Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: ermete    19/05/2012    14 recensioni
Seguito di "Back to Afghanistan":
Quando Sherlock aprì il portone del 221B di Baker Street fu quasi magia: il profumo di casa lo invitò ad entrare, adocchiando tutti i richiami visivi che via via riaffioravano nella sua mente, così come in quella di John, che non vedeva l’appartamento da ancor più tempo del detective.
Toccò a John l’onore di aprire l’appartamento entro il quale si avventurò per primo, posando il borsone vicino agli scatoloni contenenti la propria roba che Mycroft aveva fatto portare lì.
“Casa dolce casa, già.” mosse i primi passi nel salotto osservando le due poltrone, una di fronte all’altra, sorridendo perchè sapeva che si sarebbero riempite nuovamente, che avrebbero vissuto dialoghi realistici o assurdi, discussioni o frivolezze e magari anche qualcosa di nuovo.
Genere: Azione, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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***Ciau! Allora, vi propongo il secondo capitolo XD è stato un parto trovare il titolo perchè con "Dog" ci sarebbero potuti stare diversi giochi di parole, visto che si parla delle piastrine militari(dog tags per l'appunto), e nelle stesse piastrine c'è il riferimento agli hounds (e giù cagnoni), e poi c'è il Caso del Signor Ford dove c'entra un cane XD vabbè, titolo a parte, il caso del signor Ford è ispirato ad una di quelle avventure sceme della settimana enigmistica XD io ci ho ricamato su i moventi, le dipendenze e i personaggi XD spero sia tutto plausibile. Poi il resto è incentrato sui nostri Johnlock e io vorrei chiedere un favore a chi mi commenterà il capitolo, ovvero datemi un parere sulla loro relationship, ovvero se vi sembra coerente, esagerata, ooc, ic... insomma, mi interesserebbe saperlo per regolarmi coi prossimi capitoli :D mi importa il vostro parere, belle figliole *_* BACI!***


Dog Tags

Sherlock si svegliò abbracciato al proprio violino, rannicchiato sulla sua poltrona con una coperta sulle spalle: mugugnò qualcosa con la bocca ancora impastata dal sonno mentre si alzava posando lo strumento musicale dentro la custodia, a terra. Si guardò attorno frastornato: sorrise nel constatare di essersi svegliato nel proprio appartamento dopo molto tempo, ma c’era qualcosa che gli sfuggiva: dov’era John?

Si avvicinò al tavolo, leggendo l’ora sul cellulare “Mh... le 10 e mezza.” posò la mano destra sul collo e lo piegò di lato facendo scricchiolare le ossa sotto la pelle bianca. Quando riaddrizzò la testa però la domanda rimase: sul serio, dov’era John?
Provò a chiamare il suo nome e non ottenendo alcuna risposta salì in camera sua, arricciando le labbra nel constatare quanto tutto fosse completamente in ordine: il letto rifatto, i vestiti riposti nell’armadio spolverato, la divisa appesa ad una gruccia sopra una delle ante. Sul comodino giacevano silenti le piastrine militari: Sherlock si avvicinò e le prese in mano, leggendo nella prima il nome e il numero di matricola, nella seconda l’appartenenza agli Hounds.
Mise le piastrine di John al collo e tornò in salotto, e dopo aver preso il cellulare in mano digitò velocemente un messaggio.
-Dove sei? SH-
Giocherellò con le piastrine mentre aspettava la risposta di John, facendole scorrere avanti e indietro sui pallini della catena, spostando poi lo sguardo sullo smile giallo e sul teschio “E voi due? Sapete dov’è andato?”
Si avvicinò alla finestra, sbirciando lungo le vie laterali, attendendo qualche minuto nella speranza di vederlo arrivare: annoiato dall’attesa, alzò lo sguardo sull’appartamento del condominio di fronte, quello che, come John gli aveva fatto notare, era stato ricostruito da poco. Vide gli infissi chiusi, notò che non c’erano panni appesi ad asciugare, e nessuna pianta ornava il balcone: nonostante pensasse che fosse semplicemente disabitato, inviò un messaggio a Mycroft, specificando solo l’indirizzo e il numero civico dell’appartamento in questione.
