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Autore: M e g a m i    19/05/2012    2 recensioni
The Black Order of the Soul Society, meglio conosciuta come The BOSS.
Era una sorta di social network in cui si era trovata coinvolta senza neanche rendersene conto. The BOSS ti attirava a se e ti risucchiava nel suo mondo “oscuro”come il colore del suo layout, e tu ti trovavi a sentire il bisogno di accedere ogni santo giorno, ogni santo momento libero. Era come una droga.
La cosa migliore di tutta quella “organizzazione”, era l’assoluto anonimato che garantiva. Perfino password e indirizzo di posta elettronica che servivano per la registrazione erano forniti dal social network stesso. Non era richiesta nessuna informazione personale, non la data di nascita, non un’immagine del profilo, neanche il nome, solo un nickname modificabile in qualsiasi momento.
Non era facebook.
Era semplicemente l’unico luogo in cui Tatsuki Arisawa riusciva a tirare fuori la vera se stessa, quella sotterrata sotto strati e strati di fogli A4 e retini, e sommersa dall’inchiostro per la G pen.
TheGrimReaper era entrato in chat giusto in quel momento, lesse con un sorriso appena accennato.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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NDA: Ed ecco che introduciamo il LaviRuki.
Viva i miei conigli preferiti! >W< ♥♥♥
 
[Crack Pairing] [Grimmjow x Tatsuki] [Lavi x Rukia] [Ichigo x Linalee] [Kanda x Orihime] [Debit x Riruka] [Tyki x Lust] [Starrk x Neliel] [Soi Fon x Hisagi]
 
 
 
-
 
 
 
CAPITOLO 2 – “I” come inesorabile, “I” come inutile.
 
 
 
Bip.
Bip.

Bip.
Quel suono ormai era diventato lo scandire del suo tempo, come il ticchettio di un orologio. Inesorabile.
Le ricordava uno altro suono, ugualmente breve, più acuto però, che ad un certo punto si era prolungato per una interminabile manciata di minuti, finché la macchina che lo produceva era stata spenta da un dottore, da un infermiere, da non si ricordava neanche più chi, quando ormai non c’era stato più niente da fare per rianimarla.
Inesorabile, come la morte.
Bip.
Bip.
Kuchiki Rukia passò svogliatamente l’ennesimo barattolo di fagioli in scatola sulla fotocellula della cassa, facendo scoppiare con la lingua la bolla che aveva formato con la gomma da masticare.
Lavorava in quel supermarket da ormai due mesi, e si era abituata alla routine e alla noia che il suo posto da cassiera dell’ultimo turno di sera comportava. Turno che stava per finire, l’orologio del suo cellulare indicava le dieci meno venti minuti. Ancora venti minuti e basta, poi sarebbe stata libera di tornarsene a casa, se l’appartamento che condivideva con quella specie di, per essere gentili, “ballerina” cinese poteva essere definita casa, e dormire, dormire e non pensare più a niente.
Fortunatamente quella sera i clienti erano stati ancora meno delle altre volte. Era passato il solito ubriacone che si era fatto la sua solita scorta di super alcolici, una giovane coppia di ragazzini visibilmente eccitati che si era comprata un pacchetto di preservativi, una signora sulla quarantina che per qualche motivo aveva acquistato le cinque scatole di fagioli che aveva appena finito di battere, e poi un ragazzo, piuttosto alto, con un berretto calato sulla testa a coprire degli inusuali capelli rossi, che spuntavano comunque da sotto, ribelli.
Tirando la gomma da masticare con la lingua per fare l’ennesima bolla, diede una spinta coi piedi che malapena raggiungevano il pavimento, spostandosi con la sedia munita di rotelle di qualche centimetro, quel che bastava per osservarlo mentre si rigirava tra le mani una confezione di qualcosa che da quella distanza non riusciva a distinguere.
Aveva intenzione di metterci ancora molto?
Se si fosse sbrigato, forse sarebbe riuscita a staccare qualche minuto prima e a filarsela. Ma no, figuriamoci, quel tipo se la prendeva comoda, fregandosene del fatto che lei non vedesse l’ora di farsi una doccia, togliersi dal viso il trucco pesante che all’inizio le era costato rimostranza da parte del proprietario del negozio, e poi infilarsi finalmente sotto le coperte.

