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Autore: Natalja_Aljona    18/05/2012    1 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Duecentosettantotto


Duecentosettantotto

Nessuno sapeva dov’eri o nessuno voleva saperlo?

Nessuno lo sapeva, e tu avresti voluto scappare ancora con lui

 

C’era una volta un bianco castello fatato

Un grande mago l’aveva stregato per noi

Sì, io ti amavo

Tu eri la mia Regina ed io il tuo Re

(La nostra favola, Jimmy Fontana)

 

Liverpool, 23 Dicembre 1834

 

Quattro pareti più grigie del fumo di un treno

Questo è il castello che io posso dare a te

Sì, tu mi ami

Come se fossi per te un vero Re

(La nostra favola, Jimmy Fontana)

 

George non aveva regole.

Non aveva leggi.

Obbediva soltanto a Leonida, e Leonida a Liverpool non c’era.

Suo padre non aveva alcun diritto su di lui, e sua madre non osava rimproverargli niente.

Suo nonno, Dekapolites Calie e i Kléftes si erano assunti, dal 27 Febbraio 1821, ogni responsabilità sulla sua educazione.

Quando era a Liverpool faceva quello che voleva e tornava a casa quando voleva, solo se voleva.

A volte si fermava a dormire in riva al Mersey, a volte sui gradini o sul marciapiede, perché uno Spartano non doveva abituarsi alle comodità.

Lui era nato a Sparta, e lo sapevano tutti.

Era impossibile contraddirlo.

Non si poteva fermare uno Spartano.

Quando Anasthàsja era rimasta incinta, John Arthur Gibson aveva sfidato a duello Leonida Zemekis.

Se avesse vinto, Gee sarebbe stato il perfetto primogenito inglese che desiderava.
Avrebbe frequentato la più prestigiosa Accademia della Marina Militare d’Inghilterra e l’avrebbe succeduto al comando della Magna Graecia.

Ma Leonida aveva avuto tre figlie femmine, e a trent’anni ancora aspettava un erede.

Il 14 Settembre 1829, il giorno del Trattato di Adrianopoli, che attestava la libertà della Grecia, era nata Thera Zemekis, la sua quarta figlia.

Il capo dei briganti di Sparta, pur adorando le sue ragazze, riponeva ogni sua speranza militare in Brian George, il suo Geórgos.

Naturalmente, aveva vinto il duello.

Ma se anche Leonida avesse perso, Gee avrebbe sempre scelto la sua vita a Sparta.

 

Capelli di colore biondo grano

E occhi di colore ciel sereno

Due piccole manine di velluto

In un minuto

Sei nata tu

(Patatina, Gianni Meccia)

 

Natal’ja era nata sotto lo sguardo gelido di Vasilij Zirovskij, il più crudele dei soldati polacchi, che allora aveva ventisei anni, e sperava solo che Julyeta morisse di parto, uccidendo anche quella bambina inutile.

Il primo a volerle bene era stato Nikolaj, e dopo di lui Feri Desztor, in quella notte di fine 1831.

Lei che sembrava uscita da una favola e lui, appena tornato dall’inferno.

Harold viveva a Liverpool e Julyeta le lasciava troppa libertà, quella libertà che una madre lascia a un figlio senza pensare alle conseguenze solo quando il suo affetto non è tale da farla pensare alle conseguenze.

Natal’ja era andata a Londra con George senza dir niente a nessuno.

Natal’ja era tornata a Londra con George e nessuno aveva detto niente.

Sua madre, con i suoi ventitré anni e i lunghissimi capelli biondi raccolti di fretta, ancora arruffati, era andata ad aprire la porta e, vedendola, le aveva sorriso.

Lys, con le guance arrossate per la corsa e la chioma selvaggia sciolta sulla schiena, identica, come i suoi occhi, a quella di Julyeta, le aveva gettato le braccia al collo e s’era aspettata un rimprovero, anche uno schiaffo, forse.

Era stata arrestata, anche se per lei non era una novità, succedeva anche a Krasnojarsk, ed era scappata di casa con un teppistello greco che fino a pochi mesi prima era ricercato da Scotland Yard.

Se lo meritava, uno schiaffo.

La luce nello sguardo azzurro chiaro di Julyeta era sincera, era felice di vederla, ma non ebbe nessuna delle reazioni che Natal’ja aveva immaginato.

Non si scompose nemmeno.

-Dove sei stata di bello, Lys?-

-A Londra... A Londra, maman!- quasi gridò lei, sgranando gli occhioni celesti.

In quel momento non avevano neanche una sfumatura d’argento a distinguerli da quelli della madre.