Sbuffò dunque, allontanandosi dalla finestra e buttandosi sul divano con ben poca eleganza, le piastrine nella mano destra, il cellulare nella sinistra.
Dove diavolo era John?

John rientrò a casa mezzora dopo, correndo velocemente sù per le scale pieno di borse della spesa: quandò entrò nell’appartamento lasciò spaziare subito lo sguardo per la sala alla ricerca di Sherlock che trovò sdraiato sul divano, in pigiama e vestaglia, intento a leggere un vecchio libro che gli aveva visto spesso tra le mani.
“Sei sveglio! Buongiorno!” salutò cordialmente, per poi posare le borse sul tavolo della cucina ed iniziare a mettere a posto la spesa: ci mise molti minuti poichè aveva comprato davvero molta roba. Dal cibo ai giornali e dai saponi ai detersivi, si era premurato di rifornire la casa di tutto ciò che aveva bisogno: quando ebbe finito si avvicinò a Sherlock che era stato silenzioso per tutto il tempo, non si era neanche preoccupato di rispondere al saluto.
“Cosa leggi?” si sedette sulla punta del divano, all’altezza dell’anca di Sherlock che, ancora, non si degnò di rispondere: posò dunque la mano destra sul ventre del detective, scuotendolo delicatamente “Che c’è, Sherlock?”
“C’è che ti ho mandato un messaggio. Non usa più rispondere?” non ci voleva il suo cervello per intuire la stizza che coloriva il suo tono di voce.
“Mh? Davvero?” John si infilò la mano sinistra in tasca e dopo aver recuperato il cellulare sospirò abbondantemente “Si vede che si è scaricato. Mi sa che è stato spento per troppo tempo, la batteria è andata.” fece spallucce, buttando il telefono sul tavolino vicino al divano “Beh? Cosa mi avevi scritto?”
“Ti avevo chiesto dove fossi andato.” il tono di Sherlock continuava ad essere acido, il volto ancora nascosto dietro al libro.
“Oh... ho fatto un po’ di giri.” rispose John, posando poi la mano sul libro che Sherlock stava leggendo, provando ad abbassarlo, ma trovò la resistenza dell’altro a contrastarlo “Sono andato in caserma a firmare dei documenti per la pensione, in ospedale a lasciare il mio nome per le emergenze e a fare la spesa.”
A quel punto fu Sherlock ad abbassare il libro, posandolo sul proprio torace “Hai fatto tutte queste cose? E prima di uscire hai pulito casa?”
John fece spallucce sorridendo nell’incontrare finalmente lo sguardo di Sherlock “Se aspettavo che la pulissi tu...”
“John, tu non stai bene. Senti già la mancanza dell’azione. Non sai come sfogare l’adrenalina in eccesso e fidati, devi stare attento a non avere un crollo, da troppa adrelina a zero adrenalina e...”
Fu fermato da John che decise di interrompere il fiume di parole di Sherlock battendogli due dita sulle labbra, divertendosi nel sentire quello che sembrava un urlo di guerra dei pellerossa “Non preoccuparti, è impossibile avere un crollo di adrenalina con te: sta a vedere che presto Lestrade ci sottoporrà un caso e dovremo correre sù e giù per Londra.”
“Ma!” protestò Sherlock, cercando di spostare la propria bocca dalle sue dita.
“Niente ma, sono un dottore, lo saprò no?”
Sherlock decise di fermarsi e rimandare il discorso, di nuovo: non era nel suo carattere pregare qualcuno, soprattutto per un problema che non lo riguardasse personalmente, quindi lasciò cadere il libro di lato, sbuffando leggermente.
John reclinò il capo, accorgendosi solo in quel momento delle piastrine al collo di Sherlock “Cosa ci fai con queste?” non sembrava molto contento di quella sottrazione: alzò la mano che prima era sul ventre dell’uomo fino a posarla su quegli oggetti metallici.
Sherlock colse il fastidio provato da John e si sentì un po’ ferito da quella reazione “Quando questa mattina mi sono svegliato e non ti ho trovato a casa mi è preso... un attimo di panico.” esagerò volutamente con quell’ultima definizione, quindi accompagnò il tutto con un’espressione un po’ intristita “Così sono entrato nella tua stanza e...”
“Però le piastrine sono una cosa molto personale per un soldato.” John non sembrò cadere nel tentativo di Sherlock di arruffianarselo.
