1.
Il
fatidico giorno era arrivato. Era tanto che lo aspettava, e ora che era davvero
arrivato non riusciva a crederci. Le gambe erano molli, il cuore batteva
all’impazzata e il caldo ovattava i suoni ma non le emozioni. Un anno. Era
passato un anno dall’ultima volta che lo aveva visto, e si sentiva come
un’adolescente alle prese con la prima cotta, quando i palmi sudano e manca la
voce per la troppa emozione.
Scese
dal taxi davanti al bar a cui si erano dati appuntamento e si soffermò sulla
porta a vetri per darsi un’ultima occhiata. Come se lui non l’avesse mai vista
senza trucco o in tuta extralarge e calzettoni di lana! Sorrise al ricordo di
tutto quello che avevano condiviso negli anni e, dopo aver inspirato e espirato
profondamente, fece il suo ingresso nel locale. Era quasi l’ora di cena, e il
bar era pieno di clienti per l’aperitivo. Puntò il suo sguardo verso un tavolo
ben preciso, dove un ragazzo in camicia la stava evidentemente aspettando. Gli
si avvicinò senza rompere il contatto visivo, lasciando che i lunghi capelli
biondi svolazzassero e che buona parte degli uomini all’interno nel locale si
voltasse a guardarla. Era bellissima in quel morbido vestitino di seta celeste
che lasciava scoperte le gambe, slanciate da un paio di stivali di camoscio chiaro.
Quando
gli fu veramente vicina, il ragazzo si alzò e le si parò davanti, rivelando una
notevole differenza di altezza nonostante i tacchi di lei. Le prese la mano e
gliela baciò, continuando a tenere gli occhi incatenati a quelli di lei.
-
Ma come siamo diventati galanti…
Il
giovane sorrise e le fece cenno di sedersi di fronte a lui, dove avrebbero
potuto parlare. Si guardarono negli occhi per istanti infiniti, finché lui non
rispose alla provocazione precedente:
-
Che ti devo dire? Si cambia…
- Lo
vedo! Tutta questa galanteria, il nuovo taglio di capelli… se mi dici che hai
anche comprato una macchina al posto della moto, svengo!
Quando
lo vide grattarsi il sopracciglio destro e fare una smorfia imbarazzata,
credette di svenire davvero:
-
Stai scherzando, vero? … Michael? Hai veramente venduto la moto per una
macchina?
-
Non proprio… diciamo che ora ho sia la moto che la macchina.
-
Non ci credo. Michael su quattro ruote… incredibile.
Palesemente
preso in giro, Michael rispose con altrettanta ilarità:
- E
ti dirò di più, Maria: stai anche per farne la conoscenza!
-
Sei qui in macchina?
Michael
le sorrise sarcastico e continuò:
-
A dire il vero l’hai già vista.
-
Quando? Come? Dove?
-
E’ parcheggiata proprio qui davanti.
Maria
si voltò verso la porta a vetri e scorse solo una lunga tre volumi grigia
parcheggiata nello spazio apposito di fronte all’entrata. Non vedendo altro,
fissò la sua attenzione nuovamente su Michael:
-
Sono curiosa di vederla… ma soprattutto te guidarla. Non so quanto tempo è che
non ti vedo alla guida di una macchina…
Si
fissarono negli occhi per istanti sempre più infiniti, e le loro dita si
intrecciarono a metà strada sul tavolo del bar.
-
Quante altre cose non so di te, Michael?
La
tristezza si era impossessata degli occhi di lei, e lui cercò di porvi fine aumentando
la presa sulle sue dita:
-
Non preoccuparti, Maria, è proprio per questo che siamo qui: per raccontarci
cosa ne è stato delle nostre vite in questo anno di separazione. Proprio come
abbiamo fatto l’anno scorso e l’anno prima ancora.
-
E quello prima ancora.
-
E’ già il quarto anno?
-
Mm mm.
