ATTENZIONE:
In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli
avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un
po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono
verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena,
l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di
Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.
(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
14.
Caccia
Il gorgoglio insistente della caffettiera e il
tanfo di caffè bruciato inebriò
l’intera cucina di casa Salvatore tanto che
Lexi si chiese come mai i sensori antincendio non si fossero ancora
attivati.
Con passo altisonante fece il suo ingresso facendo
sfavillare i bracciali d’acciaio sotto l’orrenda
luce a neon della cucina.
«Buongiorno» esordì Katherine moscia dal
suo alto
piedistallo sorseggiando una tazza ben colma di B negativo, sicuramente
corretto
con qualche superalcolico.
La vampira bionda gonfiò le guance ricoperte di
fondotinta.
«Ti turba effettuare due metri e mezzo e spegnere
il gas della caffettiera?» chiese artigliando i fianchi e
scoccando un’occhiata
omicida a Kate la quale, con gesto fanciullesco, tirò fuori
la lingua per poi
portare nuovamente alle labbra il bicchiere di cristallo – la
sua colazione.
La vampira bionda sbuffò maledicendo persone e
cose non definite mentre le mani armeggiavano con lo strofinaccio per
ripulire
il ripiano cucina dai residui di caffè bruciati e oramai
incrostati sulla
ceramica.
«Buongiorno signore»
Damon varcò la soglia della cucina, inclinando
leggermente il capo in segno di saluto e occupando come sempre la
seconda sedia
alla destra del tavolo – la sua postazione.
Stirò il braccio così da raggiungere e agguantare
il quotidiano spiegazzato posto sopra la cesta da cui solitamente
traboccavano
fette biscottate e biscotti e da cui invece quel giorno si vedevano
solo
briciole e il triste candore del tovagliolo.
Le lunghe ciglia della vampira mora di alzarono
leggermente giusto per dare il tempo agli occhi di osservare
l’umore del
Salvatore quella mattina.
«Come siamo di buon’umore oggi»
cinguettò lasciva
allontanando il bicchiere mezzo vuoto di sangue e facendo diventare il
disturbare il vampiro di fronte a lei la sua unica occupazione.
La fronte di Damon si stropicciò così come gli
angoli della sua bocca sebbene gli occhi azzurri rimanevano incollati
alle
minuscole lettere nere e grigie del giornale.
«Ogni giorno la tua capacità di capire esattamente
l’opposto di ciò che sono mi stupisce sempre di
più. E’ un dono che non tutti
hanno»
Il sorriso sornione e sfacciato di Damon fu
sufficiente per far si che l’espressione della vampira dai
vaporosi riccioli
scuri mutasse da un allegro e sbarazzino sorriso a un broncio ostile e
accusatore.
Solo questioni di minuti e il tavolo della cucina,
così finemente intarsiato e sul quale erano appoggiati i
gomiti del maggiore
dei Salvatore, sarebbe stato scaraventato contro le pareti malridotte
della
povera pensione.
Solo questione di minuti.
Lexi aveva già incominciato il conto alla
rovescia.
Non era un semplice litigio quello di quella
mattina, ma a parere di Damon quella sceneggiata si susseguiva ogni
giorno con
una periodicità di sei ore e che portava inevitabilmente
alla distruzione di
qualche oggetto della casa, di qualunque genere –
frigorifero, lampadario,
televisore, specchio.
Questo
a parere di Damon.
Secondo Lexi invece quello era la nuova attività
fedelmente di appartenenza del Salvatore per far trascorrere
velocemente il
tempo, nella speranza che non sopraggiungesse la noia.
Ma la verità era che a tutti in quella casa mancava
Stefan, e Katherine questo lo sapeva, lo sapeva eccome.
«Potresti essere più gentile, dopotutto sono
ancora le nove di mattina e lei
ancora non è scesa» latrò la vampira
dagli occhi nocciola, picchiettando le
unghie contro la superficie legnosa e affogando facilmente
l’impeto di
sferrargli un pugno, impedendo così che si compisse il
rituale litigio
mattutino.
Gli occhi azzurri di Damon si screziarono di rosso
giusto il tempo di scoccare un’occhiata assassina alla
suddetta vampira per poi
spostarsi alla ricerca del volto alquanto rabbuiato di Lexi.
«Lei dov’è?» chiese e senza
accorgersene aveva
inserito nel suo tono di voce più preoccupazione di quanto
effettivamente
voleva far trasparire.
La bionda si rifiutò di rispondere e al contrario
si torturò il labbro inferiore, lasciando che il silenzio
inghiottisse vivi i
presenti in quella sala.
Il Salvatore socchiuse maggiormente gli occhi e
inarcò un folto sopracciglio nero lasciando che una vena
pulsasse vivacemente
sulla tempia sinistra.
«Dimmelo, Lexi» ordinò nuovamente,
questa volta
mostrando un po’ più di contegno.
A Katherine sfuggì un sorriso per quello sforzo
effettuato dal Salvatore.
