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Autore: Ortensia_    18/05/2012    1 recensioni
Dodici, e le lancette scorrono.
Qualcosa li ha condotti al numero 50 di Berkeley Square, e non vuole più lasciarli andare.
Vive nelle fondamenta, nel vuoto. Si nutre della paura e spezza quei sentimenti che riescono a toccarsi con dolcezza nella casa spettrale di Londra.
...
Cos'è? Chi è?
...
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, Altri, Austria/Roderich Edelstein, Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Can you hear the World?'
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XII - Fiducia



Sorte ancora più tragica toccò a due marinai i quali, arrivati a Londra nella vigilia del natale del 1887, in cerca di un riparo per la notte, capitarono nella casa allora abbandonata senza conoscerne l’orribile storia. Il caso volle che si installassero proprio nella stanza infestata. Non passò molto tempo , che i due sentirono dei passi su per le scale, accompagnati da un fetore insopportabile. La porta venne sfondata da un qualcosa di deforme che si riversò nella stanza. Uno dei due riuscì a fuggire, l’altro invece rimase intrappolato li dentro. Il superstite, spaventato, corse in strada dove trovò un poliziotto. Quando tornarono alla casa, trovarono l’altro morto, impalato sulla cancellata all’esterno dell’abitazione.

«Come possiamo uscire, secondo voi?» Alfred bofonchiò appena, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Ragioniamo. Con calma.
Se lui ora è chiuso lì dentro non abbiamo motivo di avere troppa fretta …» Antonio intervenne, e subito Arthur negò energeticamente con la testa «se fosse lui, però, credo che l’uscita da questa casa ci sarebbe già stata concessa.»
Antonio brontolò appena, rivolgendo la propria attenzione a Gilbert e Feliciano: entrambi avevano il capo chino, a stento si sorreggevano il viso con una mano chiusa a pugno contro la guancia, lo sguardo cupo e quasi assente, triste.
Intorno a quel tavolo, ora, stavano trattando la questione solamente Antonio, Arthur ed Afred: Feliciano e Gilbert non sarebbero riusciti a parlarne.
«E di Ivan che ne facciamo? Aveva una pistola carica, e con il silenziatore. E a quanto ho capito, ieri, ci sono stati alcuni problemi fra lui e Germania, vero Gilbert?» Alfred rivolse la propria attenzione al prussiano, che annuì appena.
«Se fosse lui usciremo di qui e ne parleremo con i nostri capi: saranno i nostri Governi che dovranno mettersi d’accordo e decidere delle sorti di Ivan.»
Arthur trovò giusto la forza di bagnarsi le labbra con il suo tè, ormai raffreddatosi all’interno delle inospitali, strette pareti della tazzina.
Gilbert non ne poteva più: stavano discutendo su cosa fare di Ivan, così come ogni volta. Ad esempio come avevano fatto con lui nel 45, ma dopotutto, nonostante stessero parlando proprio della persona con cui aveva passato alcune notti e con cui era riuscito a spingersi perfino più in là dei baci, non riusciva più a focalizzare altro se non l’immagine di suo fratello senza vita e dell’amico avvelenato.
«Scusate-» Gilbert si alzò a fatica, dando la schiena ai presenti ed abbandonando la cucina per raggiungere il salotto dove, a capotavola, un’altra candela era divenuta bianca, e poi la biblioteca.
Non aveva voglia di leggere, logicamente: voleva solo stare da solo, in pace.
Dopo poco anche Feliciano abbandonò la cucina.
Senza dire una parola si diresse velocemente alla propria stanza, con il viso appesantito dal sonno che, anche prima di quella scoperta terribile, era stato disturbato ed insoddisfacente.
Quando si sedette sul suo letto e rimase in ascolto del silenzio non poté che scoppiare in un improvviso pianto soffocato: sia suo fratello che Germania, ora, se n’erano andati, e lui era solo in quella stanza, marionetta logora di spiriti ed assassini.

«Io aspetterei ancora un po’ prima di condannare Ivan, non è detto che sia stato proprio lui …» Arthur bofonchiò quasi svogliatamente, ma Alfred negò deciso.
«Arthur, ma se gli abbiamo fatto scaricare la pistola e oggi era di nuovo carica? E poi il silenziatore …
Magari in camera sua ci sono anche altri proiettili, per quanto ne sappiamo.»
«È vero …» intervenne lo spagnolo, mentre l’inglese si ritrovava a negare appena. Eppure, se voleva accertarsene, la cosa migliore da fare era proprio quella: recarsi nella camera di Ivan e cercare prove che testimoniassero la sua innocenza o la sua colpa.

