Duecentosettantasei
Salverò la vita del mio amore, brucerà il mio cuore di ben
altro fuoco
Sarai tu coi tuoi
nove anni, che mi vedi come fossi il re del mondo
Sei tu, sei tu, sei tu
Che mi hai rubato il cuore
(Sei tu, Matia Bazar)
Era bellissima, la mia Natal’ja.
Lo era sempre stata.
Mi chiedevo se mi sarei bruciato,
passando una mano tra quei suoi capelli così biondi e luminosi, scintille di
una supernova, praticamente interminabili, quasi più arruffati del solito.
Scossi la testa, ero un caso
assurdamente disperato.
Solo uno stordito tredicenne greco
che l’amava da morire avrebbe potuto pensare una cosa del genere.
E i suoi occhi, poi.
Dell’Egeo non avevano soltanto il
colore.
Alle onde ribelli del mio Paese
avevano rubato anche la consistenza, la schiuma trasparente che rimaneva tra le
dita ogni volta che vi affondavo una mano.
L’azzurro che si nascondeva nel
grigio, il riflesso del cielo sullo xiphos.
Io ce li avevo nel cuore, i suoi occhi.
Io li potevo sfiorare,
i suoi occhi.
I suoi vestiti laceri, i suoi
piedi nudi.
Lei era un angelo tradito, tradito
anche dal cielo.
Il cielo le aveva lasciato i suoi
colori, e poi le aveva voltato le spalle.
Io non lo sapevo, se un altro
sarebbe riuscito a vederla così.
Quel Feri Desztor di Budapest,
cosa pensava di lei?
Ma non volevo pensarci, in quel
momento.
Lei mi guardò con quegli occhi
stupendi, ancora più chiari di quando me n’ero andato,
lucidi di lacrime.
E ce n’erano tante, di persone, lì
intorno, ma lei guardava solo me.
E certo, mi dissi, e scoppiai a
ridere.
Quand’ero diventato così cretino,
esattamente?
Ma c’era un motivo, se ridevo
così, senza che nessuno mi avesse parlato.
Ero il suo Georgij, io.
E l’avevano assolta.
Stavo forse sognando?
No, non abbastanza.
Con lei i sogni non bastavano.
Era un sogno anche lei.
Di quei sogni che ti bucavano il
cuore come se fosse di carta, ed io avrei voluto scriverci sopra che la amavo
ed era troppo vero.
C’era la
Wilson, al processo, con i vestiti spiegazzati del giorno prima e i capelli
color sabbia acconciati alla bell’e meglio, ma sembrava lo stesso una strega.
In realtà era bella, la Wilson, più o meno.
Era una finta bionda, però.
Non che avesse fatto cose strane
con la camomilla, un po’ come le aspiranti rosse con l’henné.
Lei era bionda davvero, di
nascita, ma non quanto Natal’ja.
Mai come Lys.
La Wilson, poi, non era neanche un po’ coraggiosa.
Natalys tantissimo, quasi quanto
me.
Forse anche di più, ma non volevo
ammetterlo.
Non potevo, era una questione
d’onore.
Come potevo essere Achille, se
Briseide mi soffiava il primato?
Certo che le avevo fatto prendere
un bello spavento, a quella sciocca di Regan.
Non per niente era la madre di
Lilì.
A Lilì, però, non volevo pensare.
Mi faceva troppo schifo, quella ragazzina.
Le donne che si lasciavano
trattare come se non meritassero d’essere trattate da esseri umani, per me, andavano
prese esattamente così.
Come dei maledettissimi
soprammobili.
Era quello che volevano, no?
Se la sera prima, invece di andare
da lei, avessi fatto quella stessa scena a un fermacarte, ovviamente non mi
avrebbe risposto.
E certo, povero, quello già
fermava le carte, si doveva anche beccare i miei isterismi?
Ma lei era una donna, Zeus,
cos’aveva da guardarmi ancora incantata, come se le avessi chiesto di sposarmi
quattro volte di seguito?
Le avevo detto le cose più terribili del mondo, e lei...