Michael
sapeva benissimo da quanti anni si incontravano in quello stesso bar, a quello
stesso tavolo, in quel giorno preciso, ma voleva far sorridere Maria, e sembrò
riuscirci perfettamente, perché la ragazza accennò un sorriso e con la mano
libera asciugò la lacrima che si era formata all’angolo di un occhio.
-
Come passa il tempo.
-
Già… e le cose cambiano.
-
Maria…
-
Sì, lo so che l’ho voluto io, però…
-
E’ stato un bene, Maria.
-
Hai ragione, ma le giornate come questa mi mettono un po’ di tristezza.
Maria
cercò di smorzare i toni della conversazione sorridendo, ma i suoi occhi non
sembravano essere d’accordo con la sua bocca.
-
E’ per questo che siamo qui, no? In ricordo dei vecchi tempi.
-
Giusto. Allora, cosa beviamo?
-
Mm… per me un prosecco.
Michael
alzò l’unica mano libera e chiamò la cameriera che servì loro un’ampia varietà
di salatini e che chiese:
-
Cosa posso portarvi?
-
Un prosecco per la signorina e un negroni per me.
-
Subito. Se volete, al bancone ci sono stuzzichini per tutti i gusti.
-
Va bene, grazie.
Appena
la ragazza si fu allontanata, Maria si voltò verso il ragazzo che le teneva
ancora la mano ed esclamò:
-
Ti ha mangiato con gli occhi!
-
Non è vero!
Ribatté
Michael, ammiccando un sorriso imbarazzato.
-
Avanti, Michael, non puoi non essertene accorto! Non si è resa conto della mia
presenza nemmeno quando hai parlato di una certa ‘signorina’! Era così
impegnata a sbavare che…
-
Ok, basta, mi arrendo! Hai vinto! Avevo notato qualcosa, in effetti…
-
Visto? Ti conosco troppo bene, mio caro, per non notare certe cose! Siamo stati
insieme per quanti anni… dodici? Tredici?
- Quasi
tredici.
-
E sono anche abbastanza sicura che tu hai mangiato lei con gli occhi esattamente
come lei ha mangiato te.
Michael
si grattò nuovamente il sopracciglio e cercò di sviare il discorso:
-
Andiamo a sgranocchiare qualcosa mentre aspettiamo i drink?
-
Stai scherzando, vero? E lasciare che tu venga distratto dalla cameriera di
prima? Mai e poi mai! … Posso averti tutto per me un unico giorno l’anno, e non
ho alcuna intenzione di dividerti con miss occhioni dolci!
Michael
rise di gusto, prima di guardare Maria direttamente negli occhi e rassicurarla:
-
Lo sai che l’unica donna al mondo, per me, sei tu.
Maria
sentì il rossore salirne alle guance dal collo, e per un attimo abbassò lo
sguardo, imbarazzata. Poi tornò bruscamente alla realtà:
-
Almeno oggi.
-
No, sempre. Il fatto che ci incontriamo una volta l’anno non significa che non
ti pensi o che tu non sia l’unica per me.
-
Michael…
Le
lacrime sembravano essere veramente sul punto di scendere, e solo l’arrivo
della cameriera con i loro drink le fermò. Pose il negroni davanti a Michael
fissandolo insistentemente e poi il prosecco di fronte a Maria, senza
distogliere lo sguardo da lui, che però era troppo impegnato a fissare il verde
degli occhi della ragazza seduta al suo stesso tavolo. Maria resistette alla
tentazione di inveire contro la cameriera solo perché era troppo impegnata a
perdersi nel mare di cioccolato degli occhi di Michael.
Bevvero
il contenuto dei bicchieri raccontandosi cosa era cambiato in quei
trecentosessantacinque giorni che avevano passato lontano, senza nascondersi
niente.
-
Hai veramente aperto uno studio?
-
Sì.
-
Non ci credo!
-
Grazie della fiducia.
