VERDE
“Guar…da…mi” sussurrò.
Verde.
Ogni cosa intorno a
lui sembrava essersi tinta di una sfumatura chiara e impalpabile; una sfumatura
di un verde conosciuto e un tempo amato.
Mentre i suoi occhi
mettevano a fuoco tutto ciò che lo circondava, il verde sembrò diradarsi a poco
a poco, come la stessa speranza che
quel colore richiamava.
La speranza di un
coraggio nascosto.
La speranza di un
bacio anelato.
La speranza di un
abbraccio.
La speranza di un perdono.
Severus Piton, ormai
ex Preside di Hogwarts, si guardò intorno cercando di tastare il suo corpo, all’apparenza
privo di consistenza, adornato da una tunica nera che faceva quasi risplendere
il viso diafano e richiamava i capelli corvini che ricadevano in una leggera
cascata, priva di movimento, sulle spalle ricurve.
Guardò la sfumatura
verde scomparire a poco a poco sotto il suo sguardo cupo per essere poi
sostituita da un bianco intenso.
Odiato.
Purezza.
Poco si addiceva a
lui. A l’uomo che aveva vissuto di menzogne fino al punto da dimenticare la
verità, a l’uomo che si era macchiato del crimine più tremendo che potesse
esistere e che, con la sua stessa mano, aveva ucciso un altro uomo strappandogli
dalle mani disarmate la vita al suono supplichevole del suo stesso nome.
-
Severus, per favore… -
No, la purezza non
gli si addiceva affatto.
Fece un passo avanti.
Si guardò ancora intorno, forse in cerca di quel verde che l’aveva accompagnato
alla morte, quel verde che gli ricordava tristemente tutto quello che aveva
rimpianto nella vita e tutto quello che avrebbe voluto raggiungere dopo di
essa.
Si era aspettato di
certo un luogo scuro, braccia marchiate da fuoco e occhi d’inferno ad
attenderlo in quel viaggio che era l’aldilà,
invece, rimase sorpreso nel trovarsi circondato da tutto quel bianco – sbagliato -.
Forse questo era solo
il suo contrappasso.
Un uomo che nella
menzogna e nella falsità si era costruito un’intera esistenza era forse
destinato a trascinarsi dopo la vita, circondato da tutto quello che mai
avrebbe potuto avere, da quello che lui stesso aveva allontanato da sé, un universo bianco – sbagliato, puro -.
Credeva che il suo
cuore, una volta giunta a termine quella che lui non riusciva più oramai a
chiamare vita, avrebbe ripreso inverosimilmente a battere per la prima
volta dopo 17 anni. Credeva che i ricordi gli sarebbero stati compassionevolmente strappati da quella
mente logora e consumata, e i suoi occhi avrebbero potuto continuare a guardare
al futuro senza perdersi più nei
meandri di un passato lontano e doloroso.
Credeva che le sue
pene sarebbero finalmente terminate e poi, d’improvviso, quel bianco sembrò
quasi accecarlo, costringendolo a chiudere gli occhi a causa della troppa luce – pura, sbagliata -.
Si costrinse a
tenerli chiusi per qualche secondo ancora fino a quando, da dietro la cortina
serrata delle palpebre, non gli sembrò che la luce fosse tornata alla normalità
e, poco a poco, riaprì gli occhi che sembravano quasi dolergli per quanta – purezza - luce v’era stata.
Il fruscio di una
veste vicina e una fragranza aulente e familiare sembrarono riempirgli i sensi
mentre una mano, dolce e delicata come un petalo di un fiore – giglio, puro -, gli sfiorò una guancia.
I suoi occhi lucidi
liberarono alcune lacrime che presero a riversarsi sulle guance pallide,
lacrime trasparenti fatte di profumi noti e ricordi.
Quei ricordi che erano
stati il suo nutrimento e il suo rifugio sicuro per molti anni e che ora sembravano
così reali, così vicini, da ferirlo ancora di più, se possibile.
Non poté fare nulla
contro le lacrime, quelle stesse lacrime che per anni aveva nascosto dietro ad
altre menzogne, dietro ad altre falsità, e che sembravano ora scuoterlo e
invaderlo come lame gelide sulla pelle tesa.
Le lacrime lo
laceravano così come i ricordi che esse si portavano dietro, insensibili a quel
cuore che gli doleva nel petto scavato laddove le sue mani erano accorse mille e
mille volte per graffiare la pelle del torace nel vano tentativo di
strapparselo via e gettarlo altrove, in un posto dove, forse, sarebbe servito a
qualcosa.