Lo vide rimettere a posto sullo scaffale quello che aveva preso, per poi incamminarsi verso l’uscita. Finalmente si era deciso ad andarsene. O forse no.
Teneva la testa bassa mentre camminava, non riusciva a vedere bene il suo viso, coperto anche in parte dalla frangia rossa che gli cadeva sugli occhi. L’uscita era a pochi metri di distanza da uno dei due banconi che fungevano da cassa, doveva passarci per forza accanto per andarsene. Andava tutto bene.
Rukia abbassò lo sguardo verso le proprie mani, rigirandosi sull’anulare sinistro la piccola fede in platino che portava, mentre con la coda dell’occhio, osservò la sua, di mano, salire al giubbotto e infilarsi in una tasca interna.
Dannazione. Non andava bene per niente.
Aveva visto quella scena troppe volte in troppi film. Sera tardi, prossimità di chiusura, un tizio che arriva e tira fuori una pistola, ordinando di aprire la cassa e tirare fuori tutti i soldi. E nel peggiore dei casi la povera cassiera indifesa ci rimette una pallottola in testa.
Se solo il proprietario fosse stato un po’ più furbo e meno tirchio, e avesse accettato quella proposta di quella ditta di sicurezza che aveva fatto dei begli affari con almeno la metà dei negozi di quel quartiere, che non era esattamente uno di quelli con la migliore reputazione, e avesse fatto installare quel sistema di collegamento con la polizia locale... Le sarebbe bastato premere un bottone sotto il bancone, e la chiamata alla stazione di polizia sarebbe partita in meno di un secondo.
Continuando a tenere lo sguardo basso, strinse i denti, in attesa, col cuore in gola. Sentiva il sudore freddo imperlarle la fronte e la base del collo, scoperto dal suo caschetto.
Quando vide la sua figura fermarsi davanti a lei, separata solo dal vetro di plastica della cassa, chiuse gli occhi.
Quasi le parve di rivivere quegli interminabili minuti di un anno prima, minuti di silenzio, perché le sue orecchie avevano deciso di smettere di funzionare a dovere, e i suoni le arrivavano ovattati.
Anche in quel momento c’era silenzio. Il rapinatore non stava dicendo la classica frase “dammi tutti i soldi”.
E non erano le sue orecchie a non funzionare, perché Rukia sentì forte e chiaro la porta chiudersi e il tintinnio dello scaccia spiriti all’ingresso, messo per segnalare l’entrata e l’uscita dei clienti, visto che il proprietario del negozio era troppo tirchio pure per far installare una porta con chiusura e apertura automatica e una fotocellula collegata a una piccola sirena, come negli altri supermarket.
A quel punto, alzò lo sguardo, giusto in tempo per vedere quel ragazzo dai capelli rossi sparire oltre la luce del lampione sul marciapiede.
Si lasciò andare contro lo schienale della sedia, sospirando di sollievo e dandosi della stolta per aver frainteso tutto. Ma il sollievo non durò che pochi secondi, perché quando il suo sguardo cadde nuovamente sul bancone, vide un biglietto, piegato in due. Allungò la mano per prenderlo, tornando a farsi esitante. La consistenza della carta sembrava quella di un libro.
Lo aprì.
C’erano scritte solo tre parole, in una calligrafia sottile, ordinata, elegante. Tre parole che aveva sperato di non vedere mai.
 
So chi sei.
 
E sotto una data, un ora, e indirizzo.
Forse sarebbe stata meglio una rapina con tanto di pallottola in testa.
 