-
No, dai… lo sai cosa voglio dire.
-
Sì, tranquilla.
-
E’ che… non so come spiegartelo… già è strano immaginarti come architetto, in
giacca e cravatta e con la ventiquattrore… addirittura con uno studio tutto
tuo…
-
Veramente non è tutto mio, sono in società con un vecchio compagno
d’università.
-
Qualcuno che conosco?
-
Forse. Ti ricordi di Josh?
-
Josh… non mi dice niente. Dovrebbe?
-
Dovresti averlo visto un paio di volte.
-
Non mi par…
-
Ma sì! Come ho fatto a non ricordarmene! È il ragazzo che ha vomitato sulla tua
gonna dopo la mia laurea!
Michael
cominciò a ridere ricordandosi di quella scena avvenuta tanti anni prima,
quando Michael e Maria erano usciti con i compagni del corso di architettura di
Michael per festeggiare i neo laureati, Michael e Josh, appunto. Erano andati
in un pub e i ragazzi avevano cominciato a fare a gara a chi beveva di più, col
risultato che Josh, gracilino, non aveva retto più di un paio di boccali di
birra e, ubriaco perso, ci aveva provato con Maria, che non aveva fatto in
tempo a respingerlo prima che il danno fosse fatto.
-
Oh mio Dio! Quel Josh?!
Continuando
a ridere, Michael continuò:
-
Esatto, proprio lui.
-
E tu ti sei messo in società con quel maleducato, odioso ragazzo così magro da
far concorrenza a un chi…
-
Michael!
Maria
si zittì all’istante quando sentì una voce maschile proveniente dalle sue
spalle chiamare Michael; vide un ragazzo alto e magro affiancarla e porgere la
mano a Michael, che si alzò e ricambiò il gesto.
-
Che ci fai qui?
-
Sono uscito con qualche amico a prendere l’aperitivo, e tu?
-
Io sono qui con Maria. Ti ricordi di lei?
Michael
la indicò, e il ragazzo la guardò senza riconoscerla; nemmeno Maria, però,
sembrava avere idea di chi fosse la persona che aveva davanti, finché Michael
non fece le presentazioni:
-
Maria, ti ricordi di lui? E’ Josh, il mio socio. Josh, ti ricordi di Maria? E’
la mia ex moglie.
Entrambi
capirono immediatamente chi si trovarono davanti e si sorrisero prima di
stringersi la mano:
-
Q-quanto tempo, Maria…
Josh
era visibilmente in imbarazzo, anche perché non capita spesso di trovare un
amico in compagnia della propria ex moglie, e soprattutto è ancora più
difficile vederli affiatati come sembravano essere Michael e Maria.
-
…non ci vediamo praticamente da quando io e Michael ci siamo laur…
Ricordandosi
improvvisamente del loro ultimo incontro, Josh si trovò ulteriormente in
imbarazzo, ma lo mascherò con una battuta:
-
Sarà meglio che stia lontano dall’alcool, allora!
Risero
tutti insieme al ricordo di un episodio successo prima che tanta acqua passasse
sotto i ponti.
-
Torno dai miei amici. È stato un piacere rivederti, Maria.
-
Anche per me, Josh.
Il
ragazzo si allontanò, e Michael e Maria tornarono a sedersi.
-
Tu conosci me esattamente come io conosco te, Maria, quindi di’ quello che stai
pensando.
-
Io?
-
Sì, tu… è inutile che cerchi di non ridere.
A
quel punto Maria scoppiò e cominciò a ridere così di gusto che le lacrime
scendevano copiose sulle due guance rosa.
-
Avanti, Maria.
La
incalzò Michael, coinvolto da quella risata senza saperne il motivo.
-
Che dire… sono felice di vedere che ha messo su qualche chilo, dai tempi del
college. Forse ora regge meglio l’alcol!