Sherlock sospirò “La verità è che ho pensato che finchè tu non avessi più queste... beh non saresti più andato via.” ammise alla fine, spostando lo sguardo altrove: quando confessava a John qualcosa riguardante i propri sentimenti per lui, non sempre riusciva a guardarlo negli occhi. Non era ancora del tutto pronto a fare in modo che qualcuno gli raggiungesse l’anima più profonda, e temeva quel potere che John riusciva ad avere su di lui “Non voglio mica tornare in Afghanistan a salvarti di nuovo.” aggiunse, nella speranza di togliere almeno un po’ di melodrammaticità alla sua precedente confessione.
“Non vado da nessuna parte, Sherlock.” John sospirò, provando a girargli il viso con una leggera pressione sul mento, ma non andando a buon fine con quell’intenzione, si chinò sull’altro fino a posargli le labbra sulla tempia in un leggerissimo bacio.
Per John non era strano baciare qualcuno, aveva avuto diverse storie, ma mai con qualcuno che fosse neanche lontanamente simile a Sherlock, che, d’altra parte stava appena entrando nel mondo dei ‘normali’, almeno dal punto di vista sentimentale e doveva ancora abituarsi a quei gesti: avrebbe voluto renderli a sua volta spontanei, ma senza che perdessero il tocco magico di ogni sua prima volta. Quindi ci fu un momento in cui entrambi rimasero in silenzio, perdendo il filo del discorso, concentrandosi altrove: il gesto che aveva appena fatto John era venuto spontaneamente, senza alcuna forzatura, eppure elettrizzò entrambi, facendoli bloccare in una bolla temporale per qualche istante.
“E se un giorno decidessi di farlo?” Sherlock riprese il discorso, continuando ad opporre resistenza al tentativo di John, mantenendo lo sguardo altrove, imbarazzato.
“Dovresti farla proprio grossa.” John liberò una piccola risata, soffermandosi qualche istante sul profilo dell’altro, desiderando di toccarlo molto più di quanto si sarebbe aspettato di volere “Ma più grossa di fingerti morto per due anni e mezzo la vedo dura.” provò nuovamente a far voltare Sherlock “Dai, guardami.”
Fu l’ultimo sussurro di John a farlo arrendere: Sherlock si girò mostrandogli un sorriso che sembrava sinceramente dispiaciuto. Quando poi alzò la mano verso le piastrine con l’intento di togliersele, venne fermato da John.
“No, tienile se ti fa piacere.” il dottore sorrise con una dolcezza tale da disarmare lo sguardo intristito di Sherlock “Te l’ho detto, no? Sono una cosa molto personale, quindi chi può custodire le mie meglio di te?”
Sherlock alzò entrambe le mani verso le spalle dell’altro, attirandolo verso di sè con gentilezza “John.” gli fece poggiare il volto sul bracciolo del divano, accanto al proprio, cingendolo con ambedue gli arti superiori: ecco che aveva appena reso spontaneo uno di quei gesti che nella sua mente aveva ripetuto più e più volte, e che solo ultimamente era riuscito a concretizzare.
“Mh?” John si sistemò sul divano sul fianco sinistro, accanto a Sherlock, aggiustandosi al meglio per riuscire a stargli comodamente vicino.
“Niente.” gli sussurrò sulle labbra, sfiorandogli il naso col proprio “Tra le cose che mi piacciono di te c’è anche il tuo nome.”
John si tirò un po' indietro, spalancando gli occhi per la sorpresa “Sherlock Holmes ha appena fatto un complimento ad un’altra persona?”
“Analisi corretta, dottor Watson. Che dice, dovrei preoccuparmi per la mia salute?”
“Fortuna che vivi con un medico.” John strinse Sherlock a sè, incastrando le gambe tra quelle di lui: poi si fermò a riflettere. La bellezza che ora riusciva ad ammirare sul volto di Sherlock, gli fece chiedere se sarebbero andati oltre ai baci a stampo dei bambini delle medie, il cuore che gli sentiva battere sotto l’azzurrina maglietta di cotone, invece, gli fece domandare se sarebbe durato quel clima affettuoso, ma soprattutto, il tocco della propria mano destra sopra il suo volto lo estasiò sfrenatamente, perchè stava davvero coccolando Sherlock Holmes.