Niente, era ancora innamorata di me.
Io non la capivo, non l’avrei
capita mai.
Ma la odiavo, questo era sicuro.
Aisling Willow, esattamente come
sua madre, non avrebbe mai avuto il coraggio di denunciarmi.
Che le avessi distrutto la casa
non poteva negarlo, però.
Veniva da pensare ai Vandali di
Genserico, passando da lì.
Solo che Genserico almeno se l’era
vista coi Romani, che non erano proprio degli sprovveduti, io con due
donnicciole insignificanti, una delle quali si sarebbe perfino chinata a
baciarmi i piedi, dopo tutti gl’insulti che le avevo
gridato dietro.
Probabilmente Genserico aveva
avuto più soddisfazione di me, dopo il Sacco di Roma.
Io come potevo definirla,
la mia improvvisata?
Il Sacco di Casa Wilson - Willow,
una cosa quasi demenziale.
Insomma, Lilì non ha detto una
parola.
Solo che, sì, la perdonava, Lys.
In fondo non era successo niente,
chi non tirava un pugno alla propria migliore amica, ogni tanto?
Non le aveva fatto neanche tanto
male...
E questa era una bugia bella e
buona, perché era rimasto il livido, anche prima che io replicassi.
Quell’anglo-turca era una bastarda
anche per questo: il pugno più forte alla fine gliel’avevo tirato io, con tutto
il rispetto per Natalys, che comunque ha un destro invidiabile, ma lei mica ha detto niente!
Alja l’avrebbe fatta sbattere in galera anche se le avesse spezzato un’unghia, quella lì.
E così, eravamo a questo punto.
L’avevano assolta, davvero.
Ero così felice...
E l’ho abbracciata stretta stretta, così forte da toglierle il respiro.
Me ne sono accorto perché a un
certo punto mi ha tirato un calcio negli stinchi, e mi ha rifilato un paio
d’insulti in polacco, o qualcosa del genere.
Ma io le volevo bene in ogni caso.
Ero felice, di quella felicità che
faceva male, la vedevo e pensavo: “diavolo, ragazzina,
se non ti lasci stringere fino a lasciarmi le tue ossa stampate sulla camicia
mi uccidi, ne sei consapevole?”
Ero devastato da quell’incredibile
amore che provavo, e non sapevo come spiegarglielo.
La mangiavo con gli occhi, sarebbe
più esatto dire “spogliavo”, ma eravamo piccoli, non ero ancora così…
Beh, sì, lo ero.
E lei un po’ l’aveva capito,
perché è arrossita come il cielo al tramonto, e mi ha abbracciato più
delicatamente, come a dirmi di andarci piano.
E va bene, ci sarei andato piano, anche
se a volte il mio dannato istinto da Spartano e da quasi quattordicenne tornava
a minare l’innocenza della mia piccola Natal’ja.
Diamine, ero un disastro anche
allora.
Ma avevo i brividi quando la guardavo, Santo Cielo!
E gliel’ho detto quasi per caso,
distrattamente: “Andiamo a Londra, Lys?”.
Lei ha fatto un passo indietro,
confusa, e la sua aria smarrita mi ha completamente dato alla testa, l’argento
dei suoi occhi mi è andato di traverso, mi faceva impazzire.
Quella bambolina a momenti mi
lasciava esanime sul marciapiede, e non scherzo, barcollavo.
-Cosa significa “andiamo a
Londra”?-, mi ha chiesto, e sembrava sinceramente sconvolta, povera anima mia.
Eh, cosa significava?
Che andavamo a Londra, no?
Non mi sembrava neanche una
proposta così indecente…
Se le avessi detto: “Andiamo a
Londra, e poi, sotto il Big Ben o nella camera più bella di Buckingham Palace,
lasci gentilmente che ti strappi i vestiti, perché comincio a sospettare che
stai meglio senza”, allora sì, avrebbe dovuto
preoccuparsi.
Ma quella domanda, seppur molto
vicina ai miei desideri, me la son tenuta per me.
Perché non potevamo andare a
Londra?