Michael
l’ammonì con lo sguardo, ma nemmeno lui riuscì a essere serio, così prese un
pezzetto di pane e glielo lanciò, incurante che fossero in un locale molto alla
moda e anche di un certo spessore.
Ancora
con le lacrime agli occhi, Michael chiese a Maria di andare:
-
Rischiamo di far tardi al ristorante, andiamo?
-
Certo.
- Vado
a pagare e torno.
Maria
aspettò Michael seduta al loro tavolo, pensando alla stranezza della loro
situazione vista da fuori: due ex che si danno appuntamento in un bar e
scherzano e ridono e si dichiarano il loro reciproco amore come fosse il loro
primo appuntamento.
In
realtà erano stati insieme quasi tredici anni, quattro dei quali come marito e
moglie, poi avevano capito e si era lasciati di comune accordo. E da allora,
ogni anno, in quello stesso giorno, si trovavano in quel bar per prendere l’aperitivo
insieme e cenare.
-
Ehi, bella addormentata.
-
Mm?
Maria
si riscosse dai suoi pensieri per vedere Michael, in piedi accanto a lei, che
l’aspettava.
-
A cosa stavi pensando?
-
A niente d’importante. Andiamo.
Uscirono
dal bar fianco a fianco, la mano di Michael appoggiata sulla schiena di Maria,
e gli sguardi di chiunque all’interno del locale rivolti verso di loro.
2.
Parcheggiarono
l’auto a qualche centinaio di metri dal ristorante e si avviarono insieme verso
l’entrata.
Michael
aprì la porta e fece entrare Maria per prima, seguendola fino al loro tavolo.
Anche quello, lo stesso da quattro anni.
Sfogliarono
il menù in silenzio, anche se Michael sapeva che Maria sarebbe scoppiata da un
momento all’altro. Non dovette infatti attendere molto:
-
Non riesco a capacitarmene… quella macchina è veramente tua?
Sempre
continuando la lettura, Michael accennò un sorriso e le rispose con un semplice
sì.
-
Ma proprio tua tua?
- Che
significa mia mia?
-
Vuol dire che l’hai comprata tu? Con i tuoi soldi? L’assicurazione è intestata
a te? …
Michael
mandò gli occhi al cielo, prima di risponderle pazientemente:
-
Sì, Maria: io sono andato dal concessionario, io ho provato vari modelli di
auto, io ho scelto quella, io l’ho pagata con i miei soldi, l’assicurazione è a
nome mio, io faccio il pieno di benzina, io la guido, io…
-
Ok, ok, ho capito.
-
Bene.
Stava
per tornare al suo menù quando Maria lo interruppe nuovamente:
-
Un’ultima cosa.
-
Cosa c’è, adesso?
Le
chiese, fintamente esasperato.
-
Ma eri nel pieno possesso delle tue facoltà mentali quando l’hai comprata?
Michael
non riuscì a evitare di ridere, e questa volta.
-
Cosa stai dicendo, Maria?
-
Non lo so, Michael. È tutto così strano… tu, da sempre appassionato di moto,
hai comprato una macchina. E poi quel genere di macchina! Voglio dire… quando
eravamo al bar e mi sono voltata… l’ho vista, parcheggiata davanti la porta a
vetri, ma credevo fosse di qualche riccone.
-
Ti sembra veramente così strano?
- Ho
questo ricordo di te che correvi con la tua moto per le strade di Roswell senza
casco, perché amavi sentire il vento in faccia, e invece, ora…
-
E tu che salivi dietro e mi urlavi di andare più piano.
Entrambi
si ricordarono quegli episodi, la sensazione dell’aria che schiaffeggiava il
volto di Michael ad alta velocità, i capelli di Maria che si annodavano
inevitabilmente, e la sensazione di calore data dalle braccia di lei avvolte
intorno al punto vita di lui.
-
Secondo me lo facevi apposta.
-
Cosa?
Chiese
lui, con aria falsamente innocente.