Anche Sherlock si lasciò andare a delle silenziose riflessioni: si chiese se si stesse comportando bene, perchè, se ne rendeva conto ogni giorno di più, la sua unica preoccupazione era che John stesse bene, fuori da ogni pericolo, ma soprattutto voleva renderlo felice, ripagarlo per tutto quello che aveva fatto per lui e sorrise nell’accettare che quella sua volontà avrebbe giovato ad entrambi. Voleva farlo, doveva riuscirci: si rese conto che se non ci fosse stato John, non avrebbe fatto differenza per lui vivere o morire dopo la caduta dal Bart’s. E invece no, aveva pianificato tutto per sopravvivere, per poter vivere altre avventure con lui: altre cene, altre corse, altri battibecchi, altri insegnamenti, altri esperimenti, altra gioia, altri giorni passati insieme. Con quel pensiero in testa, strofinò la fronte su quella di John “Fortuna che vivo con te.” e lo baciò, per primo, a stampo come fanno i bambini, ma con la consapevolezza che solo un adulto innamorato è in grado di avere.

Passarono due settimane di assoluta, continua, snervante tranquillità prima che Lestrade chiamasse Sherlock e John per un consulto investigativo.
Quando raggiunsero la scena del crimine, si trovarono di fronte ad una villa imponente, davanti alla quale John rimase a bocca aperta: non era mai stato in quella zona di Londra poichè anche solo l’idea di poter camminare per quei viali lussuosi ti svuotava il portafoglio.
Sherlock invece sembrava a suo agio, anzi, era particolarmente sù di giri, felice di poter nuovamente impegnare il proprio cervello in qualcosa che non fosse il cruciverba del Times.
Passarono tra i diversi poliziotti della scientifica che rivolsero loro occhiate di diverso tipo, che variavano dal curioso allo scettico, dallo spazientito all’indignato: John classificò tutti gli sguardi con perizia mentre Sherlock, pur notandoli tutti, non dava loro alcun peso, finchè non si trovò di fronte Anderson a sbarrargli l’ingresso della stanza verso la quale erano diretti.
“La penso ancora come tre anni fa’.” tenne a precisare il tecnico forense, intrecciando le braccia al petto.
“Un enorme passo avanti, Anderson! Ora riesci pure a pensare!” Sherlock reagì come al suo solito, dando l’impressione, o meglio la certezza, di non accusare il parere di quello che considerava come il più inetto tra i poliziotti di Scotland Yard.
John si limitò a squadrarlo mentre gli passava davanti sorridendo di sottecchi nel vederlo ancora intento a cercare una buona frase per ribattere a Sherlock, quindi entrò nella stanza preceduto dal consulente investigativo.
“Pensavo avessimo un cadavere.” borbottò Sherlock, non preoccupandosi di avere di fronte la vittima dell’aggressione: il signor Ford, un ricco e blasonato anziano che reggeva il patrimonio di una delle famiglie più ricche di Inghilterra, il quale, odendo le parole pronunciate dal redivivo Holmes, si indignò sfogando il proprio risentimento su Lestrade.
“Commissario Lestrade! Mi aveva assicurato dei professionisti!”
Mentre Greg cominciava a scusarsi e John sgomitava un impenitente Sherlock in un silente rimprovero, la Donovan bisbigliò parole di scherno e tutto sembrava tornato come ai vecchi tempi, se non fosse che il dottor Watson sembrava accusare ogni piccola provocazione fosse rivolta al proprio amico. Ingoiò il rospo, limitandosi a seguire Donovan con gli occhi finchè lei non abbassò lo sguardo.
“Lestrade. Hai parlato di tre sospettati.” Sherlock fece il giro della stanza, prendendo nella mano guantata una statua di giada macchiata di sangue, ovvero l’oggetto contundente che aveva colpito il signor Ford la notte precedente.
“Sì, sono gli unici che sarebbero potuti entrare, poichè sono i soli a conoscere il codice di sicurezza del cancello che come avrai visto...”
“...non mostra segni di effrazione. Sì, ovvio che l’ho visto.” rispose velocemente, per poi voltarsi verso l’uscita della stanza “Non si può far smettere di abbaiare questo cane? Mi dà sui nervi!”