- Severus - una voce,
quella voce, lo richiamò piano mentre
la mano bagnata dalle sue lacrime restava appena appoggiata alla sua guancia.
Quante sofferenze
possono essere inflitte ad uomo prima di vederlo a terra supplicante?
-
Severus, per favore… -
forse troppe.
Le sue ginocchia
cedettero al suono di quelle parole.
Ancora suppliche.
Chi altro avrebbe
dovuto uccidere stavolta? Se stesso forse?
- Severus – Eppure
quella voce – pura - gentile ancora
lo richiamava.
Non bastava forse
accontentarsi di un uomo distrutto che neanche nella morte riusciva a trovare
la sua pace?
Gli occhi, colmi di
rabbia e ricordi, si aprirono piano mentre l’immagine riflessa nei suoi occhi
gli spezzava il cuore e gli offuscava ancor più la vista.
Verde.
Ogni cosa si riempì
nuovamente di verde e le sue labbra tremanti si piegavano in una muta
preghiera.
Adesso lo sapeva.
Quella purezza non
era il paradiso, quella purezza era l’inferno
e non faceva altro che ricordargli che lei era esistita e lui l’aveva perduta
per sempre.
Non sarebbe bastata
la sua morte per ritrovarla.
Quanto a fondo ancora
doveva scavare per ricominciare ad emergere?
Era ancora lei, la
giovane e minuta Lily Evans, quella inginocchiata dinanzi a lui, una mano
ancora a carezzargli il viso, gli occhi verdi
anch’essi colmi di lacrime mentre le gote rosee mettevano in risalto le efelidi
scure.
- Severus…- il suo
nome le sfuggì dalle labbra sanando come miele quelle ferite che lei stessa,
senza neanche saperlo, aveva inferto al cuore di quell’uomo e alla sua anima
straziata.
- Lily - un sussurro.
Una liberazione.
Pregò con ogni fibra del suo essere
che non fosse un sogno, sperò di non risvegliarsi ancora una volta col volto
rigato da lacrime e il sudore freddo a imperlargli la fronte.
- Lily – Ancora.
Ripetere il suo nome
sembrava quasi lenire ogni suo rimpianto, ogni suo rimorso.
- Lily - Un balsamo
leggero su le lacrime che, durante la notte, gli pesavano sul cuore e su i
ricordi che ogni giorno lo tormentavano facendo rivivere in lui l’incubo di
averla perduta e aver perduto con lei il suo cuore.
- Lily…Lily…Lily - Ogni nome accompagnato
da un singulto.
Lei sorrise
teneramente posando sul suo volto sofferente anche l’altra mano e appoggiando
la sua fronte a quella dell’uomo distrutto
che faticava a riconoscere come suo amico, seppur non fosse cambiato affatto
nel volto quanto nell’animo.
- Sono qui – Un
sospiro accennato, offuscato dalla voce piena di gioia e di ammirazione.
– Sono qui, amico
mio. – Parole materne le sue e lui si stupì di quanto la sua amica fosse
cresciuta, seppur bloccata nel corpo di un’eterna ventunenne, la sua bellissima
ventunenne.
- Grazie, Severus, grazie. – Gli baciò le guance piano,
timidamente, cancellando le lacrime, cancellando le ferite.
- Per…per cosa? – Bisbigliò
quello intimidito facendo attenzione a non fare troppo rumore.
Inutile dire quanta
paura avesse che lei potesse volare via come sabbia tra le mani, come i sogni
prima del risveglio.
Lily gli regalò un
altro sorriso carico di affetto.
- Hai protetto Harry,
Severus. Non l’hai mai lasciato solo – Quelle parole fecero capolino dalle sue
labbra ornate da una voce bassa, colma di emozione e gratitudine.
- Io non… - Non ebbe
neanche il tempo di tirarsi indietro.
- Sei stato un grande
uomo, Severus. Non ti ringrazierò mai abbastanza per questo. - Si scostò appena
dalla sua figura per abbracciarlo con gli occhi. Ogni parola non sarebbe mai
stata abbastanza.
- Mi dispiace – La
voce di Severus uscì dalla gola spezzata dal pianto silenzioso, ma non gli importava.
Era il perdono che cercava e non gli importava se
lei glielo avrebbe concesso dopo la sua supplica, avrebbe pianto ancora se ce
ne fosse stato bisogno, qualunque cosa purché lei lo perdonasse, purché lo
stringesse tra le braccia ancora una volta, l’ultima.
Lily si alzò
lentamente e lui ebbe paura che potesse scappare, poi la vide, la sua mano
candida sporsi lentamente verso di lui. La prese tra la sua, tremante, e piano
si alzò in piedi di fronte a lei.