-
Più ti chiedevo di rallentare, più tu acceleravi.
-
Non è vero.
-
Michael… ammettilo. Sono passati tanti anni, non me la prendo più se confessi.
-
No no, ti assicuro che ti sbagli.
-
Se lo dici tu… ordiniamo?
-
Sì.
-
Però era piacevole sentirti stringere le braccia perché avevi paura…
-
Vedi che avevo ragione!
-
…specialmente i primi tempi, quando non eravamo che due adolescenti.
-
Adolescenti con gli ormoni a mille, vorrai dire.
Michael
sorrise mentre continuava a mangiare i tagliolini agli scampi:
-
In un certo senso.
-
Avanti, Michael, non fare finta di niente. Avevamo gli ormoni che chiedevano di
uscire praticamente dalla prima volta che ci siamo incrociati a scuola.
-
Maria, se tu indossi certe minigonne per andare a scuola, è ovvio che un
ragazzo con gli occhi e un po’ di cervello ti avrebbe notata.
-
Michael, se c’è una cosa che non ha niente a che vedere con la mia minigonna è
proprio il cervello!
Esasperato,
il ragazzo alzò gli occhi al cielo e le rispose scherzando:
-
E invece sentiamo, con cosa ha a che vedere?
Maria
rischiò di strozzarsi dal troppo ridere, e Michael continuò a prenderla in
giro:
-
Tutto bene?
-
Michael, queste battute a doppio senso non me le sarei mai aspettate da te.
-
Se tu mi stuzzichi, io reagisco.
Le
disse guardandola direttamente negli occhi.
-
Mi è sempre piaciuto stuzzicarti… specialmente quando non eravamo soli.
-
Lo so.
-
E quando ti grattavi il sopracciglio sapevo di aver vinto.
Mentre
Maria parlava, Michael si grattò il sopracciglio, provocando la risata
argentina di lei:
-
Esattamente come adesso.
-
Maria, non c’è bisogno che ti dica l’effetto che tu hai su di me.
-
Credo di averne una vaga idea…
-
Davvero?
-
Sì… e anche la stanza dei cancellini della Roswell High.
-
Se la metti così, allora anche buona parte della casa di tua madre, ogni
centimetro quadrato del mio vecchio appartamento, la tua macchina…
-
Ok, ok, credo di aver capito cosa vuoi dire… ma forse è il caso che la
smettiamo, prima che ci buttino fuori da questo rispettabilissimo ristorante.
Fra
una portata e l’altra, Michael e Maria continuarono a raccontarsi gli
accadimenti dell’ultimo anno:
-
E tu, cosa fai?
-
Mi occupo di relazioni pubbliche.
-
Con la tua parlantina non potevi trovare lavoro migliore.
Maria
gli fece la linguaccia prima di tornare seria e addentrarsi in un discorso che
sicuramente non avrebbe fatto piacere a Michael:
-
E’ stato Billy a propormi questo lavoro.
L’espressione
sul volto di Michael cambiò radicalmente, la forchetta rimasta a mezz’aria:
-
Billy? Quel Billy?
-
Proprio lui.
-
Quel farabutto che ha cercato di farci lasciare a pochi giorni dal nostro
matrimonio?
-
Quel Billy, sì.
Michael
si stava alterando, e Maria si pentì di avergli rivelato quel particolare in un
posto del genere, dove la gente era silenziosamente seduta di fronte a tre
bicchieri di cristallo, tre forchette, due coltelli e candelabri Swarovsky da
centinaia di dollari l’uno; forse avrebbe dovuto dirglielo più tardi, quando
fossero stati soli in camera, quando avrebbero fatto l’amore, ma non poteva, e
non voleva, rompere quell’idillio così prezioso quanto raro.
-
Lavori per lui?
-
No; lui mi ha solo presentato il capo della società. Sono amici, e quando Tom,
il capo, gli ha detto che cercava qualcuno che si occupasse delle relazioni
pubbliche, ha pensato a me.
