Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Evazick    14/05/2012    1 recensioni
Voleva urlare, spalancare la bocca per prendere aria, ma non ce la faceva. Li sentì raggiungere i suoi occhi e entrare nella sua testa, attraversare la sua pelle come se fosse aria per raggiungere le parti più nascoste di sé stessa, e lei rimase completamente immobile, paralizzata e senza poter far nulla per fermare quell’incubo. La parte peggiore, pensò quando divenne cieca e non riuscì più a sentire il crepitio dell’incendio, era sapere che nessuno l’avrebbe salvata.
Da qualche parte in lontananza, un corvo gracchiò.

*
Inghilterra, 1889. Pomeriggio del 13 aprile. In un bosco poco fuori Londra, una ragazza si risveglia. Non ricorda nulla di se stessa, e l’unica cosa che ha con sè è la collana che porta al collo. Vagando in cerca di un indizio sulla sua identità si rifugerà in una villa signorile, dove verrà accolta da uno spaventoso maggiordomo e da un ragazzo sfuggente e arrogante. La ragazza non sa di essere finita all’interno di una trappola tesa da un pericoloso e demoniaco ragno, e si ritroverà inconsapevolmente a far parte di un gioco che metterà in pericolo la sua stessa vita.  
Genere: Introspettivo, Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alois Trancy, Claude Faustas, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XIII. Scatole da tè, cantine e vestaglie.
 

 



Un tonfo secco e attutito in una stanza poco lontana. Un altro tonfo poco dopo, quello di un corpo che cadeva sul pavimento. La voce arrabbiata di Alois che urlava senza che lei potesse distinguere le sue parole.
Lena ascoltò per un po’ le sue urla, poi si rannicchiò nella poltrona e fece scomparire di nuovo il suo sguardo dentro il libro, cercando di lasciare i rumori fuori dalla biblioteca e dalla sua testa. Riuscì a leggere solo un paio di frasi, poi chiuse il volume sospirando e si mise ad aspettare che il ragazzo smettesse di urlare come un forsennato. Il suo umore già piuttosto precario era peggiorato da una settimana, da quella notte in cui la ragazza si era ritrovata nel corridoio buio ad ascoltare il rumore di una finestra che si infrangeva. Lui si era rifiutato di dirle cosa fosse successo esattamente, o forse non ci aveva nemmeno pensato, ma a giudicare da quello che urlava a Claude quando aveva uno dei suoi scoppi d’ira sembrava che fosse crollato il mondo, come se gli avessero portato via qualcosa di molto prezioso. Lena aveva pensato a lungo a cosa avessero potuto rubargli, ma non le veniva in mente nulla di così prezioso da farlo arrabbiare così ferocemente. La sua curiosità quasi le ordinava di provare a scoprire cosa fosse, ma l’idea di avventurarsi da sola per i corridoi della villa in cerca di un oggetto sconosciuto non la allettava molto. Meglio rimanere in un angolo ad aspettare che la tempesta fosse passata, e forse il resto sarebbe venuto da sé.
Finalmente le urla smisero di riecheggiare nel corridoio fuori dalla biblioteca, e la ragazza potè riaprire il suo libro per godersi qualche ora di calma prima che Alois finisse i suoi impegni e venisse a cercarla. Di solito aspettava con impazienza quel momento, ma da una settimana lo temeva: quando erano insieme lui era intrattabile e più suscettibile che mai, e bastava veramente poco per farlo scoppiare come una polveriera in fiamme. Era difficile anche scegliere come parlargli e comportarsi con lui, perché la stessa cosa poteva farlo reagire in modi diversi a seconda della situazione. Lena rabbrividì quando ripensò al pizzicotto più forte del solito che lui le aveva dato quando era rimasta in silenzio troppo a lungo, persa in pensieri che lui non avrebbe mai potuto vedere e conoscere. La sera non era rimasta sorpresa nel vedere che un nuovo livido si era aggiunto alla collezione sulle sue braccia. C’era da dire che lui non si arrabbiava mai con lei, o almeno, non come faceva con la servitù: non le urlava contro, non la picchiava, non le tirava oggetti addosso. Persino nell’impeto della rabbia e della pazzia sembrava ricordarsi che lei non doveva essere punita per quello che era successo (qualunque cosa fosse) e quindi cercava di contenersi quando era insieme a lei.
