Eeeee saalve! Ok
si sono in ritardo ma a mia
discolpa dico che non è esattamente un periodo
roseo… Mhmmm comunque ecco qui
il capitolo e..
Anything else…
[thanks to Leti & Giu]
I was not there
Pov Kristen
Non pensavo di
poterci ricadere
dentro. Non pensavo di trascinare giù con me persino lui.
Forse la
verità è che da quel burrone
non ci ero mai uscita. Forse la vera me non era ancora salita a galla.
E se il bambino
da un lato riusciva a
darmi sollievo e felicità, dall’altro pensavo solo
che avrei potuto perderlo.
Che con quel terremoto che mi aveva squartato in due anche lui sarebbe
andato a
finire in un burrone.
Mi bastava
alzarmi la mattina e
guardarmi allo specchio per notare ancora su di me i segni di quella
violenza.
I segni del male che mai mi avrebbero lasciata.
Un livido, un
graffio, una cicatrice.
Cicatrici
profonde che avevano il
potere di far riempire i miei occhi come vasche trasbordanti
d’acqua. E mi
bastava sfiorarle e chiudere gli occhi per rivivere quei momenti
orrendi.
Per risentire le
mie urla
Per risentire le mie preghiere
ti prego fammi morire adesso ma metti
fine a questo incubo
Per ripensare al
mio ventre
martoriato
Per ripete i
miei sussurri nei momenti
più brutti
Ti amo, Rob, ti amo
“Anch’io
ti amo” sentii dire alle mie
spalle mentre due mani calde sfregavano sulle mie braccia per darmi un
po’ di
sollievo dai brividi di terrore che stavo rivivendo.
Aprii gli occhi
e immediatamente delle
goccioline scesero copiose sulla mia guancia. Rob bi baciò
la spalla e mi
strinse a sé ma… Non volevo
quell’abbraccio. Non volevo i suoi baci.
Non volevo
essere consolata.
Volevo solo
dimenticare.
Mi liberai dalle
sue braccia e m’incamminai
verso la camera da letto. Non so perché ma quella mattina mi
sentivo ancora a
Londra, in quel vicolo, pesta e piena di sangue.
Sentivo dolore,
rabbia, frustrazione,
tristezza, umiliazione. Sentivo solitudine.
“Non
hai fatto colazione stamattina”
mi seguì come previsto
“Non mi andava”
“Allora a pranzo cucino qualcosa in più”
“Sul serio tranquillo. Non ho molta fame” dissi
mentre mi infilavo di nuovo
sotto le coperte.
“Mi
spieghi perché stamattina stai
messa così?” mi accarezzava i capelli nel suo
solito modo dolce che funzionava
da calmante.
Ma non quella
volta. Non quella
mattina dove mi sentivo totalmente colpita e affondata dai ricordi.
“Non
è niente. Ti dispiace chiudere le
persiane?”
“Si mi dispiace. Onestamente mi dispiace”
“Ti
prego Rob. Non farmi fare
discussioni”
“E’
proprio quello che voglio.
Discutere. Parlare. Vederti parlare. Perché non lo fai
più. Mi sembra di essere
tornato a quando eri in clinica.”
“Ok, va bene. Adesso lasciami dormire”
“No!
Non ti lascio dormire!” urlò
terribilmente forte, prendendomi per i polsi e strattonandomi.
Quella mossa.
Quello stringermi i
polsi per farmi sentire incatenata.
“Lasciami!”
urlai prontamente
scappando via da lui assottigliandomi sulla parete di fronte al letto.
Iniziai a
piangere silenziosamente
tenendo salde le mie mani sul mio ventre rigonfio di ormai 3 mesi.
“Scusa..
Io.. Io non..”
“Non toccarmi mai più” sussurrai
volgendo il
mio sguardo al pavimento.
“Kristen”
iniziò alzandosi dal letto e
avvicinandosi sempre di più “ti prego dimmi che
succede. Per favore sfogati!
Qualsiasi cosa ti passi per la mente dimmela! Qualsiasi”
Ormai i
singhiozzi mi stavano
squarciando il petto come
una voragine e
facevo fatica a fare un respiro completo.
“
I-io… La verità.. è che…
che ero
sola. Dove.. Dov’eri tu?” sputai fuori quasi con
cattiveria.
“Avevi
detto che.. che mi avresti
sempre protetta. Che non… che non mi sarebbe mai successo
niente. Ma dov’eri?
Dove,eh?”
Ed era vero. Lo
avevo pensato in
questi mesi. Sapevo che era un pensiero stupido da bambina. Ma era vero. Lo pensavo e
finalmente glielo avevo
detto.
Glielo avevo
detto e lo avevo
distrutto.
E adesso era
lì di fronte a me con il
viso ricoperto da una maschera di dolore misto a sorpresa.
Gli avevo fatto
male e ne ero
consapevole. Ma il male che stava provando lui era solo la decima parte
di ciò
che tormentava me.
“Io… non so che dire”
“Scusa…”
sussurrai
“Nono.. Ti avevo chiesto di dirmi quello che pensavi e.. e lo
hai fatto. Sono
io a dover ringraziare te” fece un respiro profondo e senza
rivolgermi uno
sguardo uscì dalla camera.
E fu in quel
momento che probabilmente
mi sentii ancora più sola di quando quel mostro aveva
approfittato di me.