-
Che bravo ragazzo. E non ha voluto niente in cambio?
-
Michael! Come puoi solo pensare che mi sia abbassata a tanto? Se credi che mi
venda per trovare un posto di lavoro migliore, ti sbagli di grosso… e allora,
forse, quella che si è sbagliata più di tutti in questi anni sono io, perché
non avrei mai pensato che tu potessi neanche lontanamente insinuare una cosa
del genere!
-
Maria, calmati.
Non
sembrava che le parole di Michael sortissero alcun effetto su di lei, perché
invece di tranquillizzarsi, si agitò ulteriormente:
-
Calmarmi? Stai scherzando, vero? … Michael, io sono venuta qui, stasera,
convinta di parlare con te da persona civile, e non per farmi dare della
put#ana.
-
Io non ti ho dato della put#ana. E modera i termini, non siamo al Crashdown.
Il
Crashdown. Maria provò un’improvvisa fitta allo stomaco al ricordo di com’era
tutto più semplice, ai tempi del Crashdown, quando non erano che adolescenti
che passavano il tempo insieme ai loro amici d’infanzia.
Rimasero
in silenzio per molto tempo, prima che Michael rompesse il ghiaccio e cercasse,
a suo modo, di scusarsi:
-
Maria?
-
Mm?
Grugnì
lei, ancora offesa dalle parole di poco prima.
-
Non farti fregare da Billy. È innamorato di te da sempre, e farebbe qualsiasi
cosa perché tu lo perdoni per quello che ti ha fatto.
-
Per quello che ha fatto a noi. Michael, secondo te perdonerò mai uno che ha
mandato una sciacquetta a sedurti per far saltare il nostro matrimonio?
-
E allora perché hai accettato la sua proposta di lavoro?
Maria
parve pensarci un attimo, poi, mestamente, ammise:
-
Avevo bisogno di soldi.
-
Per cosa?
-
Michael… Mia madre ha perso il lavoro, e il mio stipendio non bastava più.
Billy è capitato al momento giusto con un lavoro retribuito quasi il doppio di
quello che avevo in quel momento. Come potevo rifiutare?
Lo
sguardo di Michael si addolcì, e come aveva fatto prima al bar, allungò una
mano per prendere quella di lei e intrecciare le loro dita. Voleva trasmetterle
il suo calore e la sua forza, oltre a farle capire che era estremamente
dispiaciuto per le sue precedenti insinuazioni:
-
Perché non sei venuta da me? Avrei potuto aiutarti. E poi lo sai che ho un
debole per tua madre.
-
Sì, lo so. E lei ha un debole per te, ma…
-
Ma?
-
Michael, non è facile chiedere al proprio ex marito una cosa del genere. Molte
coppie…
-
Maria, noi ti sembriamo come molte coppie? Guardati intorno e poi rifletti su
noi due; ti rendi conto dell’assurdità della nostra situazione?
Maria
accennò un sorriso che Michael non capì:
-
Perché ridi?
-
Ti ricordi quando prima, al bar, mi hai chiesto a cosa stavo pensando?
-
Dopo aver pagato… sì, mi ricordo.
-
Pensavo esattamente quello che hai detto tu: visti dall’esterno dobbiamo
sembrare veramente due pazzi!
-
L’espressione di Josh lo confermava.
-
Decisamente.
Risero
insieme, l’armonia e la sintonia ritrovate, pronti per addentrarsi nell’ultima
parte del loro incontro.
-
Hai finito di mangiare?
-
Sì. E come ogni anno, ho mangiato troppo.
-
Andiamo, bionda, conosco un modo per farti smaltire la cena!
Come
prima al bar, Michael andò a pagare lasciando Maria al tavolo, persa nella
contemplazione di quel corpo perfetto che a breve sarebbe stato nuovamente suo,
per quel giorno.
3.
Anche la camera era la stessa da quattro anni.