Provò a concentrarsi di nuovo sulla trama del romanzo e si costrinse a tornare al fianco del protagonista, ma dopo poco la sua mente vagava di nuovo su altri pensieri, lasciando il ragazzo di parole da solo al suo destino. Chiuse il libro con uno scatto e lo rimise a posto sullo scaffale, alzandosi poi dalla sedia e scendendo dal soppalco della biblioteca. Ormai quella stanza era diventato il suo rifugio durante la mattina, in quelle lunghe ore che doveva trascorrere da sola: non vi entrava quasi mai nessuno tranne lei, e il silenzio dei libri non era pesante come quello che aleggiava nel resto della villa. Fece un giro della biblioteca, sbirciando i titoli tra gli scaffali in cerca di qualcosa di nuovo e cercando di distrarsi, ma la sua mente tornò nuovamente a quella notte; se era stato rubato qualcosa probabilmente il ladro era quella figura nera in piedi sopra il lampadario, quella con in mano la valigia. Che avesse preso qualcosa di così grosso da aver bisogno di una borsa tanto grande per trasportarla? E come aveva fatto un bagaglio così grande e pesante a non intralciare la sua fuga? Ma soprattutto, chi era quella figura e cosa voleva da Alois?
Sospirò e diede un’occhiata fuori dalla finestra: nonostante la tempesta di pochi giorni prima il giardino era in piena primavera e rigoglioso come non mai. Ogni tanto le capitava di andare a fare una passeggiata con il ragazzo durante i loro pomeriggi insieme, ma lui non la trascinava più da una parte all’altra per poi perdersi: adesso tutto per lui ruotava attorno a quel maledetto furto, e sembrava aver perso interesse nel far sperdere la sua ospite in luoghi ogni volta diversi. Lena pensò con rimpianto a quei giorni, poi un’idea le venne in mente all’improvviso: e se lei avesse cercato quell’oggetto? E se fosse persino riuscita a trovarlo, avrebbe riavuto di nuovo l’attenzione di Alois e tutto sarebbe tornato come prima?
Qualcosa dentro di lei le disse che stava andando troppo veloce, che se era stato rubato non l’avrebbe mai trovato dentro la villa, ma lei non le diede ascolto e si diresse a passi veloci verso la porta della biblioteca. L’aprì lentamente, facendo attenzione a non fare rumore, e sgattaiolò nel corridoio deserto in silenzio. Guardò a destra e a sinistra senza saper bene che direzione prendere, poi, quasi involontariamente, abbassò il suo sguardo sulla collana come se si aspettasse di trovare un indizio o un’indicazione. Dovette strofinarsi gli occhi un paio di volte prima di rendersi conto che non si stava immaginando quella macchia più chiara che sembrava risplendere sul bordo destro della pietra. La guardò stupita ancora una volta, poi si voltò in quella direzione e s’incamminò lungo il corridoio senza sapere dove stesse andando. Ogni tanto abbassava lo sguardo sul ciondolo e notava una nuova macchia che le indicava una nuova direzione; si diceva sempre più spesso che forse si stava inventando tutto e stava seguendo degli indizi inesistenti, ma seguiva ogni nuova indicazione come se avesse una pianta precisa della villa davanti ai suoi occhi.