La questione di Ivan risultava indubbiamente molto spinosa per tutti, e dalle loro decisioni, ora, dipendeva il futuro di una Nazione innocente o colpevole.

All’ora di pranzo, il tavolo, rimase vuoto: solo le candele bianche alternate a quelle rosse, tutte spente.
«Sono stanco, America-» seduto al tavolo della cucina con il viso segnato dalla stanchezza, Arthur cercò di ignorare il tonfo sordo dell’accetta sul corpo del tedesco.
«Voglio uscire, tornarmene a casa … e smetterla con queste accette.»
L’americano si fermò ad osservarlo tristemente, riponendo l’arma con un sospiro pesante.
«Lo voglio anche io.
Cerca di stare tranquillo …» procedette flebilmente lo statunitense, sciacquandosi il sangue dalle mani «se Ivan è già rinchiuso in quella camera non c’è niente di cui preoccuparsi, giusto?» quasi timidamente, la mano dell’americano, si andò a posare sulla nuca dell’inglese, ora con il viso stanco adagiato alla superficie del tavolo.
«Non è Ivan …»
Aveva già i sensi di colpa per ciò che aveva fatto, Arthur.
“Ma come fa a non trattarsi di Ivan, se aveva una pistola carica ed il silenziatore in tasca?!”
Alfred non riusciva a spiegarselo, ma pensò anche che Inghilterra doveva essere davvero molto stanco, così rimase in silenzio, accarezzandogli appena la nuca «riposa almeno un po’, mentre io finisco qui …»
Sperò fortemente che l’inglese accogliesse la sua proposta, ed ottenne quello che voleva: l’inglese annuì, chiudendo gli occhi e nascondendo il viso fra le braccia conserte, mentre l’accetta andava ad abbattersi per l’ennesima volta sul corpo di una delle vittime mietute da Berkeley Square.

«Gilbert?»
Antonio aveva trovato aperta la porta della camera del prussiano, e così aveva deciso di farsi avanti, trovandolo coricato sul letto a pancia in su, a fissare il soffitto.
«Was?» si sorprese del fatto che l’amico non si fosse scomposto più di tanto, anzi, rimase praticamente immobile a fissare il soffitto.
«La porta era aperta e sono entrato …»
«Mh-» Gilbert era piuttosto pensieroso, ma avrebbe provato comunque ad esporgli la sua idea.
«Gil, vuoi dormire in camera con me stanotte?»
Il prussiano rimase in silenzio per qualche attimo, poi accennò un sorriso, annuendo appena.
«Ah sì! Io fra poco vado a preparare la cena, se vuoi puoi aiutarmi-!» lo spagnolo sorrise allegro, avviandosi verso l’uscita della camera.
«In Ordnung!»
Gilbert lasciò subito il suo posto, seguendo l’amico senza alcuna esitazione: ameno lo avrebbe aiutato a distrarsi dal pensiero che aveva di West e di Ivan, anche se la fame era ormai totalmente assente e, probabilmente, quella sera avrebbe rinunciato anche alla cena.
Gli altri, al contrario del prussiano, non potevano più ignorare la fame, escluso Feliciano che sembrava non voler lasciare più la sua stanza neppure per bisogni necessari e basilari come “andare in bagno”.

Quando, verso le venti, Gilbert vide Arthur ed Alfred seduti a tavola ad aspettare che lui ed Antonio riempissero i piatti con la cena, si rese conto che c’era qualcosa di estremamente sbagliato in tutto: perché stavano tenendo prigioniero un altro Stato?
Una pistola carica ed un silenziatore nelle tasche di uno psicopatico non erano prova sufficiente? Certo che lo erano, ma Ivan … Ivan stava soffrendo, lì dentro.
Buttato lì a forza, aveva udito come ultime parole il suo odio e visto come ultima immagine la sua tristezza. Se ne era innamorato come diceva, ora, di certo, non doveva essere una persona serena, o un pazzo divertito dalla situazione.
«Io vado a mangiare in camera-»
L’appuntamento con Antonio era alle ventuno: aveva più di un’ora di tempo. Avrebbe potuto prendere il piatto e usare come scusa Feliciano, dire che lo stava portando a lui per farlo mangiare -intanto sapeva che in ogni caso, l’italiano, non avrebbe toccato cibo- e poi non sarebbe passato da lui, ma una riposta dell’italiano ad una domanda del sospettoso inglese gli sarebbe potuta costare cara.
Ecco perché optò per la scusa più semplice e banale.
Con un piatto caldo fra le mani salì al secondo piano sotto lo sguardo complice dello spagnolo, che immaginava perfettamente ciò che Gilbert avrebbe fatto di lì a poco.
Il prussiano adagiò il piatto caldo davanti alla porta chiusa di Ivan, dirigendosi prima verso la camera dell’inglese e dell’americano.
Arrivato al comodino dell’inglese aprì il cassetto e frugò tra le cianfrusaglie al suo interno.
«Hier-» sussurrò soddisfatto a mezza voce, quando il tintinnio delle chiavi sotto le sue mani gli stuzzicò le orecchie.
Si diresse velocemente alla sua porta, chiudendola a chiave per sicurezza, e poi tornò a quella del russo, esitando sulla serratura a causa della fretta quasi inumana che ormai attanagliava le sue mani.