Non aveva mai
dimenticato in tutti quegli anni quanto fosse bella, non aveva mai dimenticato
il suo sorriso e quegli occhi verdi nei quali troppe volte aveva avuto vergogna
e timore di specchiarvisi.
- Non ne hai motivo.
Io sono rimasta delusa per troppo tempo dal tuo comportamento, ma non per
questo ho mai smesso di volerti bene, ma
ora che so Severus, ora che mi è tutto chiaro, sono io che devo chiedere scusa
- il suo tono dolce sembrava delicato
come il tocco delle mani che stringevano le sue.
- Non meritavi la mia
freddezza, mai, ma ero troppo delusa, avevo paura che ti saresti allontanato,
proprio come Petunia. Vi ho amati entrambi e allo stesso modo; avete dato
protezione a mio figlio, lo avete salvato. – Alcune lacrime di eterea
consistenza sfuggirono al suo controllo mentre le parole scivolavano dalle sue
labbra e fluivano fino al cuore dell’uomo che le stava dinanzi.
- Grazie Sev, grazie di cuore
- le ultime parole bisbigliate appena; le lacrime, stille trasparenti di
effimera consistenza, disegnavano sul volto provato strade di affetto e
d’amore.
Severus la guardò con
il volto finalmente sereno dopo tanti anni e, senza pensarci, l’abbracciò,
assaporando la felicità di tenerla stretta tra le braccia.
Fu proprio come anni
prima, quando ancora erano bambini, quando ancora la guerra, le paure e le
bugie non li avevano separati, quando ancora la morte non era venuta loro
incontro e, uno alla volta, se li era portata via, celando l’una agli occhi
dell’altro.
L’abbracciò e sembrò
quasi che Lily sapesse ancora di erba
bagnata, l’erba del parco in cui da piccoli giocavano, e di sole, lo stesso che li scaldava quando,
esausti, si lasciavano cadere sul prato, parlando di quella normalità che non ci sarebbe mai stata
nelle loro vite.
- Lily? - la richiamò
piano, un po’ per essere sicuro che fosse ancora lì tra le sue braccia e non
fosse svanita tra i meandri della sua mente, un po’ per assaporare quel nome
che mai gli era sfuggito in modo così chiaro dalle labbra in quegli ultimi
anni.
Lei rispose ancora
sorridendo, contenta di averlo finalmente potuto riabbracciare seppur in parte
rattristata dall’incontro sì prematuro.
- Lily, dove siamo? – Era una domanda che gli
ronzava per la testa da un po’, da quando si era risvegliato in quel posto
vuoto e sconosciuto, quel posto che poi si era colorato di lei.
- Non lo so. Credo
che questo momento sia solo tuo – Gli rispose sincera.
E doveva esserlo,
doveva esserlo per forza, perché lì, accanto a lui, tra le sue braccia, c’era
Lily , e lei non lo odiava affatto.
Forse quel posto non
era l’inferno come all’inizio gli era parso.
La strinse più forte
a sé spezzandole il respiro, se ancora fosse stato possibile respirare.
Una mano immersa nei
suoi capelli rossi, l’altra posata su di un fianco.
No, non poteva essere
l’inferno.
- Dove siamo Sev, secondo te? -
chiese allora la ragazza.
-
In paradiso, Lily, in paradiso - .
NdA
Salve a tutti!!
Purtroppo ultimamente ho difficoltà a staccarmi dalla tastiera
del PC nonostante maggio sia quasi finito e gli esami siano più vicini che
mai^^
Severus Piton non è mai stato uno tra i miei personaggi
preferiti ma non posso non ammirarne il coraggio sconfinato e la forza d’animo
e quindi, ancora una volta, mi ritrovo a scrivere di quest’uomo.
Spero che il contesto sia chiaro. La one-shot è ambientata in un
luogo non ben definito che sarebbe il cosiddetto aldilà.
Il Severus iniziale è un uomo spaventato e sperso, ha paura che
questo luogo altro non sia che il suo inferno personale soprattutto quando la
vede. Pensa che sarà destinato a rivederla per sempre senza poterla nemmeno
sfiorare e da ciò la convinzione di trovarsi all’inferno.
Quando poi Lily lo convince di quanto entrambi siano “reali” capisce che quello non deve
essere per forza un luogo di dolore e sofferenza.
Ovviamente non c’è nulla tra i due che vada oltre l’amicizia.
Spero che questa breve one-shot vi sia piaciuta e che lascerete
un commento (le critiche sono, al solito, ben accette come anche domande e
quanto altro).
Grazie comunque per essere arrivati fino alla fine^^
Un bacio!