Raggiunse l’ultima tappa del suo viaggio qualche minuto dopo nella cucina vuota, quando la collana le ‘indicò’ la porta sulla parete opposta a quella da cui era entrata. Camminò lentamente verso di essa e l’aprì piano, ritrovandosi poi in cima a delle scale che scomparivano nel buio assoluto della cantina, simile a una bocca pronta a divorarla. Spaventata, Lena abbassò lo sguardo ancora una volta sulla collana, ma stavolta nessuna macchia le arrivò in aiuto: erano scomparse tutte quante non appena avevano portato a termine il loro compito, adesso toccava a lei andare avanti per trovare il premio di quella caccia al tesoro. Il suo cuore iniziò a battere più veloce in preda al panico, ma lei provò a mantenere la calma e si mise a cercare qualcosa con cui fare luce nell’oscurità; trovò un candelabro nel corridoio fuori dalla cucina, accese le due candele e, dopo aver fatto un respiro profondo, mise il piede sul primo gradino. Si aspettava di veder uscire dal buio le creature e gli incubi più disparati, ma tutto quello che vide fu solamente il gradino successivo. Si richiuse la porta alle spalle per non lasciare tracce del suo passaggio e scese lentamente gli altri scalini, con l’eco dei suoi passi che rimbombava nella stanza. Mentre scendeva osservò meglio la cantina: non era niente di particolare, solo una stanza sottoterra piena di scaffali e mobili su cui era riposto tutto quello che serviva in cucina. Niente di misterioso, niente di eccitante, niente di niente. Eppure qualcosa le diceva che stava andando nella direzione giusta, e fu solo per questo che continuò a scendere, lasciandosi avvolgere sempre di più dall’oscurità.
Una volta in fondo alle scale si fermò, dandosi un’occhiata intorno. La luce delle candele illuminava buona parte della stanza, mostrandole che non c’era niente di strano o insolito. Con un sospiro fece per voltarsi e tornare su, ma un luccichio attirò la sua attenzione. Si voltò in quella direzione, incuriosita, e si incamminò a passi lenti verso le scatolette di metallo che riflettevano le fiammelle delle candele. Ne afferrò una, sentendo il peso di qualcosa al suo interno, e osservò il disegno che raffigurava una donna a sedere sopra una falce di luna. Lesse il nome del tipo di tè che contenevano ma non riuscì a collegarlo a niente di familiare, eppure qualcosa continuava a dirle di essere nel posto giusto. Per un attimo la pietra della collana brillò di una luce intensa, per poi spengersi, e Lena fu finalmente certa di essere sulla pista giusta; qualunque cosa fosse stata rubata una settimana prima un tempo si trovava lì, in fondo a quella cantina buia. Ma perché conservare qualcosa di così prezioso in un posto simile, alla portata di tutti? Cosa le stava sfuggendo?
“Cosa state facendo qui?”
Lasciò andare di colpo la sua presa sulla scatola, facendola cadere sul pavimento con un tonfo metallico che riecheggiò nella cantina, e si voltò di scatto verso le scale: la porta era di nuovo aperta, e sulla soglia si stagliava in controluce la figura di Claude. La sua espressione era impassibile come al solito, ma i suoi occhi dorati sembravano brillare nel buio e la osservavano da dietro le lenti degli occhiali. Lena sentì dei brividi di puro terrore scenderle lungo la schiena, e fece involontariamente un passo indietro con il candelabro che le tremava in mano. “Stavo… ah… stavo…” riuscì a balbettare, incapace di distogliere lo sguardo da quei due occhi dorati. Aveva così tanta paura che si sentiva sul punto di farsela addosso e non riusciva a pensare a niente, nemmeno alla scusa più idiota e assurda. Si costrinse a non far tremare la voce e improvvisò: “Mi sono persa. Stavo passando da queste parti e mi sono ritrovata prima in cucina e poi qui sotto.”
“E stavate passeggiando per la villa in pieno giorno con un candelabro acceso in mano?”