Da quando erano entrati nella tenuta, infatti, un grosso pastore tedesco non aveva fatto altro che abbaiare a loro e a tutti i poliziotti presenti.
“Portatelo da Corinne, la badante, lei sa tenerlo buono.” consigliò il vecchio signor Ford che poi si alzò, diretto verso la stanza dove sedevano i tre sospettati.
“Signor Ford, non si ricorda niente di quanto avvenuto stanotte?” domandò John, offrendo all’anziano un braccio a cui appoggiarsi.
Il Signor Ford accettò l’aiuto di John con un fiero cenno del capo “Non ho sentito niente, giovanotto. Dormivo tranquillamente, nessun rumore, poi ad un tratto ho visto tutto bianco, mi sono svegliato con un gran dolore alla testa, ma a quel punto nella stanza non c’era più nessuno e la cassaforte era aperta.”
John annuì, mentre Sherlock e Lestrade facevano strada davanti a loro “Complimenti per l’ottima costituzione fisica, quella statuetta non era per nulla leggera eppure lei se l’è cavata egregiamente.”
“Non era poi così forte, sono stato in guerra, ho preso delle sventole ben peggiori!” borbottò orgogliosamente il vecchio signor Ford.
Quando entrarono nella stanza, si ritrovarono di fronte due dei tre sospettati: l’avvocato ed il nipote del signor Ford. La terza indagata entrò subito dopo, scortata da un agente: era la badante che s’era preoccupata di portare il cane fuori dalla casa, giù in giardino, dove aveva la sua cuccia.
Sherlock sbuffò vistosamente, scosse il capo e iniziò a borbottare qualcosa sottovoce, attirando l’attenzione di tutti: si mosse poi, fermandosi davanti ai tre sospettati, nel centro preciso della stanza, come se avesse calcolato l’equidistanza tra i quattro vertici del pavimento.
“Davvero mi avete convocato per un caso del genere? Davvero non ce la fate da soli?” domandò Sherlock, riprendendo poi a muoversi: anche se aveva già individuato il colpevole, si divertì comunque a leggere la vita degli altri due sospettati.
Lestrade sbuffò mentre Donovan imprecava sottovoce: John invece sorrise, non potendosi aspettare di meno da Sherlock Holmes, sorriso che scomparve quando vide il consulente investigativo voltarsi verso di lui, di scatto.
“John, prova tu, sono sicuro che la farai.” lo chiamò a sè con un cenno della mano destra, sorridendogli furbescamente “Dimostra che sei meglio di questi poliziotti... oh, senza offesa per te, Lestrade. Gli altri... beh che si offendano pure.”
“Sherlock, per l’amor del cielo!” Lestrade fece un passo avanti, ma venne fermato dal consulente investigativo che alzò una mano verso di lui.
“Hai qui il colpevole, io saprei già dirti anche il movente, quindi perchè non far esercitare qualcuno che valga la pena ascoltare?”
“Sono curioso.” intervenne il signor Ford, che nel frattempo si era seduto, osservando i tre sospettati con aria accusatoria “Vediamo come se la cava il tizio gentile. Poi sentiremo cosa ha da dire quello impertinente.”
Lestrade allargò le braccia verso l’esterno, chiedendosi se la sua autorità contasse ancora qualcosa in mezzo alle indagini in cui coinvolgeva Sherlock.
A quel punto John si fece avanti un po’ incerto: sapeva che Sherlock non avrebbe mai voluto metterlo in difficoltà proprio davanti ai poliziotti di Lestrade, quindi capì che la soluzione poteva davvero essere a portata di mano.
Sherlock decise di dargli un unico aiuto “Ripensa a tutto quello che sappiamo. Ci si può arrivare anche senza interrogare i tre sospettati.”
John annuì, quindi iniziò a ripetere a voce alta tutti i dettagli che gli sembravano importanti “Allora, sappiamo che il signor Ford è stato aggredito questa notte mentre stava dormendo: non ci sono segni di scasso sul cancello quindi il colpevole conosceva il codice dell’allarme e questo ci porta a voi tre. Il signor Ford non ha sentito alcun rumore...” alternò lo sguardo sulle tre persone che aveva di fronte, iniziando a dubitare della convinzione di Sherlock, ma quando sentì i latrati del cane raggiungere il proprio udito nonostante le finestre fossero chiuse ebbe l’intuizione “E’ stata la domestica!”
