma non volevo ammetterlo.

Non potevo, era una questione d’onore.

Come potevo essere Achille, se Briseide mi soffiava il primato?

Certo che le avevo fatto prendere un bello spavento, a quella sciocca di Regan.

Non per niente era la madre di Lilì.

A Lilì, però, non volevo pensare.

Mi faceva troppo schifo, quella ragazzina.

Le donne che si lasciavano trattare come se non meritassero d’essere trattate da esseri umani, per me, andavano prese esattamente così.

Come dei maledettissimi soprammobili.
Era quello che volevano, no?

Se la sera prima, invece di andare da lei, avessi fatto quella stessa scena a un fermacarte, ovviamente non mi avrebbe risposto.

E certo, povero, quello già fermava le carte, si doveva anche beccare i miei isterismi?

Ma lei era una donna, Zeus, cos’aveva da guardarmi ancora incantata, come se le avessi chiesto di sposarmi quattro volte di seguito?
Le avevo detto le cose più terribili del mondo, e lei...

Niente, era ancora innamorata di me.

Io non la capivo, non l’avrei capita mai.
Ma la odiavo, questo era sicuro.

Aisling Willow, esattamente come sua madre, non avrebbe mai avuto il coraggio di denunciarmi.

Che le avessi distrutto la casa non poteva negarlo, però.

Veniva da pensare ai Vandali di Genserico, passando da lì.

Solo che Genserico almeno se l’era vista coi Romani, che non erano proprio degli sprovveduti, io con due donnicciole insignificanti, una delle quali si sarebbe perfino chinata a baciarmi i piedi, dopo tutti gl’insulti che le avevo gridato dietro.

Probabilmente Genserico aveva avuto più soddisfazione di me, dopo il Sacco di Roma.

Io come potevo definirla, la mia improvvisata?

Il Sacco di Casa Wilson - Willow, una cosa quasi demenziale.

Insomma, Lilì non ha detto una parola.

Solo che, sì, la perdonava, Lys.

In fondo non era successo niente, chi non tirava un pugno alla propria migliore amica, ogni tanto?

Non le aveva fatto neanche tanto male...

E questa era una bugia bella e buona, perché era rimasto il livido, anche prima che io replicassi.

Quell’anglo-turca era una bastarda anche per questo: il pugno più forte alla fine gliel’avevo tirato io, con tutto il rispetto per Natalys, che comunque ha un destro invidiabile, ma lei mica ha detto niente!

Alja l’avrebbe fatta sbattere in galera anche se le avesse spezzato un’unghia, quella lì.

E così, eravamo a questo punto.

L’avevano assolta, davvero.

Ero così felice...

E l’ho abbracciata stretta stretta, così forte da toglierle il respiro.

Me ne sono accorto perché a un certo punto mi ha tirato un calcio negli stinchi, e mi ha rifilato un paio d’insulti in polacco, o qualcosa del genere.

Ma io le volevo bene in ogni caso.

Ero felice, di quella felicità che faceva male, la vedevo e pensavo: “diavolo, ragazzina, se non ti lasci stringere fino a lasciarmi le tue ossa stampate sulla camicia mi uccidi, ne sei consapevole?”

Ero devastato da quell’incredibile amore che provavo, e non sapevo come spiegarglielo.

La mangiavo con gli occhi, sarebbe più esatto dire “spogliavo”, ma eravamo piccoli, non ero ancora così…

Beh, sì, lo ero.

E lei un po’ l’aveva capito, perché è arrossita come il cielo al tramonto, e mi ha abbracciato più delicatamente, come a dirmi di andarci piano.

E va bene, ci sarei andato piano, anche se a volte il mio dannato istinto da Spartano e da quasi quattordicenne tornava a minare l’innocenza della mia piccola Natal’ja.

Diamine, ero un disastro anche allora.

Ma avevo i brividi quando la guardavo, Santo Cielo!

E gliel’ho detto quasi per caso, distrattamente: “Andiamo a Londra, Lys?”.

Lei ha fatto un passo indietro, confusa, e la sua aria smarrita mi ha completamente dato alla testa, l’argento dei suoi occhi mi è andato di traverso, mi faceva impazzire.

Quella bambolina a momenti mi lasciava esanime sul marciapiede, e non scherzo, barcollavo.