Imprecò dentro di sé. “Non potevo scendere qui con questo buio,” gli rispose con un sorriso che tremava persino più delle fiammelle delle candele. L’uomo non replicò, continuando a fissarla dal primo gradino, immobile, l’unico ostacolo verso la luce. La ragazza provò a fare un altro passo indietro, ma il suo piede colpì qualcosa di metallico; stupita, abbassò lo sguardo, sfuggendo a quei due occhi dorati, e mormorò un’imprecazione tra sé e sé quando vide che la scatoletta di poco prima aveva rovesciato tutto il suo contenuto per terra. Si inginocchiò su un ginocchio sul pavimento, appoggiò il candelabro per terra e cercò di rimettere tutto a posto, ma era difficile vedere le foglie di tè con quella poca luce. Come rimedio a questo casino? Come diavolo…
“Lasciate, ci penso io.” Alzò lo sguardo, sorpresa da quella voce così vicina a lei, e quasi cadde a sedere quando si ritrovò il volto di Claude a pochi centimetri dal suo. L’istinto le urlò di alzarsi in piedi e correre via, ma lei rimase lì, paralizzata dal terrore, mentre osservava il maggiordomo che cercava di riparare al suo danno. Era in cima alle scale poco fa, come ha fatto a scendere così in fretta? Perché non ho sentito i suoi passi? si chiese urlando le sue domande in un modo che non poteva fare all’esterno. Fissava con insistenza e paura l’uomo, che alzò lo sguardo verso di lei soltanto dopo, freddo e impassibile. “Il danna-sama non riusciva a trovarvi da nessuna parte e mi ha mandato a cercarvi. Credo che fareste meglio a raggiungerlo.”
Annuì lentamente, pensando con un barlume di lucidità che non sarebbe stata mai più così d’accordo con Claude, e si alzò in piedi senza mai distogliere lo sguardo da lui. Si avviò a passi lenti verso le scale, ma non le sfuggì l’ultima occhiata piena di odio puro che lui le rivolse e che le fece scorrere altri brividi lungo la schiena. Salì i gradini uno alla volta, senza mai voltarsi indietro, senza mai accelerare il passo, lasciando la porta della cantina aperta e uscendo dalla cucina in silenzio. Una volta da sola non si diede nemmeno il tempo di riprendere fiato e cominciò nel corridoio per andarsene il più lontano possibile dalla cantina, dal segreto che aveva custodito fino a poco tempo prima e da quell’inquietante maggiordomo. Corse svoltando ad ogni angolo senza avere idea della sua meta, e finì tra le braccia di Alois per puro caso. Entrambi rimasero sorpresi da quel contatto improvviso e inaspettato e Lena sentì le sue guance andare a fuoco mentre si staccava dal corpo del ragazzo per cercare di darsi un contegno. Lui non fece alcuna battuta, limitandosi a guardarla severo. “Si può sapere dov’eri finita? Ti ho cercata dappertutto ma non riuscivo a trovarti, ho persino mandato Claude a cercarti!”
“Mi dispiace,” mormorò lei a testa bassa. “Scusa, non volevo farti preoccupare.”
Una scintilla strana brillò negli occhi nel biondo per un attimo, ma la ragazza vide lo stesso che lui era soddisfatto di quelle scuse in modo tremendamente crudele. Le rivolse un sorriso stanco e non molto amichevole e la prese per mano. “Non importa. Dai, andiamo a divertirci.”
 

***

 
Alla fine Alois gliel’aveva detto. Per quanto le sembrasse impossibile la verità era venuta a galla ed era stato proprio lui a vuotare il sacco senza tanti giri di parole.
Lena ripensò a quel momento quella sera stessa, sdraiata sul suo letto in camicia da letto con il suo quaderno davanti a lei sul cuscino. Hannah era venuta ad aiutarla a sistemarsi per la notte da circa mezz’ora abbondante, ma lei era ancora sveglia per mettere in ordine i suoi pensieri confusi prima di immergersi nei suoi incubi. Aveva chiesto alla cameriera di lasciare sul comodino il candelabro con le candele accese – la scusa era stata ‘Per non ritrovarmi nel buio se mi dovessi svegliare di notte’ – e adesso approfittava di quella luce per scrivere alcuni appunti e ripensare a quel pomeriggio.