Erano semplicemente l’una il ritratto dell’altra, Julyeta e Natal’ja.

La prima equilibrata e a modo, la seconda sconsiderata e ribelle.

Ma fisicamente erano identiche: questa era la loro croce.

Quattordici anni di differenza e una vita da condividere, senza saper da dove cominciare.

-E com’è, Londra?-

Sembrava...

Sì, sembrava entusiasta della notizia.

Perché lei non c’era mai stata, a Londra, nemmeno con Harold.

Era proprio fortunata, quella birichina intraprendente di Lys, ad esserci andata a soli nove anni, con il suo fidanzato.

-E’ bella, maman. Ma non eri in pensiero per me?-

-Se mi preoccupassi ogni volta di quello combini sarei già morta di crepacuore, non credi?-

Le aveva fatto male, Julyeta, con quella frase.

Non che le dispiacesse, essere così libera, ma qualche volta avrebbe preferito sapere sua madre preoccupata per lei.

Era disposta a tornare a casa prima, ad avere orari e regole.

L’avrebbe aiutata a fare il letto, ad apparecchiare la tavola, a stendere i panni e a piegare i vestiti.

Era disposta ad essere una ragazza normale, in cambio di un po’ di quell’affetto materno che a Julyeta sembrava quasi sottinteso.

Sottinteso perché era sua figlia, perché, dopo mesi, era stata lei a gridare e a piangere tra le lenzuola stropicciate del suo letto di giovanissima e ingenua adolescente di periferia.

E cosa le aveva risposto, sua madre, quella splendida e insensibile ventitreenne siberiana che avrebbe dovuto volerle bene più di chiunque altro al mondo, anche più di George?

Se mi preoccupassi ogni volta di quello combini sarei già morta di crepacuore, non credi?

La ragazzina le cercò la mano, gliela strinse, tremante.

Stessa pelle liscia e sottile, stessa carnagione nivea.

Bellissima come lei, aveva perfino il suo stesso sorriso.

Solo che adesso s’era incrinato, il sorriso di Natal’ja.

 

Che mi resta di te, della tua poesia?
Mentre l'ombra del sogno lenta scivola via
Se non ha anima…

(Ti Sento, Matia Bazar)

 

 

Aveva bussato alla porta mal verniciata di 12 Arnold Grove, la casa dirimpetto alla sua, la casa di Gee.

Le aveva aperto il Capitano Gibson, con i pantaloni della divisa e la camicia sbottonata, i capelli neri scompigliati e gli occhi azzurrissimi illuminati di curiosità.

-Sei Nathalie, vero?-

-Sì... Disturbo, mi dispiace...- sorrise lei, imbarazzata, indicando il suo abbigliamento.

-Oh, don’t worry, little girl. You’re Geórgos’ fiancée, aren’t you?-

Aveva qualcosa di terribilmente affascinante, John Arthur, in quel suo parlare un po’ in inglese un po’ in greco, sfacciato come suo figlio e vestito in quel modo...

George, dietro di lui, osservava la scena in silenzio, non troppo entusiasta.

Il fascino di suo padre aveva colpito anche la sua Natalys.

Sbuffando, fece per andarsene, ma all’improvviso sentì una manina gelida sfiorargli la spalla e un attimo dopo si ritrovò con un corpicino esile contro il suo petto, e una cascata di capelli biondi e sottili, da fata, tra le dita.

Stordito, come in un incantesimo, mise a lentamente a fuoco la luminosa chioma, i ridenti occhi cristallini e la stoffa leggera di un vestito che avrebbe dovuto riconoscere, perché l'avevano comprato insieme a Londra.

No, non doveva averla colpita poi così tanto, l’assurda bellezza di John Arthur Gibson.

Avrebbe sempre preferito il figlio del Capitano, Natal’ja.

Dopo un primo attimo di turbamento e sconcerto, aveva subito cercato Gee.

Ma doveva aver pianto, la sua piccola fiammiferaia slava.

Aveva un’aria quasi smarrita, triste.

Era certo di non averla lasciata così, sulla porta di casa.

-What happened, my love?-, le domandò, cauto.

-Maman doesn’t love me... Not enough-

George non fece in tempo a risponderle, perché una donna molto giovane, dalla pelle dorata e il portamento da regina, poco lontano, li osservava a braccia conserte, come infastidita.

-Poios eínai, Ioánnis?-

Natal’ja fece un passo indietro, e smise di guardare il suo Spartano, perché dal suo sguardo si capiva tutto.

I vaporosi capelli rossi e ondulati di Anasthàsja e i suoi occhi turchini la mettevano a disagio.