Lexi sospirò, allacciando le braccia al petto e
sentendo lo sguardo furente del vampiro di fronte a lei farsi sempre
più insistente
ed irritato.
«Nella sua stanza» annunciò e vide un
leggero
tentennamento nell’espressione arcigna di Damon.
«Come ieri del resto» aggiunse Kate puntualizzando
la situazione.
Il vampiro si tamponò la fronte con le dita, si
umettò le labbra e incrociò le caviglie sfiorando
appena il duro anello in
ottone che aveva sull’indice sinistro.
«Sta bene, vero?» chiese guardandola di sottecchi
e ignorando i commenti poco opportuni di Katherine che nonostante tutto
non
aveva abbandonato la sua postazione, quasi come se quella scena
così delicata
fosse così importante da prenderne parte.
Lexi cominciò a sudare freddo.
«E’ malata, Damon» disse stringendosi
nelle spalle
e puntando i suoi occhi verdi oliva in quelli del vampiro,
profondamente scosso
da quella costatazione.
«No, ti sbagli. E’ solo triste -»
pronunciò prima
di bloccare la mano a mezz’aria e rendersi conto della
veridicità delle proprie
parole «- beh, non che sia meglio di una malattia, sempre
meglio del cancro
comunque» concluse inarcando un sopracciglio e scoccando
un’occhiata alquanto
perplessa alla vampira dai lunghi capelli biondi.
Un boato sopraggiunse dal piano superiore e le
pareti tremarono a tal punto che dal soffitto poco stabile cadde
qualche
calcinaccio frantumandosi inevitabilmente sulle mattonelle scheggiate
del
pavimento.
Il Salvatore roteò gli occhi e con un gesto stanco
avvicinò a se il bicchiere ancora colmo di sangue rifiutato
precedentemente da
Katherine.
Un altro rumore metallico e questa volta anche
rumore di vetri rotti – quanti altri specchi avrebbe potuto
rompere?
Un’occhiata eloquente di Damon bastò a Lexi per
capire che anche quella volta sarebbe toccato a lei risolvere la
situazione.
«Vado io. Per questa volta» borbottò
mentre si
dirigeva a passo spedito verso le ampie scale secondarie che
l’avrebbero
condotta più velocemente alla stanza di Care –
sempre se fosse stata ancora
nella sua stanza.
La cucina adesso sembrava un luogo ancora più
solitario solo con Damon e Katherine.
«Adesso puoi anche permetterti di essere un po’
più
gentile» ammiccò la vampira sgusciando tra le
sedie posizionandosi sempre più
vicino al Salvatore.
La sua risposta fu l’alone di caffè che si
formò
sulla parete bianca al seguito del lancio della caffettiera bollente da
parte
del vampiro furibondo.
“Signor
Salvatore dovete prendermi se volete vincere al gioco”
Era più che raro per Stefan sognare, per di più
negli ultimi mesi era diventato quasi impossibile a causa dei pesanti
sensi di
colpa che gravavano sulle sue spalle, tenendolo insonne per parecchie
notti
sotto il tetto incurante del pensionato.
Eppure la sua mente stava vagando in un remoto
passato senza una ragione alcuna.
“Non
è consono
per una signorina bella come voi correre e sciuparsi il
vestito”
Katherine
arrestò i suoi passi e con le guance leggermente
rosate appoggiò le dita sottili sulla corteccia ruvida della
quercia che aveva
di fronte. Un sorriso leggero e sbarazzino a spiegazzarle il viso.
“E’
così bello
il vostro giardino” disse accompagnando le parole con
un ampio gesto
della mano destra mentre con la sinistra lisciava le pieghe della gonna
di seta
blu.
Stefan sorrise obliquamente e avanzò con le mani
intrecciate dietro la schiena, scansando con gli stivali i mucchi di
foglie
gialle che erano rimaste incastrate tra le spesse radici
dell’imponente albero.
“Vi
confesso che
sono lieto che mio padre abbia deciso di prendersi più cura
di questa parte dei
nostri possedimenti. Un giardino pulito è sinonimo di
bellezza e raffinatezza”
Il Salvatore tese la mano
munita di un soffice
guanto bianco e sfiorò la superficie legnosa e si
beò del tepore che la pianta
emanava, quasi come se fosse propria di vita.
E nella profondità dei suoi occhi Katherine vi si
immerse, beandosi dopo secoli di quella brezza autunnale che le
solleticò la
nuca resa libera dai riccioli raccolti e cascanti sulla spalla destra.
Stefan sollevò lo sguardo e puntò gli occhi color
giada su quelli della vampira che rispose a quell’attenzione
con un sorriso
genuino, prima di continuare il suo discorso.
“Ma
non solo di
questo, signor Salvatore. Un giardino ben curato è anche lo
specchio della
nobiltà di una persona, della purezza, della sua stessa
anima”
La fronte di Stefan si
corrugò impercettibilmente,
ma di questo Katherine non se ne accorse, troppo intenta a rimirare i
finissimi
nodi che si intrecciavano nel corpo curvilineo dell’albero.