 
 
Lavi Bookman, o almeno, l’individuo che in quel momento rispondeva a quel nome, inspirò profondamente l’aria della notte, cacciandosi le mani nelle tasche dei pantaloni e dondolando sui piedi.
Gli era venuto un gran mal di testa.
Il suo corpo reclamava caffeina, era dalle tre della notte scorsa che non si era fermato neanche un secondo. Ma alla fine era riuscito a preparare tutto, la trappola perfetta.
Fin da quando aveva scoperto che la fuggiasca erede dei Kuchiki si era rintanata a vivere e a lavorare in quel piccolo quartiere malfamato, improvvisamente le sue giornate da giornalista da quattro soldi si erano fatte più luminose.
Ma quello che gli interessava, non era scrivere un articolo sulla misera vita che la giovane Kuchiki conduceva in quel momento, che avrebbe trovato spazio solo su qualche giornaletto scandalistico e creato molto rumore per nulla per qualche mese, per poi finire nel dimenticatoio.
Il suo ego voleva una storia, di cui si sarebbe parlato per un anno intero, anche di più.
E sì, voleva anche un pezzo che avrebbe risollevato la sua carriera, magari togliendolo dalla sua attuale posizione precaria di freelance e facendogli trovare un posto fisso. Se avesse scritto una storia strappalacrime sulla povera Kuchiki Rukia, che per qualche motivo tre mesi prima era scappata dall’enorme e lussuosa villa della sua famiglia adottiva, magari tirando fuori qualche scheletro nell’armadio della stessa, era sicuro che avrebbe riscosso un grande successo. E se fosse riuscito pure ad infilarci in qualche modo la sua cara sorella Hisana, morta un anno prima in circostanze tutt’ora misteriose, lo scossone emotivo che avrebbe provocato nei lettori sarebbe raddoppiato. Le sue fantasie vagavano da un complotto di famiglia a un Kuchiki Byakuya – ovvero il vedovo della defunta e fratello adottivo della sua piccola gallina dalle uova d’oro – assassino.
Molti giornalisti prima di lui ci avevano provato, a scavare sotto le pesanti pietre che erano state messe sopra quella storia, con scarsi risultati però. La famiglia Kuchiki era una delle poche casate nobili ancora esistenti e resistenti in tutto il Giappone, e aveva le mani in pasta un po’ da tutte le parti. Si vociferava pure che allungasse qualche bustarella tra le file del governo. La sua influenza era senza limiti, insomma.
E mettersi contro i suoi membri, equivaleva a un suicidio lavorativo. Nonché una possibile condanna per diffamazione.
Ma lui, lui che tecnicamente non esisteva, se non come Lavi, Dick, Adam, Gabriel, e una sfilza di altri nomi inventati, era piuttosto difficile da rintracciare. Per ogni cosa della sua vita, usava un nome e una carta d’identità diversa, dai conti in banca ai suoi articoli malpagati. Non lo avrebbero trovato facilmente.
Certo, se il suo progetto fosse andato in porto, però, le cose sarebbero un po’ cambiate, ma non gli importava. In fondo, era anche perché era stanco di quella sua vita instabile che si era messo in testa di scoprire cosa si nascondesse dietro la morte di Kuchiki Hisana e la fuga di sua sorella. Forse però non voleva neanche un impiego fisso. Cioè, non aveva le idee molto chiare di quello che avrebbe fatto dopo, se a un dopo fosse arrivato senza finire dietro le sbarre, o peggio ancora, ad ammuffire in qualche bidone della spazzatura come cadavere, per essersi cacciato in qualcosa di più grande di lui.
Si sistemò il cappello in testa, calandolo più sulla fronte e chiudendo gli occhi.
In fondo, non aveva nulla da perdere.
E se invece avesse vinto, tanto di guadagnato. Forse coi soldi intascati avrebbe fatto un giro per il mondo, chissà, sparendo dalla circolazione per un po’ per evitare conseguenze.