Sherlock sorrise, mentre gli altri spalancarono la bocca dallo stupore, soprattutto il signor Ford “Corinne? Non è possibile, è sempre stata gentile e affidabile.”
La domestica non si impegnò molto a negare, limitandosi ad abbassare il capo: il suo sguardo era colpevole e mortificato.
“Me l’ha suggerito il suo cane, Signor Ford, mi dispiace che sia deluso.” John sorrise, di circostanza, quindi procedette con la spiegazione “Vede, il suo cane abbaia a tutti, che Dio ce ne scampi e liberi, non ha mai smesso finchè la sua domestica non se ne è presa cura, d’altronde l’ha detto anche lei, è l’unica che riesce a tenerlo a bada. Quindi se nel cuore della notte suo nipote o il suo avvocato fossero entrati dal cancello, il suo cane avrebbe abbaiato e lei lo avrebbe sentito, ma proprio prima di entrare in questa stanza, Signor Ford, lei ha dichiarato di non aver sentito alcun rumore, quindi l’unica persona che sarebbe potuta entrare senza far abbaiare il cane è proprio la signora Corinne.” John incrociò le braccia quando finì di parlare, provando una sensazione di fierezza nell’essere arrivato alla soluzione del caso ancora prima dei poliziotti presenti.
“Corinne...” piagnucolò il vecchio signor Ford “Ma perchè? Ti ho sempre trattata con riguardo.”
“Questo posso spiegarlo io.” intervenne Sherlock, ma solo dopo aver guardato John con una certa soddisfazione “Per pura coincidenza, ognuno dei tre sospettati ha un problema di dipendenza e questo renderà ancora più interessante la spiegazione. Partiamo dal nipote: ha lo sguardo perennemente perso nel vuoto, occhi rossi, un gradevole odore addosso che per voi comuni mortali potrà sembrare rosmarino, ha appena mangiato un sandwich le cui salsine gli macchiano ancora il viso ed è la persona più tranquilla del mondo nonostante sia stato accusato di aver aggredito il suo ricchissimo parente che morendo avrebbe potuto lasciargli una buona fetta di eredità, quindi tutto sommato avrebbe avuto anche un ottimo alibi. Ma fumare marjuana non è costoso come altre dipendenze ed inoltre non ti rende disperato al punto da provare ad uccidere una persona, tanto meno un parente stretto, vero?”
Il ragazzo, giusto per confermare il proprio stato morboso, alzò il braccio verso Sherlock, biascicando un gergale “Bella zio! L’avevo detto che non c’entravo niente.”
“La dipendenza dell’avvocato è un po’ più costosa: le donne.” riprese Sherlock, fermandosi davanti al legale del signor Ford “Il segno dell’abbronzatura sul dito della fede suggerisce che o se l’è sfilata perchè ha divorziato da poco o perchè tradisce regolarmente la moglie, cosa altamente più probabile visti i segni sul collo che non è riuscito a nascondere, non a me quanto meno. Quindi cosa potrebbe succedere? La sua amante la sta ricattando? O ne ha più di una e sono difficili da mantenere? Non lo so e non mi interessa, tuttavia i vestiti che indossa, l’orologio e il modello del cellulare suggeriscono un alto tenore di vita, quindi non avrebbe avuto bisogno di rischiare la galera per riuscire a mantenere il suo vizietto.”
L’avvocato si limitò ad alzare il colletto della camicia cercando di nascondere il succhiotto di una delle sue amanti e a infilarsi nuovamente la fede nell’anulare sinistro.
Era musica per le orecchie di John: quelle deduzioni pronunciate con una rapidità disumana, la velocità con cui aveva intuito tutto con un solo sguardo, lo sorprendevano sempre, come il primo giorno in cui l'aveva conosciuto. Se possibile, questa volta a John sembrava che Sherlock lo stesse facendo apposta per mettersi in mostra davanti a lui.