“Se
fosse così,
questo giardino sarebbe il suo. Solo lei può avere
un’anima candida, e pura, e
bella quanto lo è questo prato” sussurrò lieve e con
l’indice le sfiorò le labbra fino a ricongiungersi
con il mento e sollevare i
suoi occhi color nocciola dal tappeto di foglie rosse e gialle
sottostanti.
“Mi
credete solo
degna di questo giardino? Ma la vostra casa e il vostro giardino sono
due
luoghi troppo distanti. Come le nostre due anime, in fondo”
Katherine portò
le due dita a cingere le pieghe
del vestito e con l’altra si aggrappò al braccio
del suo accompagnatore
implicitamente invitandolo ad incamminarsi sulla via del ritorno.
“Non
dovete
pensarla così, signorina Pierce” la ammonì Stefan con
tono
quasi paterno, volgendo lo sguardo più sul profilo di Kate
che al terreno
impervio sul quale camminavano.
“Casa
Salvatore
è un luogo chiuso, austero, tenebroso. Non si addice a uno
spirito libero come
il vostro. Voi avete bisogno dell’aria, del vento, di spazi
aperti per poter
sopravvivere. Lo sapete, Katherine.”
Un lieve senso di vertigine
si impossessò della
vampira tanto da farle aumentare la stretta attorno al braccio del
Salvatore.
C’era un qualcosa nei modi di fare di
quell’individuo, nei gesti semplici e nobiliari, da vero
gentiluomo del Sud,
che facevano vacillare l’animo di per se oscuro di Katherine.
Non si trattava di debolezza dovuta alla sete di
sangue, ma di un senso di benessere che sgorgava dal suo essere, solo
ed
esclusivamente quando era accanto a Stefan.
Lo aveva represso più volte, aveva premuto
l’interruttore così da rinchiudere quel sentimento
nascente, ma a volte lo
lasciava facilmente perforarle la pelle e attraversarle quel che ne era
rimasto
della sua anima. Ma Katherine non era fatta per ricevere amore, questo
l’avrebbe solo uccisa.
“E
se lo
volessi, Stefan? Se desiderassi con tutto il mio cuore di non essere un
giardino ma di essere una casa - la vostra casa - mi portereste con
voi?”
Stefan piantò
gli stivali sul terreno ricoperto di
foglie autunnali e Kate sciolse morbidamente la mano
dall’incavo del braccio
del suo accompagnatore.
Dagli occhi del Salvatore, Katherine poté già
gustare sulla punta della lingua il sapore dolce della vittoria
premeditata e
già ottenuta.
“Vi
giuro Katherine,
sulla mia vita, che quella casa sarà vostra, e solo
vostra”
puntualizzò Stefan allungando il braccio per solleticare la
pelle della guancia
leggermente olivastra della vampira la quale, nonostante la fiducia
sconfinata
che riponeva in lui, aguzzò gli occhi color cioccolato
desiderosa di avere
conferma dal suo interlocutore. Dopotutto più che un
giuramento, quello suonava
essere un accordo.
“State
attento,
signor Salvatore. Una promessa si mantiene, un accordo si rispetta. E
io non
intendo rammaricarmi per una vostra dimenticanza”
annunciò Katherine con una punta di finta arroganza sebbene
sapesse che niente
avrebbe potuto intralciare i suoi piani.
Non che Katherine avesse realmente il desiderio di
dimorare presso casa Salvatore per sempre, semplicemente il capriccio
di
intrufolarsi all’interno delle loro vite era così
grande a tal punto da
escogitare quella richiesta.
In fondo, una casa le sarebbe sempre tornata utile
in futuro.
“Non
potrei accogliere nessun altro a parte
voi” concluse il minore dei Salvatore allargando il
sorriso così da
ottenere un’espressione serena e rilassata, la cui durata
però non fu delle
migliori.
D’un tratto il giallo e l’arancione delle foglie
si tramutò in rosso scarlatto, delineando una scia macabra
la quale gli occhi
del Salvatore furono costretti a tracciare, aumentando il disgusto e il
ribrezzo laddove il sangue si addensava maggiormente.
“Vi
amo, Stefan.
Ricordatelo”
Il sussurro di Katherine
divenne sottile,
ovattato, quasi come se la sua immagine stesse scomparendo, quasi come
se non
fosse fatta altro che di fumi e nebbia.
Come un dipinto ad acquerello, i colori del
giardino cominciarono a mescolarsi, la linea rossa a farsi sempre
più marcata,
l’aria a tappezzarsi di pietre grigie e il prato a
irrigidirsi al di sotto dei
piedi del Salvatore attonito.
E fu quasi come se a Stefan avessero strappato via
la felicità senza mai più ritrovarla.
Si sentiva in gabbia - e non era l’unico.
