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Autore: Alucard Belmont    16/05/2012    2 recensioni
Ma era sciocco ed ipocrita fingere che la causa della mia ira fosse quella.
Con un movimento brusco mi voltai a guardarla e la vidi più stanca e tesa di quanto una semplice caccia avrebbe potuto ridurla. La fronte madida di sudore, gli occhi arrossati e carichi di ansia.
Capii allora.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Londra, 1866.

Il suono del grosso pendolo rimbombò cupo in tutta la villa, violento, frantumando come uno specchio il silenzio imbarazzante e carico di tensione che si era venuto a creare.

Era notte fonda, e le ore di caccia appena trascorse si erano rivelate inutili; il vampiro era riuscito a fuggire. Unicamente per colpa sua.

Ci eravamo fidati di lei, come degli sciocchi. Mi ero fidato.

Sapevo che se quel porco non era più incatenato, significava soltanto che lei lo aveva liberato e lasciato fuggire; ci aveva traditi tutti e ciò non faceva che alimentare la mia rabbia, tanto da far ribollire nelle vene il mio sangue dannato.

Avevamo lottato, perso tempo prezioso; avevamo messo a repentaglio le nostre vite. Per che cosa? Per essere poi traditi da una ragazzina, da una cacciatrice che invece di combattere per la causa aveva fatto scappare uno dei più efferati e folli vampiri che l'Inghilterra avesse mai conosciuto. 

Ma era sciocco ed ipocrita fingere che la causa della mia ira fosse quella.

Con un movimento brusco mi voltai a guardarla e la vidi più stanca e tesa di quanto una semplice caccia avrebbe potuto ridurla. I lunghi capelli corvini le incorniciavano disordinatamente il viso stanco; la pelle abbronzata resa opaca dalla fatica dello scontro,  la fronte madida di sudore, gli occhi arrossati e carichi di ansia.

Capii allora.

Se l'ha fatto ha certamente una valida motivazione, e soltanto uno stupido potrebbe dubitarne. Alucard, fra tutti, proprio tu metti in dubbio le sue azioni?

Mi voltai e con ampie ed eleganti falcate raggiunsi la porta d'ingresso, ancora rabbioso. La mascella serrata ed i denti stretti in una morsa forzata. Non era per il suo gesto, bensì perchè non si era fidata di me.

"Sei una dannata idiota... fai attenzione."

Aprii la porta per uscire, ma subito lei rispose senza tradire quella tensione che invece i suoi occhi non potevano nascondere; era tipico di quella sciocca ma determinata ragazza, non mi avrebbe mai lasciato l'ultima parola, non lo aveva mai fatto.

" Sei uno stupido arrogante!" - si rilassò un istante - " Tornerò intera vedrai, per tuo sommo dispiacere!". Riuscì a sorridere debolmente.

Un sorriso d'intesa, forse.
Era consapevole che non avrei riferito nulla al gruppo di cacciatori, che non avrei raccontato della sua imminente e segreta partenza per Roma, nè del fatto che fosse stata lei a far fuggire il vampiro che per settimane avevamo braccato.
Mi piace però pensare che fosse un altro genere di sorriso, per farmi capire di aver inteso la mia preoccupazione; perchè era così, ero davvero preoccupato per lei, ma mai lo avrei mostrato o fatto intendere.

Cerca di non farti ammazzare. Fu l'ultima cosa che pensai prima di sbattere la pesante porta di legno alla mie spalle, coprendo il suono della sua voce, il suo tono sarcastico mentre ancora una volta cercava di colpirmi con una delle sue frecciatine: "A presto anche a te Samanta!" si disse da sola.

Avevo fatto pochi passi lungo il viale di accesso alla villa quando mi fermai.

Restai immobile sotto la pioggia scrosciante, i lunghi capelli castani zuppi d'acqua gelida. Ero bloccato da catene invisibili.

Un oceano di pensieri si riversò nella mia mente, con lo stesso fragore delle onde contro una scogliera. Un fragore doloroso e maestoso, carico di insicurezza, rabbia e stizza.