Con la nave di papà ci mettevamo
poco, e io non c’ero mai stato, nella Capitale.
Sicuramente non avrebbe superato
la mia Spárti, o Atene, ma doveva essere una città carina, tutto sommato.
Alla fine mi ha sorriso,
Alja.
“Certo che ci andiamo”, ha
concluso, e mi ha preso per mano.
E da quando siamo saliti sulla
Magna Graecia in poi…
Zeus, è stato bellissimo.
Londra, 22 Dicembre
1834
-La
spegni, allora?-
Natal’ja
tirò una gomitata a George, con un cipiglio particolarmente severo.
Gee, con
la diciassettesima sigaretta tra le labbra, alzò lo sguardo, stupito.
-Eh?-
-Sembra
che sei innamorato di quella cosa,
invece che di me-
Lui la
guardò con un sorriso dolcissimo e l’aria persa, troppo innamorato.
-Sì, hai
ragione-
La
Siberiana ricambiò, scompigliandogli un po’ i capelli.
Quanto lo adorava, quanto…
-E,
senti, quand’è che hai cominciato?-
Sembrava
pensieroso, Gee.
-Uhm,
avevo… Dieci anni e mezzo, sì-
Lys
sgranò gli occhi.
-Scherzi?-
George
scoppiò a ridere, come se lei avesse avuto la reazione più buffa del mondo.
-L’anno
prossimo t’insegno, dai-
-Vedremo...-
-Theo
dice che sono un attimino dipendente,
ma lo sono di più da te- ammiccò poi, accarezzandole una guancia.
Lei
chissà cos’aveva capito, perché arrossì furiosamente, come la protagonista di
uno scandalo.
-Scordatelo-
-Non
preoccuparti, tesoro... Vedrai che finiremo a passarci le sigarette in riva al
mare, tra un bacio e l’altro, con i gabbiani che strillano e l’alta marea sullo
sfondo-
-Guarda
che l’alta marea ce le spegne, le sigarette- gli fece notare Alja.
-Sì, ma
di basso basto già io, non credi?-
-A me non basti mai- sussurrò lei, un po’ timidamente -Anche se è una frase da feuilleton-
-Sarà, ma
a dirlo non è quasi mai una meraviglia russa con meravigliosi capelli e
meravigliosi occhi e meravigliosi nove anni che vorrei che fossero tredici per
poterla, cioè, poterti, perché è di te che stiamo parlando, portare davvero in camera mia, e qui ti lascio
immaginare, anche se un giorno te lo spiegherò più dettagliatamente...-
-A
tredici anni ci verrò, va bene?-
-Dove?-
chiese Gee, il solito stordito.
-In camera tua- sospirò Lys, roteando gli occhi
-O da qualsiasi altra parte, a... Fare
quello che vuoi tu-
-Hai
capito la Siberiana…- commentò lui, ridendo -Mi pare grandioso... Se è quello che
vuoi-
-E’
quello che vorrò tra quattro anni- replicò la biondina, sicura.
-Quasi tre...- le ricordò Gee, facendola
sorridere e arrossire per la millecentesima
volta.
-Adesso
sai cosa facciamo, Alja? Facciamo i fidanzati normali, per una volta. Di quelli che si abbracciano sotto il
Big Ben sussurrandosi cose stupide e maledettamente
dolci, camminano con le mani intrecciate in riva al Thames e danno da
mangiare ai piccioni, perdendosi in sospiri di meraviglia anche se quei
bastardi pennuti gli beccano le dita, e… Ho
reso l’idea?-
Lei alzò
gli occhi al cielo, annuendo.
-Fin troppo-
E poi gli sorrise, il
sorriso più meraviglioso del mondo, pensò Gee.
-Cos’avresti
in mente, per cominciare?- gli chiese poi, guardandolo con sospetto.
-Assaltiamo Buckingham Palace?-
Proprio
una cosa da fidanzati normali...
Questo
però Lys non riuscì a dirglielo, perché scoppiò a ridere.