“Voglio
tornare
a casa”
I singhiozzi
dell’esile figura che chiudeva il suo
campo visivo gli penetrarono in testa solcando rughe profonde sulla sua
fronte.
Le guance rigonfie della bambina dai capelli
biondi e disfatti erano violacee e rigate da copiose lacrime.
“Posso
venire a
casa con te?” chiese e gli occhi color giada
della Caroline
bambina rubarono solo per un secondo l’attenzione del
Salvatore.
C’era una strana sensazione che gli pervadeva il
corpo - e non era solo nel sogno.
Il terreno sembrava trasudare quel siero,
imbrattando di rosso tutto ciò che incontrava.
C’era un pregnante odore di ruggine tra le pareti di
casa Salvatore, sui vestiti candidi di Stefan.
C’era del sangue sul collo niveo di Caroline,
tanto sangue sulle labbra a mezza luna di una Katherine moderna.
E poi c’era il mostro
e con esso anche la fame – di lei.
E con quell’immagine raccapricciante il Salvatore
aprì gli occhi in quella mattina piovosa, speranzoso di
risvegliarsi nella sua
camera alla pensione, ma tutto ciò che sentì
sotto il peso del suo corpo fu la
fredda brandina e le lenzuola ruvide e marce
dell’appartamento squallido che
ormai da tre giorni era diventato la sua dimora.
Per quanto avesse cercato di allontanarsi da
Mystic Falls, di fuggire in altri paesi – Georgia, Messico,
Maine – c’era
qualcosa che lo sospingeva sempre più a nord, sempre
più vicino a casa.
Stefan si tamponò la fronte madida di sudore e
boccheggiò l’aria malsana di quella mattina,
strizzando gli occhi cerulei e
cercando di placare il tremore delle mani.
Stava lottando con il suo istinto di ritornare
alla pensione, di presentarsi di fronte alla porta di una casa in cui
non era
più il benvenuto.
Nonostante la consapevolezza che quello fosse solo
un incubo, in cuor suo il Salvatore nutriva un’incondizionata
paura: che il
cattivo in fin dei conti non fosse solo Katherine.
Con abile maestria Damon fece
entrare l’ultimo
bottone all’interno dell’asola della sua camicia
nera.
Un sorriso soddisfatto a dipingergli il viso
nonostante i turbamenti che gli flagellavano l’anima.
«Fuori piove. Dove hai intenzione di andare?»
chiese Katherine frizionandosi i capelli con un morbido asciugamano del
medesimo colore di quello che le fasciava il corpo sinuoso.
«A comprare le sigarette» rispose in maniera
sarcastica roteando gli occhi fino a incrociarli con il soffitto.
«Non vorrei che qualcuno entrasse e ci trovasse in
condizioni come dire indecenti»
cercò
di spiegare il maggiore dei Salvatore indicando il sottile strato di
cotone che
rivestiva la pelle della vampira e inarcando leggermente un
sopracciglio.
Kate emise un risolino che più che una risata
sembrava uno sbuffo.
«Oh Damon. Non cambi mai» mugolò con
un’aria di
superiorità la vampira che scomparì nuovamente
oltre la porta del bagno.
«Potrei dire la stessa cosa di te»
borbottò il
vampiro a voce bassa.
Non che a Damon facesse piacere quella malsana
relazione che aveva riallacciato con la vampira centenaria,
semplicemente gli
eventi dell’ultimo mese lo avevano talmente irritato da
decidere di abbandonare
i suoi sani principi e di ripercorrere la strada della perdizione che,
non
aveva detto a nessuno, ma tanto gli era mancata.
Perché Damon Salvatore non poteva permettersi il
lusso di apparire buono quando in lui di buono non ce n’era
molto.
«Vado da lei»
La frase spezzò il silenzio spettrale che si era
venuto a creare tra le pareti della stanza del Salvatore e solo il
rumore
ovattato dell’asciugacapelli oltre la porta del bagno
sembrava consolarlo di
non essere da solo ma in compagnia.
Che quelle parole che aveva appena pronunciato
suonassero come già dette in passato, questo Damon se ne
rese conto solo dopo
una manciata di secondi.
Non a caso il sorriso amaro che gli stropicciò le
labbra era proprio legato a questo. Ricordava il tono preoccupato ma
stanco con
cui il fratello soleva informarlo la sera prima di andare a dormire,
quando le
tenebre scendevano su casa Salvatore e il pericolo di una sua crisi si
faceva
più imminente.
Damon a quel tempo era solito roteare gli occhi al
cielo, apostrofare il fratello con qualche battuta sarcastica, o
semplicemente
annuire incurante, come se la questione non gli riguardasse.
A distanza di mesi adesso era lui a pronunciare
quelle parole e se avesse potuto si sarebbe preso a calci da solo tanta
era la
rabbia verso se stesso.
Non era da lui quel comportamento, non era da lui
e basta. Ma qualcuno doveva pur farlo.
«Non penso sia una buona idea» annunciò
Kate,
roteando il pomello della porta del bagno e dirigendosi verso
l’armadio in
cerca dei suoi vestiti.