Michael e Maria avevano fatto l’amore ed erano
sdraiati sotto le coperte ad ascoltare il rumore delle gocce che cadevano sul
davanzale della finestra producendo un suono rilassante.
Michael era sdraiato sul letto con la testolina bionda
di Maria appoggiata sul suo petto nudo, in silenzio e a occhi chiusi. Volevano
godersi la loro unica e ultima notte insieme, per quell’anno. La mattina dopo,
il primo dei due che si fosse svegliato se ne sarebbe andato senza svegliare
l’altro, che sarebbe rimasto lì immobile fingendo di dormire ma in realtà
impegnato a memorizzare ogni piccolo rumore prodotto e ogni traccia di profumo
lasciata dietro di sé, per mantenere vivo il ricordo almeno fino all’anno dopo.
Gli anni passati insieme, quasi tredici, avevano
portato a una reciproca conoscenza praticamente totale sotto ogni punto di vista,
e nonostante negli ultimi quattro anni si fossero visti quattro volte, non si
erano dimenticati dei bisogni e dei desideri dell’altro. Ecco perché ogni anno,
prima al bar e poi al ristorante, si svolgevano le stesse identiche scene,
cariche della tensione sessuale repressa durante la lontananza. Quando poi
arrivavano nella loro camera, entrambi tiravano fuori gli artigli e
combattevano per quell’amore che non aveva speranza al di fuori di quegli
incontri annuali, e si amavano, e si possedevano, e lottavano, e poi si amavano
di nuovo, e si graffiavano, e si mordevano, e accarezzavano per amarsi di
nuovo.
Quella volta non era stata diversa dalle precedenti:
usciti dal ristorante, erano andati alla reception dove Michael si era fatto
dare la chiave, sotto gli occhi stupiti delle persone intorno, che evidentemente
percepivano le vibrazioni emanate dalla coppia. Avevano salito le scale
lentamente, consci di quello che sarebbe successo a breve, e che era già
accaduto tantissime volte durante il loro rapporto, ma emozionati come fosse la
prima volta. Andavano adagio, assaporando la sensazione dello stomaco in
subbuglio, del senso di nausea dovuto all’ansia, del cuore che batte così forte
da temere che chiunque possa sentirlo, e dei palmi delle mani che sudano
nonostante fuori si sia fatto improvvisamente freddo.
Appena avevano oltrepassato la soglia, però, le tigri
che erano in loro e che fino a quel momento erano rimaste nascoste, avevano
preso il sopravvento, la passione era divampata imperiosa e Michael e Maria
avevano combattuto contro le ingiustizie della vita, contro una storia
destinata a sopravvivere nonostante tutto, contro un matrimonio che non doveva
finire, e contro la scia di dolore che quegli incontri si portavano dietro.
Sdraiati lì, al buio, tutto sembrava possibile. I
lampi che ogni tanto squarciavano il cielo erano ulteriori ferite infrante ai
due cuori innamorati, che riaprivano gli occhi per una frazione di secondo
sufficiente a riportarli bruscamente alla realtà di una situazione che reale
non era. Paradossale. Paradossale era l’aggettivo giusto per una relazione come
quella che coinvolgeva Michael e Maria, così innamorati eppure così
incompatibili.
Nessuno dei due avrebbe saputo dire quanto tempo erano
stati abbracciati in silenzio, persi nel calore e nella protezione del corpo dell’altro.
Ma dopo l’ennesimo lampo, e l’aumentare del rumore provocato dalla pioggia,
Maria pose a Michael la domanda che più l’avrebbe ferita:
-
Michael?
-
Mm?
-
Hai una ragazza al momento?
L’esitazione
del ragazzo fu una risposta più che sufficiente.
-
Come si chiama?
-
Maria…
Nonostante
il rapporto che si era instaurato fra loro dopo il divorzio, Michael si sentiva
a disagio a parlare di queste cose con Maria, ma lei insistette:
-
E dai! Il patto è: raccontarsi tutto.