-E
andiamo a dar da mangiare ai corvi della Tower
of London, poi?-
-Oh, sì! Sai che sono bravissimi a saltare? Credo
sia perché gli tagliano le ali, devono controllare i gioielli della corona...
Io, se fossi in loro, me ne infilerei qualcuno sotto l’ala monca e vol…beh, salterei via-
-E se uno
ci salta dietro?-
-Salterà
dietro a te, semmai. Sei troppo bella, se
ne accorgeranno anche quei marpioni pseudo - alati-
-Allora,
Gee, facciamo così: io distraggo i corvi con il mio fascino fatale, e tu rubi i gioielli della corona…-
Lui la
guardò adorante.
-Sei sempre troppo mitica, amore
mio-
-Poi però
me lo devi dare davvero, il bacio sotto il Big Ben-
E sul
London Bridge, e a Hyde Park, e nei Kensington Gardens…
-Tutti
quelli che vuoi, Lys. Ma se siamo ancora alla Tower…-
-Quando torniamo, è logico-
-Logico, proprio! Allora va benissimo...-
-Sei
bellissimo, Georgij...- gli confessò Natalys, con gli occhi scintillanti.
Lo guardava proprio come se fosse
il re del mondo.
Il suo Re.
Gee si
accigliò.
-Più di quel piccione?-
-Quale?-
-Dietro
di te! Guardalo, è stupendo, è così bianco...-
-E’ un
gabbiano, Gee-
-Nel centro di Londra?-
-Sì, in effetti... Come si chiamano quegli uccelletti candidi
candidi, che sembrano fatti di panna, con il beccuccio sottile…-
-Pinguini?-
-Idiota,
quelli stanno al Polo. Le catacombe...-
-Colombe!- quasi gridò il bel Gibson,
tirandole affettuosamente i capelli -Catacombe,
come ti sarà venuto in mente…-
-Che ne
so... Però mi sarebbe piaciuto vedere un pinguino, anche qui a Londra-
-Sì,
anche a me!- esclamò Gee, entusiasta.
E con
quelle parole la strinse a sé, quasi soffocandola: aveva una stretta allucinante, quel ragazzo.
-Ti voglio troppo bene, Briseide-
Sorvolando
sul soprannome, Natal’ja sospirò.
-Sai,
Gee, Achille, o chiunque tu sia… Mi sa
che non ce la facciamo, a fare i fidanzati normali-
Note
Salverò
la vita del mio amore, brucerà il mio cuore di ben altro fuoco: Il violinista
sul tetto, Roberto Vecchioni.
Sarai tu
coi tuoi nove anni, che mi vedi come fossi il re del mondo: Non amo più,
Roberto Vecchioni. Nell’originale sarebbe “vent’anni” e non “nove”, ma ho
contestualizzato per Lys ;)
A questo
capitolo sono maledettamente affezionata.
La prima
parte è raccontata da Gee, e ci tenevo a scrivere qualcosa in prima persona,
dal suo punto di vista, cercando d’immaginare come pensava lui a tredici anni
-stiamo parlando di Brian George Gibson,
eh ;)- , e a farlo mi sono divertita tantissimo…
Tra le
righe, poi, il nostro Spartano ci ha rivelato anche l’esito del processo, e la
sua proposta indecente…
E sono
andati a Londra.
Io ci
sono stata due anni fa, ma la mitica Tower of London l’ho vista solo da fuori,
perché ci siamo andati l’ultimo giorno, il tour completo era piuttosto lungo, e
avevamo il volo di ritorno nel pomeriggio…
Così son
rimasta a contemplarla per non so quanto, facendomi raccontare tutto dai miei
genitori, che l’hanno visitata poco dopo essersi sposati, e papà mi ha detto
che c’era, appunto, un corvo che saltava dietro a mia mamma
;)
Così mi è
venuta l’ispirazione per quella battuta di Gee ;)
Le loro
“avventure londinesi” -che forse continueranno nell’immancabile “seconda
parte”- le lascio commentare a voi ;)
Spero che
vi sia piaciuto!
A presto
;)
Marty