Damon fece per andarsene quando il rielaborare
quella frase lo fece desistere dall’idea di abbandonare la
stanza.
«Da quando ti preoccupi della mia vita?»
ribatté
con tono non troppo meravigliato, inarcando spazientito un sopracciglio
e
inchiodando lo sguardo sulle spalle nude e ricurve della vampira.
Katherine si alzò, facendo ciondolare i boccoli
setosi e che profumavano ancora di bagnoschiuma.
«E’ pericolosa, Damon. E’ un aborto della
natura»
Il tono tagliente con cui la vampira aveva sputato
quelle parole non intimorì Damon né lo fece
vacillare. Kate continuò.
«Ho fatto in modo che Stefan se ne andasse. Ora è
al sicuro. Tu, no»
«A te è sempre importato solo di Stefan.
Perché
dovrei credere che questa volta sia diverso?»
abbaiò Damon avvicinandosi
lentamente alla vampira il cui volto era anch’esso segnato da
un profondo
cipiglio.
«Sta soffrendo. E’ pazza, malata, pericolosa. Il
suo esistere ti creerà solo problemi».
Gli occhi color nocciola della vampira di
ridussero a due fessure quasi come se volessero incidere maggiormente
quelle
parole sulla mente del vampiro di fronte a lei.
Non a caso Katherine aveva utilizzato quelle
parole. Damon ricordava che un tempo erano state sulla sua stessa
bocca, che
quel pensiero gli aveva tarlato la mente diventando una sorta di chiodo
fisso,
una faccenda in sospeso che da troppo tempo doveva concludere.
Damon allargò le braccia in un gesto di esasperazione
alzando gli occhi al soffitto mentre una roco risolino sembrava
solleticargli
la gola.
«E cosa vuoi che faccia, che la uccida?»
latrò
ironico inclinando il capo e indirizzando alla vampira
un’occhiata che
manifestava tutta l’impossibilità
dell’idea che per un attimo gli aveva
sfiorato il cervello.
Katherine non rideva, il viso di granito non
lasciava trasparire alcun accenno di ilarità ne di risposta
al sarcasmo
adottato poco prima dal vampiro. C’era in lei una smoderata
convinzione di non
agire male.
Per quanto Damon volesse rigirare e rigirare la
frittata, sapeva che non c’era soluzione migliore di quella
avanzata dalla
vampira.
E che lui, a suo malgrado, condivideva.
Caroline osservò la
chiazza di sangue che giaceva
rappresa sul tappeto del bagno color giallo ocra mentre la bocca le si
riempiva
dell’ennesimo grumo di sangue che il suo stomaco tentava
invano di rigettare.
Gemette, artigliando ferocemente il porta
asciugamani alla sua destra, frenando i tremiti che come spilli le
pervadevano
la colonna vertebrale.
Tossì osservando i fili scarlatti che si
depositavano sul fondo del water e strizzando gli occhi dal disgusto.
Si portò due dita a raccogliere dietro l’orecchio
le ciocche dorate che le cascavano sulle guance e preso un ultimo
respiro
profondo tirò lo sciacquone, segno che anche
quell’ennesima crisi era
finalmente giunta al termine.
Che Caroline fosse stata sempre un po’ testarda
questo ne era consapevole, tuttavia per quanto ci avesse provato a
nutrirsi di
sangue – poco importava se umano o di animale – il
suo corpo si rifiutava di
accogliere quel siero dentro di lui, corrodendole le viscere e
permettendo alla
sua mente malata di perdere il controllo.
Eppure non poteva far altro che ritentare.
Lexi le portava giornalmente una o due sacche di
sangue che sistematicamente rifiutava di bere, facendo perdere il
più delle
volte la pazienza alla povera vampira. E così gonfiate le
guance di stizza,
Lexi gettava la spugna e si richiudeva la porta dietro di se furiosa e
avvilita, lasciando le sacche di sangue in balia della pura mente
contorta
della vampira dai boccoli biondi.
Caroline storse il naso alla vista della sacca di
sangue quasi del tutto vuota.
Ma lei era pur un vampiro e il sangue era la sua
sirena che giammai avrebbe dovuto ascoltare.
Si portò due dita sporche di rosso sulle labbra
rosee e soffrì in silenzio al ripiegamento innaturale della
pelle attorno alle
sue cavità oculari.
Avrebbe riprovato di nuovo. Un po’
alla volta.
Il sangue le penetrò in bocca mischiandosi con la
saliva e in un battito di ciglia il malessere di poco prima
tornò a farsi
sentire più irruento che mai.
In un moto di rabbia Caroline cacciò un urlo
disintegrando la sottile sacca e scaraventandola contro la finestra
rompendone
un vetro.
Un grido profondo le uscì dal petto tanto da farle
tremare la gabbia toracica, e le mani artigliarono subito gli occhi e
il viso
impedendo alle lacrime di attraversare il loro corso naturale.