-Are you... Natal’ja?- mormorò la ragazza greca, scrutandola altezzosa.

Lei annuì, accennando un sorriso.

Anasthàsja Zemekis le indicò la porta.

-This is the door, my dear-

-Oh, Stacey, you're a witch!- protestò John, sorridendo.

Cercava di sciogliere un po’ l’atmosfera, ma gli occhi sgranati di Natal’ja -occhi per cui si poteva fuggire a Londra per un giorno, cominciava a capire suo figlio- gli confermarono che sua moglie aveva davvero rovinato tutto.

-Alja, don’t listen to her...- sussurrò dolcemente Gee all’orecchio della biondina russa, che, intimidita, non sapeva proprio cosa rispondere.

Non si sarebbe mai aspettata un’accoglienza simile dalla madre di Georgij.

-I’m sorry...-

Anasthàsja Zemekis aveva ventisette anni, un viso troppo bello, un carattere da principessa costantemente ferita nell’orgoglio, ed era terribilmente gelosa di suo figlio.

Natalys non aveva nessun motivo di scusarsi, ma lo fece ugualmente.

Forse non era stata una buona idea, andare da George quando c’erano anche i suoi genitori.

John Arthur, che con i suoi trentaquattro anni e il suo metro e ottantatré aveva non poca autorità, sia sulla nave che a casa sua, colto alla sprovvista, non riuscì a difendere Natal’ja come avrebbe voluto.

La piccola siberiana non gli aveva fatto niente, ed era la ragazza di Gee.

Perché Sthàsja l’aveva trattata così?

Era abituato al carattere scontroso di Anasthàsja, ma in quel momento...

Possibile che la sua strana ossessione per Geórgos non fosse ancora sopita?

-Andiamo in camera mia?- propose Gee, tirando la ragazzina per una manica del vestito.

-Wait, Gee...- lo fermò il padre, bloccandolo sul primo gradino con uno sguardo severo.

-She’s nine years old, do you want to violate a little girl?- gli chiese, sconvolto.

Lei ha nove anni, vuoi violentare una bambina?

George arrossì furiosamente, scuotendo la testa.

-My God, dad… What are you saying? I just thought in my room she would be quieter... In my room there isn't mum-

-All right, but... Natal’ja will stop here for dinner?-

-I think so...- rispose Gee, anche se, effettivamente, non gliel’aveva mai chiesto.

Poi lanciò uno sguardo interrogativo a Lys.

“Ti fermi a cena?”, le chiese sottovoce.

Lei scrollò le spalle.

-If you want it...-

 

A cena, George non lasciò mai la mano di Natal’ja.

O sopra o sotto il tavolo, la strinse per tutto il tempo.

Mangiarono poco, e nel giro di mezz’ora Gee scattò in piedi, portò il suo piatto sulla credenza, e brandì un vassoio che Alja non aveva notato.

-Greek yoghurt and buckwheat biscuits made by Sthàsja, my mum- le spiegò, facendole l’occhiolino.

Yogurt greco e biscotti di grano saraceno fatti da Sthàsja, la mia mamma.

-Questi li mangiamo in camera-

E le tese la mano come i galantuomini, anche se con una stretta cento volte più forte.

Lei gli sorrise, e lo seguì su per le scale.

 

-Tonight...- cominciò Gee, guardandosi le punte degli stivali.

-You will stay here... With me?-

Alja non ebbe dubbi.

-Of course!-

Gli occhi di Gee s’illuminarono.

-In my bed...?-

Lei si morse le labbra, annuendo.

-The floor is not very comfortable…- disse, in un sussurrò.

-Dressed?- azzardò allora lui.

Ecco, quello era un dubbio che avevano entrambi.

Vestita?

-I think it’s fine...-

Penso che vada bene...

Forse non era il massimo, ma poteva andare.

George s’infilò sotto le coperte, con un sorriso radioso.

Aveva sistemato i biscotti sotto il cuscino, e, con la ciotola di yogurt in grembo, aspettava che lei lo raggiungesse.

Quando lo fece, se la strinse al fianco e giocherellò un po’ con i suoi capelli biondi, che adorava, e poi scostò lievemente il lenzuolo, sotto gli occhi stupiti di Natal’ja.

-I don’t sleep dressed, Lys...-

Lui no, non dormiva vestito.

Alja si lasciò sfuggire un gemito.

E adesso come facevano?

Gee, al contrario, pareva non essersi posto il problema.

Si sbottonò la camicia senza toglierle gli occhi di dosso, e quando ebbe finito la lanciò ai piedi del letto.

Rimase in pantaloni, perché quelli era il caso di tenerli, forse.

