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Autore: Ellie_x3    20/05/2012    3 recensioni
La sua anima era un castello in rovina.
Erzsébet Báthory si voltò, gli diede le spalle, e si preparò a ciò che sarebbe venuto: che l’ultima pietra franasse.
Che gli infedeli lo saccheggiassero pure.
Non le importava più.

Fanfiction classificatasi seconda e vincitrice del premio Personaggio al contest "In the Darkness"
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Canta, mia Sárvár






[ Sárvár;
Annus Domini 1610 ]


La contessa Báthory rammentava quando il suo non era affatto l’unico castello arroccato sui Carpazi.
Quando i gitani bussavano alla porta nel cuore della notte cercando riparo, offrendo magie.
L’ululato dei lupi nelle foreste, i raggi di luna imbrigliati dalle tende di velluto.
L’argenteria. I coltelli.
Le fiammelle del villaggio, oltre il sentiero, e le voci che cessavano al calar d'ogni sera. I respiri soffocati e le urla.
Tuttavia non c’erano più giovani, né gitani, né lupi, né nessuna carrozza disposta a scendere a ciò che rimaneva del villaggio.
Nessun conte e nessuna contessa: aveva lasciato dietro di sé rovine e mura insanguinate, un titolo beffardo e così tanto odio da non poterlo quantificare.
Un grande, buio fallimento.

Senza dubbio era ancora chiamata ‘vampira’, ma non traeva nessun piacere da quel titolo rivelatosi falso; un vampiro era destinato a vivere per sempre, a non invecchiare pagando un tributo in carne e sangue- a lei, questo, non era accaduto.
Una truffa, quella che la donna aveva subito, organizzata dalla vita stessa; ora che i capelli ingrigivano e la schiena le doleva più del solito, piegata davanti ad un tribunale di uomini folli a cui teoricamente avrebbe dovuto essere superiore…si sentiva annientata.
Semplicemente stanca.
Aveva implorato suo nipote, principe di Transilvania, per poter tornare a Sárvár almeno un’ultima volta: si era convinta che avrebbe ritrovato la pace, lì sulla tomba di suo marito e vicina alle fanciulle morte per garantirle bellezza, tuttavia l'aveva accolta un relitto.
Dove i ricordi crudeli dipingevano un opulento mondo di broccati e ceramica, di corde ingrassate e lasciate sotto il sole, di catene, non v’erano altro che erba e rovi e mura crollate.
Com’era possibile?
Cos’era accaduto?
E, più di ogni altra cosa, davvero non l’aveva sospettato?


Poggiò le lunghe dita bianche su ciò che era rimasto della sua vecchia casa, accarezzando ogni pietra, ricordando ciò che era; quel che non sarebbe mai più potuto essere.
C’era stato un tempo in cui aveva ammaliato: anche lei imponente come quelle montagne, gli occhi celesti, i capelli d’ebano.
Ma era finita.
Tutto era avvenuto così in fretta…come svegliarsi da un sogno durato troppo a lungo.
A cosa erano serviti, si chiedeva, tutti quei bagni nel sangue?
I canini limati ogni notte e affondati nel collo di innumerevoli giovani donne?

Le erbacce erano cresciute davanti al massiccio portone in legno –strano che i parassiti non l’avessero rovinato- e scricchiolavano quando la nobildonna le calpestava.
Alzò lo sguardo e venne investita da una ventata gelida.
L’inverno ungherese, lungo e rigido, era alle porte. Sospettava che, con il suo arrivo, sarebbero tornati i lupi e gli spiriti delle donne morte fra quelle alte mura di pietra.
Se chiudeva gli occhi poteva tornare in stanze dal soffitto a volta, illuminate dalle candele; giovani legate alle pareti, la giugulare squarciata, appese a testa in giù come animali da macello.
E quella vasca immacolata nella quale usava passare le ore.