Sarebbe scivolata giù, sempre più giù
se non
avessero trovato un rimedio a questa malattia.
Sarebbe morta un
po’ alla volta – lei che morta lo era
già.
Non che bastasse soltanto un
po’ di sangue freddo
per uccidere la coinquilina con cui si è vissuti insieme per
circa sette mesi –
e che più volte aveva ribadito il fatto di essere una
famiglia – semplicemente
Damon credeva che questo fosse l’unico modo per risolvere i
suoi malesseri.
In fondo l’avrebbe aiutata, glielo doveva.
Damon percorse il corridoio dal quale solo qualche
ora prima provenivano urla acute e pianti isterici. Adesso solo il
silenzio
sembrava regnare sovrano.
Damon arrestò i suoi passi e il paletto in legno
di noce sembrò diventare enormemente pesante alla vista
della stanza
semiaperta, abbandonata dal fratello, entro la quale Stefan non avrebbe
più
fatto ritorno.
Scosse il capo quasi come a scrollarsi di dosso i
rimproveri che il minore dei Salvatore gli avrebbe fatto se solo fosse
stato
presente in quel momento.
Nessun rumore proveniva dalla stanza di lei, solo
il suo respiro stanco e irregolare sembrava essere unico segno della
sua
presenza.
Gli occhi di Damon balzarono sulla figura minuta e
ricurva che con le gambe incrociate giaceva sul letto disfatto.
Le iridi chiare della vampira dai capelli biondi
osservavano la parete di fonte a se con sguardo vacuo e assorto.
La posizione innaturale tenuta dalla bionda fece
vacillare un tenero sorriso sulle labbra di Damon, memore delle idee
pazzoidi
della coinquilina tra le quali vi era stato il pretesto di imparare
yoga con
tanto di rifiuto da parte di Stefan e derisione da parte del maggiore
dei Salvatore.
Le spalle spigolose sembravano essere troppo
minute per la maglietta rosa che indossava così come i
pantaloni della tuta,
troppo larghi, nei quali si perdevano le due sottilissime gambe.
Di fronte a quello spettacolo Damon non sembrava
essere più convinto di quanto lo fosse stato dieci minuti
prima.
Il vampiro si umettò le labbra e si schiarì la
voce.
«Ciao raggio di luna» salutò e la
vampira sobbalzò
interrompendo il contatto visivo con la parete e rivolgendo gli occhi
cupi al
Salvatore.
Il viso, prima smunto e grigiastro sembrò
illuminarsi di nuovo dopo tanto tempo.
«Ah, Damon, sei tu» sussurrò Caroline la
cui voce
uscì limpida e cristallina e al miglioramento del colorito
del viso si associò
anche la vitalità che riprese a danzare vivamente nei suoi
occhi.
«Sembri sorpresa. Se vuoi me ne vado»
ribatté
Damon con fare sarcastico mentre si stringeva per le spalle in segno di
andarsene.
Caroline rise e quasi la sua gola non ne risentì a
causa dell’incendio che stava dilagando al suo interno.
«Coraggio, entra. Siedi un po’ con me»
tintinnò la
vampira tamburellando la mano sulla porzione intatta di piumoncino
color verde
mela.
Damon non se lo fece ripetere due volte e
assicuratosi di aver chiuso accuratamente la porta si sedette sul
morbido
materasso.
La vampira in un gesto del tutto innaturale
allacciò le mani a quelle del Salvatore che offrì
la sua spalla come ottimo
cuscino sul quale accoccolare la cascata di boccoli dorati –
ma che purtroppo
risentivano dello stress e dell’insana pazzia.
«Perché non sei venuto prima a
trovarmi?» gracchiò
Caroline sfiorando con la punta delle dita i finissimi disegni
tratteggiati
sull’anello di Damon, concentrandosi affondo
affinché non incrociasse lo
sguardo del vampiro.
«Potrei farti la stessa domanda. Perché non sei
voluta più scendere?»
Il rimprovero di Damon sembrò mettere in
difficoltà la bionda la quale desistette per qualche secondo
prima di
rispondere al quesito del vampiro.
«Io non volevo che lui se ne andasse»
La vampira sussultò appena e il sospiro di Damon
arrivò
perfettamente alle sue orecchie poggiate sopra la gabbia toracica del
Salvatore.
«Sai com’è Stefan. Quando si sente di
troppo
preferisce levare le tende. Non sei stata tu, Caroline»
cercò di spiegare Damon
ma nella sua mente continuava a persistere quell’idea che
l’aveva spinto a
raggiungere la camera della vampira bionda.
Il paletto sembrò farsi incredibilmente
ingombrante sotto la manica destra della camicia un po’
troppo larga che quel
giorno Damon indossava.
Caroline roteò gli occhi e sbuffò stizzita
dall’asserzione del vampiro accanto a lei e in un moto di
impazienza si alzò
dal letto ponendosi di fronte ad un Damon alquanto sconcertato.
«Ero io quella che se ne doveva andare, non lui.