Aveva sempre voluto vedere il mondo, oltre che sui libri di storia e geografia che tanto amava, ma gli erano sempre mancati i mezzi.
Aaah, i libri, la sua fonte di conoscenza e di ispirazione, quelli sì che gli avevano dato tante soddisfazioni, al contrario delle persone.
Quella Kuchiki Rukia, però, si apprestava ad essere una fonte immensa di soddisfazioni, se solo avesse fatto la brava bambina e si fosse lasciata ingannare a dovere.
Nella sua mente contorta, aveva messo a punto diverse strategie per farla cantare. La prima tra tutte, era stata minacciarla di svelare la sua attuale posizione, legandola a sé ricattandola attraverso il denaro o il sesso. Ma così non avrebbe funzionato, non sarebbe mai riuscito a farla parlare di qualcosa che evidentemente era tanto terribile da averla indotta a scappare di casa. La seconda, era stato fingersi un bravo ragazzo simpatico e affabile, diventare suo amico e spingerla sottilmente ad aprirsi con lui. Lo aveva fatto tante volte per ottenere confessioni e testimonianze, ma qualcosa gli diceva che quella volta, con lei, non avrebbe funzionato. Quella ragazza non era una stupida, né tantomeno un’ingenua, se era riuscita a nascondersi per tre interi mesi da una famiglia con agganci ovunque, peggio della Yakuza.
L’aveva osservata per qualche giorno, da quando un tizio su The BOSS, – anonimo come tutti in quella chat che frequentava appunto per mantenere i contatti con gli informatori –, gli aveva fatto una soffiata su di lei. Di primo acchito aveva ignorato la cosa, non ritenendola attendibile. Poi però aveva deciso di fare un salto in quel quartiere, giusto per togliersi la pulce dall’orecchio. Non lavorava a un pezzo da un po’, e se quella soffiata fosse risultata veritiera, sarebbe stata la manna dal cielo.
Così era stato, infatti.
Ci aveva messo un po’ a riconoscerla, ad essere sinceri. Prima di andare a controllare, si era informato vagamente su di lei, e aveva scorso parecchie fotografie che la ritraevano nelle più svariate occasioni, dalla sua adozione in concomitanza col matrimonio della sorella di cinque anni prima, al funerale della stessa un anno prima, alla sua scomparsa esattamente ottantasei giorni prima.
Aveva imparato a memoria i lineamenti del suo viso quasi infantile.
Eppure, quando se l’era trovata davanti, con quei capelli decisamente più corti, gli occhi contornati da un trucco pesante e un anellino al naso, dire che era rimasto scioccato era poco. Davvero, quasi l’aveva scambiata per un'altra persona. Però la forma del viso, gli occhi di quel blu scuro e intenso tanto da sembrare indaco, i lisci capelli neri, la carnagione pallida, la statura, tutto il resto oltre l’apparenza combaciava. E guardare oltre l’apparenza era una delle prime lezioni che “Lavi” aveva imparato da quel mondo infame.
Nello stesso istante in cui l’aveva vista, passando casualmente davanti al supermarket in cui lavorava, e gettando uno sguardo su di lei attraverso le vetrate trasparenti e gli occhiali scuri che indossava, aveva capito cosa doveva fare.
La coscienza non gli rimordeva per niente. La seconda lezione che aveva ben presto imparato, era metterla a tacere e dipingersi sulla faccia un sorriso. Tanto le persone ti fregavano comunque. Meglio essere tu a fregarle per primo.
Per non soffrire poi, inutilmente.
 
 
 
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Se il LaviRuki come pairing vi intriga, vi consiglio VIVAMENTE di dare un’occhiata ai profili di N e m e e Angy_Valentine, che sono delle ottime scrittrici e hanno fatto dei veri capolavori su di loro!
  
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