Cristo Alucard, sta partendo per Roma, potrebbe non tornare più e tu te ne vai così, solo per fingere che non ti interessi?! Per fingere un’ arroganza totalmente sciocca ed inappropriata?!

Era come se la parte più passionale di me, repressa ed annegata dal mio sangue dannato si fosse liberata per rendermi consapevole di quello che stavo facendo. Erano passati quattro secoli da quando avevo perso l'unica donna che avessi mai amato. E ora...

Voltai il capo verso l'ingresso dell'elegante villa da cui ero appena uscito, e capii che non potevo farlo. Non potevo perdere quell'occasione. Quella che sarebbe stata forse l’ultima possibilità per dirle la verità.

Mi ha mentito sulla fuga di quel mostro mettendoci in pericolo, ed è andata a letto con quel bastardo di Gabriel. Non le interessa nulla di me, sono solo un illuso.

La consapevolezza che lei fosse appartenuta ad un altro, a quello che era un vampiro degenere da me disprezzato ed odiato... un idiota che fingeva bontà ed empatia quando non era altro che un mostro mascherato da umano. Il pensiero mi trafisse il cuore e la mente.

Nella stessa villa che avevo appena lasciato, i due avevano goduto qualcosa che a me era stato proibito... Avevo già amato, e quell'errore fatale, quell'egoismo, era costato la vita alla creatura più pura che il destino avesse mai messo sulla mia strada. Era forse quello a frenarmi? O il timore di uccidere una volta perso il controllo, il timore di non poter mantenere la mia natura demoniaca in catene se mi fossi concesso di amare fino in fondo... cos'era stato a tenermi lontano da lei?

In quel momento non riuscii a rammentarlo. Tutto mi sembrò insensato, solo giustifiche sciocche, come quelle di un bambino scoperto a rubare nella dispensa; inventate per timore di amare, per timore di essere amato.

Eppure la parte più razionale - e sicuramente la più idiota e cocciuta - di me mi costrinse a proseguire, un burattinaio invisibile che muoveva le mie gambe.

Rincominciai a camminare per allontanarmi da quella casa, maledicendo il giorno in cui avevo incontrato quella dannata ragazza che mi aveva fatto sentire nuovamente un uomo. Commisi però un unico e madornale errore, che fce crollare ogni mia difesa.

Ripensai al viaggio in carrozza fatto con lei la notte stessa, ai suoi gesti, alle sue parole di fiducia nei miei confronti; nei confronti di quello che tutti giudicavano un mostro a causa della sua natura di bastardo mezzo-sangue. Ripensai al tocco sella sua mano… ricordai il calore di quel breve tocco, quella sensazione di serenità che aveva allontanato da me il male, anche se per un solo istante, prima che stupidamente ritraessi la mia.

Fu come se ogni catena si fosse spezzata, ogni timore svanì e una forza di pura umanità, di puro amore inondò il mio petto, rimasto freddo e privo di vere emozioni troppo a lungo.

Al diavolo!

Mi voltai e corsi verso l’entrata della villa, determinato più che mai; spalancai la porta con irruenza senza curarmi delle buone maniere. Nulla aveva importanza, nulla tranne lei.

Era ancora seduta sulle scale e quando entrai si alzò di scatto con uno sguardo perplesso ed infastidito; non potevo aspettarmi da lei una reazione diversa.

Mi venne incontro con occhi di ghiaccio e pronunciando una delle sue solite frasi taglienti, voleva schernirmi o irratirmi, come sempre.

La ignorai: era un’idiota, ma proprio per questo ero lì, per tutto ciò che era!

Non le risposi, e lei non disse altro quando le fui davanti, non reagì, non si mosse.

Con due dita sul mento sollevai delicatamente il suo viso verso il mio, così di poter far sprofondare i suoi fieri occhi castani nella profondità azzurra dei miei. Così da poter ammirare il suo viso, mentre le mie dita disegnavano lente i lineamenti delicati delle sue labbra, selle sue guancie e del suo collo.