-Cosa significa “andiamo a Londra”?-, mi ha chiesto, e sembrava sinceramente sconvolta, povera anima mia.

Eh, cosa significava?

Che andavamo a Londra, no?

Non mi sembrava neanche una proposta così indecente…

Se le avessi detto: “Andiamo a Londra, e poi, sotto il Big Ben o nella camera più bella di Buckingham Palace, lasci gentilmente che ti strappi i vestiti, perché comincio a sospettare che stai meglio senza”, allora sì, avrebbe dovuto preoccuparsi.

Ma quella domanda, seppur molto vicina ai miei desideri, me la son tenuta per me.

Perché non potevamo andare a Londra?

Con la nave di papà ci mettevamo poco, e io non c’ero mai stato, nella Capitale.

Sicuramente non avrebbe superato la mia Spárti, o Atene, ma doveva essere una città carina, tutto sommato.

Alla fine mi ha sorriso, Alja.

“Certo che ci andiamo”, ha concluso, e mi ha preso per mano.

E da quando siamo saliti sulla Magna Graecia in poi…

Zeus, è stato bellissimo.

 

Londra, 22 Dicembre 1834

 

-La spegni, allora?-

Natal’ja tirò una gomitata a George, con un cipiglio particolarmente severo.

Gee, con la diciassettesima sigaretta tra le labbra, alzò lo sguardo, stupito.

-Eh?-

-Sembra che sei innamorato di quella cosa, invece che di me-

Lui la guardò con un sorriso dolcissimo e l’aria persa, troppo innamorato.

-Sì, hai ragione-

La Siberiana ricambiò, scompigliandogli un po’ i capelli.

Quanto lo adorava, quanto…

-E, senti, quand’è che hai cominciato?-

Sembrava pensieroso, Gee.

-Uhm, avevo… Dieci anni e mezzo, sì-

Lys sgranò gli occhi.

-Scherzi?-

George scoppiò a ridere, come se lei avesse avuto la reazione più buffa del mondo.

-L’anno prossimo t’insegno, dai-

-Vedremo...-

-Theo dice che sono un attimino dipendente, ma lo sono di più da te- ammiccò poi, accarezzandole una guancia.

Lei chissà cos’aveva capito, perché arrossì furiosamente, come la protagonista di uno scandalo.

-Scordatelo-

-Non preoccuparti, tesoro... Vedrai che finiremo a passarci le sigarette in riva al mare, tra un bacio e l’altro, con i gabbiani che strillano e l’alta marea sullo sfondo-

-Guarda che l’alta marea ce le spegne, le sigarette- gli fece notare Alja.

-Sì, ma di basso basto già io, non credi?-

-A me non basti mai- sussurrò lei, un po’ timidamente -Anche se è una frase da feuilleton-

-Sarà, ma a dirlo non è quasi mai una meraviglia russa con meravigliosi capelli e meravigliosi occhi e meravigliosi nove anni che vorrei che fossero tredici per poterla, cioè, poterti, perché è di te che stiamo parlando, portare davvero in camera mia, e qui ti lascio immaginare, anche se un giorno te lo spiegherò più dettagliatamente...-

-A tredici anni ci verrò, va bene?-

-Dove?- chiese Gee, il solito stordito.

-In camera tua- sospirò Lys, roteando gli occhi -O da qualsiasi altra parte, a... Fare quello che vuoi tu-

-Hai capito la Siberiana…- commentò lui, ridendo -Mi pare grandioso... Se è quello che vuoi-

-E’ quello che vorrò tra quattro anni- replicò la biondina, sicura.

-Quasi tre...- le ricordò Gee, facendola sorridere e arrossire per la millecentesima volta.

-Adesso sai cosa facciamo, Alja? Facciamo i fidanzati normali, per una volta. Di quelli che si abbracciano sotto il Big Ben sussurrandosi cose stupide e maledettamente dolci, camminano con le mani intrecciate in riva al Thames e danno da mangiare ai piccioni, perdendosi in sospiri di meraviglia anche se quei bastardi pennuti gli beccano le dita, e… Ho reso l’idea?-

Lei alzò gli occhi al cielo, annuendo.

-Fin troppo-

E poi gli sorrise, il sorriso più meraviglioso del mondo, pensò Gee.