-
Ve bene… Si chiama Sophie.
-
E com’è?
-
Carina. Fa l’agente pubblicitario a Manhattan.
Maria
sembrò metabolizzare la cosa prima di rispondere, nascondendo come meglio poté
la delusione per una risposta che aveva sperato fino all’ultimo essere negativa:
-
E’ una cosa seria?
-
Non lo so. Ci sto bene, ma non sono il tipo che fa progetti a lungo termine.
Sorrise
al ricordo del Michael sedicenne che non voleva legarsi a nessuno, e contro il
quale aveva dovuto combattere battaglie estenuanti, pur di occupare un posto
nel suo cuore. Alla fine ce l’aveva fatta, anche se poi aveva dovuto faticare
perché questo spazio che si era ricavata fosse abbastanza sicuro per lei. Ci
era riuscita, e sapeva che col tempo e nonostante quello che era successo fra
loro, lì ci sarebbe stata solo lei. Sapeva altrettanto bene che prima o poi
sarebbe stata affiancata da qualcun altro, ma nessuno avrebbe mai occupato la
sua proprietà né avrebbe ottenuto considerazione maggiore di lei.
Lo
sapeva perché lo stesso valeva per lei: Michael era Michael. Forse lui non
aveva dovuto combattere tanto quanto lei per essere accettato, ma questo non
voleva assolutamente dire, per lei, lui fosse meno importante.
Poi,
per due spiriti liberi come loro, era arrivato il matrimonio. Ed era iniziato
il lento declino.
-
E… cosa ne pensa la cara Sophie di questi nostri incontri?
-
Maria, tu farai parte della mia vita per sempre, fossimo anche a centinaia di miglia
di distanza. Nessuno potrà competere con te e con quello che tu hai significato
per me, in tutti questi anni.
-
Questo significa che le hai inventato una scusa per venire da me?
Michael
non rispose nemmeno questa volta, e Maria seppe che era una risposta positiva.
-
Riunione di lavoro?
-
Sì.
Ritornati
alla posizione originaria, sdraiati sul letto a occhi chiusi, Michael e Maria
si goderono ancora per un po’ la pace dello stare insieme, finché Maria non
ruppe nuovamente il silenzio, sovrastando con la voce il rumore del vento che
si era aggiunto al ticchettio della pioggia e della grandine:
-
Michael?
-
Mm?
-
Ricordami perché ci siamo lasciati.
- …Perché
litigavamo dalla mattina alla sera, perché la vicinanza reciproca, il vederci
ogni giorno, ci innervosiva, perché la nostra vita era diventata un inferno, perché
eravamo diventati succubi del nostro rapporto… perché l’amore a volte non
basta.
-
Già… l’amore a volte non basta.
Passarono
alcuni minuti prima che Maria parlasse di nuovo:
-
Ho sonno, Michael.
-
Buonanotte.
-
Non voglio addormentarmi… la prossima volta che aprirò gli occhi potrei dover
fare una delle cose più difficili al mondo, oppure potrei ritrovarmi sola e
sentirmi abbandonata.
-
Maria…
Sempre
a occhi chiusi, Michael strinse le braccia attorno al corpo minuto di lei e la
sentì trattenere un singhiozzo.
-
Non piangere, ti prego.
-
Michael… svegliarmi abbracciata a te e lasciarti mentre ancora dormi beato è
una sofferenza atroce.
-
Allora spera che mi svegli prima io, così sarò io a lasciare te.
-
Non sei spiritoso, Michael.
Michael
baciò la fronte di Maria, che stava ancora trattenendo a stento il pianto.
-
Buonanotte, Maria.
-
‘notte, Michael. Ti amo.
-
Anch’io. All’anno prossimo.
-
Stesso posto, stessa ora.
We’ve
got tonight,
who
needs tomorrow?