Non avrei mai potuto rinunciare a tutto questo. Mai.
 

La baciai.


Non si allontanò, non oppose resistenza al contario di quanto avessi imagginato inizialemnte. Prendendo allora coraggio, con un braccio la strinsi a me, energicamente, premendo il suo corpo contro il mio mentre portavo la sua schiena ad adagiarsi contro una delle fredde pareti della magione.

L’altra mano si posò sulla sua nuca, così che le mie sottili e lunghe dita potessero intrecciarsi fra i suoi capelli neri, oscuri come le tenebre che fino a quell'istante avevano offuscato il mio cuore, la mia vita e la mia anima.

Erano morbidi; lisci nonostante la pioggia battente durante la caccia li avesse inzuppati. Il poterli accarezzare mentre le nostre labbra si univano in un lento abbraccio, era qualcosa di indescrivibile. Un gesto semplice, ma che per un'anima sempre sul filo dell'oscurità e della dannazione significava tutto.

Ogni cosa vorticò in quell’istante, tutto perse significato ed il tempo svanì. Quattro secoli di vita furono cancellati da quell'unico istante, e fu come rinascere.

Le nostre labbra si sfiorarono dolcemente, con delicatezza e calore; sentii la sua pelle rabbrividire al tocco delle mie dita, allo scorrere della mia mano fredda sulle sue spalle, lasciate nude dall'abito blu notte che indossava in quel momento.

Allontanai il mio viso dal suo ma continuai a stringerla a me, non l’avrei mai lasciata, non avrei ai potuto. Non avrei mai voluto.

“Io ti amo Samanta! Ti ho sempre amata!”

Dio è così. Dal primo istante in cui ti ho vista, io ti ho amata.

La mia arroganza, la mia freddezza, il mio disagio in sua presenza. Perché avevo cercato di tenerlo nascosto a me stesso? Perché avevo atteso che fosse troppo tardi per dirlo.

Dio, che idiota sono stato!

Fissai un istante il suo viso splendido; stanco per qualcosa che non sapevo, ma sorridente.

Non dissi nulla, perso ad accarezzare il suo viso, a delinearne i contorni.

Adoravo quel viso, quegli occhi, quelle lebbra calde, umide e piene troppo a lungo desiderate.

Non mi rispose subito, ma si strinse nuovamente a me, poggiando il suo viso sul mio petto, la sua testa sotto il mio mento come per poter respirare il mio profumo mentre cercava protezione.

Sollevò poi il viso, e negli occhi c'era quella luce che conoscevo bene, la stesa che appariva ogni volta che una battutina o un'idea per schernirmi le passava per la testa.

Ero pronto ad incassare il colpo, ma non disse nulla.
Fu lei a baciare me.

Un bacio intenso e atteso per troppo tempo. Reclinai il capo e dischiusi le labbra.

Labbra contro labbra, lingua contro lingua. Istanti di puro abbandono a qualcosa che entrambi avevamo desiderato troppo a lungo per poterlo evitare. Le nostre lingue si intrecciavano ed i nostri corpi premevano l’uno contro l'altro, stretti in un abbraccio passionale e atteso, il nostro respiro che si mischiava, caldo, come altrettanto caldo ed estasiante era quel bacio.

Come mai prima di allora, capii che era solo quello ciò che volevo.

Volevo lei.

Lei.

"Preferirei vivere l’eternità dannato ma averti per un istante... questo beve ma infinito istante, piuttosto che avere la redenzione eterna ma doverti perdere per sempre.

Il tuo viso, la tua voce... ciò che fai, ciò che dici... tutto quello che sei… tu.

Tu sei tutto ciò che desidero, Samanta!"

Già.

E' così che sarebbe dovuta andare, il bacio che non ti ho mai dato, le parole che non ho mai pronunciato, ed i pensieri che non ho mai formulato.

Ora non resta nulla di tutto ciò... solo il rimorso per ciò che ho perduto.

  
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