-Cos’avresti in mente, per cominciare?- gli chiese poi, guardandolo con sospetto.

-Assaltiamo Buckingham Palace?-

Proprio una cosa da fidanzati normali...

Questo però Lys non riuscì a dirglielo, perché scoppiò a ridere.

-E andiamo a dar da mangiare ai corvi della Tower of London, poi?-

-Oh, sì! Sai che sono bravissimi a saltare? Credo sia perché gli tagliano le ali, devono controllare i gioielli della corona... Io, se fossi in loro, me ne infilerei qualcuno sotto l’ala monca e vol…beh, salterei via-

-E se uno ci salta dietro?-

-Salterà dietro a te, semmai. Sei troppo bella, se ne accorgeranno anche quei marpioni pseudo - alati-

-Allora, Gee, facciamo così: io distraggo i corvi con il mio fascino fatale, e tu rubi i gioielli della corona…-

Lui la guardò adorante.

-Sei sempre troppo mitica, amore mio-

-Poi però me lo devi dare davvero, il bacio sotto il Big Ben-

E sul London Bridge, e a Hyde Park, e nei Kensington Gardens

-Tutti quelli che vuoi, Lys. Ma se siamo ancora alla Tower…-

-Quando torniamo, è logico-

-Logico, proprio! Allora va benissimo...-

-Sei bellissimo, Georgij...- gli confessò Natalys, con gli occhi scintillanti.

Lo guardava proprio come se fosse il re del mondo.

Il suo Re.

Gee si accigliò.

-Più di quel piccione?-

-Quale?-

-Dietro di te! Guardalo, è stupendo, è così bianco...-

-E’ un gabbiano, Gee-

-Nel centro di Londra?-

-Sì, in effetti... Come si chiamano quegli uccelletti candidi candidi, che sembrano fatti di panna, con il beccuccio sottile…-

-Pinguini?-

-Idiota, quelli stanno al Polo. Le catacombe...-

-Colombe!- quasi gridò il bel Gibson, tirandole affettuosamente i capelli -Catacombe, come ti sarà venuto in mente…-

-Che ne so... Però mi sarebbe piaciuto vedere un pinguino, anche qui a Londra-

-Sì, anche a me!- esclamò Gee, entusiasta.

E con quelle parole la strinse a sé, quasi soffocandola: aveva una stretta allucinante, quel ragazzo.

-Ti voglio troppo bene, Briseide-

Sorvolando sul soprannome, Natal’ja sospirò.

-Sai, Gee, Achille, o chiunque tu sia… Mi sa che non ce la facciamo, a fare i fidanzati normali-

 

 

 

 

 

Note

 

Salverò la vita del mio amore, brucerà il mio cuore di ben altro fuoco: Il violinista sul tetto, Roberto Vecchioni.

Sarai tu coi tuoi nove anni, che mi vedi come fossi il re del mondo: Non amo più, Roberto Vecchioni. Nell’originale sarebbe “vent’anni” e non “nove”, ma ho contestualizzato per Lys ;)

 

A questo capitolo sono maledettamente affezionata.

La prima parte è raccontata da Gee, e ci tenevo a scrivere qualcosa in prima persona, dal suo punto di vista, cercando d’immaginare come pensava lui a tredici anni -stiamo parlando di Brian George Gibson, eh ;)- , e a farlo mi sono divertita tantissimo…

Tra le righe, poi, il nostro Spartano ci ha rivelato anche l’esito del processo, e la sua proposta indecente…

E sono andati a Londra.

Io ci sono stata due anni fa, ma la mitica Tower of London l’ho vista solo da fuori, perché ci siamo andati l’ultimo giorno, il tour completo era piuttosto lungo, e avevamo il volo di ritorno nel pomeriggio…

Così son rimasta a contemplarla per non so quanto, facendomi raccontare tutto dai miei genitori, che l’hanno visitata poco dopo essersi sposati, e papà mi ha detto che c’era, appunto, un corvo che saltava dietro a mia mamma ;)

Così mi è venuta l’ispirazione per quella battuta di Gee ;)

Le loro “avventure londinesi” -che forse continueranno nell’immancabile “seconda parte”- le lascio commentare a voi ;)

Spero che vi sia piaciuto!

 

A presto ;)

Marty

  
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