I ricordi tornavano a galla, vividi nonostante il passare degli anni, benchè la sua pelle fosse oramai raggrinzita e l’effetto del sangue svanito.
Con lei decadeva tutto ciò che era stato un tempo glorioso: risultava quasi comico, a ben pensarci; gli ultimi stracci della sua razionalità, come vestiti abbandonati in una segreta polverosa.
Hai fallito, ti hanno punita, ma non è ancora finita: torneranno e, lo sai, ti faranno del male, tanto quanto ne hai fatto tu, e godranno tanto quanto hai goduto tu, guarderanno e si chiederanno perché non possono farne di più, ancora di più, sempre di più.
La donna gettò indietro la testa, in un tintinnio di perle che le legavano i capelli, e rise. Una risata folle e tuttavia consapevole.
Morirai.
Pensava che fosse impossibile; aveva scoperto il contrario.
Invecchierai.
Il solo pensiero la tormentava.

Ciò che i suoi accusatori credevano rimorso era in realtà dolore d’un cuore disabituato alla rassegnazione.
E se avesse potuto camminare di nuovo fa quei saloni dorati, bere dal collo delle prigioniere nelle segrete, distendersi sul pavimento freddo della torre più alta, là dove poteva sentire il frullare delle ali dei corvi, sarebbe stata felice.
D’altra parte, sapeva di non poterlo essere mai più; in basso, nei pozzi, i resti delle sue vittime cantavano.
Vendicate. Cosa significava, poi, quella parola tagliente?
Cosa c’era di tanto sbagliato nel voler vivere per sempre, eternamente giovane, immutabilmente bella?
Ma, davanti ad un maniero che aveva creduto indistruttibile e che oramai si reggeva su fondamenta sbilenche, aveva compreso un’altra verità.

La sua anima era un castello in rovina.
Erzsébet Báthory si voltò, gli diede le spalle, e si preparò a ciò che sarebbe venuto: che l’ultima pietra franasse. 
Che gli infedeli lo saccheggiassero pure.
Non le importava più.


 

 


Note:


Partecipante al contest In the Darkness indotto da The Weaver of tales e giudicata da Falsa Dea Molto Adorata (Prompt: Castello)

Giudizio: Eccomi. Allora, prima di iniziare a scocciare e questionare, complimenti per la scelta del personaggio... Direi che in un contest dark Madame Bathory fa la sua figura, inoltre non ho avuto bisogno di documentarmi perchè avevo già letto un sacco di cose su questa serial killer e quindi la mia pigrizia te ne è grata, nonostante possa essere un personaggio comune da usare a discapito dell'originalità, si può credere. Allora, direi che la scelta di ambientare la storia durante la vecchiaia della donna è pressochè originale, invece, chiunque l'avrebbe dipinta nel pieno della sua follia omicida, ma forse, essendo una storia introspettiva (Per carità, è il mio genere preferito) ne perde un po' il punteggio trama. Il personaggio... ah, hai fatto una caratterizzazione a dir poco stupefacente, è molto affascinante il modo in cui tenti, parlando per bocca sua, di creare un'empatia tra la protagonista e il lettore e nel contempo mantieni alta la visibilità della follia della donna attraverso frasi brevi e secche, quasi crude, che dipingono, con malinconica nostalgia della normalità, le atrocità più inquietanti. Brividi... Allo stesso modo hai rispettato la condizione in maniera creativa, diciamo che hai barato. Il decadimento, il castello che crolla è lei stessa, più che la struttura in sè, ma come non darti un punteggio alto per una finezza (scontata magari, ma necessaria) così? Arriviamo alle dolenti note: la grammatica. Nonostante tu abbia un buono stile, che si soddisfa di velate allusioni e materialissimi basamenti tutt'insieme, quasi etereo ma crudele al contempo, la grammatica risente di alcune tue scelte. Ad esempio, frasi prive di struttura logica elementare, punteggiatura e congiunzioni un po' più libere... Se, queste cose innalzano uno stile, però, non vanno troppo punite. O, almeno, io la penso così.
Se ci fosse ststo un premio condizione avresti potuto vincerlo ma non era previsto, stranamente.  

Io non ci credo ancora, comunque *sviene*

 

 

 



   
 
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