“E infine arriviamo alla domestica. Da quanto tempo gioca d’azzardo, Corinne? Come faccio a saperlo? Ha buchi per le orecchie ma non porta orecchini, indossa della brutta bigiotteria per mantenere le apparenze, ma la realtà è che ha impegnato tutto per pagare i debiti del gioco. Controlla il cellulare ad intervalli regolari che suppongo corrispondano ai risultati delle corse dei cavalli(1). Ha delle profonde occhiaie come se stesse sveglia tutte le notti, per fare cosa visto che non ha un marito, non più quanto meno, magari resta in piedi davanti al pc a giocare a poker on line? Tutto questo per dire che lei, tra tutti, aveva il miglior movente per derubare il suo ricchissimo datore di lavoro che per inciso non ha ucciso per un finale ripensamento o perchè non aveva abbastanza forza per infliggere un colpo mortale?” sembrava una domanda, questa, che rivolse proprio alla domestica.
“Non... non ne ho avuto il coraggio, alla fine.” ammise Corinne che tenne per tutto il tempo lo sguardo sui propri piedi, manifestando una gran dose di vergogna ed imbarazzo.
“Ecco Lestrade. Hai il tuo colpevole.” concluse Sherlock, ricongiungendo poi le mani dietro la schiena, aspettando le parole che sentì giungere poco dopo.
“Fantastico! Sei stato incredibile!” John scrollò il capo, stupito per l’ennesima volta dal computer che lavorava nel cranio di Sherlock, il quale inspirò a fondo, godendo del complimento che gli era appena stato fatto “Come hai fatto a capire che passa la notte giocando al poker on line?”
“La signora Corinne usa un correttore economico, vista la mancanza di soldi, e questo non basta a coprire le occhiaie ed il rossore attorno alle pupille. Inoltre ha un piccolo callo nell’attaccatura tra la mano ed il polso, un punto molto particolare, un callo tipico di chi sta molto al computer perchè è quello il punto in cui ci si appoggia alla scrivania per usare il mouse o alla tastiera per scrivere.” replicò Sherlock con un'alzata di spalle, come se stesse spiegando la cosa più banale del mondo.
“Ma come hai fatto a notarlo?” John provò ad osservare il polso destro della domestica dove, effettivamente, c’era il callo di cui parlava il Consulente Investigativo “Geniale.”
Sherlock gongolò all’ennesimo complimento, nascondendo l’euforia dietro ad un piccolo sorriso “E’ il mio lavoro smascherare i criminali, John.”
“Ehi, freak.” Donovan ruppe la magia “Potresti anche usare un po’ di tatto, la signora è già abbastanza sconvolta.”
Sherlock fece spallucce, osservando Lestrade che ammanettava Corinne, mentre John fece un passo verso la poliziotta, alzando un dito verso di lei “E tu, invece, lo sai che se non dici la tua ogni volta stiamo bene lo stesso?”
Donovan indietreggiò di un passo, stupita dalla reazione del solitamente pacifico dottor Watson “Come ti permetti?”
“No, come ti permetti tu. Devi parlare per forza?” John avanzò, coprendo lo spazio che Sally aveva compiuto all’indietro “Non sei stufa di avere sempre torto? Vi siete proprio trovati tu e Anderson.”
“Dottor Watson!” Lestrade dovette intervenire, ponendosi tra John e Sally: guardò il primo negli occhi, scuotendo il capo impercettibilmente, quindi sussurrò “John, siamo amici, ti capisco, ma non puoi trattare così i miei poliziotti in pubblico.”
Sherlock prese John per la spalla, facendolo indietreggiare verso di sè, cercando di dissimulare quanto accaduto “Scusateci, colpa mia, l’ho fatto spazientire tutta la mattina ed ecco i risultati. Ce ne andiamo, Ispettore.” lanciò un’occhiata d’intesa che Lestrade contraccambiò, quindi fece passare John davanti a sè, spingendolo verso i corridoi, iniziando a parlare ad alta voce di quanto fosse bella quella casa e di quanto fosse stato fortunato il signor Ford a non morire finchè l’abbaiare del cane non potè coprire i loro dialoghi. A quel punto Sherlock si fermò e prese John per le spalle, abbassando lo sguardo su di lui “Che ti è preso, John? E’ solo Donovan, cosa ti aspettavi, che si sarebbe fatta furba?”