Così ritornò a letto, e, notando il lieve disagio di Natalys, che cercava di nasconderlo, ma se lo stava letteralmente mangiando con gli occhi, l’abbracciò forte, accarezzandole dolcemente i capelli.

-Lys, Lys... I would like to be your mother... Because I love you, to die for, and she don’t. It isn’t fair...

Maybe I love you in a different way, but I would do it even for her-

Vorrei essere tua madre... Perché io ti voglio bene, da morire, e lei no. Non è giusto...

Forse io ti voglio bene in modo diverso, ma vorrei farlo anche per lei.

Lei affondò la testa nel suo petto, e il contatto con la sua pelle calda la fece rabbrividire, perché era la prima volta che succedeva.

Le altre volte lui aveva la camicia, le altre volte non erano sdraiati...

Era bellissimo, però.

-Mi racconti una storia?-

Gee inarcò un sopracciglio, divertito.

-Una storia? Oh, va bene...-

-Una storia bella, bellissima-

-La nostra?-

-Quella la conosco già...-

-Ti racconto la più bella che conosco, allora... Sono sicuro che ti piacerà. C’erano una volta, nella città turca, per la precisione tracica, di Adrianopoli, due plenipotenziari mandati a firmare un trattato di pace.  

Il primo, russo, si chiamava Aleksej Fëdorovič Orlov, e rappresentava lo zar di Russia, Nikolaj Romanov I, che a te non sta molto simpatico. Il secondo era Abdul Kadyr-bey, il luogotenente del sultano ottomano Mahmud II.

Era il 14 Settembre 1829 e, tra le altre cose, avrebbero deciso per l’Indipendenza della Grecia, il Paese più bello del mondo, la Patria del tuo Georgij. Io avevo otto anni, quasi nove, ed ero appena tornato dall’Egitto...-

Natal’ja socchiuse gli occhi, incantata.

-E’ una storia a lieto fine, vero?-

Lui sospirò, e le soffiò un bacio sulla guancia, che avrebbe dovuto essere un “sì”.

-Altrimenti non sarei qui...-

 

Quante volte ho cercato il sole

Quante volte ho mangiato sale

La città aveva mille sguardi

Io sognavo montagne verdi

Il mio destino è di stare accanto a te

Con te vicino più paura non avrò

E un po’ bambina tornerò...

 

Io ti amo, mio grande amore

Io ti amo, mio primo amore

Quante volte ho cercato il sole...

(Montagne Verdi, Marcella Bella)

 

 

 

 

 

Note

 

 

Quanto ho adorato scrivere questo capitolo?

Tanto, davvero tanto.

Innanzitutto, del duello tra John e Leonida per stabilire chi e come avrebbe cresciuto George, non avevo mai parlato.

In realtà credo di averlo accennato nel Capitolo 74, ma molto vagamente.

Comunque, ora lo sapete ;)

Poi, Julyeta e Natal’ja.

La solita storia, ma agli esordi.

Alja comincia a rendersene conto, e non si può dire che la prenda bene.

Sono identiche nell’aspetto fisico, ma a Lys non basta avere i suoi occhi e i suoi capelli, la sua pelle, la sua voce e il suo sorriso, vorrebbe anche il suo affetto.

Ma del resto, da una che lascia crescere la figlia al nipote -Nikolaj, che, anche se ha solo due anni in meno di lei, è sempre il figlio di suo fratello-, tra i soldati -all’accampamento degli ussari-, cos’altro ci si può aspettare?

Non la turba minimamente, il fatto che a nove anni sia andata a Londra da sola con un ragazzo più grande e con innumerevoli precedenti penali, senza dirle assolutamente niente...

Certo, succede lo stesso a Krasnojarsk con i Desztor, ma in quei casi è più o meno al corrente dei suoi spostamenti... Almeno quando lascia la città!

E invece niente, nessuna reazione, anzi, le chiede anche com’è Londra.

Poi, il suo primo incontro “ufficiale” con John Arthur, mezzo svestito, e con Anasthàsja, più adorabile che mai.

E Gee è geloso di suo padre, visto come lo guarda Lys in un primo momento... ;)
La cena, il dopocena, e la notte con Gee.

La scena in cui lui si toglie la camicia, ecco... Non potevo non metterla, era troppo “da loro”.

E mi veniva da ridere, mentre la scrivevo...

Infine, la storia che le racconta Gee.

Il Trattato di Adrianopoli.

Ovviamente, quale altra storia si può raccontare, prima di dormire?

Domande retoriche… ;)

Spero che vi sia piaciuto!

 

A presto ;)

Marty

  
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