Questo non è affatto il mio posto. Io…»
Le guance della vampira cominciarono a tingersi di
una strana tonalità violacea mentre lacrime di nervosismo
tentavano di pungerle
gli occhi rossi e cerchiate da occhiaie.
Il Salvatore le bloccò le mani tremanti e i polsi
ossuti e Caroline aggrottò la fronte, colpita da quel gesto.
Damon fece leva sulle sue ginocchia e tese una
mano ad accarezzare il viso della bionda e a spostare le finissime
ciocche
dagli occhi lucidi.
«Ehi, se vuoi puoi lasciare questa casa, va bene
basta che me lo chieda» disse inarcando un sopracciglio e
piegando le labbra in
un sorriso che nonostante la fronte corrugata fece rilassare la
vampira,
animandola di antico entusiasmo.
«Ma mi servirà un nuovo nome, dei nuovi documenti.
Potremo vivere a New York o a Boston, lontano da qui. Io e te»
Le labbra della vampira si muovevano troppo
velocemente e il panico misto alla curiosità straripava dai
suoi occhi ancora
incredibilmente impauriti e debilitati.
«Frena, Magellana. Non ho detto che andremo insieme»
Gli occhi della vampira si strabuzzarono nel
sentire il mancato sarcasmo nelle parole del Salvatore tanto che una
scia di
sudore freddo sembrò scenderle lungo le spalle.
Inarcò un sopracciglio e inclinò la testa e Damon
poté leggervi tutta la confusione che in quel momento
albergava nella sua
mente.
Meglio
pensò se ne sarebbe andata senza capirlo
veramente.
Che poi da quando Damon Salvatore si preoccupava
di come uccidere una persona?
«Cosa significa?» snocciolò la vampira
bionda
assottigliando gli occhi e corrucciando sempre più le
finissime sopracciglia
cercando di ritrovare un barlume di allegria tra i vividi occhi azzurri
del
Salvatore di fronte a lei.
Damon si umettò le labbra e un sorriso tra lo
sbruffone e l’amaro gli si dipinse in viso inarcando
volutamente le
sopracciglia.
«Significa che questo è un addio, Care»
mormorò e
gli occhi della bionda si ingigantirono ancora colmi di
perplessità, ma se
c’era una cosa che Caroline aveva capito è che da
quello – che avesse creduto
realmente alle sue parole o meno - non poteva scaturire niente di buono.
Damon distese il braccio fino ad artigliare le
spalle morbide della bionda al cui contatto sussultò
portandosi le mani sulle
labbra quasi come a volerne placare il tremore.
Che Caroline fosse particolarmente ingenua, i
Salvatore lo avevano capito già da tempo. Tuttavia non erano
del tutto sicuri
se quello fosse il comportamento naturale della vampira dalle mille
idee e dai
messaggi subliminali che più volte nascondeva sotto una
risata cristallina o in
mezzo ai boccoli dorati. Di tutto i fratelli avrebbero potuto dubitare
meno
della sua, evidente o meno, dose di furbizia che tanto la
caratterizzava.
Ma il punto era che a Care l’amore l’aveva resa
cieca e non ci sono occhi che tengono a confronto.
L’animo di Care fu mosso da una speranza
sconfinata di non agire male, di abbracciare il vampiro che aveva di
fronte.
Ma fu solo una svista a far desistere la vampira
dal compiere quel suo gesto.
Con abile maestria Damon estrasse dalla manica il
paletto di legno e con un veloce movimento del polso lo
impugnò quasi come se
fosse stato un pugnale.
Gli occhi, seppur afflitti, puntavano dritti al
cuore.
Un affondo, deciso, lento segnò la fine di battiti
ancora per lui sconosciuti.
Il Salvatore premette ancora più affondo e non fu
soddisfatto fino a che non sentì il legno solleticare la
parete del cuore della
sua vittima fino a trafiggerla del tutto.
Eppure c’era un qualcosa che non andava e a Damon
quella consapevolezza non piacque affatto.
Al posto di due splendidi occhi giada, due
scintille verde oliva sembravano graffiare quelli del vampiro i quali si sbarrarono per
l’amara sorpresa.
Alzò gli occhi appena un po’ sopra la sua visuale
per ricongiungersi con la minuta figura di Caroline che con sua
meraviglia
risultava essere perfettamente integra ma scioccata dal delitto
commesso.
«Sei solo un bastardo» gorgogliò la fine
voce
della vampira dalla lunga treccia bionda sui cui zigomi incominciavano
ad
apparire evidenti le rigide increspature così come le labbra
carnose sfiorivano
lasciando posto ad una innaturale fuliggine tra le pupille quasi
bianche.
Il corpo di Lexi si fece incredibilmente pesante e
Damon non riuscì a reggerne il peso.
Cadde a terra con un sordo tonfo contro le assi
del parquet inclinando la testa obliquamente in modo tale che Caroline
potesse
sentirsi osservata dalla vampira esanime la quale aveva sacrificato la
sua vita
per salvarla – da cosa, Caroline lo doveva ancora digerire.