John si fermò, lasciando spaziare lo sguardo attorno a sè, dal cane alla fontana, dalle panchine al laghetto artificiale: poi alzò gli occhi su Sherlock e capì quanto fosse stato strano da parte sua inscenare quella pantomima per non fargli passare dei guai, quindi riprese a parlare.
“Non ti ricordi come ti hanno trattato? Hanno avuto torto marcio e nonostante tutto continuano a trattarti come un alieno.”
“A me non importa di come mi trattano, John.” Sherlock allentò la stretta sulle spalle dell’altro, avvicinandogli invece le mani al collo che iniziò a carezzargli con i pollici.
“A me sì.” sbuffò John, alzando le mani fin sulle braccia di Sherlock, facendole scivolare fino ai polsi.
“Non dovrebbe! Non dare loro tutta questa importanza!” Sherlock sorrise a quel punto, scontrando la fronte di John con la propria “E comunque sei stato davvero in gamba prima.”
A quel punto John non potè non sorridere, contagiato da Sherlock “Sei fiero del tuo assistente?”
“Mi hai eccitato!” ammise Sherlock di getto, alzando appena il timbro vocale, per poi imbarazzarsi subito, istantaneamente, di quella confessione, tanto che si allontanò da John, mettendosi le mani in tasca “Nel senso che... cioè non nel senso che, come si poteva fraintere..." tergiversò un po', cercando aiuto nella natura che lo circondava, aiuto che, ovviamente, non arrivò "Ecco, sì, mi hai reso fiero. Bravo.”
John rimase interdetto, tossicchiando appena, abbassando lo sguardo verso le punte delle proprie scarpe “Beh... era facile...”
Rimasero qualche istante in completo silenzio, avviandosi verso l’uscita di quell’enorme tenuta: quando oltrepassarono il cancello videro le volanti della polizia che via via si riempivano, ripartendo verso la centrale. John e Sally Donovan si scambiarono una lunga ed ostile occhiataccia, che fece decidere all’ex soldato di farsi una lunga passeggiata.
“Ti accompagno.” si propose Sherlock, ma John scosse il capo con un sorriso.
“No Sherlock, non preoccuparti, tornatene a casa. Io ho bisogno... di fare due passi per far sbollire la rabbia.” John strinse la mano di Sherlock quando vide la sua espressione contrariata di fronte al rifiuto “Torno presto.”
“John...” Sherlock si avvicinò un po’ col volto “...non è per quello che ho detto prima, vero?”
“No Sherlock, anzi. Quello che hai detto prima... beh... mi ha fatto molto piacere.” sorrise per poi sfiorargli il mento con il naso, approfittando dell’ombra del viale alberato per concedersi quella tenerezza in pubblico “Ci vediamo dopo.”
Sherlock fece sfumare la stretta con la mano di John, chiudendo la propria a pugno nel momento in cui non aveva più nulla da stringere “Torna presto.” sussurrò, osservandolo incamminarsi nella direzione opposta alla propria: sentì una sensazione di vuoto dentro di sè fino a quando non lo vide girarsi e sorridergli di nuovo. La sicurezza di essere importante per John almeno quanto lui lo era per sè, fece rallegrare Sherlock, che quindi si tranquillizzò, potendo così a sua volta incamminarsi tranquillamente per la propria strada.

John, infatti, tornò a casa due ore più tardi con un’espressione rilassata sul volto: ordinarono cinese d’asporto che mangiarono seduti sul divano, davanti alla televisione che guardarono per buona parte della serata, finchè non decisero che la Signora Fletcher era una terribile menagramo e la spensero. Quindi Sherlock suonò il violino per John finchè non lo vide addormentarsi sotto le dolci note che aveva composto per lui: gli si avvicinò, sistemandolo meglio sul divano, sentendolo mugugnare nel sonno sotto il suo tocco. Sherlock sorrise, quindi, dopo averlo coperto con un plaid a trama scozzese, si sedette nella propria poltrona, immergendosi nella lettura di un nuovo testo di Chimica che John gli aveva comprato nel pomeriggio.
La loro routine si era quindi riavviata, ma con un po’ di sapore in più.

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(1) Ho preso spunto da una puntata di Criminal Minds dove Hotch sgama il vizio del gioco ad un avvocato proprio per il fatto che controllasse il blackberry ad intervalli regolari °.°
   
 
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