Erano sdraiati sul letto in camera di Alois quando lui gliel’aveva detto. Erano in silenzio da parecchio tempo, dall’ultima volta in cui lui aveva aperto bocca, e la ragazza stava aspettando che lui iniziasse di nuovo a parlare; non voleva essere lei a dire qualcosa per prima, aveva paura della reazione del ragazzo e i brividi di paura che la seguivano dalla cantina non l’avevano ancora abbandonata del tutto. Non aveva dovuto aspettare a lungo, per fortuna, perché dopo pochi minuti lui le aveva detto, senza abbassare lo sguardo dal soffitto: “È strano che tu non mi abbia ancora chiesto perché mio zio sia venuto a trovarci un po’ di giorni fa. Di solito mi sommergi di domande quando non sai qualcosa.”
Lena aveva evitato di ricordargli che glielo aveva chiesto più e più volte senza mai ricevere una risposta, e si era limitata a scrollare le spalle come se nemmeno lei sapesse il perché del suo strano comportamento. “C’entra qualcosa con i tuoi genitori?” gli aveva chiesto.
“Più o meno.” Si era tolto l’anello ed aveva iniziato a passarselo da una mano all’altra. “Quel vecchio schifoso crede che io non sia veramente loro figlio. Ha persino chiamato un prete e quell’imbecille di Druitt per dimostrare che aveva ragione.” La rabbia nella sua voce era aumentata e lui aveva fatto per scagliare l’anello contro la porta, poi si era trattenuto. La ragazza si era messa a sedere e l’aveva guardato con gli occhi verdi spalancati, chiedendosi se avesse sentito bene o no. Lui si era accorto della sua reazione e aveva abbozzato un sorriso. “Mi hanno rapito poco dopo la mia nascita e mi hanno portato in un villaggio sperduto nel nulla, lontano da Londra. Mia madre è morta di dolore poco tempo dopo e mio padre mi ha ritrovato poco prima di morire anche lui. Non c’è alcun bisogno di vere prove, io so chi sono.” Aveva riso quando aveva visto l’espressione scettica della sua ospite, e l’aveva guardata come se avesse potuto vedere dentro la sua anima. “Tu mi credi, Lena?”
Non gli aveva risposto, concedendogli il beneficio del dubbio. Le sue parole erano state troppo fredde, sembrava quasi che le ripetesse da anni senza mai cambiarle, e nei suoi occhi non era apparsa alcuna traccia di lacrime. Ma non era stato solo quello a farla rimanere in silenzio, scioccata, perché, mentre Alois rideva, aveva notato qualcosa dentro la sua bocca, sulla sua lingua, che in teoria non avrebbe dovuto esserci. Qualcosa che non aveva mai visto prima d’ora ma che le aveva fatto correre dei brividi lungo la schiena, gli stessi che aveva sentito poche ore prima in cantina.