Il viso del russo si sollevò di scatto, quando, oltre le spalle, sentì il tintinnio di chiavi colpire la serratura e la porta vibrare, aderente alla sua schiena.
Cos’era? Lo venivano a condannare e lo portavano al patibolo?
«Scheiße!»
Quando sentì la voce roca del prussiano non poté che sollevarsi velocemente sulle gambe, facendo aderire le mani alla porta.
«Gi-Gilbert?!»
«Zitto, idiota!»
Quando l’albino sentì la serratura scattare inspirò un ingente quantitativo d’aria, aprendo la porta e portando dentro la stanza il piatto caldo.
«Ti ho solo portato la cena.» quasi gli lanciò il piatto fra le mani, strappando rapidamente le chiavi dalla porta e chiudendola cautamente.
«Spasibo …»
«Mhn …» mugugnò appena, confuso dal suo stesso gesto: era di nuovo lì, solo, con la persona che odiava e che molto probabilmente aveva ucciso suo fratello alcune ore prima.
Perché?
”Che anche io me ne sia innamorato …?
No. Che idiozia!”
pensò scuotendo appena la testa e scostando lo sguardo verso l’interno della stanza, lontano dagli occhi del russo e da quel sorriso pieno di gratitudine che gli stava rivolgendo.
«Tu, Gil?»
«Io cosa?»
«Hai mangiato?»
«Secondo te ho voglia di mangiare?»
Insomma, aveva appena portato una cena calda e sostanziosa a quello che credeva l’assassino di suo fratello, ma non si sentiva di mettere fra i denti neppure il più piccolo fra i piselli verde smeraldo che ora brillavano nel piatto?
Che sciocchino, il suo coniglietto!
Ivan si lasciò scivolare lentamente contro la porta, tornando a sedersi con il piatto sulle gambe e bloccando la sola via d’uscita che Gilbert aveva a disposizione.
«Mi tieni un po’ di compagnia?»
«Non ho altra scelta.»
Con sorpresa di Ivan, il prussiano, non oppose resistenza e si sedette al suo fianco.
Il russo inforcò subito un piccolo pezzo di carne calda, ma la portò alle labbra del prussiano, incitandolo dolcemente.
«Fallo per me …»
«Per un assassino?» il prussiano scostò appena il viso dal boccone di carne, adagiando la testa al muro.
«Gilbert …»
«Ja?»
«Non credo che verrò risparmiato. Qui, solo, il vero assassino se ne approfitterà …» i loro occhi si incontrarono solo per un attimo «quindi fallo per me, non lasciarti andare come stanno facendo tutti gli altri.
Il mio coniglietto è adorabile, e forte~» Ivan sorrise, spingendo il boccone di carne più vicino alle labbra del prussiano.
Il russo era sempre stato vicino a lui, dal primo passo in quella casa fino a quel momento … non poteva essere lui.
Gilbert rimase in silenzio, ormai sicuro di quel pensiero. Poi, inaspettatamente, afferrò la forchetta e la scostò dalle sue labbra, strappandola dalla mano del russo e buttandosi a capofitto sulla bocca di Ivan.
Lo slavo non poté che scostare velocemente il piatto dalle sue gambe, abbracciando stretto a sé il prussiano e ricambiando il suo bacio quasi percependo un insolito bruciore nei propri occhi.
Gilbert … forse Gilbert aveva capito?
Sarebbe stata l’unica cosa che desiderava, prima di morire. Prima di vedere in faccia l’assassino e lasciare Gilbert solo in quella casa, senza difese.
Oh, ma no. Lui una difesa gliel’avrebbe data.
Stava programmando tutto, pur di salvare il suo adorato coniglietto.

Rimasero a lungo così, abbracciati, senza pensare alla cena che andava raffreddandosi, ma solo assaporando il calore delle labbra, l’una legata all’altra. Come se fosse stato l’ultimo bacio che ad entrambi veniva concesso.

   
 
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