Pov Robert
E’
vero. Fa male sentirsi dire la
verità.
Anche se era una
cosa che avevi sempre
saputo; anche se è una cosa per avresti già
voluto punirti dall’inizio.
Fa male.
Quella mattina
ci avevo messo solo
un’ora per preparare un borsone e lasciare casa. Si, me ne
ero andato e, a dire
il vero, non riuscivo nemmeno a capirne fino a in fondo il motivo.
Ero risalito in
camera da letto e
l’avevo trovata seduta sul pavimento, con spalle al muro e
viso piegato sulle
ginocchia e, sinceramente, non avevo avuto il coraggio di dire nemmeno
una
parola.
Stavo
sbagliando. Stavo facendo
l’ennesimo errore ma non mi importava.
Sapevo solo che
dovevo
autodistruggermi sempre di più nel peggiore dei modi.
Tornando a Londra.
Tornando
lì dove l’incubo era
iniziato; tornando a rivivere quei momenti che lei riviveva ogni
istante da
quel maledetto giorno.
Cercai una pensione in periferia e senza dire niente alla mia famiglia
o ai
miei amici – o a Kristen – e restai lì
per 5 giorni.
5 fottuti giorni
dove pensai solo a
bere e a non degnare il cellulare di un solo sguardo.
Lo sentivo
squillare, a volte
ininterrottamente, ma non me ne preoccupavo.
In cuor mio
sapevo di sbagliare ancora
una volta ma non rivolsi il pensiero nemmeno a mio figlio. Non riuscii
a
rendermi conto che, in fondo, l’avevo lasciata sola anche
stavolta.
Quando, dopo
fiumi di alcol e un
numero indefinito di sigarette fumate, mi svegliai a terra col viso
spiaccicato
ad una moquette di uno strano giallo piscio, mi resi conto che
incarnavo in
pieno il classico barbone londinese che cincischiava sui marciapiedi di
ogni
strada.
Raccolsi quel
briciolo di forza che mi
restava e dopo essermi trascinato con fatica in bagno per una doccia
gelata,
presi il telefono in mano e notai la bellezza di 523 chiamate e 215 sms.
Rimasi una buona
mezzora e controllare
il tutto e, come era prevedibile nemmeno una chiamata o un sms
appartenevano a
Kristen.
Mia madre, mio padre, Tom, le mie sorelle, Cameron… persino
John – e non nego
che a leggero il suo nome mi misi un po’ di paura in corpo-
Lei no.
Lei non mi aveva cercato.
Devo dire che
non era mai successo
prima. Da quando stavamo insieme non avevamo mai passato più
di 6/7 ora senza
sentirci.
Stavolta era successo. Ed era durato per 5 cazzutissimi giorni!
5 giorni senza
di lei.
5 giorni senza
sapere come stava.
5 giorni senza
avere notizie di nessun
genere e senza dare notizie.
5 giorni dove me
n’ero andato.
5 giorni dove l’avevo lasciata sola.
Preso da un’improvvisa rabbia che cresceva sempre più in petto, tirai un pugno massacrante alla finestra.
Sangue.
Rosso.
Bruciore.
Dolore.
Ed
era esattamente tutto quello che aveva sentito lei in quella
pozzanghera di
disperazione che l’aveva avvolta in quegli istanti terribili.
Già,
lei aveva sentito questo e un’altra lista interminabile di
sensazioni che mai e
poi avrei desiderato provasse.
Ma
era successo. Era successo ed io non ero là per lei.
Non
ero lì pronto a proteggerla, come le avevo promesso.
Non
ero lì a sostenerla quando si era svegliata in ospedale.
Non
c’ero.
Ma
questo non significava che non ci sarei stato in futuro. E me
l’ero promesso! Avevo
promesso a me stesso di non abbandonare mai più
né lei né il nostro bambino.
E invece?
Invece ero stato il solito cazzone senza cervello!
Notai
il sangue colare dalla mia mano giù sul pavimento sotto
forma di goccioline
rosse e dense.
E in quelle goccioline rividi le lacrime che scorrevano sul viso di
Kristen
qualche giorno prima.
Quasi
come contagiato dal ricordo della sua disperazione, iniziai a piangere
come un
bambino quando si perde e non trova la via di casa.
Solo
che io non mi ero perso.
Io
me n’ero andato via da casa.
Sentivo
la mano bruciare sempre più così andai in bagno
per sciacquarmi e trovai un po’
di sollievo con l’acqua fresca. Proprio mentre cercavo del
cotone per tamponare
la ferita, sentii il mio cellulare squillare e senza neanche pensarci
un
secondo mi precipitai nell’altra camera per rispondere.
“Pronto”
“Stronzo!”
Lizzy.
“… Lizzy.. Io..”
“No. Non parlare. Non ti voglio nemmeno sentir fiatare.
Voglio solo che muovi
il culo e vieni a Londra. Me ne fotto di dove sei perché
anche se ti trovi
Timbùctu, tu adesso prendi un cazzo di aereo e vieni qui
dalla tua donna che si
trova di nuovo in quel cazzo di letto bianco!”
“.. Che diavolo…”
“Kristen è in ospedale! E se quella fottuta
macchina l’ha investita è solo
colpa tua!”
e di nuovo, come allora, mi sentii morire e l’unica cosa di
cui ero consapevole
era: io non c’ero.