Quando riemerse dai suoi pensieri, Lena si accorse di aver disegnato involontariamente il simbolo che aveva visto sulla lingua del ragazzo, una stella rovesciata a cinque punte inscritta dentro un cerchio perfetto. Rabbrividì ancora quando lo rivide, e si chiese cosa significasse e perché si trovasse sulla sua lingua; guardò il disegno per un’ultima volta e poi iniziò a cancellarlo finchè sulla pagina non rimase altro che una grande macchia nera d’inchiostro. Chiuse di scatto il quaderno senza aspettare che l’inchiostro asciugasse e uscì dalla stanza portando con sé il candelabro: voleva dimenticarsi per un attimo di quel simbolo e delle mille domande che le vagavano per la testa, voleva solo distrarsi per qualche minuto. Si chiuse la porta alle spalle e si diresse senza far rumore verso la camera attigua, quella dove c’era il suo armadio; ci sgusciò dentro e appoggiò il candelabro sulla mensola del caminetto, aprendo poi le ante del mobile per osservare i vestiti al suo interno. Non era una persona vanitosa, ma le piaceva sentire la stoffa che le frusciava tra le dita e che le dava una sensazione di caldo avvolgente. Sorrise mentre sfiorava i vestiti uno ad uno, poi la sua mano indugiò sulla vestaglia relegata nell’angolo destro, il più nascosto e dimenticato. Lena la tirò fuori con un fruscio di seta e la osservò meglio alla luce delle candele: era di un rosso sgargiante, con le maniche larghe, una fascia di stoffa alta e più chiara per chiuderla e dei ricami di farfalle e ragni. La osservò a lungo, chiedendosi perché un vestito così bello dovesse rimanere nascosto, poi, prima che facesse in tempo a rendersi conto di quello che stava facendo, si tolse in fretta la camicia da notte e indossò la vestaglia. Quando si guardò allo specchio si accorse che le stava grande, ma non se la tolse, continuando ad osservare il suo riflesso. Non sentì i passi nel corridoio e fece un salto quando la porta della stanza si aprì, lasciando entrare un Alois ancora vestito da giorno. “Allora è qui che ti sei nascosta,” le disse in tono cattivo, pronto a cominciare un ultimo gioco prima di dormire. “Cosa stavi facendo…”
Non riuscì nemmeno a terminare la frase quando vide cosa stava indossando Lena, e se non ci fosse stata la porta probabilmente sarebbe caduto per terra. Il suo cuore iniziò a battere più forte come se fosse sul punto di scoppiare da un momento all’altro, e si sentiva sull’orlo di un precipizio, pronto a cadere giù al minimo alito di vento. L’espressione spaventata della ragazza alla luce delle candele alimentò la sua impressione di essere finito in un tremendo flashback che non stava accadendo nella sua testa ma nella realtà, e l’unica cosa che riuscì a fare fu mormorare con rabbia per nascondere lo stupore e la tristezza: “Toglitela, Lena. Ora.”
Lei sembrava confusa, non capiva cosa stesse succedendo e aveva paura che il ragazzo potesse dare in escandescenze in quel momento. Cosa aveva sbagliato stavolta? “Alois…”
Toglitela!” Il suo urlo disperato risuonò in tutta la villa, e Lena non potè fare altro che quello che le era stato detto. Slegò la fascia con le mani che le tremavano e lasciò cadere la vestaglia sul pavimento, rimanendo completamente nuda e tremante davanti ad Alois. Il suo corpo sembrava scosso dai singhiozzi ma lei non stava piangendo, anzi, stava facendo del suo meglio per trattenersi, per non farsi vedere debole. Ma non poteva immaginare che l’altra persona nella stanza fosse persino più debole di lei in quel momento, mentre tutte le sue difese e i suoi castelli di bugie crollavano, lasciando spazio solo ai ricordi spaventosi che quel corpo nudo e nel buio gli riportava alla mente. Scappò via dalla stanza con i tacchi che ticchettavano, senza però poter fuggire dal suo passato, e lasciò Lena da sola in preda ai tremiti nella stanza di nuovo vuota.

















Boh. Stasera non ho molto da dire, se non che la scena della vestaglia me la immaginavo da parecchio tempo. Aspettavo il momento buono per poterla inserire da qualche parte.
Oh-oh, e il prossimo capitolo sarà fantastico. Almeno, nella mia testa è così, ma credo che lo sarà anche nella realtà *-*
MadLucy: c'è un motivo se lo chiamano il Danna-sama pervertito ù_ù Sinceramente la prima volta che ho visto la scena dell'occhio sono rimasta un pò sorpresa e schifata, ma è anche vero che a quei tempi odiavo Alois... adesso amo anch'io la sua follia, i personaggi folli sono quelli più difficili da gestire ma con la psicologia più meravigliosa! E' un peccato che sia morto troppo presto (bruciaall'InfernoClaude), sarebbe stato un ottimo personaggio da sviluppare maggiormente.

xoxo
Eva
  
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