La vampira mimò qualcosa con le labbra mentre gli
occhi ancora sbarrati si riempivano di paura e orrore per il triste
avvenimento.
Si portò una manica a tamponare la bocca, tentando
di diminuirne il tremore e il mugolio insistente che le gorgogliava in
petto
scosso da sussulti.
Poi guardò Damon e vide la sua immagine riflessa
nei suoi stessi occhi.
Il Salvatore osservò l’amica del fratello distesa
a terra assottigliando gli occhi nella regione del cuore in cui aveva
conficcato il paletto.
Strabuzzò gli occhi e la fronte gli si riempì di
impercettibili rughe mentre digrignando i denti imprecava per il suo
errore
fatale.
Poi guardò Caroline e un barlume di lucidità
sembrò squarciargli la mente.
«Corri, Caroline» disse piegandosi per estrarre
l’arma dal petto della giovane vampira.
La bionda indietreggiò di un passo.
«Corri» sillabò il Salvatore dai cui
occhi azzurri
straripava tutta la voglia e l’adrenalina che per tanto tempo
gli erano
mancate.
Un altro passo indietro e Caroline era già in
corsa verso una meta sconosciuta.
Damon sorrise al lieve fastidio dovuto al pulsare
del sangue intorno alle palpebre.
Per dirla alla Katherine, a occhio e croce, la caccia
era iniziata.
Salve popolo di Efp,
non sono morta o finita in coma tranquillizzatevi, semplicemente avevo
perso la mia ispirazione riguardo questa storia o forse ad essere
sinceri non sapevo affatto come continuare questo capitolo che
è
dal mese di febbraio che è rimasto fermo al terzo rigo. Ma
adesso tra un impegno e l'altro mi sono messa di impegno e finalmente
riesco a pubblicarlo.
Prima di iniziare tengo a informarti che ho aperto un account su
facebook Dreem L. Efp
per cui chi volesse aggiungermi per sapere novità suelle mie
storie può anche farlo.
Dunque,
dove eravamo rimasti? Giusto Stefan che abbandona la pensione Salvatore
e che Caroline è ancora in balia del mostro. In questo
capitolo
vediamo come si è evoluta la situazione nell'arco di una
settimana: casa Salvatore ormai è ridotta quasi in rovina,
almeno all'interno, e i suoi abitandi desidererebbero uccidersi a
vicenda ma reprimono i loro istinti e continuano semplicemente a
vivere. La tensione è alle stelle specialmente tra Damon e
Katherine che all'insaputa di tutti hanno instaurato una relazione.
Questo avvicinamento di Damon verso Kate non deve essere visto come un
qualcosa di serio, semplicemente il bel vampiro dagli occhi azzurri
è ancora attratto dal fascino di Katherine (più o
meno il Damon sella prima stagione) e sta cercando di darle una seconda
possibilità, e poi è Damon! Caroline è
ancora alle prese con i suoi mutamenti di umore e le sue crisi
insistenti che la stanno divorando dall'interno. Sta diventando
pericolosa e irascibile tanto che Katherine mette la pulce
nell'orecchio di Damon e lo convince che l'unica soluzione è
quella di ucciderla. Anche Damon è d'accordo visto che
all'inizio della loro pseudoconvivenza aveva pensato di abbandonarla o
addirittura ucciderla quindi questa idea, nonostante il legame che ha
instaurato con la bionda, sembra allettarlo, spinto dal pensiero di
farle solo del bene. Damon cerca di non ammetterlo a se stesso ma
è profondamente addolorato per ciò che deve
compiere e questo suo dolore è manifestato dai tristi
ricordi della vampira durante la loro convivenza. Il momento Daroline
è uno dei miei preferiti perchè sembra essersi
instaurato il legame fraterno, nonostante comunque ciò che
compirà successivamente il vampiro. Infatti Damon raccoglie
il suo coraggio ed è pronto ad uccidere Caroline ma qualcosa
va storto e a lasciarci la vite è in realtà Lexi
che era accorsa in suo aiuto. E così Caroline è
costretta a correre, a nascondersi da Damon al fine di non diventare la
preda di questa caccia ideata dai due vampiri. Tengo a sottolineare che
Damon non è stato affatto pilotato da Katherine ma
è sempre stata una sua idea sin dal principio, un'idea che
adesso gli sembrerà sbagliata. Altra situazione è
quella di Stefan e del sogno-ricordo! Nel prossimo capitolo vedremo
come Caroline cercherà di sfuggire a Damon e come si
evolveranno le cose all'interno dell'ormai in rovina casa Salvatore. E
Caroline capirà chi è realmente il nemico che
deve combattere.
Spero di poter aggiornare presto, in fondo la scuola sta finendo e
presto tornerò a postare nuove cose sul sito.
Grazie a tutti coloro che si sono ricordati che tra tutte queste storie
c'è anche la mia,
un bacio,
Sil