“Rin, non prendermi in giro” disse
Rea.
“Non lo sto facendo!
Non c’è altra possibilità che rimanere qui! O preferisci
nuotare per chissà quanto tempo?” le
rispose. Lei
esitò un secondo.
“Ascolta, è ancora presto, magari riusciremo a farci vedere
da qualche barca” la rassicurò.
“C’era un polpo gigante un’ora fa che stava cercando di fare
spezzatino di bagnanti.
Non sono proprio sicura che qualcuno si avventurerà in mare
aperto per oggi” gli fece
presente. Si
misero entrambi a sedere all’interno della grotta.
“Forse hai ragione” ammise lui.
Il
posto era spazioso, circolare, non troppo caldo nonostante fosse un pomeriggio
estivo. Non c’erano altre uscite esclusa quella da cui
erano entrati, però c’era un piccolissimo specchio d’acqua in mezzo.
Sembrava
fatto apposta per pescare.
“Scusa, adesso che ci penso come hai fatto a portare dietro
kurikara?
Io non me ne sono accorta”
notò lei, vedendo la spada appoggiata a terra.
“Probabilmente perché eri occupata a lamentarti del tuo
corpo”
“E la coda?
Dov’è nascosta?”
s’incuriosì.
“Sotto al costume.
L’ho messa in modo che non si vedesse il rigonfiamento
incastrandola sotto l’elastico” le
spiegò. La
ragazza annuì.
Avevano
passato interi pomeriggi insieme, ore e ore a parlare anche di cose futili e a
prendere in giro Yukio, ma adesso, bloccati a forza lì in quel posto chissà
quanto lontano dalla spiaggia, erano entrambi silenziosi.
Stettero
zitti per metà giornata, imbarazzati. Il fatto di non poter fuggire appena le
cose iniziavano a complicarsi li faceva tremare di paura.
Rea era
intirizzita, un po’ per il freddo un po’ per la tensione. Sapere che Rin era a
pochi centimetri da lei e che erano soli era davvero strano, soprattutto visto
che non più di due ore prima si erano quasi baciati. Ancora.
Se
l’universo aveva fatto sì di dividerli due volte su due, forse non era giusto.
Qualsiasi cosa fosse successa, doveva stargli lontana.
Quattro
ore dopo.
“Senti, io ho fame” annunciò il ragazzo.
Non si
era fermato mai da quando erano lì, aveva camminato in
su e in giù per la caverna come un gatto in gabbia. Sembrava un’anima in
pena.
“Anche io, ma che cosa vuoi farci?
Hai intenzione di mangiarti la coda, per caso?” s’incuriosì lei.
“No di certo, non è commestibile”
rispose.
“Allora temo che dovrai aspettare che torniamo in albergo
prima di poter ingerire qualsiasi cosa”
“Oppure posso vedere se riesco a pescare qualcosa”
propose.
“Cioè? Intendi tornare in mare?”
“Perché no?
Io non riesco a rimanere vivo fino a domani se non mangio qualcosa!”
“Come sei esagerato” lo prese in
giro.
“Chiamami come ti pare, ma io vedo se trovo un po’ di
pesce” le disse immergendosi. Non aveva ancora potuto liberare la coda,
ma adesso, sotto l’acqua, la fece muovere liberamente.
“Come si sta bene” esclamò uscendo.
Si
guardò un po’ intorno per vedere se trovava qualche segno di spiaggia. “Non è possibile che sia andato tanto lontano, ho nuotato sì
e no venti minuti” rifletté. “Deve essere per
forza qua intorno” si disse. Fece qualche altra bracciata per
allontanarsi un altro po’ dalla grotta. Perché non l’aveva fatto prima? Come mai
aveva passato il pomeriggio a camminare su e giù per quel cavolo di posto? La
risposta era da brividi. “Perché speravo di avere un
modo per fare qualcosa con Rea” anche sotto l’acqua gli veniva la pelle
d’oca pensandola col costume in stanza.
E
quando l’aveva quasi baciata sulla spiaggia?
S’immerse
ancora di più per fermare il flusso di pensieri che lo aveva
travolto.